Le sfide della nuova architettura verde della Pac post 2020

Le sfide della nuova architettura verde della Pac post 2020

Abstract

In questo articolo sono analizzate in dettaglio le novità in materia ambientale e climatica che caratterizzano la proposta di riforma della Pac post 2020, mettendo a fuoco le principali sfide di programmazione e di attuazione legate alla “nuova architettura verde”.

Introduzione

Secondo le proposte legislative della Commissione Europea (2018), la Pac post 2020 sarà tenuta a svolgere un ruolo di primo piano per incrementare la sostenibilità del settore agricolo, attraverso una serie di strumenti che, contestualmente allo sviluppo sociale delle aree rurali e alla competitività delle aziende agricole, dovrebbero contribuire in maniera più efficiente al raggiungimento degli obiettivi ambientali e climatici. La proposta sottolinea più volte la funzione indispensabile degli agricoltori come custodi e gestori di ecosistemi, degli habitat e del paesaggio e la necessità di aumentare l’efficacia degli interventi in questi ambiti. In particolare, tre degli obiettivi specifici della proposta riguardano direttamente l’ambiente e il clima, ovvero: (i) contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento a essi, come pure all’energia sostenibile; (ii) promuovere lo sviluppo sostenibile e un’efficiente gestione delle risorse naturali, come l’acqua, il suolo e l’aria; (iii) contribuire alla tutela della biodiversità, migliorare i servizi ecosistemici e preservare gli habitat e i paesaggi.
Si tratta delle ormai note funzioni verdi dell’agricoltura che la Pac è chiamata a incentivare ulteriormente nel prossimo futuro, in parte per continuare a giustificare il proprio peso nel complesso delle politiche UE, ma soprattutto per garantirne l’erogazione in un contesto di instabilità dei mercati e di nuovi scenari dettati dagli effetti del cambiamento climatico. La volatilità dei prezzi, associata alle calamità naturali sempre più frequenti o al diffondersi di nuove emergenze fitosanitarie, infatti, rischiano di intaccare in modo sensibile la capacità dell’agricoltura di assicurare queste importanti funzioni, riconosciute e sempre più richieste dalla collettività, come testimoniato dai risultati della consultazione pubblica sull’ammodernamento e la semplificazione della Pac.
È in questo contesto che viene ribadita la necessità di consolidare il ruolo dell’agricoltura nel perseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi e dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, proponendo di dedicare il 40% del bilancio complessivo della Pac (Feaga e Feasr) ad interventi rilevanti per i cambiamenti climatici e di destinare almeno il 30% di ciascuna dotazione nazionale per gli impegni ambientali.
Non appare casuale, pertanto, che la Comunicazione della Commissione europea che dà avvio al percorso di riforma post-2020 introduca il tema della custodia dell’ambiente da parte dell’agricoltura subito dopo quello (evidentemente primario e fondante) della sicurezza alimentare.
In questo contributo saranno analizzate in dettaglio le novità in materia ambientale e climatica che caratterizzano la proposta di riforma della Pac 2021-2017, cercando di mettere a fuoco le principali sfide per una efficace attuazione di quella che gli stessi testi chiamano “la nuova architettura verde”.

Le proposte della Commissione Europea in materia di ambiente e clima

La cosiddetta “nuova architettura verde” si poggia su tre distinte componenti, fra di loro sinergiche e complementari che, insieme, puntano ad innalzare il livello complessivo di ambizione ambientale della Pac (Figura.1):

  • una condizionalità nuova, rivisitata e rafforzata rispetto a quella attualmente in vigore, che “assorbe” anche gli attuali impegni previsti dal greening;
  • l’introduzione di un regime ecologico (o ecoschema) come componente dei pagamenti diretti, la cui attivazione è obbligatoria da parte degli Stati membri e il cui utilizzo è facoltativo per i singoli agricoltori;
  • le misure agro-climatico-ambientali nell'ambito dei Psr.

