Il ruolo del disciplinare di produzione nella costruzione dei legami tra prodotti DOP e IGP e sviluppo rurale

Il ruolo del disciplinare di produzione nella costruzione dei legami tra prodotti DOP e IGP e sviluppo rurale
a Università di Firenze, Dipartimento di Scienze Economiche

Prodotti DOPIGP e sviluppo rurale

Nei consideranda del regolamento UE n.510/2006, che ha rivisto la precedente normativa sulla protezione delle indicazioni geografiche (DOP e IGP), tra le giustificazioni della protezione comunitaria, viene ricordato come “La promozione di prodotti di qualità aventi determinate caratteristiche può essere un notevole vantaggio per l'economia rurale, in particolare nelle zone svantaggiate o periferiche, sia per l'accrescimento del reddito degli agricoltori, sia per l'effetto di mantenimento della popolazione rurale in tali zone”.
In effetti la valorizzazione dei prodotti tipici, proprio in virtù sia dei loro legami economici, ambientali, culturali, simbolici con il territorio, e per il carattere di “bene collettivo” che presentano (essendo la risultante di una tradizione localizzata di produzione e di consumo condivisa localmente), può offrire maggiori potenzialità di esercitare effetti positivi “localizzati”, da un lato contribuendo a mantenere vitale l’economia locale legata al prodotto (sia direttamente sulle imprese che partecipano al processo produttivo, che indirettamente, tramite effetti indotti sulle altre attività locali legate al prodotto, quali attività turistico-ricreative), dall’altro rafforzando i legami sociali ed identitari tra la popolazione locale e attivando iniziative collettive (Arfini, 2005; Casabianca, 2003).
Le potenzialità espresse dai prodotti tipici, e in particolare dalla protezione comunitaria, non sono state tuttavia ancora sufficientemente esplorate. In letteratura manca uno studio comprensivo degli effetti che il sistema di protezione comunitario ha avuto sullo sviluppo rurale dei territori interessati, fatta eccezione per il recente Rapporto di valutazione sulla politica UE sulle DOP e IGP (London Economics, 2008), il quale riporta come “The case studies undertaken as part of the present evaluation provide qualitative evidence of improvement in conditions for development, benefit to the regional economy and employment growth based on the perception of respondents or the experts.”1 (p.236) ma anche che “Evidence of the PDO/PGI scheme benefiting the regional economy is weak and limited to anecdotal evidence, with many respondents expressing difficulty in providing any quantitative impact”2 (p.243). Gli altri studi disponibili si concentrano soltanto su alcuni aspetti dello sviluppo rurale, o si limitano ad affermazioni generali e/o di principio. Una rassegna degli studi effettuati anche al di fuori del contesto comunitario (Belletti e Marescotti, 2006.a) evidenzia come vi sia un’attenzione crescente sul tema, in particolare nei paesi in via di sviluppo, ma gli effetti “positivi” di simili schemi di protezione sullo sviluppo rurale sono spesso messi in dubbio, ed in particolare la loro capacità di fungere da strumento di supporto alla “resistenza” delle piccole e medie imprese agricole e agro-alimentari e di innescare processi virtuosi di sviluppo economico e sociale. Viene spesso sottolineato come la logica “formale” introdotta dalla certificazione di prodotto normalmente richiesta dagli schemi di protezione tende a selezionare le imprese, a favore delle imprese più grandi ed informate e che agiscono su mercati “moderni” e circuiti commerciali lunghi, a scapito delle imprese piccole e/o artigianali, non professionali, e ubicate nelle aree marginali, per le quali i costi di adattamento, di riconversione, di non conformità sono più elevati e spesso insostenibili, a fronte dell’ottenimento di benefici irrilevanti o nulli. Questo effetto di selezione ed esclusione può inoltre esercitare effetti negativi sull’autenticità e l’immagine del prodotto stesso, oltre che naturalmente sugli effetti economici e sociali a livello territoriale.
Più trascurata è invece l’analisi del processo che porta alla decisione sui contenuti del Disciplinare di Produzione, all’interno del quale sono fissate le regole da rispettare nel processo produttivo e nelle caratteristiche del prodotto finale, oltre che la delimitazione dei confini della zona di produzione ammissibile (Tregear et alii, 2007).

