Innovazione e sviluppo nelle aree interne: il caso delle aree prototipo in Puglia, Campania e Molise

Innovazione e sviluppo nelle aree interne: il caso delle aree prototipo in Puglia, Campania e Molise

Introduzione

La Strategia Nazionale Aree interne (Snai) si pone in continuità rispetto alle esperienze ispirate allo sviluppo locale avviate a livello nazionale a partire dagli anni Novanta (patti territoriali, progettazione integrata, approccio Leader). In questo ambito si è assistito alla sperimentazione di nuove modalità di intervento pubblico, basate sulla costruzione di partenariati locali e tese all’individuazione di nuove configurazioni istituzionali, sociali ed economiche a livello sub-regionale in grado di generare modelli alternativi di regolazione territoriale.
La Snai introduce, tuttavia, delle innovazioni sostanziali di metodo. In particolare essa sperimenta una modalità nuova di governo del territorio, di tipo multilivello (nazionale, regionale e locale) che pone al centro l’associazionismo tra i comuni  e che prevede la possibilità di attivare feedback sulle politiche nazionali dal livello locale. La Snai consente di perseguire in aree territoriali circoscritte l’integrazione tra l’attuazione di soluzioni innovative per la fornitura di servizi di base per la popolazione, finanziate con fondi nazionali (Legge di Stabilità), e le politiche comunitarie attuate dai programmi operativi regionali (Por) previsti dalle politiche di coesione e dai Psr. L’intervento sui servizi qui è concepito in un’ottica di ordinarietà: si sperimentano soluzioni che Stato e Regione si impegnano a rendere permanenti laddove valutabili positivamente. L’individuazione degli obiettivi e degli interventi da realizzare ai fini della definizione delle strategie locali avviene attraverso il lavoro dei diversi livelli di governo coinvolti, basandosi sull’applicazione del principio di coprogettazione.
In questo contesto attraverso un’istruttoria aperta d’intesa tra la Regione e lo Stato, che ha previsto per ogni area oltre ad analisi di tipo desk una missione di campo, negli ultimi due anni sono state scelte 65 aree-progetto (950 comuni; 1 milione e ottocentomila abitanti; un sesto del territorio nazionale). Le aree prototipo individuate (ossia le aree che partendo per prime assumono valenza di aree sperimentali) ad oggi sono 19. Ad ognuna di queste area sono stati assegnati 3,8 milioni di euro circa per interventi sui servizi e un ammontare almeno pari a valere sui fondi strutturali comunitari coinvolti nella programmazione regionale.
Già dalla fine del 2014 si sta procedendo all’elaborazione della strategia d’area per le aree individuate come prototipo e dai primi mesi del 2016 anche per alcune seconde aree grazie al lavoro congiunto di un gruppo nazionale che, lavorando insieme al livello regionale sta accompagnando i processi locali e supportando la costruzione di alleanze tra i comuni cui affidare il ruolo di leader nel disegno delle strategie e nell’interfaccia con gli altri livelli di governo.
Questo contributo intende evidenziare gli elementi principali che stanno emergendo dal lavoro che si sta realizzando, per supportare l’introduzione in queste aree di elementi di innovazione anche sociale e istituzionale, a partire dall’esperienza maturata come componente di quella che Fabrizio  Barca definisce “una squadra nazionale…. capace di… accompagnare, vigilare, spingere, criticare e accogliere i processi locali” (Barca, 2016, pag. 46). Infatti, come componente del Comitato tecnico Aree interne, che ha il compito di assicurare la  governance della Snai, sono stata coinvolta, per le competenze in materia di analisi territoriale e politiche per l’agricoltura e le aree rurali, non solo nella fase di impostazione della strategia (identificazione statistica delle aree, definizione degli indicatori di diagnosi, istruttoria per la selezione delle aree, stesura di linee guida e documenti metodologici, definizione dello schema di Apq) ma anche nella fase di definizione delle strategie d’area. In questa veste ho partecipato alla fase di scouting in diverse aree prototipo tra cui l’Alta Irpinia in Campania, i Monti Dauni in Puglia e il Matese in Molise, che tra le aree che seguo come componente del gruppo tecnico locale, sono quelle in cui la fase di ascolto è partita prima in termini temporali.
Questo contributo concentra l’attenzione sull’esperienza di queste aree. Il focus è sulle soluzioni prospettabili per riqualificare l’agricoltura e l’agroalimentare.
L’analisi svolta evidenzia la necessità che la ricerca di soluzioni innovative ai problemi strutturali di queste aree anche per il sistema agricolo e agroalimentare parta a livello locale dalla sperimentazione di nuove logiche di intervento in grado di ribaltare laddove necessario le modalità di relazione  e i rapporti tra gli attori a livello locale. Il successo della Strategia risulta, tuttavia, subordinato anche ad un forte investimento a livello nazionale e regionale in risorse umane e competenze per l’accompagnamento dei processi locali e dalla capacita delle strutture amministrative coinvolte ai vari livelli di garantire la flessibilità necessaria alla sua realizzazione.