Figura 1 – La “nuova architettura verde” della Pac post 2020

Fonte: Haniotis (2018)

Come già riconosciuto in vari contributi sulla struttura ambientale della nuova Pac (Atorino et al., 2018; Marandola, 2018; Consiglio Nazionale della Green Economy, 2018), le principali novità non riguardano solamente la natura di alcuni strumenti (es. abolizione del greening e introduzione dell’ecoschema nel primo pilastro), ma piuttosto la loro modalità di attuazione. Nel quadro più ampio del new delivery model proposto per tutto il pacchetto della riforma, la Commissione ha infatti immaginato un mix di misure “verdi” volontarie e obbligatorie per raggiungere con maggiore efficacia gli obiettivi ambientali e climatici, secondo un approccio più mirato, flessibile e all’interno di un quadro meno prescrittivo rispetto a quello adottato fino ad oggi. La proposta vuole così ri-configurare le modalità con cui le misure vengono disegnate, implementate e valutate, dando agli Stati membri un margine più ampio di flessibilità nella programmazione e attuazione delle strategie nazionali, al fine di individuare e perseguire traguardi realistici e adeguati. In tabella 1 sono sintetizzate le principali novità di questo nuovo approccio.

Tabella 1 – Le novità proposte per il clima e l’ambiente nella Pac post 2020

Fonte: nostre elaborazioni su Ieep (2018)

Nell’ambito di una recente presentazione presso la Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo il Commissario Hogan ha fornito alcuni importanti chiarimenti, in cui ha evidenziato come la nuova architettura verde della Pac dovrà conciliare un più alto livello di ambizione ambientale con l’obiettivo della semplificazione amministrativa e quello del contributo a target strategici di altre policy ambientali dell’UE (European Commission, 2019a). A supporto di questa presentazione è stato prodotto un documento in cui sono riportati maggiori dettagli sulla nuova filosofia di intervento in materia climatica e ambientale, uniti ad alcuni esempi di applicazione a livello di Stato membro sulla conservazione della biodiversità, sulla gestione delle risorse idriche e sulla lotta al cambiamento climatico (European Commission, 2019b).

