L’impegno contro lo spreco alimentare: un’opportunità di cambiamento per la sostenibilità globale

L’impegno contro lo spreco alimentare: un’opportunità di cambiamento per la sostenibilità globale

Abstract

Il fenomeno del food waste, a causa delle sue implicazioni economiche, ambientali e sociali, rappresenta un tema di particolare rilevanza per la transizione verso lo sviluppo sostenibile. Recentemente sono numerose le iniziative che hanno portato ad azioni concrete. Ad oggi, la migliore destinazione delle eccedenze è la loro ridistribuzione attraverso la donazione solidale, che aiuta sia a combattere la povertà alimentare che ridurre gli impatti sull’ambiente.

Introduzione

Lo spreco alimentare è uno tra i temi più dibattuti dell’ultimo decennio e rappresenta una priorità dell’agenda politica di tutti i Paesi per garantire una sostenibilità futura.
Con il passare del tempo, infatti, la trasformazione industriale del settore agroalimentare e la globalizzazione dei consumi hanno comportato, da un lato, la nascita di nuovi stili alimentari adatti a tutti i gusti, ma dall’altro un consumo eccessivo di risorse naturali.
I dati disarmanti, che continuano negli anni a far riflettere, sono quelli relativi alle quantità di cibo che finiscono nella spazzatura (circa 931 milioni di tonnellate nel 2019) - la metà del quale ancora perfettamente commestibile - a fronte di un 9% circa della popolazione mondiale che soffre ancora la fame (UNEP, 2021; FAO, 2021). Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite (UNEP, United Nations Environment Programme) circa il 17% della produzione alimentare globale va perso o sprecato nel passaggio fra il produttore e il consumatore (11% negli ambienti domestici, 5% nel servizio alimentare e 2% nei punti vendita al dettaglio). Il percorso, per arginare questo fenomeno dilagante, richiede pertanto un’opera redistributiva tra i vari attori della filiera che inizia dai campi, passando per le aziende agricole e le imprese agroalimentari, proseguendo lungo la catena distributiva e arrivando nelle case dei consumatori, dove il fenomeno si aggrava ulteriormente (più del 60% degli sprechi di cibo deriva dai consumi domestici, UNEP 2021). Il Food Waste Index Report 2021, rivela che a livello mondiale mediamente ciascuna persona spreca 74 kg di alimenti ogni anno; i dati nazionali collocano l’Italia leggermente al di sotto della media globale, con 67 kg di cibo pro-capite gettato annualmente. A sorprendere è il fatto che lo spreco alimentare non è un fenomeno che riguarda soltanto i Paesi a reddito elevato, i loro dati infatti non si discostano molto da quelli rilevati in Paesi a reddito medio o medio-basso. Ma a differenziare questi valori sono le cause relative alle perdite e agli sprechi tra i vari Paesi del mondo. Infatti, per i Paesi del Nord del pianeta esse sono legate principalmente all’eccessiva produzione e acquisto di cibo - spesso gettato via quando ancora commestibile; allo scarso valore riconosciuto al cibo - perché standardizzazione e produzione di massa hanno permesso di contare su una maggiore varietà a prezzi sempre più bassi; alla mancata pianificazione degli acquisti - resa difficile dai ritmi sempre più frenetici; alla scarsa conoscenza, al disinteresse e alla confusione creata dalle etichette alimentari. A differenza, per i Paesi del Sud del mondo, lo spreco è associato soprattutto alla mancanza di infrastrutture, di tecniche di coltivazione e raccolto efficienti; alle carenze nei trasporti e nella distribuzione; alle tecniche di immagazzinamento e conservazione inadatte; alle condizioni climatiche spesso avverse; e non da ultimo, alla competizione per la produzione di biocarburanti, biogas e mangimi per animali.