Dall’ascolto alla strategia

Le tappe previste

Dopo la selezione dell’area i sindaci individuano al loro interno un Referente, designato a rappresentare l’area nel confronto con gli altri livelli di governo. Da questo momento si avvia il percorso per la stesure della strategia che prevede diverse fasi (cfr. Lucatelli in questo numero) e l’audizione/ascolto da parte della Regione e del Comitato Nazionale Aree interne, d’intesa con i Sindaci, degli attori rilevanti (dirigenti scolastici, imprenditori, liberi professionisti, studenti) del territorio interessato. Operativamente ai fini dell’elaborazione della Strategia, Regione e Comitato affiancano il sindaco capofila nell’attività di scouting e di coinvolgimento del partenariato attraverso esperti dedicati che, pur ponendosi come soggetti super partes, diventano parte integrante di un gruppo tecnico locale.
L’obiettivo è quello di fare emergere la visione del territorio da porre alla base della formulazione della strategia, anche attraverso lo sguardo degli innovatori spesso senza voce in questi territori, facendo ricorso a strumenti di tipo partecipativo (focus group, interviste, indagini partecipate, etc.) nell’ottica della ricerca azione1 mutuata dalle discipline sociologiche (Greenwood, Levin, 2007) e dalle prassi operative maturate nell’ambito della progettazione nel sociale  (Leone, Prezza, 2003).
Le fasi previste per la stesura della strategia aree interne richiamano quelle tipiche della costruzione di progetti nel sociale secondo le metodiche della ricerca azione. Si parte da un’idea che può venire alle persone più diverse (un preside, un insegnante, un assessore, una cooperativa), per poi passare alle fasi di condivisione, verifica della fattibilità, attivazione delle relazioni (chi coinvolgere, in che ruolo) che rendono possibile la sua realizzazione e infine si passa alla stesura della strategia e dei singoli interventi che la compongono. Data la complessità del compito si prevede la stesura di una prima bozza, la sua discussione e la redazione di un preliminare di strategia prima di arrivare alla predisposizione della strategia e delle relative schede di intervento. 

La fase di ascolto in alcune aree prototipo

Nelle aree prototipo qui considerate (Alta Irpinia, Matese e Monti Dauni) si sta lavorando, con il coinvolgimento di istituzioni, associazioni, cittadini, imprenditori, rilevanti per la strategia e lì dove presenti centri di competenza locali (Ausl, distretti scolastici, Gal, poli di ricerca ecc) per fare emergere le “idee guida” intorno alle quali coagulare l’azione della Strategia. Il fine ultimo del lavoro di campo svolto è quello di orientare in senso innovativo la preparazione della Strategia, evitando la stesura di documenti di programmazione generalisti e dando voce e ruolo a tutti i soggetti rilevanti anche a quelli che faticano a trovare uno spazio d’azione negli attuali assetti locali. In queste aree gli spunti e le indicazioni che emergono dai testimoni ascoltati sono la base per la messa a punto di una lettura del territorio, da elaborare grazie al lavoro dei diversi livelli di governo, che individui i cambiamenti necessari ad invertire, in un orizzonte di medio lungo termine, la decrescita economica e demografica che le ha caratterizzate negli ultimi decenni.
Nei contesti territoriali considerati dal presente contributo le letture possibili del materiale raccolto sono ovviamente molteplici, come molteplici sono le traiettorie di sviluppo che un territorio può scegliere di imboccare. Qui di seguito si ripercorrono per le aree in questione i principali elementi emersi dalla fase di ascolto per quel che concerne il settore agricolo e agro-alimentare, che ha visto il coinvolgimento di imprenditori agricoli, imprese agroalimentari, Gal, centri di ricerca, sindaci, ma anche insegnanti e studenti.

