Gli interventi settoriali nei Piani strategici della Pac post 2020

Gli interventi settoriali nei Piani strategici della Pac post 2020

Abstract

La proposta della Commissione Europea relativa alla riforma della Pac post 2020 introduce la possibilità di un aiuto finanziario ai programmi operativi delle Op/Aop di quasi tutti i comparti agricoli. Si tratta di un’opzione che lo Stato membro potrà esercitare nella stesura dei Piani strategici nazionali, in forte continuità con la sempre maggior enfasi che le istituzioni europee hanno posto sulle forme di organizzazione collettiva, al fine di incentivare l’uso di tali strumenti di governance delle filiere agroalimentari. Tale proposta presenta spunti d’interesse sia in materia di maggiore efficienza nell’uso delle risorse pubbliche, sia per la crescente legittimazione che tali soluzioni organizzative di tipo ibrido traggono dalle istituzioni europee e nazionali, poiché ritenute idonee a favorire e promuovere un maggior coordinamento delle decisioni fra gli attori economici e una ripartizione del valore più favorevole al settore primario.

Introduzione

Il percorso legislativo che porterà all’approvazione dei nuovi regolamenti comunitari relativi alla Pac post 2020 è iniziato con la pubblicazione della Comunicazione "Il futuro dell'alimentazione e dell'agricoltura" (Commissione Europea, 2017) pubblicata nel novembre 2017. Successivamente, le proposte legislative presentate il 1° giugno 2018 dalla Commissione europea hanno contribuito a delineare e meglio definire nel dettaglio la struttura e i contenuti della Pac post 2020. Una delle principali novità emerse dalla proposta è stata l’unificazione del regolamento sui pagamenti diretti e sullo sviluppo rurale e di una parte del regolamento sull’Ocm unica in un testo normativo unitario facente riferimento ai Piani strategici nazionali della Pac (Commissione Europea, 2018). Si tratta di fatto di una novità assoluta e funzionale alla realizzazione del nuovo modello di attuazione della Pac (dall’inglese new delivery model), il quale prevede che all’interno del Piano strategico lo stato membro debba definire (e concordare con la Commissione europea) specifici obiettivi e i relativi indicatori di risultato, al fine di verificare l’efficacia della spesa pubblica in agricoltura e monitorare l’attuazione della Pac in corso d’opera. Le conseguenze di tale proposta sono molteplici e di vasta portata, dal momento che viene richiesto a ogni  stato membro di profondere uno sforzo considerevole in termini di capacità programmatoria e attuativa, assemblando i vari strumenti messi a disposizione dalla Commissione in un quadro organico e coerente con i fabbisogni di ciascun settore primario nazionale. 
Tra gli strumenti definiti dalla proposta di regolamento sul Piano strategico, oltre ai pagamenti diretti e alle misure dello sviluppo rurale, si fanno spazio gli interventi settoriali per le Organizzazioni dei produttori (Op) e le loro associazioni (Aop), vale a dire alcuni provvedimenti e strumenti che in precedenza il regolamento dell’Ocm unica (Reg. UE 1308/2013) metteva a disposizione di specifici settori (ortofrutticolo, vitivinicolo e olivicolo) e che la proposta di regolamento estende opzionalmente a molti altri prodotti agricoli (con poche eccezioni). Si tratta di una novità che merita attenzione per le possibili implicazioni in materia di governance della spesa della Pac, al fine di aumentare l’efficacia nell’allocazione delle risorse del bilancio comunitario, ma soprattutto per il contributo che essa può offrire alla diffusione e al funzionamento di forme di organizzazione collettiva lungo le filiere agroalimentari.

Il presente articolo analizza e descrive innanzitutto i contenuti della proposta relativa agli aiuti finanziari concessi mediante gli interventi settoriali, per poi valutarli alla luce della letteratura esistente e addivenire alle considerazioni finali.