La nuova architettura verde della Pac

La condizionalità rafforzata

Basandosi sul sistema attuato fino al 2020, la condizionalità proposta per il 2021-2027 subordina l’ottenimento completo del sostegno della Pac al rispetto, da parte dei beneficiari, delle norme di base in materia di ambiente, cambiamenti climatici, salute pubblica, salute animale e delle piante e benessere degli animali. Queste norme di base comprendono, secondo uno schema ormai consolidato, un elenco di criteri di gestione obbligatori (Cgo) e di norme sulle buone condizioni agronomiche e ambientali dei terreni (Bcaa). Tali norme rappresentano, di fatto, la base della nuova architettura ambientale della Pac e il fondamento per innalzare il livello di ambizione ambientale e climatica come richiesto dalla Commissione (Frattarelli e Stumpo, 2018).
Rispetto al 2014-2020, per il prossimo periodo di programmazione viene proposto un sistema rafforzato di Cgo (che passano da 13 a 16) e di Bcaa (che passano da 7 a 10).
Le tre nuove Bcaa vengono proposte per assorbire nella condizionalità gli impegni dell’attuale greening, cambiandone negli effetti il sistema di attuazione, ampliandone il significato, e rafforzandone in un certo modo la cogenza. Così, ad esempio, l’impegno della diversificazione colturale1 previsto dal greening diviene una buona condizione di nuova introduzione (Bcaa 8) che riguarda il tema più ampio della rotazione delle colture . Si tratta, in questo caso, di un impegno ambientale chiaramente rafforzato rispetto al 2014-2020, non solo perché integrato strutturalmente nel sistema della condizionalità, ma anche perché ha la potenzialità di impattare sulla programmazione pluriennale delle semine introducendo l’obbligo di alternare, di anno in anno, le specie che vengono coltivate sulla stessa superficie oggetto di pagamento. Anche se i negoziati in corso sembrano delineare la possibilità che l’impegno di questa nuova Bcaa 8 sarà forse alleggerito con l’allargamento ad “altre buone pratiche equivalenti” oltre quella più stringente della rotazione, appare chiaro come questi principi della “buona pratica agricola” stiano divenendo, nel percorso ormai delineato di inverdimento della Pac, condizioni sempre più vincolanti (e impattanti) che, per un verso, alzano il grado dell’impegno ambientale “obbligatorio” richiesto agli agricoltori e, per l’altro, riducono sensibilmente la finestra disponibile per il sostegno Psr ad ulteriori pratiche agro-ambientali virtuose (volontarie). È il caso, ad esempio, dei metodi di produzione integrata, attualmente sostenuti dalla Misura 10 dei Psr, per i quali nel post-2020 sarà necessario dimostrare di superare chiaramente gli impegni della condizionalità per poter continuare a prevedere forme di sostegno e incentivazione negli schemi agro-ambientali del secondo pilastro o anche eventualmente nell’eco-schema del primo.
Lo stesso discorso appena fatto per l’impegno greening della diversificazione vale anche per il principio delle aree di interesse ecologico (Efa) che, nelle intenzioni della Commissione europea, dovranno rimanere un punto fermo per la biodiversità e la sostenibilità agricola insieme ad altre importanti condizioni (nuova Bcaa 9). Idem per il principio del mantenimento dei prati permanenti che, dopo il 2020, sembra destinato ad essere anch’esso incorporato nella nuova condizionalità rafforzata proposta con la Bcaa 1.
Altra novità è la Bcaa 5, che introduce per le aziende agricole l’obbligo di adottare uno strumento di sostenibilità relativo ai nutrienti2. Si tratta in sostanza di uno strumento elettronico finalizzato a supportare le decisioni di campo partendo da quelle relative alla gestione dei nutrienti. Secondo quanto riportato nell’allegato III della proposta di Regolamento, questo strumento dovrebbe prevedere tra le altre cose: i) funzionalità basata su Sistema di Identificazione delle Parcelle Agricole (Sipa) all’interno di un Sistema Integrato di Gestione e Controllo (Sigc) (cfr. Frattarelli, 2018), ii) informazioni ricavate dal campionamento dei suoli, iii) informazioni sulle pratiche di gestione, iv) indicazioni su limiti e requisiti legali per la gestione dei nutrienti, v) bilancio completo dei nutrienti. Al momento è in corso un acceso dibattito negoziale rispetto alla praticabilità di questa nuova Bcaa e alla complessità del sistema di attuazione che potrebbe evidentemente scaturirne. La Commissione europea, tuttavia, è intenzionata a difendere questa proposta che, al momento, sembra voler diffondere fra gli agricoltori strumenti innovativi utili a supportare decisioni di campo e a raccogliere/condividere nuovi dati, più che porre nuovi impegni in tema di gestione dei nutrienti in senso stretto. Ne è in parte conferma il fatto che secondo le aspettative della Commissione, questo strumento dovrebbe garantire ampia interoperabilità e modularità con altre applicazioni elettroniche e di e-governance che possono essere adottate a livello aziendale.
Tra i Criteri di gestione obbligatori si segnala, invece, la novità di Cgo connessi alla Direttiva quadro acque (Cgo1), all’obbligo di notifica di tre malattie zootecniche (Cgo 12) e alla Direttiva sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Cgo13). Quest’ultimo Cgo porta in modo forte all’interno della condizionalità il tema dell’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Direttiva 2009/128/CE) ed estende all’intera platea dei beneficiari Pac alcuni obblighi attualmente già presenti nei requisiti richiesti ai beneficiari delle Misure 10 e 11 dei Psr, con l’aggiunta delle norme che limitano l’uso dei pesticidi nelle aree Natura 2000 e per la tutela delle acque.
in sintesi, gli Stati membri dovranno continuare a garantire l’attuazione del sistema di condizionalità attraverso la definizione di una norma nazionale per ciascuna delle regole stabilite a livello comunitario, tenendo conto non solo delle caratteristiche delle superfici interessate, quali le condizioni pedoclimatiche, i metodi colturali in uso, l’utilizzazione del suolo, la rotazione delle colture, le pratiche agronomiche e le strutture aziendali, ma anche degli strumenti attuativi in vigore sul territorio nazionale in recepimento delle direttive comunitarie. È ad esempio il caso del Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan), che deve rappresentare giocoforza la cornice tematica di riferimento per l’attuazione del Cgo13.