Tabella 1 – Alcuni elementi sulle aree prototipo analizzate

Fonte: nostre elaborazioni

In Alta Irpinia nel post terremoto si era puntato sulla “fabbrica”, con il conseguente abbandono dell'agricoltura e della attività di prima trasformazione connesse. Questo ha inciso negativamente sulla dinamica evolutiva del settore agricolo mentre non sono mancate le iniziative imprenditoriali di successo connesse alle vocazioni locali e basate sulla grande impresa alimentare (vedi Ferrero). Gli attori ascoltati individuano nei massicci finanziamenti della fase post terremoto la causa dell’instaurarsi di una sorta di dipendenza dall'assistenzialismo, di incapacità diffusa di progettare e avere una visione del proprio futuro. Il ricorso esteso nell’area alle pale eoliche, non richiedendo un progetto, viene visto come un elemento emblematico di questa incapacità.
Negli ultimi anni tuttavia si percepisce un ritorno all'agricoltura che nell’ultimo trentennio era stata interessata da un fenomeno di abbandono (riduzione del -22% della superficie agricola utilizzata tra il 1980 e il 2010) e un miglioramento della possibilità di accesso ai finanziamenti pubblici e dell'attenzione ai temi dell'agricoltura. In Alta Irpinia protagonisti di questo ritorno sono i giovani (e non) imprenditori innovatori, nonostante il crollo fra 2001 e 2011 del 50% dei conduttori 39-enni, che si fanno promotori del territorio (attraverso la comunicazione sui propri prodotti) e di un modello di sviluppo per l’agro-alimentare locale basato sull’innovazione (di processo e di prodotto), su produzioni di nicchia ad elevato valore aggiunto (come il Carmasciano, formaggio prodotto dal latte delle pecore tenute al pascolo, nell’area della antica “Mefite della Valle d’Ansanto”) e sulla chiusura delle filiere a livello locale, in cui prodotti o sottoprodotti di un processo produttivo (output di coltivazioni e allevamenti) possano diventare risorsa (input) per altri processi produttivi, generando impiego e crescita sul territorio.
Esempi di percorsi su cui investire già si individuano nell’introduzione di soluzioni innovative basate sulle vocazioni del territorio, realizzate da alcune realtà imprenditoriali di eccellenza come il birrificio artigianale che utilizza l’orzo prodotto in azienda per la produzione di una birra di elevata qualità o gli agricoltori del consorzio locale che producono, in avvicendamento, grano senatore cappelli, utilizzato nella produzione di pasta di alta qualità, e foraggi di qualità da impiegare nella zootecnia, influendo positivamente sulla produzione lattiero casearia locale. La ricerca di questi punti di innovazione costituisce una delle principali attività nella preparazione della Strategia.
Risulta centrale in questi percorsi l'attivazione di collegamenti con centri di ricerca e sperimentazione, ma anche il ricorso a servizi professionali per la comunicazione e un adeguato supporto informatico. Sono i profili decisivi che andranno approfonditi in sede di preparazione della Strategia.
La fase di ascolto ha evidenziato che quello che serve è generalizzare tali processi oltre che rafforzare la rete informale di collaborazione e confronto sia tra imprenditori agricoli che tra operatori dell’agro-alimentare che in alcuni casi sfocia in esperienze spontanee di associazionismo. Tali esperienze non devono contrapporsi alle associazioni formali esistenti, le quali spesso in cambio di un corrispettivo economico offrono un servizio giudicato non adeguato, ma casomai essere di stimolo a queste a rinnovarsi e lavorare più per gli associati e meno per la struttura in sé.
Sul tema delle infrastrutture per l’agroalimentare va superata la carenza di strutture per la logistica (gli imprenditori si appoggiano a strutture in capannoni privati) e l’assenza di una catena del freddo (che rende impossibile la spedizione di prodotti deperibili, quali i formaggi, in estate).
In sostanza, occorre seguire una strategia commerciale e produttiva basata su qualità ed innovazione e non sulle grandi quantità e sul prezzo, investendo con l’obiettivo di generalizzare i processi di innovazione per aumentare il valore delle produzioni locali e favorire l’entrata di nuovi produttori nel mercato. Una traiettoria analoga puo essere immaginata per il settore forestale. Il patrimonio forestale dell’area (38% della superficie territoriale dell’area; 0,4% del patrimonio forestale nazionale), non è sempre gestito adeguatamente ma potrebbe essere di interesse per l’industria del legno locale, che attualmente importa la totalità delle materie prime utilizzate.
Congruente deve essere anche l’azione di politica industriale, che deve investire su filiere produttive innovative collegate alle risorse esistenti, immaginando dove possibile un riutilizzo funzionale alla nuova strategia dei capannoni abbandonati nelle aree industriali improduttive, che potrebbero, ad esempio, diventare dei poli logistici dell'agroalimentare, essendo collocati in posizioni nodali.
