Abstract
L’articolo analizza i principali indirizzi e strumenti delle politiche europee in relazione al benessere degli animali per rispondere alle istanze di natura etica e di sicurezza e salubrità degli alimenti provenienti dai cittadini, con particolare riguardo alla misura 14 della politica di sviluppo rurale. L’attuale programmazione nei vari Paesi dell’Unione mostra un accoglimento della misura piuttosto circoscritta che indica l’esistenza di criticità da superare in prospettiva della definizione di una certificazione sul modello dei marchi di qualità europei.
Introduzione
L’articolo analizza la risposta delle politiche europee alle istanze di natura etica e di sicurezza e salubrità degli alimenti provenienti dai cittadini, confermate nelle due indagini di Eurobarometro nel 2006 e nel 2015, associate al benessere degli animali da reddito. In quest’ottica si prende in considerazione sia l’evoluzione degli indirizzi politici interni all’UE che l’impegno a livello di Organizzazione mondiale per la salute animale (Oie) per la definizione di standard internazionali condivisi.
Il sostegno agli allevatori attraverso una specifica misura all’interno della politica di sviluppo rurale, introdotta dalla riforma Fischler nel 2003, è ancora oggi il principale strumento per il miglioramento del benessere degli animali, pertanto nell’articolo viene analizzata la sua attuazione nell’attuale programmazione (2014-2020) nei vari Paesi dell’Unione, principalmente dal punto di vista finanziario con un accenno agli interventi promossi.
L’analisi si conclude con un breve excursus sulle possibili prospettive di indirizzo politico che appaiono orientarsi soprattutto verso l’aumento della consapevolezza dei cittadini sugli elevati standard vigenti nell’Unione e i costi a essi associati, nonché a sostegno della formulazione di indicatori diretti di benessere animale, chiaramente misurabili, in grado di garantire trasparenza dei processi produttivi.
Lo stato dell’arte
"Nel formulare e implementare le politiche sull'agricoltura, pesca, trasporti, mercato interno e ricerca, l'Unione e gli Stati Membri devono, poiché gli animali sono esseri senzienti, porre attenzione totale alle necessità degli animali, sempre rispettando i provvedimenti amministrativi e legislativi degli Stati Membri relativi in particolare ai riti religiosi, tradizioni culturali ed eredità regionali." Con queste parole dell’articolo 13 del Trattato di Lisbona nel 20071 il benessere animale diventava un valore condiviso nella Comunità europea e, dunque, uno degli obiettivi da perseguire attraverso le politiche dell’Unione.
Frutto di un lungo percorso, iniziato nel 1976 con la Convenzione Europea per la protezione degli animali negli allevamenti, l’articolo 13 del Trattato, è il primo riconoscimento ufficiale, da parte di una istituzione politica, della capacità degli animali di provare sensazioni e della necessità di vigilare affinché tale prerogativa sia tenuta in considerazione.
Il settore primario, per sua stessa natura, si trova a essere tra quelli maggiormente coinvolti nel percorso di attuazione del principio sancito dal Trattato; un percorso che, dalle istanze marcatamente etiche da cui prese avvio si è nel tempo sempre più orientato verso gli ambiti della qualità e sicurezza alimentare nonché della salvaguardia ambientale favorito da un generale clima di ripensamento che sempre più pone al centro degli obiettivi della Politica Agricola Comune (Pac) la sostenibilità e l’accettabilità sociale dei processi produttivi.
Quest’ultimo aspetto, riferito in particolare agli animali da allevamento, appare avvalorato dall’indagine di Eurobarometro (European Commission, 2016) nell’ambito della Strategia europea per la protezione e il benessere degli animali che segue a distanza di dieci anni la prima inchiesta sullo stesso tema.
Condotta nei mesi di novembre e dicembre del 2015 su un campione di 27.672 cittadini dei 28 Stati membri e pubblicata a marzo 2016, l’indagine conferma l’interesse degli europei per le condizioni in cui vengono tenuti gli animali da reddito, tanto che il 59% (in Italia il 43%) sarebbe disposto a pagare di più per prodotti alimentari provenienti da sistemi di produzione rispettosi del benessere animale (Figura 1).