I regimi ecologici (Eco-schemi)

Secondo le proposte legislative della Commissione Europea (art. 28) gli Stati membri sono tenuti a introdurre obbligatoriamente uno o più regimi ecologici a valere sulla dotazione Feaga. Si tratta di interventi che devono avere un impatto positivo sul clima e sull’ambiente e che i singoli agricoltori possono scegliere di attuare nelle loro aziende agricole, in cambio di un supplemento sotto forma di pagamento diretto annuale disaccoppiato e, possibilmente, come “impegno di ingresso” (entry-level) per eventuali impegni aggiuntivi rafforzati da assumere sulle misure agro-ambientali del secondo pilastro.
Le pratiche ecologiche selezionabili dagli Stati membri da inserire nel Piano strategico nazionale (Psn) devono rispettare alcuni requisiti (Comegna, 2018):

  • andare oltre condizionalità segnata dai Cgo e Bcaa;
  • andare oltre i requisiti minimi previsti per l’utilizzo dei fertilizzanti, dei prodotti fitosanitari e delle regole sul benessere degli animali;
  • essere differenti rispetto agli impegni agroambientali del Psr e fungere per questi ultimi eventualmente da “entry level” di impegno.

Il sostegno per i regimi ecologici può essere concesso come pagamento annuale, per ettaro ammissibile, sia sotto forma di pagamenti aggiuntivi al sostegno di base (incentivo ad adottare pratiche benefiche), sia come pagamento totalmente o parzialmente compensativo dei costi supplementari e del mancato guadagno derivanti dagli impegni stabiliti.
La proposta legislativa della Commissione europea non fornisce dettagli in merito alle tipologie di interventi che possono essere previsti dagli Stati membri. Di sicuro potranno essere anche più di uno e dovranno prevedere impegni sinergici alle priorità della Pac e soprattutto coerenti e funzionali ad altri strumenti di politica agro-ambientale del Paese (es. nitrati, pesticidi, biodiversità, ammoniaca, emissioni etc.). 
I regimi ecologici offrono una nuova possibilità di spendere parte del bilancio dei pagamenti diretti per la cura dell'ambiente e del clima, sostenendo così la transizione verso un'agricoltura più sostenibile. Il fatto che i regimi possano implicare impegni annuali anziché pluriennali potrebbe renderli particolarmente attraenti per gli agricoltori, così come la possibilità di fissare premi che non devono basarsi per forza sui costi aggiuntivi e mancati redditi derivanti dagli impegni in questione. Poiché gli Stati membri saranno anche liberi di definire il contenuto e il bilancio (nell’ambito del loro Psn), gli stessi Stati devono assicurarsi che tali regimi soddisfino in modo adeguato le esigenze specifiche degli agricoltori e dei territori e che si integrino efficacemente con gli altri elementi ambientali della Pac (condizionalità e Psr).
Su questa base, gli Stati membri potrebbero fare scelte anche abbastanza diverse. Potrebbero opzionare regimi ecologici ampi (poco vincolanti) sul primo pilastro e prevedere invece impegni ambientali più mirati all’interno dei Psr. In questo senso il regime ecologico potrebbe addirittura fungere da impegno di “entry-level” al quale gli agricoltori devono aderire per poter poi accedere ad un sostegno agro-climatico più mirato previsto nel secondo pilastro. Un’altra scelta, al contrario, potrebbe prevedere regimi ecologici più ambiziosi e mirati nel primo pilastro, alleggerendo il carico di impegni e risorse sul secondo. In Italia, ad esempio, è in discussione l’ipotesi di usare il secondo pilastro per sostenere la conversione alle pratiche di agricoltura biologica e di usare il regime ecologico del primo per assicurarne invece il solo mantenimento. In ogni caso, ciascuno Stato membro dovrà giustificare queste scelte nel proprio Psn in relazione agli obiettivi ambientali e climatici della Pac e del contesto territoriale.
I regimi ecologici possono essere considerati come un “altro livello” del pagamento di base dedicato però all’ambiente e al clima. Gli Stati membri sono liberi di decidere in che misura utilizzarli, ma devono assicurare che i benefici ambientali potenzialmente derivabili da questi schemi non aggiungano in nessun modo oneri amministrativi rilevanti per le autorità nazionali e regionali. Allo stesso modo i regimi ecologici dovrebbero essere ben disegnati anche per non complicare la vita degli agricoltori beneficiari. L’appetibilità di questi regimi agli occhi dei beneficiari è un tema di rilievo, soprattutto se si pensa che riguarderanno essenzialmente impegni annuali piuttosto che pluriennali: un agricoltore potrebbe quindi aderire a un regime ecologico su una “base di prova” per un anno o più e poi decidere se continuare a partecipare, a vantaggio (o svantaggio) del raggiungimento degli obiettivi ambientali e della ambizione complessiva della strategia ipotizzata.