Gli interventi settoriali nei Piani strategici nazionali

In forte discontinuità col recente passato, la Commissione Europea ha proposto un nuovo modello di attuazione della Pac per il post 2020. In concreto, pur mantenendo in sostanza gli strumenti di policy utilizzati negli ultimi decenni (pagamenti diretti e sviluppo rurale), la bozza di riforma introduce una nuova forma di governance della Pac, basata su un Piano strategico nazionale che ciascuno Stato membro dovrà redigere con la supervisione della Commissione Europea e che dovrà dare atto degli obiettivi perseguiti, nonché definire gli indicatori di risultato per la misurazione dell’efficacia degli strumenti implementati. Tale approccio (mutuato dal secondo pilastro) viene in pratica esteso anche ai provvedimenti del primo pilastro, al fine di aumentare il livello di sussidiarietà della Pac, con l’intento di avvicinare gli strumenti attuativi alle esigenze dei territori mediante un maggior coinvolgimento degli Stati membri. Si tratta, in effetti, di affermare il passaggio ormai ineludibile, e per certi versi indifferibile, da una Pac orientata ai comportamenti ad una Pac orientata ai risultati, al fine di aumentare l’accountability delle amministrazioni pubbliche chiamate a gestire e a governare tale politica. L’obiettivo generale dichiarato dalla Commissione Europea è quello di aumentare il valore aggiunto delle politiche dell’Unione europea attraverso una maggiore efficienza della spesa pubblica e un nuovo modello di governance.
Ciò che emerge dalla proposta di un nuovo schema di attuazione della Pac è la volontà esplicita di avvicinare le varie fonti di spesa alle esigenze dei beneficiari di tale politica (in primo luogo gli imprenditori agricoli), rinunciando a una logica di funzionamento compliance-oriented, anche in vista di una maggiore semplificazione amministrativa. In tal senso va interpretata la proposta di spostare gli interventi settoriali dall’attuale regolamento sull’Ocm unica al regolamento sul sostegno ai piani strategici della Pac. Si tratta, in pratica, di prevedere che i piani nazionali definiscano le modalità con le quali gli Stati membri intendono gestire non solo le risorse destinate ai pagamenti diretti e alle misure dello sviluppo rurale, ma anche quelle tradizionalmente indirizzate a settori quali l’ortofrutta, l’olivicoltura, l’apicoltura.  Tuttavia, se in questo caso siamo di fronte ad una semplice riorganizzazione della normativa al fine di renderla più coerente con il nuovo assetto proposto dalla Commissione, vi è un’altra novità che può risultare ben più rilevante.
La proposta, infatti, estende per la prima volta nella storia della Pac la possibilità di finanziare i programmi operativi di Op e Aop anche in altri comparti agricoli. In estrema sintesi, si propone di applicare l’attuale modello di finanziamento e funzionamento delle Op/Aop dell’ortofrutta a (quasi) tutte le produzioni del settore primario.
Più precisamente, questa importante innovazione viene introdotta da alcuni articoli (59-63) contenuti all’interno del Capo III (“Interventi settoriali”), sezione 7 (“Altri settori”) della proposta di regolamento sui piani strategici.  Si tratta, in primo luogo, degli articoli 59 e 39 (lettera f), i quali, richiamando a loro volta l’articolo 1 del regolamento sull’Ocm unica (Tabella 1), definiscono gli specifici settori ai quali si applicano le disposizioni contenute nella sezione 7 della proposta della Commissione. Gli Stati membri, dal canto loro, hanno poi il compito di scegliere nei piani strategici nazionali i settori in cui eventualmente attivare gli interventi settoriali.

Tabella 1 – La lista dei settori in cui è possibile attivare gli interventi settoriali

Fonte: Commissione Europea (2018)

Si tratta in pratica dell’intero spettro delle produzioni agricole, con alcune eccezioni importanti: il tabacco, in primis, e l’alcole etilico di origine animale, oltre ovviamente ai settori per i quali sono già previsti interventi simili (ortofrutta fresca e trasformata) o sostegni finanziari specifici di altro tipo (vitivinicolo e apicoltura). Fanno eccezione il settore olivicolo e quello del luppolo, per i quali l’adesione agli interventi settoriali comporta la rinuncia agli appositi aiuti finanziari previsti da specifici articoli della proposta della Commissione (articolo 55 per il luppolo e 56-58 per l’olio di oliva e le olive da tavola).
Proseguendo, l’articolo 59 definisce gli obiettivi (Tabella 2) che gli Stati membri possono inserire nei piani strategici con riferimento agli “altri settori” per i quali decidono di attivare gli interventi.