Il Food Waste Index Report 2021 rappresenta oggi la più complessa e attendibile stima dello spreco alimentare mai prodotta a livello globale. Finora è stato infatti difficile valutare la reale dimensione del fenomeno e dei suoi impatti, perché le valutazioni si basavano fondamentalmente sul monitoraggio di un ristretto campione di Paesi, su dati poco aggiornati e su metodologie e strumenti di rilevazione non uniformati tra i vari Stati, andando così per un lungo periodo a sottostimare il fenomeno. Lo sforzo dell’UNEP nella redazione di questo rapporto non produce certamente risultati definitivi, ma traccia un percorso per affinare il metodo di quantificazione degli sprechi alimentari. L’Agenzia per l’ambiente delle Nazioni Unite suggerisce inoltre ai singoli Paesi come migliorare le proprie stime, segnalando che ad oggi ancora solo 17 nazioni sono in grado di fornire dati di alta qualità, mentre lacunose sono le statistiche relative ai Paesi a basso reddito. A rendere ancora più incerti i dati sul fenomeno - che dilaga oramai da diversi decenni e che ha raggiunto dimensioni insostenibili negli ultimi anni - è l’assenza tuttora di una definizione univoca di “spreco alimentare”, sia nella letteratura scientifica specializzata che a livello istituzionale. La prima definizione è stata fornita già quarant’anni fa dalla FAO, secondo la quale il food waste comprende “qualsiasi sostanza sana e commestibile che - invece di essere destinata al consumo umano - viene sprecata, persa, degradata o consumata da parassiti in ogni fase della filiera agroalimentare” (FAO, 1981). Nel 2011, lo Swedish Institute for Food and Biotechnology (SIK) ha condotto uno studio, commissionato dalla FAO, nel quale per la prima volta propone la distinzione tra perdite (food losses) e spreco alimentare (food waste) (FAO e SIK, 2011). Nel primo caso, si intendono le perdite di prodotti alimentari che si riscontrano durante le prime fasi della filiera: produzione agricola, post-raccolto e trasformazione dei prodotti agricoli; nel secondo caso, si intendono gli sprechi di cibo che si verificano nell’ultima parte della catena alimentare (distribuzione, vendita e consumo finale). Sintetizzando, le perdite si verificano prima che l’alimento raggiunga il consumatore, a causa di inefficienze nella produzione e trasformazione alimentare, scaturendo pertanto principalmente da limiti logistici e fattori infrastrutturali; mentre, gli sprechi si verificano a causa di inefficienze nel consumo, derivando maggiormente da fattori comportamentali. Anche nel panorama europeo, seppur la Commissione per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale del Parlamento europeo abbia nel 2011 fornito una definizione più puntuale di spreco alimentare1, ancora ad oggi non vi è stata una formalizzazione della stessa, per cui i singoli membri dell’UE possono riferire a definizioni elaborate a livello nazionale. Per esempio, in Italia, i Proff. Andrea Segrè e Luca Falasconi, fondatori di Last Minute Market, definiscono lo spreco alimentare come i “prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare, che hanno perso valore commerciale, ma che possono essere ancora destinati al consumo umano” (Segrè e Falasconi, 2011). Tuttavia, indipendentemente dalle molteplici definizioni fornite dai diversi Paesi e dall’assenza di una metodologia di valutazione univoca, tutto il mondo è concorde nell’affermare che le perdite e gli sprechi alimentari rappresentano oggi più che mai una sfida urgente e globale, indispensabile per lo sviluppo sostenibile
L’Obiettivo 12.3 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite indica infatti di dimezzare entro il 2030 lo spreco alimentare globale pro-capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post-raccolto (ONU, 2015).