Figura 1 - Sarebbe disposto/a a pagare di più per acquistare prodotti derivanti da sistemi di produzione attenti al benessere degli animali?
Fonte: Attitudes of Europeans towards Animal Welfare, 2016
A fronte di questa attenzione da parte dei consumatori, gli allevatori rivendicano il proprio diretto interesse per il benessere degli animali in quanto elemento essenziale della produttività degli allevamenti e, quindi, della redditività del settore. In sostanza essi mostrano di avere un atteggiamento non pregiudiziale nei confronti delle problematiche del benessere animale, prestandosi a contribuire allo sforzo conoscitivo e di definizione di appropriati indicatori scientifici (per esempio l’Associazione Italiana Allevatori ha stipulato con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, quale Centro di Referenza nazionale per il benessere animale, una convenzione quadro circa la definizione di un indice nazionale di valutazione del benessere animale (Iba) per le specie dei bovini da latte, ovina, caprina, suina, cunicola e avicola), ma anche di essere fortemente preoccupati che le istanze emergenti possano generare costi aggiuntivi che, come insegna l’esperienza recente del recepimento della direttiva 2008/120/Ce sulla protezione dei suini, in mancanza di un riconoscimento da parte del mercato, possano rimanere a carico degli allevatori (de Roest et al, 2015), in un contesto con margini di profitto già piuttosto contenuti.
La politica per il miglioramento del benessere degli animali negli allevamenti si può attuare attraverso una regolamentazione obbligatoria che imponga vincoli sulle strutture o, come sempre più ci si va orientando, obiettivi definiti quantitativamente tramite misure dirette di benessere2 oppure tramite un sistema di adesione volontaria che renda riconoscibile il maggior livello di benessere conseguito dall’allevatore permettendogli, quindi, di spuntare un prezzo maggiore sul mercato (Arfini, Mancini, 2012; Menghi, Gastaldo, 2008).
Per quanto riguarda la Politica Agricola Comune (Pac), il benessere degli animali è già presente dalla fine degli anni novanta come requisito per accedere ad alcuni pagamenti del I Pilastro e di alcune misure del regolamento 1257/99 sul sostegno allo sviluppo rurale, ma è con la riforma Fisher che acquisisce un posizione evidente nel momento in cui, con il regolamento 1783/2003, le misure agroambientali sono divenute “agroambiente e benessere degli animali” (Macrì, 2010). Nel quadro delle attuali politiche di sviluppo rurale dell’Unione europea, secondo quanto emerge nel considerando 23 del regolamento 1305/2013, l’adeguamento a nuovi più elevati standard di benessere degli animali va incoraggiato in risposta “al crescente interesse della società”; a questo scopo, oltre al sostegno nell’ambito dei regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (articolo 16), è stata predisposta l’apposita misura 14 “pagamenti per il benessere degli animali” (articolo 33). Nello specifico, la misura è finalizzata a compensare, in tutto o in parte, i costi aggiuntivi e il mancato ricavo derivante da impegni ulteriori ai pertinenti requisiti obbligatori. Al momento gli Stati membri che includono la misura all’interno dei Psr nazionali o regionali sono 153. L’Italia è il Paese in cui la misura sul benessere animale è presente in più Psr regionali, a conferma di quanto già avvenuto nella passata programmazione nella quale le regioni italiane che finanziavano la misura 215 erano in totale 11.
Dal punto di vista finanziario il contributo pubblico totale (UE+Stato e Regioni) maggiore è sostenuto dalla regione finlandese del Mailand con poco più di 450 milioni di euro, seguita dalla Sardegna (che fino a settembre 2016 ha attuato trascinamenti) con oltre 225 milioni e dall’Austria che ha stanziato 210 milioni di euro. Un budget pubblico totale di oltre 100 milioni di euro è sostenuto da Svezia, Ungheria e Slovacchia, mentre le quote pubbliche minori (inferiori a 10 milioni di euro) si registrano per tutte le altre regioni italiane, ad eccezione del Lazio, e per la regione spagnola dell’Andalusia. Negli altri Paesi europei il totale pubblico è compreso tra i 13 milioni della Grecia e gli oltre 82 della regione tedesca Renania Westfalia. In generale, rispetto al totale pubblico programmato dei Psr che includono la misura 14 (esclusi i trascinamenti), la percentuale si attesta al 3,11% (Tabella 1).