Si deve investire su percorsi che facendo leva sull’innovazione, anche istituzionale, e sulla chiusura delle filiere mobilitino risorse locali non utilizzate. A tal fine è necessario attivare a livello locale percorsi di informazione e animazione degli attori che inneschino processi di condivisione di obiettivi comuni e di aggregazione degli operatori intorno a fabbisogni e progetti concreti.
Nell’area del Matese l’agroalimentare, che presenta alcune carenze strutturali di natura generale (piccole dimensioni, carente capitalizzazione e scarsa propensione all’associazionismo), ha subito fortemente le implicazioni della crisi del settore avicolo locale (cfr. vicende Gam spa) e dell’indotto dell’industria agro-alimentare, ma non solo.
L’evoluzione del territorio del Matese si intreccia a quella di due importanti realtà industriali: la Gam srl società a partecipazione pubblica operante nella filiera avicola (le cui vicende si intrecciano anche con scelte di politica e dubbi di un sovradimensionamento del personale legato alla ricerca di un consenso); la Laterlite spa (azienda produttrice di argilla espansa) con lo stabilimento di Bojano. Negli anni Ottanta la presenza di queste realtà ha contribuito alla scelta di abbandono dell’agricoltura (riduzione del -31% della superficie agricola utilizzata tra il 1980 e il 2010). In anni piu recenti inoltre la crisi ha avuto impatti fortemente negativi sull’economia locale.
Per quel che riguarda l’agroalimentare assume rilievo nell’economia locale il settore lattiero caseario che vede la presenza di diversi caseifici cui si affiancano diverse aziende agricole produttrici di latte. A questo riguardo tuttavia incide sulle traiettorie di sviluppo possibili per l’area lo scollamento tra le industrie alimentari presenti a livello locale (produzioni lattiero-casearie) e la base produttiva agricola (allevamenti da latte). Si consideri che solo una piccola percentuale dei caseifici Molisani utilizza esclusivamente latte molisano per produrre mozzarella. Il legame tra la componente agricola e la fase di trasformazione risulta fragile in quanto solo il 50% del latte trasformato dai caseifici ha provenienza locale (questo viene percepito come un elemento di debolezza). La rimanente parte di materia prima proviene dall’estero (Germania) principalmente sotto forma di cagliata. In questo modo si tagliano i costi dello smaltimento del siero. L’utilizzo di materia prima locale richiederebbe senza dubbio l’esigenza di individuare soluzioni innovative per il riutilizzo dei costituenti del siero che potrebbe divenire fonte di ricchezza integrativa. Altra realtà produttiva agricola è data dalla cerealicoltura che vede la presenza di un’azienda di rilievo (la Molisana) e problematiche analoghe sulla provenienza non locale della materia prima.
Il futuro delle aziende agricole del Matese è a rischio perché i progetti attuali delle nuove generazioni li allontanano dall’agricoltura. Qui si pone il problema di garantire una remunerazione di prezzo migliore, per incentivare i giovani a non andare via (o a ritornare). Tuttavia la cronica incapacità di cooperare tra gli agricoltori dell’area rappresenta un vincolo all’aggregazione e alla possibilità di avviare processi di cooperazione e valorizzazione che consentano di tagliare i costi e ottenere condizioni migliori di prezzo. Associazioni di categoria e consorzi non vengono percepiti come soluzioni utili in questa direzione.
L’ascolto ha evidenziato per il futuro l’esigenza di puntare per il caseario, al fine di evitare la fuoriuscita dal mercato degli allevamenti ancora presenti, sulla produzione biologica e l’attivazione di percorsi di aggregazione e cooperazione tra soggetti. Tuttavia il biologico pone all’azienda anche dei vincoli in termini di alimentazione degli animali (utilizzo di foraggi e mangimi da agricoltura biologica con costi più elevati) e numero massimo di vacche per ettaro oltre a richiedere una dimensione minima degli allevamenti (almeno 40/50 capi per il settore del latte). Non mancano le produzioni suscettibili di valorizzazione (es. caciocavallo).
Come ulteriore alternativa è emersa la sperimentazione per l’introduzione di prodotti nuovi per l’area (quali lo zafferano) o il recupero di antiche varietà (cfr. aglio molisano). Tra le esperienze in essere segnalate, l’introduzione della canapa per uso medicinale (associazione regionale: 10 produttori), il miele, gli asparagi selvatici. Tuttavia non ci sono stati segnalati tentativi seri di individuare marchi e inoltre le produzioni locali non sempre hanno una riconoscibilità (come per il tartufo prodotto nelle tartufaie locali).
La realizzabilità di una possibile evoluzione che veda il rilancio dell’agricoltura appare legata alla ricerca di soluzioni adeguate su alcuni aspetti chiave:

  • accesso alla terra; si  rileva la presenza di terreni agricoli, anche pubblici, non utilizzati e la titolarità dei terreni rappresenta qui una questione delicata. Nell’area i terreni aziendali sono spesso prevalentemente in affitto, in gran parte spezzettati e prevalgono i piccoli appezzamenti. Questo implica uno scarso incentivo a investire.
  • l’aggregazione tra produttori; si tratta di un aspetto critico in quanto le azioni tentate in passato non hanno inciso in maniera determinante. Si pone l’esigenza di individuare modalità efficaci  per favorire il ricorso a forme associative tipo cooperativa:
  • la facilitazione dei processi di innovazione: dall’ascolto emerge un fabbisogno idi supporto delle imprese, di tipo agronomico e non solo, per l’introduzione di nuovi prodotti e il recupero di antiche varietà;
  • la mancanza di servizi per le imprese (per la comunicazione, messa in rete per la vendita, il supporto informatico, supporto per l’innovazione; supporto legale e per la tenuta della contabilità). Serve inoltre un supporto per affrontare i costi iniziali (es. linee di credito, Fondi di Garanzia).

Nei Monti Dauni si registra una forte decrescita demografica (-35% tra il 1971 e il 2011) ma una dinamica di riduzione della Sau meno accentuata rispetto alle altre due aree (-10% tra il 1982 e il 2011). Le problematiche per l’agroalimentare sono analoghe: scarsa cooperazione tra operatori, esigenza di avviare percorsi qualificati di innovazione, anche di prodotto, e migliorare le prospettive di remuneratività del settore.
Non mancano anche qui esperienze positive di messa a sistema di alcune filiere locali. I produttori di frumento duro dell’area, contribuiscono alla filiera “Grano Armando”, progetto voluto dal pastificio Baronia-De Matteis di Flumeri in provincia di Avellino, che si pone l’obiettivo di produrre solo pasta di alta qualità, con il 100% di grano italiano. Aderiscono alla filiera 526 agricoltori di Puglia, Molise, Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio e Toscana che si sono alleati con gli ammassatori e i pastifici. La pasta Armando viene prodotta con varietà selezionate di grano duro italiano, coltivate soprattutto in provincia di Foggia, nel rispetto del patto di filiera Armando tra agricoltori e produttore. Il programma di coltivazione del progetto di filiera Grano Armando, messo a punto dalla Sygenta, azienda leader nel settore, permette la produzione di qualità e quantità grazie alla combinazione di varietà determinate, agro farmaci, mezzi tecnici, e assistenza tecnica a supporto dell’agricoltore nell’implementazione delle diverse operazioni. Tra i maggiori conferitori e ammassatori di grano c’è la cooperativa agricola Valleverde di Bovino. Il progetto di filiera “Grano Armando”, sviluppato grazie al legame strutturato tra mondo agricolo e industriale, ha consentito di ottenere un miglioramento nell’area della remunerazione per gli agricoltori aderenti.
L’ascolto del territorio ha evidenziato l’importanza di avviare un processo di modernizzazione del settore agricolo, in chiave anche sociale, fondato sull’innovazione tecnologica, l’ampliamento delle conoscenze e il rafforzamento della formazione degli operatori (funzionale in tal senso la proposta di creazione di un Its agrario), l’aggregazione e condivisione tra gli agricoltori. L’idea di fondo sembra essere la creazione di un cluster legato all’agricoltura di qualità. Tra le direzioni possibili di cambiamento potrebbe risultare centrale per l’area l’innovazione della filiera cerealicola in un ottica di  salvaguardia e valorizzazione della biodiversità, recupero di cultivar autoctone e sviluppi nel campo del gluten friendly.
Non mancano gli attori chiave (D.A.R.E.; Centro di ricerca per la Cerealicoltura; Università degli studi di Foggia - Facoltà di Agraria) che potrebbero supportare, con appropriate competenze tecnologiche e scientifiche gli imprenditori agricoli per aprirsi all’innovazione e diventare interlocutori per lo sviluppo di attività didattiche extracurricolari e laboratoriali con le scuole del territorio.
L’ascolto ha anche evidenziato l’esigenza di individuare modalità di collegamento tra gli studenti e le imprese locali. Si tratta di una prospettiva che, vista la frammentazione propria del settore agricolo, richiede la preventiva realizzazione di una maggior cooperazione/aggregazione tra imprese per essere operativa. E’ emersa inoltre l’opportunità di incentivare la diversificazione delle produzioni in diverse filiere e produzioni (grano senatore cappelli, vitigni autoctoni come il tuccanese, la mela limoncella, leguminose tipiche, diversi prodotti del sosttobosco) e la creazione di agriturismi, masserie locali, fattorie didattiche, agri-nido e altre esperienze di agricoltura sociale. Per non rischiare di disperdere le forze la strategia dovrà precisare i processi chiave su cui puntare esplicitandone i collegamenti con l'idea guida.