Il cibo: merce o bene comune?

Nel corso del tempo, anche la filiera agroalimentare ha subìto una trasformazione, diventando sempre più lunga ed articolata. Da un lato, l’incremento della popolazione mondiale che dalle campagne continua a spostarsi nei centri urbani - con conseguente aumento delle distanze geografiche che separano il luogo della produzione da quello del consumo - e dall’altro, la crescente richiesta dei consumatori in termini di disponibilità e convenienza dei prodotti alimentari, hanno di fatto allungato l’intero percorso alimentare, rendendo la struttura distributiva e l’offerta alimentare sempre più complessa, tanto da aggravare ulteriormente il fenomeno del food waste. Tra le principali cause di spreco di cibo che si registrano nei processi di distribuzione e vendita, la Commissione europea (CE) ha individuato le inefficienze nella gestione dei magazzini e delle scorte; i danni causati agli imballaggi che rendono il cibo invenduto; gli elevati standard estetici richiesti dal mercato; le strategie di marketing e pubblicità che spesso incoraggiano acquisti smisurati (2 al prezzo di 1). Tra quelle riconducibili alla fase del consumo finale - che avviene generalmente nei luoghi di ristorazione e nelle abitazioni domestiche - la CE ha invece rilevato lo scarso valore che i consumatori associano al cibo, tanto da generare disinteresse ad usarlo efficientemente; l’eccedenza delle porzioni servite o delle quantità di cibo preparate; la sovrabbondanza degli alimenti acquistati per una mancata pianificazione degli acquisti e di conseguenza l’incapacità a consumarli entro il periodo di scadenza; e, non da ultimo, le difficoltà del consumatore ad interpretare correttamente le indicazioni fornite in etichetta (CE, 2014). Nel loro complesso, tutte queste cause potrebbero essere interpretate come conseguenza del fatto che nella società contemporanea il cibo è assimilato ad una commodity alla stregua delle altre, ossia una merce legata alla logica tradizionale di produzione-consumo-smaltimento (il cibo si vende, si consuma e si spreca). Se così è, diventa difficile contrastare questo fenomeno in modo strutturale e radicale; al contrario, se lo spreco alimentare è considerato come l’effetto di una mancanza di valore attribuita al cibo potrebbe invece essere contrastato con l’elaborazione di politiche che abbiano come obiettivo, non tanto quello di “riparare” un sistema agroalimentare che non funziona, quanto quello di ridurre/eliminare la causa generatrice del fenomeno, riconoscendo al cibo e alla sua produzione il valore di bene comune. Tuttavia, non va sottovalutato che in un sistema basato sul meccanismo della produzione eccessiva e dello smaltimento veloce delle scorte per poter immettere sul mercato nuovi prodotti, lo spreco non rappresenta più un “incidente di percorso”, ma diventa funzionale al sistema (Hudson e Messa, 2021).
Il 30 Settembre 2021, in occasione della 2a “Giornata internazionale della consapevolezza sugli sprechi alimentari”, la FAO e l’UNEP con i loro partner, hanno sottolineato che trasformare i sistemi agroalimentari rendendoli più efficienti, inclusivi e sostenibili è fondamentale, non solo per il raggiungimento del target 12.3 dell’Agenda 2030, ma per evitare che gli sprechi e le perdite alimentari vanifichino gli sforzi per il raggiungimento degli altri Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, quali sconfiggere la fame nel mondo e migliorare la nutrizione (Goals 2 e 3), ridurre le pressioni sulle risorse naturali e sull’ambiente (Goals 13). È quindi evidente che se non si eliminano, o comunque riducono, gli sprechi alimentari non si centreranno gli obiettivi dell’Agenda 2030.