Tabella 1 - Misura 14 - Benessere animale - Contributo finanziario
* La misura viene attivata in funzione degli impegni assunti per i pagamenti della misura 215 Pagamenti per il benessere degli animali dalla programmazione 2007-2013
Fonte: Elaborazioni Crea su dati Psr
La spesa programmata rispetto al patrimonio zootecnico regionale misurato in Uba risulta molto variabile, con oscillazioni che vanno dai cinque euro della Bassa Sassonia e del Friuli ai più di 400 della Sardegna e del Mailand, su questo dato incide non solo l’entità dell’impegno finanziario previsto ma anche la specializzazione zootecnica, ci sono quindi casi, come la Renania Wesfalia, dove il valore per Uba risulta piuttosto contenuto nonostante l’incidenza della spesa sia consistente.
Per quanto riguarda gli impegni, quelli inerenti alla transizione verso metodi di allevamento di tipo estensivo sono i più numerosi tra quelli ammessi a sostegno, spesso associati ad altri appartenenti alla medesima macro area “Condizioni di stabulazione” e/o a quella “Accesso all’aperto” (periodo di pascolo e/o predisposizione di spazi esterni). È il caso, ad esempio, del Baden Wuttemberg che è anche l’unica regione europea ad aver utilizzato uno schema di certificazione di benessere degli animali per definire la misura (“Tierschutzlabel”, rilasciato dall’associazione per la protezione degli animali tedesca).
Proprio una strategia che sostenga gli allevatori verso la transizione a sistemi di allevamento conformi a schemi di certificazione animal-friendly può costituire una soluzione da un lato per superare le riserve dei produttori, dall’altro per accogliere le aspettative dei consumatori con preferenze più elevate in merito alle condizioni di benessere degli animali garantite nei processi produttivi.
La sostenibilità economica della partecipazione a schemi volontari di certificazione dipende dalla disponibilità a pagare dei consumatori; questa è ancora controversa, anche se alcuni studi su specifici casi concreti presentano prospettive positive (Makdisi, Marggraf, 2011) a ulteriore conferma di quanto emerge dall’indagine Eurobarometro.
Prospettive e questioni aperte
La maggior parte dei cittadini europei vorrebbe avere più informazioni circa le condizioni di trattamento garantite agli animali nei propri paesi, si tratta di quasi i due terzi degli intervistati (64%), il 6% in più rispetto alla percentuale rilevata per la stessa risposta nell’indagine del 2006. In particolare, mentre la percentuale di coloro che rispondono di non essere interessati sicuramente è immutata, aumenta, di contro, di 11 punti percentuali l’incidenza di coloro che dichiarano di esserlo con certezza (Figura 2).
Figura 2 - Risposta alla domanda “Le piacerebbe avere più informazioni su come sono trattati gli animali d’allevamento nel suo paese?” (% su totale interviste nell’EU)
Fonte: Eurobarometro, 2006 e 2016
Nei nove anni trascorsi dalla precedente indagine, durante i quali i paesi dell’Unione hanno attraversato una profonda crisi economica che ha inciso sulle scelte di consumo arrivando anche a ridurre la spesa per i beni alimentari, l’interesse per le condizioni degli animali allevati risulta accresciuto. Dal punto di vista dell’attività istituzionale, tra le due indagini sono intercorsi un programma d’azione comunitario (2006-2010) per la protezione ed il benessere degli animali (Commissione Europea, 2006) e una strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali (2012-2015).
