Istituto Nazionale di Economia Agraria |
Introduzione1
Nella prossima programmazione comunitaria in Italia la politica di sviluppo rurale andrà declinata, attraverso i Piani di Sviluppo Rurale (Psr), a livello regionale e per le diverse tipologie di aree rurali, secondo le priorità fissate dal quadro strategico comunitario (Qcs) e le linee di indirizzo nazionali previste nell’Accordo di Partenariato (AP).
Per l’individuazione della mappa delle aree rurali, l’Italia adotterà il metodo di classificazione proposto dal Piano Strategico Nazionale (Psn) della fase 2007-2013 [link]. L’adozione di tale metodo a livello nazionale consente il superamento di quello proposto dalla Commissione (rural-urban typology), poco adatto a cogliere le specificità territoriali del nostro Paese, perché riferito a un livello amministrativo, quello provinciale, che molto spesso aggrega aree molto eterogenee fra loro [link].
L’AP, inoltre, nel declinare secondo le specificità italiane gli orientamenti comunitari, individua tra le opzioni per l’impiego dei fondi pubblici la realizzazione di una strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne (Lucatelli, Carlucci, 2013). La relativa e ulteriore mappatura del territorio nazionale si basa, in questo caso, su una classificazione dei comuni per grado di perifericità rispetto ai centri di offerta dei servizi di base.
Le due classificazioni (aree rurali Psr e aree interne) non sono a nostro parere alternative, ma vanno interpretate come una traccia da mettere a punto a livello regionale e da utilizzare per calibrare l’azione pubblica. Il presente contributo fa il punto delle due diverse mappature proposte per la lettura del territorio e del loro grado di definizione allo stato attuale, ne analizza i tratti salienti e le criticità e ne evidenzia le complementarità.
Le aree rurali nella nuova programmazione: lo stato dell’arte
La classificazione delle aree rurali va utilizzata nell’ambito dei Psr. La Commissione europea, infatti, richiede che la politica di sviluppo rurale sia declinata all’interno degli Stati membri secondo una classificazione in tipologie di aree funzionale all’analisi del contesto e all’individuazione di alcune priorità della politica sul territorio.
A tale scopo, la DG Agri propone – ma non impone - una sua classificazione delle tipologie di aree a livello di Unione, lasciando agli Stati membri la possibilità di definirne una propria. La metodologia comunitaria proposta si basa su un metodo di classificazione delle unità amministrative per grado di ruralità messo a punto dall’Oecd (1993) e, nella sua versione rivisitata dall’Eurostat in vista della nuova programmazione, prevede due fasi. La prima fase identifica le aree urbane e rurali utilizzando la densità di popolazione e facendo riferimento a una suddivisione del territorio nazionale in celle di un chilometro quadrato; la seconda fase classifica per grado di ruralità le unità amministrative di livello Nuts 3 (in Italia le province), sulla base della quota di popolazione rurale. Una provincia si definisce rurale quando tale quota è superiore al 50%.
Considerato che questo metodo non consente, nel caso Italiano, di cogliere adeguatamente le differenze interne alle province, generalmente rilevanti, e che l’Italia già dispone di una propria metodologia consolidata nel corso della programmazione 2007-2013, per la nuova fase si è proceduto con l’aggiornamento dei dati utilizzati nel Psn, senza alterarne il metodo.
Utilizzando come base di riferimento il livello comunale, il metodo Psn individua quattro macro-tipologie di aree: a) Poli urbani, b) Aree rurali ad agricoltura intensiva, c) Aree rurali intermedie, nel cui ambito rientrano aree diversificate ma spesso con situazioni di contesto che ne frenano l’evoluzione, d) Aree rurali con problemi complessivi di sviluppo.
Il processo di revisione della classificazione relativa alle aree rurali è coordinato dal Mipaaf nell’ambito di un apposito gruppo di lavoro (“aree rurali”) a cui partecipano i rappresentanti di tutte le Regioni. L’aggiornamento delle aree per la programmazione 2014-2020 comporta due passaggi: una prima fase di classificazione del territorio e una seconda fase di aggiustamento sulla base di un processo di fine tuning a livello regionale.
L’aggiornamento della classificazione del territorio nazionale, che è stato curato da Inea, ha seguito il metodo Psn, basato su indicatori semplici (densità abitativa e incidenza della superficie agro-forestale) calcolati per zona altimetrica all’interno delle province (dunque per aggregati di comuni). Rispetto al passato l’analisi si è arricchita tenendo conto delle aree forestali2, una variabile importante per la definizione del rurale che ha consentito di migliorarne la stima.
In particolare, come per il passato, sono stati isolati dall’analisi i comuni-capoluogo di provincia con densità oltre 150 abitanti per km2; si tratta dei maggiori centri urbani, in cui l’agricoltura ha un peso residuale e dove si concentrano le principali attività extra-agricole e buona parte dei fenomeni di urbanizzazione. Questo gruppo di comuni può rappresentare, a livello nazionale, le “aree urbane in senso stretto” ed è stato escluso dalle successive elaborazioni, volte a individuare una più spinta articolazione del rurale, così da evitare eccessive distorsioni.
