Agricoltura e beni pubblici: una proposta di ri-orientamento della PAC

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Agricoltura e beni pubblici: una proposta di ri-orientamento della PAC

Introduzione

Nella comunicazione di novembre 2010, la Commissione europea ha individuato tre grandi temi su cui definire gli obiettivi della Politica agricola comune (PAC) del futuro: la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, l’ambiente e i cambiamenti climatici e l’equilibrio territoriale (Commissione europea, 2010). Queste tre sfide rimandano, in maniera più o meno diretta, alla questione più generale delle relazioni tra agricoltura e beni pubblici.
La necessità di favorire maggiormente l’azione della PAC nell’incentivare la produzione di beni pubblici è un tema che è stato ampiamente discusso a livello comunitario (ENRD, 2010; Cooper, 2009), con numerosi contributi da parte della comunità scientifica (AA.VV., 2009; Zharnt, 2009), delle organizzazioni ambientaliste (Birdlife et al., 2010) e di altri portatori di interesse (RISE, 2009; ELO-BirdLife, 2010).
La centralità di questo tema è stata confermata dalla risoluzione recentemente approvata dal Parlamento europeo (2011), dove si sottolinea come nel quadro della nuova PAC, “i fondi pubblici debbano essere riconosciuti come forma legittima di pagamento per beni pubblici, forniti alla società, i cui costi non sono compensati dai prezzi di mercato”.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario modificare gli strumenti attuali, che dal punto di vista dei beni pubblici in molti casi hanno raggiunto risultati non soddisfacenti, e soprattutto non commisurati alla portata degli obiettivi preposti, né alle aspettative dei cittadini europei (Cooper et al., 2009).
In questo articolo viene descritta la proposta di ri-orientamento della PAC per rafforzarne l’efficacia nella fornitura di beni pubblici ambientali emersa da uno studio, redatto da IEEP, INEA, vTI e RISE Foundation, dal titolo “What Tools for European Agriculture to Encourage the Provision of Public Goods” (Hart et al., 2011)1.

Gli obiettivi e i vincoli della proposta

Lo studio qui descritto è stato concepito per fornire al Parlamento Europeo alcuni elementi di riflessione sul tema dei beni pubblici in vista delle prossime fasi di definizione e negoziazione della politica agricola europea. Dato che l’attuale processo di riforma della PAC è contestuale a quello di revisione del bilancio comunitario, esistono numerose difficoltà a modificare in maniera sostanziale i principali strumenti di intervento di questa politica, poiché i suoi obiettivi si intrecciano con i meccanismi decisionali tipici delle riforme finanziarie dell’UE (Henke e Vanni, 2010).
Le proposte istituzionali hanno infatti confermato l’attuale struttura della politica agricola in due pilastri, il mantenimento dei pagamenti diretti (seppure ri-distribuiti secondo nuovi criteri), e l’aggiunta di una componente “ecologica” al primo pilastro, volta ad incentivare impegni ambientali applicabili su tutto il territorio europeo (greening)2.
Nell’attuale dibattito si evidenzia inoltre il potenziale ruolo della PAC nel promuovere i beni pubblici di carattere socio-economico, tra cui la vitalità rurale, la sicurezza alimentare e il benessere animale. La crescente attenzione verso questi temi ha fatto emergere alcune questioni molto rilevanti per il futuro della PAC, tra cui l’equità del supporto (tra Stati membri, tra territori e tra agricoltori), l’integrazione con le altre politiche (nel caso della vitalità rurale), l’etichettatura dei prodotti (nel caso del benessere animale) e la necessità di mantenere un potenziale produttivo a livello comunitario (nel caso della sicurezza alimentare).
Lo studio, pur riconoscendo l’importanza delle numerose funzioni sociali e culturali dell’agricoltura non remunerate dal mercato, è incentrato però sulla definizione di nuovi strumenti volti ad incentivare la produzione di beni pubblici di carattere ambientale, tra cui il paesaggio, la stabilità climatica, la conservazione della biodiversità, la qualità e la disponibilità delle risorse idriche, la funzionalità del suolo e la qualità dell’aria. Questo obiettivo è stato dettato dalla comunicazione della Commissione europea (2010), da cui emerge in maniera abbastanza netta come i beni pubblici ambientali rappresentino il tema centrale attorno a cui definire gli specifici strumenti di intervento della PAC post-2013.
Gli aspetti tecnici presentati nello studio tengono largamente conto di questi vincoli di carattere politico e istituzionale, che in qualche modo hanno definito i limiti e le condizioni su cui articolare la proposta.