Gli impegni ambientali del secondo pilastro 

Il secondo pilastro della Pac continuerà a offrire una vasta gamma di strumenti volontari volti ad incentivare l’adozione di pratiche orientate alla sostenibilità ambientale, prevalentemente attraverso pagamenti ad ettaro. Gli strumenti a disposizione, descritti nell’art. 65 della proposta denominato “Impegni ambientali, climatici e altri impegni in materia di gestione” (Commissione Europea, 2018), di fatto non si discostano di molto dalle tipologie di intervento attualmente disponibili. Allo stesso tempo si possono evidenziare alcuni importanti cambiamenti che avranno importanti ripercussioni sul disegno e sull’attuazione delle misure a livello nazionale.
Innanzitutto, la proposta prevede un cambiamento per l'obbligo di spesa, in quanto gli Stati membri sono obbligati a destinare almeno il 30% dei loro finanziamenti del secondo pilastro a spese per l'ambiente e il clima, ma da questa quota sono esclusi i pagamenti per i vincoli naturali o altri vincoli territoriali specifici, in quanto il collegamento di questo tipo di sostegno ai benefici ambientali viene considerato indiretto.
Gli interventi volontari del secondo pilastro saranno parte integrante di un Piano nazionale in cui gli Stati membri effettuano le analisi preliminari, fissano gli obiettivi e scelgono tipi di azioni, mostrando come le misure dello sviluppo rurale si sviluppano in coerenza con gli interventi del primo pilastro per conseguire gli obiettivi stabiliti. Il processo con cui si mira al raggiungimento degli obiettivi sarà effettuato mediante l'elaborazione e l'attuazione di piani che contreranno modalità di sostegno meno dettagliate e prescrittive delle attuali, in quanto le 64 sottomisure (cioè tipi di sostegno) saranno combinate in otto diverse tipologie di intervento.
Infine, la sfida principale riguarda la necessità di adottare interventi più innovativi degli attuali, in quanto il rafforzamento della condizionalità e l’introduzione dell’eco-schema di fatto innalzano ulteriormente la baseline per gli interventi del secondo pilastro, aumentando la necessità di individuare azioni climatiche e ambientali più incisive ed efficaci. A questo riguardo la proposta sottolinea la possibilità, per gli Stati membri, di “promuovere e sostenere regimi collettivi e regimi di pagamenti basati sui risultati per incoraggiare gli agricoltori a produrre un significativo miglioramento della qualità dell’ambiente su scala più ampia e in modo misurabile”.
I vantaggi derivanti da un approccio collettivo nella gestione degli schemi agro-ambientali sono ampiamente documentati e riguardano non solo l’efficacia degli interventi, ma soprattutto la capacità di stimolare una serie di innovazioni tecniche, organizzative e sociali (Oecd, 2013; Chiodo e Vanni, 2014; Rete Rurale Nazionale, 2015). A livello nazionale l’approccio collettivo in materia agro-ambientale è stato promosso prevalentemente attraverso la progettazione integrata, che prevede una combinazione di misure contemplate all’interno dei Psr per incrementare l’efficacia degli interventi, combinandoli con azioni di divulgazione, formazione e cooperazione. La Regione Marche è indubbiamente quella che ha promosso in maniera più incisiva questo approccio e che può vantare un’importante esperienza già a partire dalla programmazione 2007-2013, dove ha sperimentato gli Accordi Agro Ambientali d'Area, che sono stati riproposti, aggiornati ed estesi anche nel Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020.Ad eccezione della Regione Marche però, in Italia si rileva una scarsa diffusione di questo approccio, in quanto lo sviluppo e la gestione di questi progetti spesso comporta alcune difficoltà amministrative e organizzative, legate al coordinamento territoriale degli interventi (Rete Rurale Nazionale, 2017).
La proposta per la Pac post-2020, oltre a confermare la maggiore copertura dei costi di transazione per questo tipo di progetti, presenta alcuni elementi di primaria importanza per un possibile sviluppo delle azioni climatico-ambientali collettive, tra cui l’estensione del supporto alla cooperazione (che include GO del Pei, il Leader, gli schemi di qualità, le associazioni o i gruppi di produttori e altre forme di cooperazione/integrazione) e l’inclusione, all’interno dei piani strategici nazionali, di una strategia sui Sistemi di Conoscenza e Innovazione in campo agricolo (Akis) per rafforzare l’interazione tra agricoltori, consulenti e ricercatori.
Analogamente, i Pagamenti Basati sui Risultati Ambientali (Pbra), ovvero pagamenti concessi ai beneficiari solo quando viene raggiunto un prestabilito obiettivo ambientale, non sono stati ancora sperimentati in Italia, ma si stanno diffondendo in numerosi paesi europei, con un campo di applicazione che riguarda, per il momento, prevalentemente aspetti legati alla biodiversità (Herzon et al., 2018). Infatti, in determinati contesti e per alcuni obiettivi ambientali, i Pbra possono rivelarsi vantaggiosi non solo per i soggetti pubblici (semplificando le procedure e i controlli), ma potrebbero anche favorire un maggiore coinvolgimento e consapevolezza degli obiettivi ambientali da parte degli agricoltori (Longhitano e Povellato, 2017).