Il carattere collettivo e locale della costruzione delle regole del disciplinare di produzione

Il percorso che porta alla richiesta della protezione comunitaria è il momento in cui la comunità dei produttori (spesso coadiuvata da una rete di soggetti esterni) si organizza per dotarsi di regole. E’ proprio in questa fase che vengono poste le premesse del futuro della DOP-IGP, e dunque anche dei possibili effetti che tale registrazione comporta sullo sviluppo rurale (Belletti e Marescotti, 2006.b).
Il regolamento UE n.510/2006 richiede espressamente che a presentare la domanda di registrazione sia un’associazione rappresentativa dei produttori. Questa previsione riconosce di fatto la natura di bene pubblico dell’indicazione geografica, un bene dunque che non può essere oggetto (salvo casi molto particolari) di appropriazione individuale. Sono dunque i produttori, ereditari di una conoscenza tramandata nel tempo, ad essere i soli legittimati a fissare le regole di produzione e le caratteristiche del prodotto. Una volta ottenuta la registrazione, cessa di fatto l’obbligatorietà dell’esistenza di un’organizzazione collettiva, e l’utilizzazione dell’indicazione geografica può tornare ad essere una scelta delle singole imprese.
Prima di ottenere la protezione comunitaria, l’indicazione geografica – ovvero la denominazione del prodotto tipico – presenta le caratteristiche di un bene pubblico (selettivo e locale), e in quanto tale soggetto a fenomeni di sovrasfruttamento e opportunismo da parte delle imprese che la possono utilizzare (abbastanza) liberamente ma col rischio di possibile estinzione del bene stesso (Belletti, 2002). Una volta ottenuta la protezione, invece, il bene pubblico si trasforma in un bene club (Thiedig e Sylvander, 2000): l’accesso al bene è infatti regolato e soggetto al sostenimento di costi, che possono essere di controllo, di adattamento, di non conformità, etc. (Belletti e Marescotti, 2008). Questa trasformazione, o chiusura istituzionale, genera effetti di selezione di imprese, di tecnologie, di “varianti” del prodotto, di materie prime, etc., che possono avere importanti effetti sull’economia, sulla società e sull’ambiente delle aree rurali, modificando non solo la posizione competitiva delle imprese, ma anche di una moltitudine di imprese e istituzioni “esterne” alla filiera locale di produzione. Questo spiega il perché, nell’esperienza concreta, il processo di definizione delle regole coinvolge spesso non solo i produttori locali ma anche altri stakeholders interessati all’immagine e alla reputazione dell’indicazione geografica, così come agli effetti che il processo produttivo codificato nel Disciplinare di produzione in termini di produzione di esternalità tanto a livello globale (ad es. sulla biodiversità o sulle tradizioni e la cultura contadina) che locale (ad es. sul paesaggio, sul valore culturale e simbolico del prodotto) (Tregear et alii, 2007; Barham, 2003).
Oltre ad avere un carattere collettivo, il processo di costruzione delle regole ha anche un carattere “localizzato”. Il Disciplinare di produzione infatti può essere letto come uno standard volontario di qualità di prodotto (Henson e Reardon, 2005), creato a livello locale da una comunità di produttori, che elaborano regole nell’ambito di un quadro normativo di riferimento dettato dall’Autorità pubblica (in questo caso i regolamenti istitutivi e di attuazione, comprese le norme applicative a livello di singolo Paese membro). E’ in sostanza un raro caso di standard agro-alimentare che viene definito “dal basso” in un processo che vede (o, almeno, può vedere) la partecipazione attiva dei produttori locali, e questo a differenza di altre tipologie di standard di qualità dove è un unico soggetto, sempre più spesso a livello nazionale o sovranazionale, che definisce le regole senza ulteriore bisogno di legittimazione di un’altra Autorità, vuoi perché si tratta di standard emanati da un’istituzione pubblica (come nel caso ad esempio del regolamento comunitario sull’agricoltura biologica), vuoi perché non è prevista una procedura autorizzativa da parte di terzi (come nel caso degli standard GLOBAL-GAP, BRC, IFS3). Per le DOP e IGP vi è dunque una maggior capacità di adattamento al contesto locale, e flessibilità nel decidere anche sulle regole che maggiormente sono in grado di esercitare effetti positivi sullo sviluppo rurale.