Tabella 2 – Gli obiettivi per gli “altri settori” (articolo 59)

Fonte: Commissione Europea (2018)

Appare evidente come gli obiettivi elencati afferiscano a diverse aree di governance dei comparti interessati: dalla gestione della produzione (a, h) alle relazioni di filiera (b), passando per la valorizzazione dei prodotti (f), la ricerca e sviluppo (c, d, e) e la promozione e la commercializzazione dei prodotti (g).
Di particolare interesse sono gli obiettivi riferiti alla pianificazione della produzione e alla concentrazione dell’offerta, che seguono in qualche modo il solco tracciato dal cosiddetto regolamento omnibus (Reg. UE 2393/2017), il quale ha apportato modifiche anche al regolamento sull’Ocm unica. Esso di fatto ha stabilito che l’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (“Regole di concorrenza applicate alle imprese”) non  debba essere applicato agli accordi contrattuali, alle decisioni e alle pratiche concordate dagli agricoltori e dalle loro associazioni (Op, Aop) nell’ambito della produzione, della vendita di prodotti agricoli, della loro lavorazione e dell’uso di strutture comuni per lo stoccaggio, sancendo di fatto la possibilità di far prevalere gli obiettivi della Pac sugli obiettivi della concorrenza.
La proposta della Commissione, infine, definisce all’articolo 60 i tipi di interventi che gli Stati membri hanno la facoltà di scegliere in relazione agli obiettivi sopra riportati: essi comprendono, a titolo di esempio, investimenti in immobilizzazioni materiali e immateriali, servizi di consulenza e assistenza tecnica, azioni di promozione, comunicazione e commercializzazione, assicurazioni del raccolto e creazione di fondi di mutualizzazione.
In definitiva, gli Stati membri scelgono e definiscono la propria posizione relativa ai settori da inserire nel Piano strategico, agli obiettivi selezionati, nonché ai tipi di interventi da attuare mediante i programmi operativi approvati di Op e/o Aop riconosciute a norma del Reg. (UE) 1308/2013 (che rimarrà in vigore anche dopo il 2020). Tali programmi operativi hanno una durata non inferiore a tre anni e non superiore a sette e devono riportare una descrizione esaustiva degli interventi selezionati tra quelli stabiliti dagli Stati membri nei propri piani strategici della Pac. Per quanto concerne i programmi operativi delle Aop, essi inoltre non possono riguardare gli stessi interventi contemplati dai programmi operativi delle Op aderenti.
Il funzionamento e l’operatività delle Op e/o Aop è assicurato dall’esistenza di un fondo di esercizio, destinato esclusivamente a finanziare i programmi operativi approvati dagli Stati membri, la cui composizione è disciplinata dall’articolo 62 della proposta di regolamento. Tale fondo è a sua volta finanziato con: i) contributi finanziari provenienti dagli aderenti alle Op e/o dall’Op stessa oppure, nel caso di Aop, con i soli contributi delle Op aderenti (prelevati dai fondi di esercizio delle stesse Op) e, ii) con l’aiuto finanziario dell’Unione, che può essere concesso solo e soltanto se le Op/Aop presentano un programma operativo.
La possibilità di concessione di un aiuto finanziario dell’Unione rappresenta, dunque, un passaggio decisivo per dare efficacia a tale provvedimento. Di fatto, è prevista la possibilità per le Op/Aop di ricevere un importo – pari a quello dei contributi finanziari versati dai soci delle Op e dalle Op che costituiscono le Aop – fino al 50% della spesa sostenuta e nei limiti del 5% del valore della produzione commercializzata da ciascuna Op/Aop. A tal proposito occorre notare che le eventuali risorse necessarie a finanziare i programmi operativi finora descritti verranno dedotte dal massimale finanziario previsto per i pagamenti diretti, al fine di garantire la neutralità in termini di bilancio.
In sintesi, la proposta di regolamento della Commissione Europea prefigura la possibilità per ciascuno Stato membro di estendere il modello dell’ortofrutta a quasi tutti i settori agricoli, contribuendo a promuovere in maniera decisa le Op/Aop come strumento-cardine per migliorare la competitività della fase agricola lungo la filiera agroalimentare.