Conclusioni: l’innovazione necessaria

Per quel che concerne il sistema agro-alimentare l’ascolto dei diversi territori consente di  individuare almeno due temi ricorrenti:  cooperazione e innovazione.
Sull’innovazione è necessario favorire la diffusione di innovazioni specifiche e il rafforzamento dei collegamenti tra produttori e centri di ricerca e tra produttori. A questo riguardo l’individuazione degli interlocutori deve avvenire funzionalmente alle esigenze rilevate nei territori. Bisogna partire dalla tipologia di processi di innovazione (agronomica ma non solo) in atto a livello locale e dalle fasi del processo produttivo interessate (es. la fase agricola e di prima trasformazione, processi di introduzione di nuovi prodotti e processi). Nel metodo le soluzioni prospettate dovrebbero evitare di chiamare in causa un soggetto che rappresenti anche l’offerta di innovazione, introducendo un bias nel processo, e in generale l’individuazione aprioristica di soggetti di riferimento. Per sostenere e generalizzare i processi di innovazione in atto va prima focalizzato il profilo che deve avere il soggetto cui demandare il compito di favorire l’innovazione del settore. Per avvicinare la domanda e l’offerta di innovazione sarebbe meglio puntare, piuttosto che su un provider di ricerca, su una figura tipo broker. Per mettere a punto soluzioni adeguate vanno previsti approfondimenti mirati che prevedano una fase di animazione e ascolto degli attori rilevanti finalizzate alla costruzione di un luogo di confronto e facilitazione degli scambi di conoscenza tra  ricercatori, agricoltori e policy maker locali. Serve un supporto di competenze, anche esterne, per il disegno delle azioni necessarie oltre che un contributo in termini di innovazioni (di prodotto e processo) e di strumenti per la condivisione di conoscenze.
Sul tema della cooperazione va avviata una riflessione riguardo ai metodi da utilizzare per rafforzare l’aggregazione tra produttori. L’esigenza registrata nei territori va nella direzione di un ribaltamento dei metodi adottati in passato. Non partire dal consorzio ma dall'avvio di percorsi partecipati di condivisione e dalla cooperazione tra soggetti su progetti concreti che porti eventualmente alla costituzione di aggregazioni tra produttori. Nel tema della cooperazione rientrano diversi aspetti che riguardano le filiere, la gestione in comune di servizi e strutture, i processi di aggregazione dei produttori.
Per favorire questi processi (diffusione innovazioni specifiche e cooperazione) sono utilizzabili gli strumenti innovativi che esistono nell’ambito delle politiche comunitarie di sviluppo rurale (cfr. Misura 16), che andrebbero individuati dai singoli Psr regionali tra le misure attivabili in aree interne. Si tratta di strumenti che consentono di realizzare azioni basate sulla cooperazione tra almeno due soggetti, mirate su obiettivi concreti (es, progetti pilota per lo sviluppo di nuovi prodotti, diffusione di innovazioni specifiche anche attraverso la creazione di gruppi operativi2, creazione di micro–filiere, organizzazione di processi di lavoro in comune tra produttori) e che combinano insieme elementi diversi che vanno dall’animazione, al finanziamento di investimenti materiali, alla realizzazione di  infrastrutture funzionali alla realizzazione del progetto.