Lo spreco alimentare è una questione etica, ambientale ed economica

Un sistema agroalimentare che non è in grado di garantire cibo a sufficienza per l’intera popolazione mondiale pur generando enormi quantità di perdite e sprechi è evidentemente un sistema insostenibile sia in termini etici e sociali che economici ed ecologici. Che si parli di sprechi o di perdite, tutto il cibo ha richiesto un contributo in risorse naturali e umane (suolo, energia, acqua, tempo, carburante, denaro), nonché un apporto di inquinanti (per non perdere o per aumentare le rese), per essere prodotto, trasformato, trasportato, confezionato, conservato, venduto ed acquistato.
L’UE ha stimato che sul suo territorio vengono gettati annualmente 88 milioni di tonnellate di cibo, equivalente a circa il 20% di tutto il cibo prodotto. Il costo di tale spreco, secondo il Rapporto 2020 dell’Osservatorio Waste Watcher, è stato quantificato intorno a 143 miliardi di euro, di cui ben 98 attribuibili allo spreco domestico, che rappresenta quindi la parte più consistente dell’intera filiera alimentare. Le stime sulla perdita economica del cibo gettato via si aggirano tra i 3,2 e i 6,1 euro per Kg di cibo sprecato a settimana per nucleo famigliare. Dati meno recenti, ma sconcertanti, mostrano che a livello globale, il costo economico diretto dello spreco alimentare di prodotti agricoli (con l’esclusione di pesce e crostacei), basato solo sui prezzi del produttore (es. produttori costretti a lasciare i loro prodotti nei campi senza raccoglierli o a scartare prodotti commestibili perché non conformi agli standard del mercato per dimensioni e/o estetica), ammonta a circa 750 miliardi di dollari, l’equivalente del PIL della Svizzera (Hudson e Messa, 2021).
Dal punto di vista ecologico, l’impatto non è da meno, infatti la produzione alimentare genera emissioni di gas climalteranti, e di conseguenza, lo spreco alimentare incide sui cambiamenti climatici. È stato stimato che l’impronta di carbonio del cibo prodotto e non consumato globalmente è pari a 3.3 miliardi di tonnellate di CO2eq, rappresentando la terza fonte di emissioni al mondo, dopo Stati Uniti e Cina (secondo la WRAP – Waste and Resources Action Programme – ogni tonnellata di cibo sprecato è responsabile di 4.5 tonnellate di CO2). In Europa, gli sprechi alimentari produrrebbero circa 186 milioni di tonnellate di CO2eq, e a questo devono aggiungersi gli impatti legati all’acidificazione ed eutrofizzazione, che rappresentano il 15-16% degli impatti prodotti dalla catena di produzione alimentare (Rapporto Waste Watcher 2020), la perdita di suolo, i consumi idrici, gli impatti sulla biodiversità. Infine, il cibo sprecato si trasforma in rifiuti, che richiedono ulteriori risorse per essere gestiti. Secondo la FAO, nonostante le pesanti conseguenze ambientali della produzione alimentare siano ampiamente riconosciute, sono ancora scarsi gli studi che hanno analizzato i reali impatti dello spreco alimentare globale da un punto di vista ambientale. A tutto questo si aggiunge l’aspetto etico legato agli sprechi; infatti, su un Pianeta in cui l’11% della popolazione mondiale (più di 820 milioni di persone) non ha accesso a cibo adeguato e a diete sane - sprecare alimenti risulta gravemente immorale (FAO, 2019). Dunque, diffondere modelli sostenibili di produzione e di consumo è auspicabile non solo per la crescita dell’economia globale, ma per la salute, per un’alimentazione equilibrata, per l’ambiente e la società intera.