Un’analisi critica sui possibili impatti

Se, da un lato, lo spostamento dei sostegni settoriali dal Reg.(UE) 1308/2013 alla proposta di regolamento sui piani strategici della Pac rappresenta una scelta principalmente improntata a garantire una migliore coerenza degli interventi della futura Pac nell’ambito del nuovo modello di attuazione, dall’altro lato, la decisione di prevedere la possibilità di destinare una piccola quota parte delle risorse dei pagamenti diretti per finanziare aiuti settoriali destinati ai programmi operativi delle Op/Aop in gran parte dei comparti agricoli rappresenta un’innovazione potenzialmente dirompente.
Innanzitutto, si tratta di una novità da un punto di vista della governance degli strumenti della Pac, dal momento che una quota parte della spesa comunitaria, certo non rilevante ma ad ogni modo strategica (dal momento che potrà riguardare una pletora di comparti agricoli finora rimasti esclusi dall’aiuto finanziario alle Op/Aop), viene ricondotta ad una logica programmatoria in cui lo stato membro individua obiettivi di sviluppo e interventi dei quali i beneficiari (le Op/Aop) potranno dotarsi all’interno di programmi operativi, redatti sulla base delle loro specifiche esigenze. Così facendo, infatti, si cerca di affrontare un problema comune a molte politiche europee, realizzando un riavvicinamento fra le risorse comunitarie e i beneficiari finali, che nel caso della Pac coincidono per lo più con le imprese agricole o rurali. Mutuando un recente intervento di Fabrizio Barca (2018) e assumendo che la Pac (e in particolare l’Ocm unica) si applichi alle imprese agricole che operano nelle aree rurali come la Politica di coesione si applica alle persone che vivono un territorio, ne consegue che le prime debbano costituire il naturale approdo della spesa pubblica in agricoltura. Le imprese, infatti, sono responsabili dell’allocazione delle risorse produttive (mediante assunzioni e investimenti) e da esse dipende in ultima istanza la qualità e l’efficacia della spesa pubblica stessa, la cui gestione è spesso però rallentata da numerose intermediazioni amministrative (come nel caso della politica di sviluppo rurale e degli stessi pagamenti diretti).
Finanziare l’operatività di un classico strumento di coordinamento orizzontale finalizzato ad aggregare l’offerta dei prodotti agricoli, qual è l’Op, in un vasto numero di comparti agricoli può dunque contribuire a generare un processo di spesa intrinsecamente result-oriented, poiché non più – parafrasando Barca – “cieco alle esigenze delle imprese” ma basato sulle effettive esigenze di allocazione delle risorse dei soci delle Op (le imprese appunto) che dovrebbero detenere le conoscenze necessarie per affrontare le sfide del futuro e attivare traiettorie di sviluppo. In pratica, si tratta di piegare interventi settoriali alle conoscenze ed esigenze delle imprese promuovendo una logica di spesa di tipo pull che traini un’allocazione delle risorse pubbliche maggiormente rispondente alle funzioni obiettivo delle aziende, ben diversa da quella invalsa nei tradizionali strumenti della Pac, dove spesso le amministrazioni si affannano a “spingere” la spesa in presenza della spada di Damocle del disimpegno.
Tuttavia, la novità di assoluto rilievo della proposta risiede nella possibilità di utilizzare una quota parte del budget per i pagamenti diretti al fine di estendere il modello dell’ortofrutta a gran parte dei comparti agricoli. Tale scelta è stata probabilmente motivata dalla necessità di abbinare il riconoscimento alle Op/Aop degli altri settori (introdotto dal Reg.(UE)1308/2013) a un aiuto finanziario al programma operativo che funga da incentivo alla costituzione e all’attività di tali forme organizzative di natura collettiva in un contesto normativo che offre loro ampi margini di azione. In effetti, dopo un lungo braccio di ferro tra i sostenitori delle prerogative dell’agricoltura e gli strenui difensori della libera competizione fra imprese, il regolamento Omnibus del 2017 ha esteso ancor più le funzioni delle Op/Aop in materia di contrattazione e controllo dell’offerta, concedendo la possibilità di derogare ai principi stabiliti dal Tfue in materia di concorrenza, al fine di tutelare gli interessi della controparte agricola nelle transazioni commerciali lungo la filiera agroalimentare (De Filippis et al., 2018). A posteriori, è dunque verosimile pensare che il raggiungimento di questo rilevante riconoscimento sia risultato prodromico all’elaborazione della proposta della Commissione Europea relativa all’allargamento degli aiuti finanziari alle Op agli altri settori dell’agricoltura.