Strategie collettive e strategie individuali nella costruzione del disciplinare

Molti degli effetti che tramite il Disciplinare di produzione, i prodotti tipici possono esercitare sulle aree rurali dipendono dagli atteggiamenti strategici collettivi e individuali delle imprese e delle altre categorie di attori che partecipano alla costruzione delle regole, oltre che, ovviamente, dai loro comportamenti effettivi.
Due possono essere gli estremi in un continuum di soluzioni strategiche che gli attori locali possono adottare (Belletti, Marescotti e Scaramuzzi, 2002; Pacciani et al., 2003): l’ottica di filiera e l’ottica territoriale.
Nell’ottica di filiera, l’attenzione degli attori è focalizzata sui benefici che le imprese (o parte di esse) possono ottenere tramite la regolazione dell’accesso all’uso dell’indicazione geografica. Spesso si tratta di indicazioni geografiche già largamente affermate sul mercato, o comunque dotate di una certa reputazione. L’ottenimento della protezione permette di selezionare le imprese ed evitare comportamenti scorretti, dunque di “ripulire il mercato” restringendo essenzialmente l’offerta del prodotto.
Nell’ottica territoriale invece la competitività delle imprese sul mercato rientra come componente di un più ampio disegno strategico, che è quello di rafforzare direttamente e indirettamente gli effetti positivi sulle risorse locali specifiche. In questo caso dunque il prodotto tipico e la regolazione della sua denominazione (indicazione geografica) costituisce una leva di sviluppo in virtù delle esternalità (ambientali, paesaggistiche, culturali, sociali, etc.) e degli effetti di spillover sull’economia e sullo sviluppo rurale che può generare a livello locale; le imprese coinvolte nella filiera del prodotto tipico sono affiancate da imprese di altri settori economici, dall’operatore pubblico, da istituzioni intermedie rappresentative di interessi diffusi (sociali, culturali, ecc.), e da istituzioni pubbliche.
Questi due atteggiamenti strategici “estremi” hanno effetti diversi sulla rispettiva capacità di rafforzare le dinamiche di sviluppo rurale. Nel primo caso, infatti, l’atteggiamento degli attori locali, principalmente imprese, porta alla costruzione di Disciplinari abbastanza flessibili, o larghi, ma soprattutto ad una insufficiente considerazione sia per la riproduzione e il miglioramento delle risorse locali che hanno dato origine alla reputazione del prodotto, sia agli effetti indotti di tipo economico, ma anche sociale ed ambientale che il processo produttivo può avere sullo sviluppo rurale. Il rischio, in altri termini, è quello di porre un’eccessiva enfasi sull’estrazione di una rendita di breve periodo, con un conseguente abbassamento del livello di qualità medio delle produzioni e una perdita di reputazione nel tempo. Tuttavia quando l’ottica di filiera è assunta anche come strategia di costruzione di reputazione e di creazione di mercato (e non solo di regolazione di una reputazione già acquisita), vi possono essere effetti diretti positivi sullo sviluppo rurale nella misura in cui la costruzione della reputazione si basi sulla specificità delle risorse locali o su elementi di pregio ambientale (ad esempio la presenza di varietà o razze animali locali o di elementi di tipo paesaggistico o culturale).
Nell’ottica territoriale invece, gli effetti sullo sviluppo rurale sono potenzialmente maggiori, perché nella stesura delle regole del Disciplinare la riproduzione delle risorse locali specifiche e gli effetti sull’economia e sulla dimensione sociale e soprattutto ambientale (paesaggio, biodiversità, tecniche produttive) assumono un aspetto centrale. Tuttavia in questi casi si può verificare una resistenza o un disinteresse delle imprese nei confronti della richiesta di protezione: se infatti l’ottica territoriale è frutto soprattutto di pressioni esterne al sistema produttivo locale, i produttori percepiscono le regole ad effetto “territoriale” come generatrici di costi senza possibilità di appropriazione (con appropriazione solo parziale) delle esternalità così generate (Sylvander e Wallet, 2007; Casabianca, 2003).
A complicare ulteriormente il processo di costruzione delle regole concorre il livello di eterogeneità delle imprese locali, dal punto di vista della dimensione, delle modalità di approvvigionamento delle materie prime, del posizionamento sul mercato e dei canali commerciali utilizzati, della capacità professionale, dell’importanza che il prodotto riveste per l’impresa stessa. Oltre al fatto che a fianco delle imprese professionali opera spesso, in questi sistemi produttivi, un insieme di aziende non-impresa (hobby-farms, part-time, pensionati, ecc.), che comunque partecipano, non sempre meno attivamente, alla discussione sulle regole.
La conciliazione della pluralità di interessi in gioco fa emergere conflitti sul modo con cui le tre leve “processo, prodotto, area territoriale” vengono strategicamente utilizzate, conflitti che, se non opportunamente ricondotti nell’ambito di una visione condivisa del prodotto e degli obiettivi della valorizzazione anche territoriale, possono condurre alla paralisi del processo, o portare a situazioni di mediazione non soddisfacenti e instabili.