Il Green Deal e la strategia “Farm to Fork

Nel 2019, la CE lancia il Green Deal, un ambizioso progetto europeo con l’obiettivo di trasformare l’UE in una società giusta e prospera, dove le emissioni nette di gas serra saranno azzerate e la crescita economica sarà disaccoppiata dall’uso delle risorse naturali (CE, 2019). Si tratta di una strategia che traccia le modalità per rendere l’Europa il primo continente climate neutral entro il 2050. Al centro del Green Deal si pone la nuova strategia “Farm to Fork” (F2F), anche detta “dal produttore al consumatore” (CE, 2020). Seppur si tratti di un concetto già utilizzato in passato nell’ambito agroalimentare per indicare che gli alimenti che arrivano sulle tavole dei consumatori debbano essere sicuri, di elevata qualità, e rispettosi della salute degli animali; questo piano decennale si è reso necessario per guidare la transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente. È la prima volta, infatti, che l’Unione Europea mette a punto una strategia che proponga misure e obiettivi per la sostenibilità dei sistemi alimentari, superando la logica settoriale, cioè di politiche centrate singolarmente su agricoltura, ambiente, salute o commercio, rivelatesi spesso incompatibili l’una con l’altra. Ogni Stato membro dell’UE dovrà adottare norme a livello nazionale che consentano di contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti nella strategia F2F.
Per guidare la transizione dell’agricoltura verso pratiche più sostenibili tale strategia individua sei macro-obiettivi, per ciascuno dei quali sono stati prefissati numerosi e ambiziosi target quantitativi.
La lotta contro le perdite e gli sprechi alimentari rappresenta uno di questi macro-obiettivi, che non si limita solo a prevenire le perdite e gli sprechi lungo l’intera filiera alimentare, ma intende operare nella logica del recupero e della redistribuzione delle eccedenze alimentari che altrimenti andrebbero definitivamente sprecate.
Per centrare questi obiettivi occorrono sicuramente investimenti in ricerca e innovazione ed un monitoraggio continuo ed accurato del fenomeno. A fine 2019 è stata introdotta a livello comunitario una metodologia comune e requisiti minimi di qualità per la misurazione armonizzata dei livelli di rifiuti alimentari generati a livello nazionale (Decisione delegata UE, 2019). Tale metodologia dovrà essere utilizzata da tutti gli Stati membri dell’UE ai fini degli obblighi di rendicontazione introdotti dalla Dir. (UE) 851/2018 relativa ai rifiuti (Direttiva UE, 2018). L’obiettivo generale è quello di ottenere entro la metà del 2022 un primo database europeo sugli sprechi alimentari necessario per delineare nuovi obiettivi che vadano a contrastare il fenomeno del food waste.
A fianco alla riduzione degli sprechi alimentari, la strategia F2F punta a garantire una produzione alimentare sana e sostenibile, a promuovere il consumo di cibi sostenibili e a sostenere la transizione verso abitudini alimentari sane.
La strategia si rivolge anche alle istituzioni pubbliche, come scuole ed ospedali, e alle aziende private, invitandole ad adottare misure per ridurre il proprio impatto ambientale rivedendo l’offerta alimentare. Lo scopo generale della strategia è quindi quello di ridurre l’impronta ambientale e climatica del sistema agroalimentare europeo, consolidando la resilienza, assicurando l’approvvigionamento alimentare, affrontando la problematica degli sprechi alimentari e guidando l’intero continente alla sostenibilità, dal produttore al consumatore. Affinché la transizione funzioni però è necessario intervenire anche sui regimi alimentari tradizionali attraverso, per esempio, la riduzione del consumo di carni rosse trasformate in modo da limitare sia i costi sanitari che l’impatto ambientale del sistema alimentare (FAO e WHO, 2019). Per far sì che i consumatori possano compiere scelte alimentari consapevoli, la Commissione europea ha inoltre proposto l’inserimento obbligatorio dell’etichettatura nutrizionale sostenibile e intende riesaminare le norme relative alle indicazioni riferite alla data di scadenza (“da consumarsi entro …”) e al termine minimo di conservazione (“da consumarsi preferibilmente entro …”) dei prodotti. La CE rivolge particolare attenzione alla trasparenza delle informazioni in etichetta dato che tali indicazioni continuano a generare confusione tra i consumatori determinando ulteriori sprechi alimentari.

Le iniziative legislative in Italia

Anche a livello nazionale, il tema dello spreco alimentare ha una fortissima valenza; oggi, è il Ministero della Transizione Ecologica, in particolare la Direzione generale per l’Economia Circolare, ad occuparsene. Il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti adottato nel 2013 aveva già previsto una specifica sezione dedicata a possibili misure per la riduzione dei rifiuti alimentari e, nel 2014, la task force “Analisi ed elaborazione di modelli per la riduzione degli sprechi alimentari” ha definito un Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimentari (PINPAS) andando ad implementare successivamente il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti (DD, 2013; PIMPAS, 2014).
Nel 2016, la c.d. Legge antispreco, nella quale confluiscono molti elementi del PINPAS, vuole favorire iniziative pubbliche e private per il recupero e la donazione di prodotti alimentari e farmaceutici per fini di solidarietà sociale (L. 166/2016). Con tale legge, infatti, gli operatori del settore alimentare possono cedere gratuitamente le eccedenze alimentari a soggetti donatori, i quali devono destinarle, anch’essi gratuitamente, in via prioritaria a favore di persone indigenti, se si tratta di prodotti idonei al consumo umano; altrimenti al sostegno di animali e all’autocompostaggio. Nel 2017, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sottoscritto con l’Associazione nazionale comuni italiani un Protocollo d’intesa per la promozione di iniziative finalizzate alla riduzione dei rifiuti alimentari (MATTM e ANCI, 2017). Nel 2018, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali pubblica anche un Bando per il finanziamento di progetti innovativi finalizzati alla limitazione degli sprechi e l’impiego delle eccedenze alimentari al fine di contribuire alla riduzione della produzione dei rifiuti alimentari attraverso azioni di solidarietà sociale (c.d. Bando “eccedenze”).