In effetti, un tale approdo deriva da una crescente sensibilità delle istituzioni europee su queste tematiche, a partire dalla creazione del Forum di alto livello sul funzionamento delle filiere agroalimentari, proseguendo con l’approvazione del cosiddetto Pacchetto latte (Reg. CE 261/2012, poi integrato nell’Ocm unica) fino ad arrivare, appunto, ai provvedimenti del regolamento Omnibus (Frascarelli, 2016). Le motivazioni di tale interesse risiedono principalmente nell’accresciuta comprensione dei peculiari (e talvolta imperfetti) meccanismi che regolano le dinamiche degli scambi fra agricoltura e settori posti a monte e a valle della filiera nei quali le problematiche relative alla trasparenza, alle asimmetrie informative, al potere di mercato, alla specificità degli investimenti e, da ultimo, alle pratiche commerciali sleali collocano il settore agricolo in una posizione di svantaggio economico (Falkowski and Ciaian, 2016; Renda et al., 2014;). Da qui discende, pertanto, l’attenzione crescente verso la riproposizione di classiche soluzioni organizzative di tipo collettivo come le Op, ma in una veste rinnovata, ovvero con finalità e poteri estesi e impattanti: basti pensare alla possibilità di contrattare collettivamente in nome e per conto di tutti i produttori di un dato settore (la cosiddetta “estensione delle regole”), oppure di regolare l’offerta mediante piani produttivi (Petriccione e Solazzo, 2012). Ѐ il concetto di ibrido istituzionalizzato (o embedded hybrids) a metà fra il mercato e la gerarchia (l’imprese integrata) che si fa spazio, proponendosi come soluzione organizzativa idonea a garantire approvvigionamenti sicuri e stabili di materie prime/prodotti di qualità per la produzione di alimenti sempre più visti come experience goods con impatti diretti su ambiente, salute e benessere animale (Ciliberti et al., 2018). L’ibrido, di per sé, fonde livelli di decentramento decisionale e di accentramento dei diritti di proprietà sugli input che lo rendono particolarmente idoneo ad operare mediante meccanismi di adattamento contrattuale in una giungla mutevole di relazioni lungo catene di creazione del valore sempre più internazionalizzate, incerte e specializzate, pertanto caratterizzate da elevati costi di transazione (Petriccione e Solazzo, 2012; Royer et al., 2015). Basato su un tale meccanismo di co-petizione (combinazione di cooperazione e competizione, spesso fra imprese agricole di medio-piccola dimensione, a carattere familiare e con evidenti problemi di coordinamento che si ripercuotono sulle industrie alimentari nazionali) l’ibrido istituzionalizzato trae fondamento dalla libera iniziativa nella decisione di condivisione dei diritti decisionali e di proprietà mediante relazioni contrattuali di vario tipo e dal riconoscimento di una qualche istituzione pubblica dal quale  ricava autorevolezza e legittimità (Royer et al., 2015).
Ovviamente una tale proposta non è esente da possibili criticità. Il modello delle Op, seppure rafforzato negli ultimi anni dai provvedimenti sulle relazioni contrattuali e sull’estensione delle regole e dei contributi obbligatori, ha dimostrato difficoltà ad operare in assenza di contributi che assicurino una certa stabilità finanziaria per l’attuazione dei programmi operativi. L’introduzione della possibilità di concedere tali aiuti migliora, pertanto, da un lato l’attrattività delle Op/Aop come strumento di organizzazione collettiva, ma dall’altro lato introduce rischi legati all’uso “mordi e fuggi” dei finanziamenti comunitari trainato da finalità puramente opportunistiche. Si tratta in realtà di un’annosa problematica comune a tutti gli strumenti della Pac, ma rispetto alla quale non mancano le testimonianze riportate in letteratura di casi in cui la nascita di Op/Aop è promossa non dagli agricoltori ma dalle associazioni di categoria che li rappresentano o addirittura da imprese di trasformazione con l’intento di beneficiare degli aiuti pubblici e/o influenzare le modalità di attuazione dei programmi operativi (Monderlaers et al., 2014; Falkowski and Ciaian, 2016).