Nel documento sulla strategia (Commissione Europea, 2012) la Commissione rilevava alcune lacune nell’applicazione delle norme settoriali dovute alla difficoltà di attuare identici requisiti in contesti economici molto diversi, alle diversità culturali che percorrono i 28 Paesi dell’Unione, alla scarsa informazione degli attori coinvolti a vario titolo - operatori del settore, consumatori, cittadini -, ma anche all’insufficiente impegno degli Stati membri nel promuovere l’applicazione delle normativa. Allo stesso tempo, ne risultava l’esigenza di semplificazione sul piano normativo, da attuarsi anche attraverso l’impiego di indicatori quantitativi di benessere animale diretti (animal based). Pertanto nella strategia la Commissione si propone: a) di fornire assistenza agli Stati attraverso consulenza, programmi di formazione degli ispettori veterinari, iniziative di educazione per diffondere la conoscenza e il rispetto delle norme presso gli operatori e i cittadini; b) di promuovere la divulgazione dei risultati scientifici in merito agli indicatori diretti di benessere animale, non rinunciando alla sua funzione di controllo e vigilanza sull’applicazione della normativa attraverso le visite effettuate dall'Ufficio alimentare e veterinario (Uav).
Per quanto riguarda il contesto internazionale, allo scopo di garantire condizioni paritarie ai produttori, la Strategia ribadiva la necessità di affermare la posizione dell'Unione sul benessere degli animali attraverso un ruolo attivo nelle sedi multilaterali, in particolare a livello di Organizzazione mondiale per la salute animale (Oie)4 e di Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao). Infatti i paesi dell’Unione partecipano attivamente alle attività promosse dall’Oie per costruire, prima ancora che degli standard condivisi, una cultura comune su questo tema. In particolare, nell’intervento del rappresentante della DG Salute e sicurezza alimentare dell’UE, in occasione della terza conferenza globale sul benessere degli animali del 2012, si mette in evidenza l’utilità degli standard Oie come strumento di facilitazione sia per i negoziati commerciali sia per lo sviluppo della regolamentazione, citando il riferimento utilizzato all’interno del reg.1099/2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento (Gavinelli, Bergersen, 2012).
La strategia insisteva anche sulla necessità di ampliare la conoscenza sul tema e prevedeva la realizzazione di una mappatura delle iniziative di educazione e informazione in materia di benessere degli animali realizzate negli Stati membri per il pubblico e i consumatori e per gli operatori del settore anche allo scopo di promuovere uno scambio di buone pratiche tra i paesi dell’Unione. Tale studio ha effettivamente messo in evidenza la scarsa conoscenza della regolamentazione europea sul benessere degli animali presso l’opinione pubblica, con una media di risposte corrette minore del 50% (Irta, 2016), nonché il limitato sforzo di aggiornamento da parte degli allevatori che, soprattutto quelli attivi da più tempo, si affidano sostanzialmente alla propria esperienza pregressa. Per quanto riguarda le iniziative educative, sebbene senza un programma definito a livello nazionale ma lasciando la decisione circa i contenuti e l’approccio all’iniziativa individuale degli insegnanti, l’Austria è l’unico paese nell’Unione ad avere integrato formalmente il tema nell’ambito dei corsi scolastici dei ragazzi tra i 10 e i 14 anni.
Diffondere la conoscenza degli standard minimi adottati dall’Unione risponde alle istanze dei consumatori europei offrendo un elemento decisionale di preferenza nelle scelte di consumo e, dunque, un fattore di valorizzazione delle produzioni interne. Ciononostante, le strategie di comunicazione degli operatori delle filiere zootecniche sono improntate da un atteggiamento di forte cautela, sia per i costi associati allo sforzo di garantirne i contenuti, sia per l’incertezza circa la possibile percezione che ne deriverebbe al consumatore (Mancini, Arfini, 2012).
Allo stesso tempo, solo per le uova è attualmente obbligatorio uno schema di etichettatura che prevede l’indicazione dei sistemi di allevamento di provenienza (in gabbia, a terra, all’aperto, biologico) e la politica europea non sembra orientata ad estendere obblighi analoghi ad altri comparti, ma piuttosto sembra caldeggiare l’adozione di strumenti volontari che produttori e distributori possano usare per migliorare la trasparenza dell’informazione per i consumatori.
In sostanza, siccome il benessere degli animali è percepito con differenti gradi di importanza dai consumatori e dato che i sistemi produttivi nei paesi dell’Unione sono diversi, la risposta potrebbe venire da uno scenario articolato dove, accanto ai requisiti obbligatori che corrispondono a un livello di benessere il cui riconoscimento è indiscusso presso la generalità dei cittadini, sia lasciato spazio alle imprese per offrire, su base volontaria e all’interno di un quadro normativo comune e di facile comunicazione, gradazioni ulteriori in corrispondenza di esigenze più elevate di gruppi specifici di consumatori. In questa ottica l’elaborazione di indicatori di benessere oggettivi e verificabili è funzionale anche alla costruzione di un efficace sistema di verifica e controllo che non lasci possibilità a comportamenti opportunistici da parte delle imprese.