Una nuova PAC orientata alla fornitura dei beni pubblici ambientali

Nello studio di Hart et al. (2011) viene formulata una proposta sulle pratiche agricole che potrebbero ricevere il sostegno nell’ambito della componente “verde” del primo pilastro, analizzando la portata delle nuove misure (tra cui la loro collocazione, le sovrapposizioni e le sinergie tra azioni obbligatorie e volontarie) e le principali implicazioni riguardo alla loro implementazione, in particolare rispetto al grado di sussidiarietà e alla flessibilità da concedere agli Stati membri.
Le pratiche agricole che riceveranno il sostegno nell’ambito della componente “verde” dei pagamenti diretti sono attualmente in discussione, ma è evidente che l’estensione di azioni “quasi obbligatorie” nell’ambito del primo pilastro avrà importanti implicazioni sulla struttura globale della PAC, in particolare sugli standard della condizionalità e sulla progettazione e implementazione di azioni volontarie nell’ambito dei piani di sviluppo rurale. Hart et al. (2011) propongono di articolare le azioni ambientali in tre gruppi di misure (Tabella 1), tra cui misure “quasi obbligatorie” (gruppi 1 e 2), ovvero quelle che rappresentano pre-requisiti per accedere a diversi livelli di pagamenti diretti, e misure volontarie (Gruppo 3).

Tabella 1 - Una proposta di "greening"

Fonte: Hart et al. (2011)

Le misure del gruppo 1 rappresentano un primo livello di rafforzamento dell’attuale condizionalità, favorendo un’azione diffusa ed estesa sulla conservazione degli habitat naturali e dei pascoli permanenti, in modo da evitare la loro conversione in terreni arabili. All’interno di questo set di misure, caratterizzate da ampia diffusione, scarsa specificità e bassi costi di implementazione, è prevista una misura per il mantenimento dell’agricoltura biologica, che di per sé comporta un ampio ventaglio in termini di benefici ambientali.
Il secondo gruppo di misure “quasi obbligatorie” comprende invece azioni più specifiche e impegnative, tra cui una percentuale minima di set-aside ecologico (fasce tampone, terreni a riposo, margini ai campi) con una flessibilità da concedere agli Stati membri sul mix di opzioni da includere nella misura, e la copertura del suolo per un numero minimo di settimane all’anno. A queste misure si aggiungono il mantenimento degli habitat semi-naturali ed un programma aziendale di contabilità delle emissioni di gas serra. La misura relativa al mantenimento degli habitat semi-naturali comporterà necessariamente un periodo di transizione, principalmente a causa delle difficoltà relative al reperimento e all’armonizzazione dei dati sull’estensione e sulla distribuzione di queste superfici a livello comunitario. Lo schema aziendale di contabilità dei gas serra, finalizzato a ridurre le emissioni e a massimizzare l’assorbimento del carbonio, rappresenta invece una misura altamente innovativa che potrebbe essere introdotta in via sperimentale in un campione di aziende di grandi dimensioni.
Infine il gruppo 3 include le misure volontarie, che come conseguenza dell’estensione delle misure “quasi obbligatorie” comprenderà solo azioni altamente specifiche, tra cui misure agro-ambientali localizzate, investimenti (infrastrutturali e in nuove tecnologie) e azioni orizzontali volte all’integrazione delle diverse misure, in particolare tra le misure agro-ambientali e quelle relative alla vitalità rurale. Secondo questa proposta, i requisiti minimi nell’ambito della condizionalità, che dovranno essere in qualche modo semplificati, rappresentano una base su cui costruire misure più selettive e adatte alle condizioni locali. Le azioni ambientali meno specifiche che rafforzano la condizionalità (Gruppo 1) potranno essere inserite nel primo pilastro, mentre le azioni altamente specifiche e volontarie (Gruppo 3), che corrispondono a quelle attualmente presenti nel secondo pilastro, potranno restare nei piani di sviluppo rurale. Le misure del gruppo 2 potrebbero essere invece inserite alternativamente nel primo o nel secondo pilastro (Figura 1).