Sfide e implicazioni del nuovo modello di attuazione

Come già sottolineato più volte, la vera sfida della nuova architettura verde risiede soprattutto nel nuovo modello di attuazione (new delivery model), ovvero nella volontà delle autorità di gestione nazionali e regionali nel voler definire un quadro ambientale più ambizioso, anche attraverso l’adozione di approcci più innovativi, creativi e potenzialmente più efficaci, tra cui le misure collettive e i pagamenti basati sui risultati. 
In attesa che si delineino meglio le strategie della Pac post-2020, infatti, si ritiene che sarebbe riduttivo confinare la maggiore ambizione verde della Pac che verrà a “semplici” azioni agroambientali obbligatorie o volontarie che potranno essere messe in campo tra primo e secondo pilastro, o solo a nuove regole di eco-condizionalità rafforzata. La nuova ambizione verde è andare oltre gli obiettivi strettamente ambientali (che, per certi versi, sono ormai consolidati per la Pac) per portare le priorità climatico-ambientali strutturalmente all’interno dello sviluppo rurale a vantaggio di aziende e territorio. In questo senso la salvaguardia del patrimonio naturale non deve essere vista solo come un obiettivo ambientale, ma come condizione essenziale per aggiungere valore alla produzione agroalimentare, e contribuire allo sviluppo rurale nel suo complesso.
Di fatto questi princìpi erano chiari ai decisori già prima del 2014, tanto che i Psr 2014-2020, in modo forse pionieristico, sono stati immaginati non come elenco di misure a “tenuta stagna” indirizzate a cogliere obiettivi ben specifici, ma come insieme di strumenti da “incrociare” strategicamente e sinergicamente per cogliere una o più delle sei priorità della Politica di sviluppo rurale. In attesa che i dati di attuazione diventino sempre più solidi e maturi per tutti e 21 i Programmi italiani, la sensazione è che la novità di questo approccio integrato alle priorità strategiche stia scontando tutte le difficoltà che sono proprie della fase di rodaggio di un nuovo modo di programmare gli interventi, al quale il sistema dei decisori-beneficiari non è evidentemente ancora pronto. Nonostante le disposizioni regolamentari aprissero a queste nuove possibilità programmatorie, e nonostante il sistema di monitoraggio dei Programmi sia stato imperniato su questo approccio per priorità strategiche della spesa e degli interventi, infatti, l’impressione è che i Psr 2014-2020 non siano stati capaci fino in fondo di staccarsi dal vecchio cliché di mero elenco di misure monotematiche, replicando di fatto formule consolidate di azione adattate alle nuove regole (Monteleone e Marandola, 2018). Occorre dire che questo risultato è in parte legato alle difficoltà dei sistemi decisionali nei confronti di queste nuove formule di policy-making che richiedono, rispetto al passato, maggiori capacità di programmazione strategica, maggiore solidità istituzionale, maggiore interdisciplinarietà e anche nuove competenze in chi programma oltre che in chi beneficia dei sostegni.
Una delle sfide della Pac che verrà, dunque, è proprio quella di individuare gli strumenti più adeguati a favorire questo approccio allargato e strategico allo sviluppo sostenibile dove aiuti diretti, investimenti aziendali, interventi di carattere territoriale, impegni ambientali volontari e azioni immateriali siano in grado di contribuire, tutti insieme e in modo sinergico e coordinato, alla competitività delle imprese, alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo dei territori rurali.
Secondo la proposta di Regolamento, attraverso i Psn gli Stati membri devono dimostrare di poter contribuire al conseguimento degli obiettivi climatico-ambientali in misura complessivamente maggiore rispetto a quanto fatto con il sostegno nel quadro del Feaga e del Feasr nel periodo dal 2014 al 2020. Per farlo, dovranno descrivere attentamente il proprio contesto ambientale di intervento, spiegando anche come l’architettura ambientale e climatica del Psn possa contribuire a lungo termine al conseguimento dei target nazionali fissati o derivanti dai principali strumenti legislativi dell’UE (Direttive e Regolamenti) vigenti in materia di ambiente e clima e riportati nell’allegato XI della proposta di regolamento (Es. direttive pesticidi, habitat, nitrati, acque, clima, qualità dell’aria).