I rimanenti comuni sono stati riclassificati sulla base di indicatori di densità abitativa e di peso delle superfici agro-forestali (superficie rurale), individuando come rurali i comuni con valori di densità sotto i 150 ab./kmq o di superficie rurale sopra i due terzi della superficie territoriale totale. Sono state quindi identificate per zona altimetrica (pianura, collina e montagna) e provincia le aree prevalentemente urbane (popolazione nei comuni rurali inferiore al 15% della popolazione totale), le aree significativamente rurali (popolazione nei comuni rurali compresa tra il 15% e il 50% della popolazione totale) e le aree prevalentemente rurali (popolazione nei comuni rurali maggiore del 50% della popolazione totale) in base all’incidenza, su quella totale, della popolazione afferente ai comuni rurali. Infine, le aree definite rurali (sia significativamente sia prevalentemente) sono state ulteriormente riclassificate in base al peso della popolazione che vive nei centri superiori a 150 abitanti per Kmq. Se questi centri pesano per oltre il 50% della popolazione totale, allora l’area è stata definita “rurale urbanizzata”. Si tratta di aggregati di comuni che, seppure densamente popolati, in virtù del peso rilevante delle superfici agro-forestali, possono essere definiti “rurali urbanizzati”. In questa fascia rientrano zone che presentano un’agricoltura forte (ad esempio le zone di pianura nell’Italia settentrionale).
L’applicazione del metodo sopra descritto ha portato all’individuazione di 12 tipi di aree, derivanti dall’incrocio delle tre zone altimetriche (montagna, collina e pianura) per le quattro categorie di base (prevalentemente urbane; rurali urbanizzate; significativamente rurali; prevalentemente rurali).
Il fine tuning, attualmente in corso, consiste in un confronto bilaterale con le Regioni, per affinare la classificazione delle aree. In questa fase, le categorie di aree individuate nel corso della classificazione del territorio sono riaggregate nelle macro-aree omogenee attraverso il procedimento seguente: (a) verifica della classificazione ottenuta per zona altimetrica con le Regioni e le Province Autonome; (b)aggregazione, sulla base di variabili discriminanti comuni e di ulteriori elementi conoscitivi sul sistema agricolo e agro-alimentare, essenzialmente apportati dalle Regioni e dalle Province Autonome, delle singole aree nelle quattro macro-aree individuate. A livello regionale possono essere adottate articolazioni più dettagliate del territorio regionale, comunque riconducibili alle macro-aree prese in considerazione.
Le aree interne
Negli scorsi mesi la bozza di Accordo di partenariato, che rappresenterà il documento di effettiva integrazione tra politiche comunitarie attuate dai programmi operativi regionali (Por) previsti dalle politiche di coesione e dai Psr, ha proposto la strategia “aree interne” come una delle opzioni per l’impiego dei Fondi nella futura programmazione. La strategia in questione riguarda quelle aree del nostro Paese, identificate rispetto alla loro distanza da centri d’offerta di servizi di base, che hanno subito, a partire dal secondo dopoguerra, una forte decrescita economica e demografica. Essa persegue tre obiettivi interconnessi: mettere in sicurezza il territorio (prevenendo gli effetti disastrosi di fenomeni naturali quali le alluvioni); promuovere la diversità naturale e culturale presente in queste aree; rilanciare lo sviluppo e il lavoro attraverso l’uso di risorse potenziali sottoutilizzate.
Gli obiettivi della strategia “aree interne” andranno perseguiti attraverso l’utilizzo della giusta combinazione di politiche pubbliche, sia ordinarie che aggiuntive, e la promozione sui territori di progetti pilota che facciano leva sui fattori latenti di sviluppo, specifici a livello locale. Le azioni pubbliche aggiuntive da finanziare con i Fondi strutturali comunitari devono dotarsi di un approccio strategico per le aree interne, di risorse dedicate e di un “presidio regionale” che riconduca a unità l’azione dei diversi strumenti scelti per applicare la strategia.
Statisticamente, le aree interne (comuni) sono state identificate rispetto alla loro distanza da centri d’offerta di servizi di base e classificate per grado di perifericità. I presupposti teorici da cui si è partiti rimandano all’idea dei bacini gravitazionali, al livello di perifericità dei territori in senso spaziale e alle relazioni funzionali tra poli e periferie.
L’offerta dei servizi a tal fine considerata comprende: (a) Presenza di scuole secondarie superiori (tutti i tipi); (b) Presenza di almeno 1 ospedale sede di Dea (Dipartimento d'Emergenza e Accettazione ); (c) Presenza di una stazione ferroviaria almeno di tipo «Silver». La compresenza di questi servizi definisce i poli (comuni o aggregazioni di comuni). Gli «altri comuni» sono classificati sulla base della distanza dai poli. In particolare si individuano quattro tipologie di comuni: (a) di cintura, (b) intermedi, (c) periferici; (d) ultraperiferici. Secondo questa classificazione del territorio, le aree interne sono date dall’aggregazione delle ultime tre classi di comuni (intermedi, periferici e ultraperiferici).
