Diverse ricerche condotte in ambito europeo hanno evidenziato il limitato interesse del consumatore italiano per i temi relativi al benessere animale (Ara e Pinduccio, 2006, in Menghi et al., 2006) A riprova di questo atteggiamento c’è la scarsa presenza dell’argomento sui mezzi di informazione nazionali. Le stesse ricerche dimostrano quanto questo tema sia sentito tra i cittadini di altri Paesi dell’Unione Europea, come nei Paesi scandinavi, in Olanda, nel Regno Unito e in Germania. Per esempio, in Olanda il Partito per gli Animali è riuscito ad eleggere nel 2006 due parlamentari con quasi 180.000 preferenze, pari all’1,8% dei voti. Anche grazie a questi movimenti il tema del benessere animale (BA) nel corso degli anni è rimasto all’attenzione del legislatore europeo. Infatti, dal 1974 sono state emanate dalle istituzioni comunitarie normative specifiche concernenti la macellazione e il trasporto degli animali, la protezione delle galline ovaiole, dei polli da carne, dei suini e dei vitelli, nonché la normativa generale sulla protezione degli animali negli allevamenti (Direttiva 98/58/CE).
Inoltre, mentre in alcuni Paesi come Italia e Francia la legislazione sul benessere animale è stata recepita in maniera fedele alle normative europee, in altri, dove leggi specifiche erano già presenti, sono rimaste in vigore alcune delle norme più restrittive già introdotte.
Si può quindi dire che la legislazione comunitaria in materia di BA ha voluto uniformare, per quanto possibile e con i necessari compromessi, norme già esistenti in alcuni Paesi che creavano squilibri in materia di produzioni zootecniche.
La differenza non è banale perché, mentre in alcuni Paesi dell’Unione la normativa nazionale e la sua applicazione negli allevamenti sono state il frutto del recepimento delle istanze della pubblica opinione e di un dibattito interno, in altri (per esempio in Italia) l’emanazione delle norme comunitarie è stata vissuta dagli allevatori come un’imposizione vessatoria, decisa a livello politico senza il coinvolgimento del mondo produttivo e senza che il consumatore abbia espresso questo tipo di richiesta.
Il progetto Welfare Quality
Fatta questa premessa, necessaria per capire l’atteggiamento dei produttori italiani nei confronti del BA, si riportano in questo articolo i risultati di un’indagine condotta presso 180 allevatori dei 3 principali comparti (bovino, suino e avicolo) nell’ambito del progetto Welfare Quality (WQ), finanziato dalla UE con il sesto “programma quadro” nel periodo 2004-2009.
La scelta del campione è stata effettuata in modo da confrontare allevamenti convenzionali e allevamenti che aderiscono a disciplinari che prevedono azioni per il BA (occorre ricordare che in Italia non esistono disciplinari specifici per il BA). Gli allevamenti che adottano disciplinari (biologico, Legambiente, ecc.) rappresentano circa il 31% del campione. La maggioranza delle aziende indagate è concentrata in Lombardia (52,8%) ed Emilia-Romagna (40%), due regioni italiane dove la zootecnia è particolarmente diffusa.
Tramite un apposito questionario e la visita di tecnici in azienda è stato possibile raccogliere le opinioni degli allevatori su vari aspetti relativi al BA, in modo da capire se in ambito nazionale queste tematiche vengono recepite dai produttori solo come un vincolo, oppure anche come un’opportunità.
Opinioni sul benessere animale
In primo luogo gli allevatori considerano il BA come uno degli elementi fondamentali del proprio allevamento e in una ipotetica classifica lo collocano sempre ai primi posti insieme con la salute animale e i risultati economici. Per gli allevatori intervistati, il BA è un concetto ampio, che include anche la fase di trasporto e di attesa pre-macellazione. Inoltre, riconoscendo l’importanza del tema, gli allevatori italiani dichiarano di informarsi sull’argomento, attingendo dalle diverse fonti disponibili (riviste, convegni, associazioni di categoria, ecc.). Questo dato è maggiore tra i produttori di suini, mentre decresce negli allevatori di bovini e avicoli. In genere l’interesse su questi temi è maggiore laddove la legislazione esistente è più esigente.
Per la maggior parte degli allevatori è chiaro che il tema del BA è strettamente legato a un’alimentazione adeguata e all’assenza di stress climatici e fisici, anche se alcune differenze si riscontrano tra le diverse categorie. Ad esempio, i produttori di bovini assegnano maggiore importanza all’assenza di paura, mentre gli avicoltori all’assenza di lesioni e di stress climatico-fisici.
Per verificare il livello di BA, l’allevatore confida principalmente nelle proprie capacità di osservazione. La valutazione viene eseguita almeno una volta al giorno, ispezionando “a vista” gli animali e prendendo in considerazione diversi aspetti. Inoltre, nel 25% dei casi analizzati, per determinare le condizioni microclimatiche all’interno dei ricoveri vengono utilizzati anche strumenti specifici, come termometri e igrometri.