Alla luce di quanto sopra riportato, non è ovviamente possibile analizzare gli eventuali effetti generati da uno spostamento delle risorse dai pagamenti diretti ai sostegni settoriali. Innanzitutto, sarebbe auspicabile un’utilizzazione ragionata di tali fondi, che anteponesse a consolidate logiche di spartizione, più attente alle dinamiche redistributive fra regioni e settori produttivi, un uso ragionato delle risorse sulla scorta degli effettivi fabbisogni di coordinamento e aggregazione dei vari comparti. In concreto, dal momento che verrebbe utilizzata una quota parte dei soldi destinati ai pagamenti diretti (fino al 3%, pari a circa 100 milioni di euro) occorrerebbe scongiurare il prevedibile “assalto alla diligenza” al quale si assiste periodicamente nell’utilizzazione delle risorse per i pagamenti accoppiati, foriero di uno “spezzatino” di interventi spesso assai discutibile (Frascarelli, 2014), a favore di un approccio maggiormente orientato ad un uso efficace ed efficiente delle risorse. Per quanto concerne i possibili effetti della proposta della Commissione, sebbene a medio-lungo termine sia ipotizzabile un processo di maggiore organizzazione e coordinamento nei settori che saranno interessati da tale provvedimento, analogamente a quanto accaduto nel settore ortofrutticolo (Petriccione, 2008), d’altro canto occorre considerare alcuni fattori che potrebbero influenzare una differenziazione degli impatti nei vari contesti considerati. L’analisi dell’attuale situazione delle OP nei diversi settori produttivi pone, infatti, in evidenza come nell’agricoltura italiana coesistano più modelli organizzativi influenzati da fattori territoriali (dovuti alla presenza/assenza di un forte tessuto associativo-cooperativo), manageriali (che possono favorire/ostacolare l’azione di coordinamento delle OP con le imprese associate) e identitari (legati agli aspetti culturali e storici che influenzano il patrimonio specifico di risorse e competenze delle imprese) (Petriccione e Sollazzo, 2012). In base all’interazione fra questi fattori vi è una sostanziale polarizzazione fra due modelli organizzativi in base ai quali è possibile prevedere i diversi effetti che l’estensione degli aiuti ai programmi operativi in altri settori potrebbe generare. Da un lato, infatti, vi è un modello caratterizzato da imprese di medie e grandi dimensioni radicate nel territorio e tradizionalmente aperte alla cooperazione per svolgere funzioni di programmazione della produzione e concentrazione dell’offerta, mentre dall’altro lato vi è un modello imperniato su imprese di piccole dimensioni con ridotta capacità operativa e difficoltà di accesso al mercato, dove prevale un uso strumentale degli aiuti comunitari all’aggregazione (Petriccione e Sollazzo, 2012). Lungi dal poter esprimersi con così largo anticipo sugli impatti di un possibile finanziamento ai programmi operativi negli altri settori al di fuori dell’ortofrutta, è lecito aspettarsi effetti diversificati a seconda dei modelli organizzativi prevalenti nei diversi comparti interessati (a loro volta strettamente correlati con la localizzazione geografica delle produzioni e delle imprese coinvolte). Se, pertanto, è prevedibile che l’azione normativa potrà trovare una più efficace applicazione laddove sia già presente una qualche forma di organizzazione economica, d’altro canto è lecito aspettarsi un’evoluzione verso forme di coordinamento e aggregazione anche nei settori caratterizzati da un modello organizzativo più arretrato, in risposta proprio al mutamento del quadro istituzionale e normativo.