In generale, il lavoro di campo ha fatto emergere anche un’esigenza diffusa di innovazione nelle pratiche e nei metodi di programmazione. L’associazione dei comuni è il soggetto istituzionale cui è demandato il compito di farsi interprete dell’idea guida per il cambiamento espressa dal territorio e costruire le azioni necessarie. In questo processo è importante non cedere alla tentazione di scegliere le soluzioni semplici finanziando azioni “a pioggia” con la logica della ricerca di un consenso, ma sfruttare appieno la strumentazione esistente per calibrare gli interventi, attraverso l’ascolto, l’informazione e l’animazione mirata del territorio. Inoltre, il concetto di partecipazione va interpretato come processo deliberativo complesso e non in maniera riduttiva come mero assolvimento di un requisito formale di presenza nei partenariati di soggetti rappresentativi di diverse componenti sociali e produttive a livello locale.
D’altro canto, per soddisfare le esigenze di cambiamento espresse, è necessaria anche la disponibilità degli apparati burocratici che gestiscono i programmi strutturali, a livello centrale e regionale, a ricercare soluzioni adeguate ad assicurare l’operatività della strategia. In particolare vanno adottare modalità attuative flessibili e calibrate sui fabbisogni delle singole aree, mettendo a disposizione tutti gli strumenti necessari alla realizzazione delle linee di intervento tracciate, anche laddove questo implichi aggiustamenti nell’impianto programmatico.
Per un reale cambiamento infine non solo la comunità locale deve riuscire a lasciarsi alle spalle l’eredità negativa delle scelte passate, ripensando la rete di relazioni sociali, economiche e istituzionali (sia formali che informali) secondo logiche maggiormente inclusive rispetto a quanto fatto fino ad oggi, ma è necessario anche vincere la refrattarietà al cambiamento – spesso dovuta alla volontà di mantenere l’assetto di potere esistente - delle classi dirigenti ai vari livelli (nazionale, regionale e locale).

Riferimenti bibliografici

  • Barca F. (2016), Diseguaglianze territoriali e bisogno sociale – La sfida delle “Aree Interne”, Testo della Lezione per la decima Lettura annuale Ermanno Gorrieri, Modena, 27 maggio 2015, Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

  • Greenwood D.J., Levin M. (2007), Introduction to Action Research: Social Research for Social Change, sage pubblication

  • Leone L., Prezza M. (2003), Costruire e valutare i progetti nel sociale, Franco Angeli

Siti di riferimento

  • Agenzia per la coesione Territoriale: [link]

  • 1. Le parole-chiave che caratterizzano la ricerca-azione sono: cambiamento, legame con la pratica (contestualizzazione), partecipazione. La ricerca azione partecipata è impiegata in diverse pratiche sociali finalizzate al cambiamento, soprattutto nell’ambito del lavoro di comunità e della progettazione sociale. Nelle prassi basate sulla ricerca azione la logica della progettazione assume nuove connotazioni che vedono gli operatori e progettisti alle prese con processi di adattamento ai contesti che cambiano e allo stesso tempo agenti capaci di promuovere e attivare interventi innovativi.
  • 2. Si tratta dei gruppi operativi previsti nell’ambito del Partenariato europeo per l’innovazione (“Produttività e sostenibilità dell’agricoltura - Pei-Agri - lanciato nel 2012 dalla Commissione Europea), che è una strategia mirata al potenziamento della ricerca e dell’innovazione agricola e forestale attraverso un approccio interattivo che riunisce agricoltori, consulenti, ricercatori, aziende agroa-limentari, Ong e altri attori.
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