Figura 1 - Una possibile struttura della PAC post-2013

Fonte: Hart et al. (2011)

In ogni modo, a prescindere dalla loro collocazione, l’introduzione delle misure “quasi obbligatorie” (gruppi 1 e 2) non dovrà svantaggiare gli Stati membri che, nella programmazione attuale, destinando molte risorse all’asse 2 delle politiche di sviluppo rurale, hanno già optato per impegni ambientali significativi attraverso la contrattazione volontaria con gli agricoltori. L’introduzione dei pagamenti verdi comporterà quindi la necessità di ridisegnare le misure agro-ambientali oggi esistenti, per evitare una sovrapposizione di interventi e soprattutto per aumentare la coerenza interna della PAC. L’efficacia della loro azione dipenderà inoltre da una serie di fattori di tipo ‘orizzontale’, tra cui un quadro legislativo in materia ambientale coerente e maggiormente integrato con gli altri obiettivi di questa politica, un’effettiva implementazione delle misure a livello locale e un efficiente sistema di monitoraggio e valutazione.
Il sistema di assistenza tecnica e di consulenza aziendale in relazione alle azioni ambientali, che in passato è stato considerato un costo amministrativo piuttosto che un investimento di lunga durata, rappresenterà invece una componente strategica per incrementare la sostenibilità del settore e per implementare in maniera efficiente le nuove misure orientate ai beni e ai servizi ambientali. Questo implicherà l’estensione e l’integrazione di tre sistemi:

  • il sistema di consulenza comunitario relativo alla condizionalità (FAS),
  • le misure di assistenza tecnica all’interno del 2° pilastro,
  • un più efficiente trasferimento dell’innovazione a livello nazionale, soprattutto in relazione alle tecniche più rilevanti dal punto di vista agro-ambientale (ad esempio l’agricoltura biologica e integrata).

Infine, questa proposta mette in luce anche alcuni limiti della strategia di fornitura di beni pubblici ambientali che si sta delineando a livello comunitario, in quanto fortemente concentrata sul rafforzamento di azioni ambientali nell’ambito del primo pilastro. Infatti, è opportuno domandarsi se, al di là delle ragioni politiche di questa scelta (in primis il co-finanziamento del secondo pilastro), le azioni più selettive e impegnative del ‘greening’ (misure “quasi obbligatorie” del gruppo 2) non potrebbero essere inserite in maniera più efficace nei piani di sviluppo rurale. Questa collocazione, eventualmente con misure totalmente finanziate dall’UE, probabilmente sarebbe la più idonea per una serie di motivi, tra cui la base pluriennale dei pagamenti ed un più facile adattamento alle condizioni locali (Tabella 2).

Tabella 2 - La collocazione delle misure “quasi obbligatorie”: due opzioni a confronto

Fonte: Hart et al. (2011)

Alcune considerazioni conclusive

Il ri-orientamento della PAC verso una più efficace fornitura di beni pubblici ambientali presenta numerose implicazioni - anche di natura redistributiva - che fanno emergere l’importanza della gradualità dei cambiamenti apportati a questa politica, secondo la logica della path dependency (Ackrill, Kay, 2004; Iagatti, Sorrentino, 2007).
Da questo punto di vista è evidente che le modifiche all’attuale struttura della PAC qui proposte rappresentano un primo passo verso un cambiamento più radicale, che richiederà necessariamente un orizzonte temporale più ampio.
Il primo passo verso questa transizione, dettato principalmente da una serie di fattori politici e negoziali, è l’implementazione dei cosiddetti pagamenti verdi, la cui “quasi obbligatorietà” mira ad assicurare una migliore gestione ambientale nella maggior parte della superficie agricola dell’UE, con l’obiettivo di incrementare la diffusione delle pratiche agricole più sostenibili.
L’adesione a queste misure dipenderà però da molti fattori, tra cui la possibilità da parte degli Stati membri di offrire agli agricoltori un ventaglio di opzioni che possa tradursi in pratiche agricole effettivamente applicabili nei diversi contesti, in aziende agricole che presentano diverse specializzazioni produttive e a costi relativamente bassi.
L’efficacia e l’efficienza delle nuove misure, incluse quelle volontarie del secondo pilastro, dipenderà essenzialmente dal loro targeting (misure mirate, ovvero una misura per ogni specifico obiettivo) e dal loro tailoring (misure commisurate ai minori ricavi o ai maggiori costi), ma anche da una serie di fattori che vanno ben al di là del design degli strumenti di politica.
L’effettiva fornitura di beni pubblici ambientali, oltre che alle risorse disponibili, sarà infatti subordinata alle motivazioni, non solo economiche, degli agricoltori a partecpare ai nuovi schemi proposti. Per un’efficace implementazione della nuova PAC saranno così necessari sforzi consistenti, anche in termini di risorse finanziarie, in campagne informative e di divulgazione, che coinvolgano il mondo agricolo, il sistema della conoscenza in agricoltura, le istituzioni e i cittadini.
L’estensione delle azioni ambientali, sviluppate sui due pilastri e da adattare alle diverse condizioni locali, comporterà infine un maggiore sforzo in termini di raccolta dati, monitoraggio e valutazione, e di conseguenza la loro efficacia dipenderà sostanzialmente dalle modalità con cui le istituzioni nazionali e locali interpreteranno e implementeranno queste misure.
Evidenziando queste importanti implicazioni, lo studio offre alcuni suggerimenti per una possibile struttura della PAC per il post-2013, riconoscendo, allo stesso tempo, la necessità di un cambiamento culturale degli operatori agricoli e delle istituzioni nazionali e locali. Infatti, la sfida dei beni pubblici implica una visione delle politiche agricole e di sviluppo rurale completamente diversa rispetto al passato: queste politiche dovranno essere concepite come un nuovo contratto tra agricoltori e società, dove la produzione di alimenti, fibre e biomasse potrà ricevere un sostegno pubblico solo se assicurerà un uso efficiente e sostenibile delle risorse naturali.