Considerazioni conclusive 

Le proposte della Commissione, seppur già abbastanza articolate, necessiteranno di ulteriori dettagli non solo riguardo le relazioni e le sinergie tra i diversi strumenti (ad esempio su come evitare il doppio finanziamento tra ecoschema e pagamenti agro-climatico-ambientali del secondo pilastro), ma anche sulle modalità con cui saranno valutati i target e gli obiettivi ambientali definiti da ciascun paese nell’ambito del Psn, altra grande sfida di riforma soprattutto per i Paesi a programmazione regionalizzata come l’Italia. La descrizione dell’architettura verde (ambientale e climatica), infatti, deve essere parte integrante della strategia di intervento del Psn, descrivendo le condizioni ambientali di base che devono essere rispettate, la complementarità tra la condizionalità e i diversi interventi che affrontano gli obiettivi climatico-ambientali specifici, nonché la modalità per conseguire l’obiettivo di un contributo complessivamente maggiore all’ambiente e al clima così come richiesto dall’articolo 92 (Obiettivi climatico-ambientali più ambiziosi) della proposta di Regolamento.
Nella nuova architettura verde della Pac la novità più interessante è indubbiamente l’eco-schema, che potenzialmente può rappresentare un importante incentivo per gli agricoltori a contribuire al raggiungimento dei target ambientali nazionali e comunitari, attraverso risultati misurabili. Questa modalità di supporto potrebbe coprire un ampio ventaglio di obiettivi, aiutando le imprese ad ottenere una remunerazione più proporzionata allo sforzo di produrre quei beni e servizi pubblici che non sono adeguatamente remunerati dal mercato. Inoltre, a differenza dell’attuale greening, la flessibilità di scelte e di modelli di attuazione a livello nazionale è indubbiamente un vantaggio che, se sfruttato in maniera virtuosa, potrà aumentare l’efficacia ambientale del primo pilastro. Al contempo l’eco-schema presenta anche alcune criticità, tra cui la possibilità che gli Stati membri non finanzino questo strumento con un’adeguata quota dei pagamenti diretti; laddove invece venga adeguatamente finanziato, è necessario evitare che non diventi un sostituto (o, se vogliamo, una sorta di competitore “interno”) delle misure volontarie del secondo pilastro o, al contrario, uno schema di sostegno troppo leggero dalla scarsa ambizione e potenzialità d’impatto. In questo senso ogni Stato membro sarà chiamato a fare delle scelte strategiche che dovranno inevitabilmente fare media fra la necessità di mantenere alto l’appeal dei pagamenti Pac e l’opportunità di intraprendere la strada verso la sostenibilità ambientale delineata fortemente dalla Commissione anche in risposta alle crescenti pressioni esercitate dalla società.
Per quanto riguarda gli interventi del secondo pilastro, nella proposta di regolamento la Commissione Europea sembra orientata ad incrementare la diffusione di Pbra, riconoscendo al contempo la necessità di sviluppare una base di indicatori solida che consenta di verificare in quale misura gli interventi sovvenzionati contribuiscono al conseguimento degli obiettivi previsti. Vi sono, infatti, numerose criticità che un regime di pagamenti basati sui risultati potrebbe sollevare, ma la principale è indubbiamente la disponibilità di indicatori ambientali affidabili e misurabili e, al contempo, sensibili agli impatti che possono essere realisticamente generati dagli impegni che verranno messi in campo con il sostegno della Pac. Anche per questi motivi