Alcune iniziative in atto contro gli sprechi alimentari

Oggigiorno, le iniziative di riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari e di recupero dei prodotti alimentari non più vendibili ma ancora commestibili, si sono moltiplicate in tutto il mondo contribuendo a porre sempre maggiore attenzione su questa problematica. Diverse ONLUS si occupano della raccolta e del recupero di prodotti agroalimentari lungo la filiera agricola e industriale e della loro ridistribuzione a strutture caritative, come ad esempio la Fondazione Banco Alimentare in Italia e similmente altre food banks presenti a livello globale (in Europa ne esistono più di 229 e negli Stati Uniti più di 200 raggruppate nel Feeding America) oppure Pane Quotidiano che hanno come scopo primario la valorizzazione sociale delle eccedenze alimentari a scopo benefico. Altre iniziative prevedono il recupero del cibo e la distribuzione presso cucine di comunità, come le mense, per persone a rischio di povertà alimentare e isolamento sociale, come ad esempio: l’organizzazione benefica del Regno Unito “FoodCycle”; oppure il recupero degli scarti alimentari dei mercati per la preparazione di cene conviviali a scopo di beneficienza, come il progetto no-profitDinner Exchange” a Berlino nato con l’obiettivo di sensibilizzare la comunità sul problema dei rifiuti alimentari. Altre iniziative sono invece promosse da agenzie governative e da enti pubblici locali, come per esempio: il progetto “Buon Samaritano” del Comune di Torino o il progetto “WRAP” (Waste Resources Action Program) nel Regno Unito promosso dalla FSA (Food Standard Agency) e dal DEFRA (Dipartimento per l’ambiente, gli alimenti e gli affari rurali) impegnato nella lotta agli sprechi alimentari a livello di consumo finale. Tra le iniziative del WRAP, la pubblicazione di Linee guida sull’etichettatura con lo scopo di fornire maggiori informazioni ai consumatori su come utilizzare/conservare al meglio i loro alimenti, in modo da diminuire i due milioni di tonnellate di cibo sprecato ogni anno nelle case inglesi per non essere stato utilizzato entro la data di scadenza.
Esistono, poi, vere e proprie campagne di sensibilizzazione sullo spreco alimentare come il “Love Food, Hate Waste” del WRAP e “This is Rubbish” in Gran Bretagna, il movimento “Stop Wasting Food” in Danimarca, o campagne nate da progetti scolastici e rivolte agli adolescenti come l’“Edible Schoolyard Project” negli Stati Uniti. Nel settore agricolo esistono organizzazioni private per la lotta allo spreco come il “Grow Sheffield’s Abundance Project” in Gran Bretagna e il “City Slicker Farms” negli Stati Uniti. Altre iniziative anti-spreco arrivano direttamente dalla GDO, dove la catena distributiva dedica un’area del negozio alla raccolta di alimenti “invenduti” - perché presentano un piccolo difetto sulla confezione o perché sono prossimi alla data di scadenza - scontandoli dal 30 al 50%, come ad esempio il “Buon Fine” di Coop in Italia.
Anche nella ristorazione nascono iniziative contro lo spreco, come ad esempio la rete di ristoranti aderente al progetto “Il Buono che Avanza” in Lombardia che propongono ai propri clienti di portar via, in una doggy bag, il cibo e il vino avanzati informandoli sul valore sociale di questa scelta. Nell’epoca del digitale non possono mancare le applicazioni per smartphone per combattere lo spreco alimentare, come per esempio “Too Good To Go” che permette ai commercianti e ristoratori di mettere in vendita a prezzi ridotti il cibo invenduto a fine giornata e ai consumatori di acquistare “Magic Box” a un terzo del prezzo di vendita. Nata in Danimarca nel 2015, l’App è oggi presente in 15 Paesi dell’UE, negli Stati Uniti e in Canada con 44 milioni di utenti, più di 110 mila negozi aderenti e oltre 90 milioni di Magic Box vendute (in Italia è stata lanciata nel 2019 in più di 70 città). Queste sono solo alcune delle numerose iniziative che fortunatamente, negli ultimi anni, continuano ad aumentare.