Riferimenti bibliografici

  • AA.VV. (2009), “Una Politica agricola comune per la produzione di beni pubblici europei”, Agriregionieuropa, n. 19

  • Ackrill R. e Kay A. (2004), CAP reform, path dependence and the EU budget, Presentation to the Agricultural Economics Society Annual Conference, Imperial College, London, 2-4 April

  • BirdLife International, European Environmental Bureau, European Forum on Nature Conservation and Pastoralism, International federation of organic agriculture movements – EU group, WWF (2010), Proposal for a new EU Common Agricultural Policy, BirdLife International

  • Commissione europea (2010), The CAP towards 2020: Meeting the food, natural resources and territorial challenges of the future, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions COM(2010)672 Final

  • Commissione europea (2011), A budget for Europe 2020, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions COM(2010)500 Final

  • Cooper, T., Hart, K. and Baldock, D. (2009), Provision of Public Goods Through Agriculture in the European Union, Report for DG Agriculture and Rural Development, Institute for European Environmental Policy, London

  • ELO-BirdLife (2010), Proposals for the future CAP: a joint position from the European Landowners’ Organisation and BirdLife International, January 2010

  • ENRD (2010), Public Goods and Public Intervention, Final Report of Thematic Working Group 3, December 2010, Brussels

  • Hart K., Baldock D., Weingarten P., Povellato A., Pirzio-Biroli C., Osterburg B., Vanni F., Boyes A. (2011), What tools for the European agriculture to encourage the provision of public goods?, study for the European Parliament's Committee on Agriculture and Rural Development

  • Henke R., Vanni F. (2010), “Dopo il 2013: attori e temi del dibattito sul futuro della PAC”, Economia & Diritto Agroalimentare, Vol. 15, No. 3, pp. 327-350

  • Iagatti M., Sorrentino A. (2007), “La path dependency nel processo di riforma della PAC”, Agriregionieuropa, n. 9

  • Parlamento europeo (2011), Risoluzione del Parlamento europeo del 23 giugno 2011 sulla PAC verso il 2020: rispondere alle future sfide dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio (2011/2051(INI)), [link]

  • RISE (2009), Task force su beni pubblici da terreni privati, Rural Investment Support for Europe, Dicembre 2009

  • Zahrnt V. (2009), “Public money for public goods: winners and losers from CAP reform”, Working Paper n. 08, European Centre for International Political Economy, Brussels

  • 1. Lo studio, curato dall’Institute for European Environmental Policy (Regno Unito), in collaborazione con L’Istituto Nazionale di Economia Agraria, il Johann-Heinrich von Thünen-Institut (Germania) e la fondazione RISE (Rural Investment Support for Europe, Belgio), è stato richiesto e finanziato dalla Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo (Rif. Studio: IP/B/AGRI/IC/2010_09) ed è disponibile al seguente indirizzo: www.europarl.europa.eu
  • 2. La Commissione europea (2011), nella comunicazione sulle prospettive di bilancio 2014-2020, propone che il 30% dei pagamenti diretti sia “subordinato al rispetto ad una serie di pratiche ecologicamente corrette, che andranno al di là della condizionalità”. Questa opzione potrà essere valutata solo sulla base della proposta legislativa vera e propria, in cui presumibilmente saranno definiti i dettagli tecnici del greening, tra cui il grado di flessibilità concesso agli Stati membri.
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