il Psn non solo dovrà evitare i problemi di demarcazione tra le misure, come già accaduto con l’applicazione del greening, ma dovrà comprendere un sistema organico e coerente di interventi capace di ottimizzare la complementarietà tra incentivi annuali legati ai pagamenti diretti per l’assunzione di impegni probabilmente semplici, puntiformi e anche occasionali (eco-schema) e pagamenti pluriennali legati all’assunzione di impegni più ambiziosi, complessi e strategici (misure agro-climatico-ambientali del Psr). A questi due strumenti si aggiunge una condizionalità rafforzata che lascia anch’essa una certa discrezionalità agli Stati membri rispetto al recepimento di alcuni elementi di baseline su cui costruire il discrimine fra obbligo e incentivo.
I futuri Psn, pertanto, dovranno essere capaci di riprodurre, alla loro scala di azione, strategie complesse capaci di incrociare condizionalità, congruenza con le politiche ambientali dell’UE, appetibilità per gli agricoltori, integrazione con i soggetti “gestori del territorio” e conseguimento di risultati misurabili. Non più dunque misure di “semplice” sostegno all’assunzione di impegni ambientali svincolati dal quadro complessivo delle politiche del territorio e dell’Unione, ma strategie più complesse di intervento capaci di incidere sulle pratiche di campo così come sul coordinamento di azioni più articolate. Tali azioni dovrebbero essere attuate su una più ampia “scala di paesaggio” con il coinvolgimento attivo di soggetti “collettivi” (es. Enti Parco, Enti gestori di Natura 2000, Consorzi di bonifica, Consorzi di tutela, Distretti, Gal, Unioni di Comuni, Contratti di fiume, Azioni collettive, Organizzazioni di produttori, ecc.). Questi dovrebbero essere in grado di coordinare la spesa e la programmazione delle risorse in un dato territorio, anche attraverso l’attuazione di una strategia capace di fare leva su un ventaglio più ampio di strumenti messi a disposizione dalla programmazione Pac (misure per formazione, consulenza, comunicazione, marchi di qualità, studi ambientali, cooperazione, etc.) oltre quelli classici e quelli nuovi dedicati alla sostenibilità.

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  • Monteleone A e Marandola D. (2018), Una nuova architettura verde post-2020, Rrn Magazine 4/2018, Issn 2532-8115.  [link]

  • Oecd (2013), Providing agri-environmental public goods through collective action. Oecd Publishing, Paris

  • Rete Rurale Nazionale (2015), Linee guida per la gestione agricola ambientale partecipata delle risorse naturali, della biodiversità e del paesaggio attraverso organismi collettivi territoriali, a cura di Ventura F., Ismea-Rete Rurale Nazionale, Roma

  • Rete Rurale Nazionale (2017), I progetti agro-ambientali collettivi nella politica di sviluppo rurale 2014-2020, a cura di Cisilino F. e Vanni F, Crea-Rete Rurale Nazionale, Roma

  • 1. L’obbligo di diversificazione colturale previsto dal greening riguarda le aziende che hanno una superficie a seminativo superiore a 10 ettari. Se la superficie a seminativo è compresa tra i 10 e i 30 ettari, la diversificazione richiede la presenza di due colture; per le superfici a seminativo superiori a 30 ettari l’obbligo è di 3 colture. Sono escluse dall’obbligo le aziende sotto i 10 ettari e quelle la cui superficie a seminativo è interamente investita a colture sommerse per una parte significativa dell’anno.
  • 2. Farm Sustainability Tool for Nutrients (FaST).
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