In prospettiva, l’attenzione al tema rimane elevata, nel novembre 2015 il Parlamento europeo ha richiesto con una risoluzione approvata con 542 voti favorevoli, 73 contrari e 23 astensioni l’adozione di una nuova strategia per il benessere degli animali durante il periodo 2016-2020 “che prosegua il lavoro svolto nell'ambito della precedente strategia e assicuri continuità al quadro normativo onde conseguire norme rigorose in materia di benessere degli animali in tutti gli Stati membri … considerando che il livello di benessere degli animali nell'Unione è tra i più elevati al mondo … che occorrerebbe migliorare ulteriormente il benessere degli animali sulla base delle conclusioni generalmente accettate in ambito scientifico”.
L’Unione Europea identifica nel benessere animale un mezzo necessario per realizzare la politica di sicurezza alimentare, a questo scopo si muove su diversi fronti: con un ampia regolamentazione anche specifica per alcune filiere (galline ovaiole, polli da carne, suini, vitelli) e fasi produttive (trasporto e macellazione); partecipando alla definizione di standard internazionali; con il concreto sostegno agli allevatori per migliorare il benessere degli animale all’interno delle politiche di sviluppo rurale. Su quest’ultimo aspetto, la scarsa attivazione della misura (su 28 Paesi in 15 e non sempre sull’intero territorio) dovrebbe indurre a indagare l’esistenza di criticità nella sua applicazione e a individuare strumenti per superarle anche in prospettiva della definizione di una certificazione sul modello dei marchi di qualità europei.
Riferimenti bibliografici
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European Commission (2016), Special Eurobarometer 442, Attitudes of Europeans towards Animal Welfare [link]
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Gavinelli A., Bergersen B. (2012), Oie Standards as a Platform for Developing EU Legislation and Bilateral Agreement with Trading Partners. Kuala Lumpur 5-9 Novembre 2012, presentazione in occasione della Third OIE global conference on animal welfare 6-8 November 2012, Kuala–Lumpur (Malaysia) [link]
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Makdisi F., Marggraf R. (2001), Consumer willing to pay for farm animal welfare in Germany. The case of broiler. German Association of Agricultural Economists (Gewisiola), 51st Annual Conference, Halle, Germany, September 28-30, 2011
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Mancini M.C, Arfini F. (2012), L’attributo “benessere animale” in un’indagine conoscitiva del sistema agroalimentare italiano, in Macrì M.C. (a cura), Il benessere degli animali da produzione, Inea
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Menghi A., Gastaldo A. (2008), Il ruolo e le prospettive del benessere animale: vincoli o opportunità per gli allevatori? In Agriregioneuropa anno 4 n°13, [link]
- 1. Il riconoscimento degli animali come esseri senzienti era già contenuto nel Protocollo sulla protezione ed il benessere degli animali allegato al Trattato di Amsterdam del 1997.
- 2. Per approfondimenti si veda la pagina dell’European Food Safety Autority [link].
- 3. Cui si aggiungono la Scozia, la Campania, l’Emilia Romagna e il Veneto che finanziano la Mis. 14 con trascinamenti della passata programmazione.
- 4. Su sollecitazione dei Paesi aderenti, dal 2002 l’Oie ha esteso i propri interessi verso la definizione di standard di benessere degli animali lanciando una serie di iniziative per accreditarsi un ruolo internazionale sul tema. Allo stato attuale l’Oie, sulla base di un accordo siglato nel 1998 con il World Trade Organization (Wto), è referente in relazione alle questioni riguardanti gli aspetti sanitari del commercio internazionale di animali e prodotti di origine animale e delle zoonosi, mentre in merito al benessere degli animali, che va oltre le questioni contemplate nell’ambito dell’accordo sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie, non risulta avere alcune mandato.