Considerazioni conclusive

La proposta di riforma della Pac presentata dalla Commissione Europea ha introdotto la possibilità per gli Stati membri di inserire all’interno dei loro Piani strategici nazionali della Pac un aiuto finanziario ai programmi operativi delle Op/Aop in quasi tutti i comparti agricoli, con rare eccezioni. Tale iniziativa è frutto dell’accresciuta consapevolezza circa l’importanza che le forme di organizzazione collettiva (specie se riconosciute e legittimate dalle istituzioni pubbliche) possono avere nel migliorare il coordinamento delle decisioni e il funzionamento delle filiere agroalimentari, anche in termini di ripartizione del valore fra gli attori economici. Il percorso intrapreso dalle istituzioni europee ha già fatto registrare dei passaggi decisivi in tal senso, prevedendo che i regolamenti della Pac possano promuovere strumenti di contrattazione collettiva o estensioni delle regole contrattuali in deroga alla normativa comunitaria in materia di concorrenza. La crescente enfasi posta su tali forme ibride (e istituzionalizzate) di governance delle filiere, ha indotto infine la Commissione a proporre l’estensione del modello ortofrutticolo (basato su un finanziamento alle Op/Aop) a molti altri comparti. Tale proposta è finalizzata a favorire la diffusione di soluzioni organizzative flessibili ed efficienti che consentano il coordinamento delle decisioni e il conseguente allineamento degli incentivi, al fine di affrontare da un lato la crescente incertezza (tecnologica, informativa, di mercato e comportamentale) che caratterizza le transazioni lungo filiere agroalimentari in taluni casi estremamente frammentate e, dall’altro lato, i rischi legati alla presenza di specifici investimenti dettati dalla crescente specializzazione produttiva e dalle pressanti richieste di elevati standard qualitativi sulle materie prime degli alimenti.
Inoltre, tale proposta risulta anche coerente con la nuova modalità di attuazione della Pac dal momento che essa consentirebbe una gestione delle risorse pubbliche della Pac da parte dei diretti interessati (i beneficiari) al fine di orientare la spesa sulla scorta dei fabbisogni direttamente espressi da questi ultimi, senza ulteriori intermediazioni amministrative se non concernenti la verifica della rispondenza agli obiettivi dei futuri Piani strategici nazionali.
Si tratta, in definitiva, di una proposta meritevole d’attenzione nei contenuti, ma ovviamente non scevra da potenziali distorsioni, che dovranno essere valutate dettagliatamente e limitate sulla scorta delle conoscenze disponibili.
Rimane il fatto che una siffatta soluzione offerta dalle istituzioni europee rientri in un ambito d’intervento (politica dei mercati) alquanto marginale della Pac, sia in termini finanziari che in rapporto all’interesse finora suscitato nei confronti degli attori del settore agroalimentare, rispetto ai principali strumenti della Pac (pagamenti diretti e sviluppo rurale). Di conseguenza, non si può escludere che, in presenza di interessi divergenti nella fase dei negoziati con il Parlamento Europeo e/o nelle successive fasi di concertazione a livello nazionale, il diverso peso specifico delle misure in gioco ponga la proposta sull’aiuto finanziario alle Op/Aop nella spiacevole condizione del vaso (o strumento) di terracotta fra i vasi (o strumenti) di ferro, con tutte le implicazioni che ne deriverebbero in termini di applicabilità dello strumento medesimo.

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Siti di riferimento

  • Unione Europea: [link]

  • Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo: [link]

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