Conclusioni

L’integrazione all’interno del Disciplinare delle valenze “multifunzionali” del prodotto tipico può esercitare rilevanti effetti sulle dinamiche di sviluppo rurale, posto che si realizzi un allineamento e una convergenza tra interessi delle singole imprese e interessi collettivi anche di tipo pubblico. La diversità negli atteggiamenti strategici e la valenza che la protezione dell’indicazione geografica assume tra le diverse categorie di attori coinvolti e interessati dall’indicazione geografica può orientare la scelta delle regole all’interno del Disciplinare e per tale via esercitare impatti più o meno intensi, positivi e negativi, sullo sviluppo rurale.
Più in generale, tuttavia, occorre considerare che l’ottenimento della protezione comunitaria rappresenta solo uno dei tanti strumenti nelle mani degli attori locali (e anche non locali) che va collocato nell’ambito di un percorso più ampio di valorizzazione del prodotto tipico, e non può dunque essere assunto come un risultato a se stante.

Riferimenti bibliografici

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  • Sylvander B., Wallet F. (2007), "A quelles conditions le dispositif des Indications Géographiques peuvent ils être considérés comme des biens publics permettant de contribuer au développement durable?", Joint Congress of the European Regional Science Association (47th Congress) and ASRDLF (Association de Science Régionale de Langue Française, 44th Congress), Paris, August 29th - September 2nd Thiedig F.,
  • Sylvander B. (2000), “Welcome to the club?: an economical approach to geographical indications in the European Union”, Agrarwirtschaft, 49 (12): 428-437.
  • Tregear A., Arfini F., Belletti G., Marescotti A. (2007), “Regional foods and rural development: the role of product qualification”, Journal of Rural studies, n.23, pp.12-22
  • 1. “I casi di studio realizzati come parte della presente valutazione forniscono un’evidenza qualitativa del miglioramento delle condizioni di sviluppo, dei benefici apportati all’economia locale e alla crescita dell’occupazione basata sulla percezione degli intervistati o degli esperti” (nostra traduzione).
  • 2. “L’evidenza dei benefici apportati dallo schema DOP/IGP all’economia locale è debole e ristretta a singoli casi di studio, e molti intervistati hanno espresso difficoltà nel fornire stime e valutazioni sull’impatto quantitativo.” (nostra traduzione).
  • 3. Lo standard GLOBAL-GAP (in precedenza EUREP-GAP dove GAP sta per Good Agricultural Practices) è un'organizzazione promossa dalle più importanti imprese della moderna distribuzione europea nata per sostenere la commercializzazione di prodotti agricoli coltivati secondo i principi dell'agricoltura sostenibile. Gli standard BRC (British Retail Consortium) sono nati rispettivamente in Gran Bretagna nel 1998 e in Germania nel 2002 ad opera di imprese della moderna distribuzione che avevano necessità di disporre di uno strumento di controllo dei fornitori di prodotti a marchio del distributore (private labels) nel settore alimentare.
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