Allo stato attuale, si sta mettendo a punto la classificazione proposta per le aree interne, sia attraverso l’aggiornamento della base statistica utilizzata che grazie al confronto con le amministrazioni regionali, cui viene data l’opportunità di apportare documentati elementi conoscitivi per affinare le mappe.
In questi giorni, utilizzando le mappe prodotte come traccia e confrontandosi con il centro, le Regioni hanno avviato il processo di individuazione delle aree-progetto che presentano potenzialità inutilizzate, collegate ai seguenti ambiti di intervento: tutela del territorio e comunità locali; valorizzazione delle risorse naturali, culturali e del turismo sostenibile; sistemi agroalimentari; risparmio energetico e filiere locali di energia rinnovabile; saper fare e artigianato. I progetti dovranno: avere come attori i comuni e le loro associazioni, vedere una forte partecipazione della collettività locale, concorrere alla strategia lavorando su uno o più fattori latenti collegati agli ambiti di intervento prefissati, assicurare il legame con le politiche ordinarie (salute, istruzione e trasporti) e essere fortemente accompagnati, monitorati e valutati in corso d’opera. Nella prima fase, per consentire la messa a punto del metodo, sarà selezionato un progetto per ciascuna Regione amministrativa.
La strategia, inoltre, impegna le Regioni e le Amministrazioni centrali competenti a sviluppare azioni dirette a migliorare l’offerta di alcuni servizi di cittadinanza nelle aree interne (scuola, sanità, mobilità e connettività) anche attraverso le politiche ordinarie. Lo strumento per l’attuazione dei progetti è l’Accordo di programma quadro, avviato e gestito dalle Regioni, che consentirà di attivare la cooperazione tra i diversi livelli istituzionali coinvolti ed eventualmente i partenariati locali, esistenti o da avviare attraverso i futuri Community-Led Local Development (Clld).
Conclusioni
I processi di rigida delimitazione delle aree destinatarie di specifici interventi di politica strutturale in ambito comunitario – quali le aree obiettivo 5b della programmazione 1994-1999 e obiettivo 2 di quella successiva (Storti, 2000) - sono ormai un retaggio del passato. L’esperienza avviata nell’attuale programmazione (2007-2013) ha sancito nel nostro Paese il superamento di tale approccio rigido alla delimitazione, sostituendolo con una zonizzazione non imposta, ma proposta come traccia ai decisori pubblici che nei diversi contesti regionali hanno l’opportunità di apportare aggiustamenti nell’ottica di contemperare le visioni del centro con quelle locali. Quest’approccio accomuna i due metodi proposti in ambito nazionale (aree interne e dello sviluppo rurale).
La mappatura del territorio nazionale proposta nell’ambito della strategia “aree interne”, consente di focalizzare nella scelta delle aree di intervento su quelle in cui l’azione pubblica può contribuire a limitare la carenza di servizi di base, intesi come precondizione allo sviluppo.
Le macro-aree dello sviluppo rurale classificano il territorio tenendo conto dei rapporti dell’agricoltura con i più generali processi di sviluppo economico e sociale che caratterizzano il nostro Paese, con l’idea di fondo che le interconnessioni dell’agricoltura con il contesto siano una variabile chiave su cui agire.
Concettualmente, tra le due mappature non c’è contrapposizione, semmai esse risultano complementari rispetto alla lettura dei fenomeni rilevanti ai fini dell’impostazione dell’azione pubblica per lo sviluppo armonico delle diverse aree del nostro Paese.
È auspicabile che le diverse categorie concettuali, cui le due mappature fanno riferimento, rappresentino un aiuto nell’individuare i percorsi di sviluppo a livello locale, senza limitare le strategie. In quest’ottica non si potrà prescindere dalla presenza di partenariati e di leadership forti sul territorio e dalla necessità di accompagnamento ai processi a livello locale.
Altro elemento da tenere sempre presente è che gli obiettivi territoriali possono essere raggiunti solo attraverso l’azione congiunta delle politiche pubbliche, sia aggiuntive che ordinarie (quali quelle connesse all’offerta di servizi di base). Queste ultime dovrebbero essere tali da garantire nelle aree di intervento condizioni di contesto compatibili con lo sviluppo che viene promosso attraverso l’azione coordinata delle politiche pubbliche aggiuntive. Infine, pensando alle ingenti risorse che transitano attraverso il primo pilastro della Pac, riteniamo opportuno avviare una riflessione sui possibili meccanismi per garantirne la coerenza rispetto agli obiettivi territoriali qui richiamati.
Riferimenti bibliografici
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Lucatelli S., Carlucci C. (2013), Aree interne: un potenziale per la crescita economica del Paese, Agriregionieuropa, Anno 9, Numero 34 [link]
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Oecd (Organization for Economic Cooperation and Development) (1993), Creating rural indicators - framework, figures, findings, Parigi
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Storti (2000), Tipologie di aree rurali in Italia, Inea, Studi e Ricerche, Roma
Commenti
Giulio Rossi
Mer, 21/04/2021 - 10:10
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PSRN
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