Conclusioni

La riduzione delle perdite agroalimentari dalla fase di produzione agricola fino alla distribuzione, il recupero delle eccedenze per favorire una migliore disponibilità di cibo per tutti, la prevenzione degli sprechi a livello domestico ed extradomestico, rappresentano oggi una sfida planetaria per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU.
L’Osservatorio Waste Watcher sullo spreco alimentare e sulle abitudini di acquisto e gestione del cibo, avviato in Italia nel 2013, e diventato un punto di riferimento nazionale ed europeo sul tema, nell’ultimo Rapporto 2020 stima che ogni anno nell’UE vengono generati circa 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, con conseguenti costi stimati a 143 miliardi di euro. Allo stesso tempo, si stima che nell’UE circa il 7,5% della popolazione vive in condizioni di grave deprivazione materiale, e quella principale è proprio l’accesso al cibo. Ma, oltre a generare un rilevante impatto economico e sociale, i rifiuti alimentari esercitano anche una pressione significativa sulle limitate risorse naturali e sull’ambiente, con una produzione di circa 186 milioni di tonnellate di CO2eq.
Per far fronte a tale insostenibilità, l’UE sostiene da anni campagne di sensibilizzazione a livello nazionale, regionale e locale, insieme alla diffusione di buone pratiche in materia di prevenzione dei rifiuti alimentari, con l’intento di modificare i comportamenti dei diversi attori della filiera agroalimentare coinvolti. S’impegna, inoltre, a fornire chiarimenti sulle indicazioni riportate in etichetta che possano essere erroneamente interpretate dai consumatori inducendoli a gettare cibi ancora commestibili, e a promuovere norme in materia di donazione per scopo sociale.
Oggi il tema dello spreco alimentare è particolarmente tenuto in considerazione nel Green Deal europeo e i modelli di business innovativi che hanno come mission quella del recupero e della ridistribuzione delle eccedenze alimentari a fini sociali sono considerati promotori della transizione verso un’economia circolare, tanto che la prevenzione degli sprechi alimentari è parte integrante del nuovo pacchetto europeo sull’economia circolare.
A livello nazionale, la Legge 166/16 ha chiarito, armonizzato e semplificato il quadro normativo in materia di recupero alimentare, incentivando aziende, GDO, esercizi commerciali e ristoratori a donare il cibo in eccesso e consentendo a tutti gli enti no profit di beneficiare degli alimenti per sostenere le persone bisognose. Negli ultimi anni molto si è fatto, ma sono ancora tanti gli sforzi richiesti a livello di sistema per ricercare nuove soluzioni organizzative e tecnologiche che possano contrastare concretamente il fenomeno del food waste.
Seppure il panorama politico risulti ancora frammentato e molti Paesi non abbiano ancora elaborato strategie di riduzione degli sprechi alimentari coerenti e a lungo termine, l’iniziativa europea del Green Deal potrebbe contribuire a spingere i singoli governi ad elaborare propri piani per affrontare il fenomeno a livello globale.
Recentemente, su scala globale, stiamo assistendo alla nascita di numerose iniziative di organizzazioni, imprese e cittadini volte a responsabilizzare le imprese della produzione agroalimentare, le imprese della GDO, e i consumatori attraverso campagne di sensibilizzazione ed azioni solidali antispreco.
Lo spreco e le eccedenze alimentari sono un tema etico di grande rilevanza ed oggi più che mai, l’adozione di modelli di produzione e di consumo responsabile si rendono indispensabili per contrastare le difficoltà di accesso al cibo e per ridurre l’impatto ambientale.

Riferimenti bibliografici

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  • 1. L’insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinabili al consumo umano, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e smaltiti, producendo effetti negativi dal punto di vista ambientale, costi economici e mancati guadagni per le imprese (Parlamento europeo, 2011).
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