Un’altra figura che l’allevatore individua come riferimento per l’accertamento del BA, anche se in seconda battuta, è il veterinario/tecnico aziendale, che può pure svolgere un ruolo informativo e gestionale su questo specifico tema. Il veterinario ufficiale (della AUSL) sembra invece avere soltanto un compito di controllo della conformità delle aziende alle norme vigenti (Gastaldo A., Menghi A. 2007).
Opinioni sulla legislazione
L’indagine ha accertato che complessivamente gli allevatori hanno una conoscenza della legislazione in materia di BA non particolarmente approfondita; il livello di informazione cambia notevolmente se consideriamo i dati relativi ai diversi comparti: è maggiore nel caso dei comparti per i quali esistono normative specifiche di settore (galline ovaiole, suini e vitelli), mentre peggiora decisamente nei comparti regolamentati soltanto dalla Direttiva 58/98/CE, perché gli allevatori, in questo caso, hanno difficoltà a “relazionarsi” con le troppo generiche indicazioni riportate.
Nel caso del comparto polli da carne, per esempio, è preoccupante la scarsa informazione degli allevatori sulla direttiva che stabilisce le norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne, in discussione a livello comunitario ai tempi dell’indagine e giunta oggi alla fine del suo iter istituzionale. È questa un’ulteriore dimostrazione dello scarso coinvolgimento del mondo produttivo italiano nella definizione delle normative di questo settore.
Ne consegue che anche il giudizio sulla legislazione esistente in materia di BA e sulla sua applicabilità sia generalmente negativo: 2/3 degli intervistati valuta negativamente le norme in vigore e la loro applicabilità in azienda. Questa quota diminuisce decisamente passando dal comparto suino ai comparti bovino e avicolo. Si tratta di un dato che deve far riflettere, perché se una normativa non è condivisa da chi deve applicarla, le possibilità di una sua corretta attuazione si possono ridurre notevolmente. Nell’ambito del continuo aggiornamento normativo che questa materia ha sperimentato negli ultimi anni è stata chiesta l’opinione degli allevatori sulla possibilità di introdurre nuove norme e/o misure specifiche. Questa ipotesi è stata valutata molto diversamente e complessivamente i favorevoli e i contrari hanno raggiunto percentuali molto simili. Gli allevatori che sono favorevoli all’introduzione di nuove norme/misure aumentano in maniera evidente passando dal comparto avicolo (23%) ai comparti bovino (45%) e suino (55%) e aumentano passando dalle aziende convenzionali alle aziende che già operano nell’ambito di un disciplinare.
Disciplinari specifici sul benessere animale
Il sondaggio ha investigato anche la possibilità da parte degli allevatori di aderire a disciplinari specifici sul BA.
Per molti di loro aderire ad un disciplinare “benessere” implica soprattutto un aumento della burocrazia e, conseguentemente, del tempo ad essa dedicato, e una limitazione della libertà di gestione dell’azienda. Soltanto 1/3 degli allevatori vede nell’adesione la possibilità di ottenere benefici di mercato; questa percentuale aumenta decisamente passando dal comparto avicolo ai comparti suino e bovino.
Tra gli elementi riconosciuti come positivi, per aderire a un disciplinare vengono indicati principalmente l’opportunità data ai produttori di avere prodotti riconoscibili e la possibilità di essere apprezzati dal consumatore per il lavoro svolto.
Mercato e benessere animale
Agli intervistati è stato infine chiesto di mettere in relazione il BA con il mercato. Sotto questo aspetto molti allevatori ritengono che i consumatori e l’opinione pubblica siano in generale indifferenti.
Attualmente, quando il BA viene richiamato dal consumatore è perché viene associato ad una maggiore sicurezza dei prodotti alimentari. Per questo motivo la grande maggioranza degli allevatori è convinta che un marchio specifico a garanzia del livello di benessere del prodotto possa aiutare nelle vendite (Menghi A., Gastaldo A. 2007).
Secondo gli allevatori, però, per produrre nel rispetto del BA in una filiera certificata occorre che:
- i consumatori siano disponibili a pagare un prezzo maggiore e che pongano attenzione alle etichette per scegliere i prodotti che più rispettano il benessere animale;
- le istituzioni prevedano incentivi economici per il benessere, migliorando nello stesso tempo la formazione e i sistemi di controllo e monitoraggio;
- la grande distribuzione riconosca un prezzo migliore agli allevatori, scegliendo e selezionando i prodotti ottenuti in buone condizioni di benessere animale.
Indispensabile è anche aumentare le conoscenze dell’opinione pubblica e dei consumatori sul BA, per ottenere sull’argomento una partecipazione consapevole e attiva. Si tratta comunque di processi lunghi che richiedono una predisposizione culturale che le diverse società maturano in tempi diversi.
Conclusioni
Tra le diverse categorie di produttori c’è l’opinione generale di operare nel migliore dei modi per garantire il BA nei propri allevamenti. Del resto gli allevatori affermano che un buon livello di BA è indice di buona produttività e alla fine anche indice di un buon livello di reddito. Per questa ragione, oltre al rispetto della legislazione vigente, c’è un diffuso atteggiamento positivo nei confronti del BA.
La possibilità di incrementare ulteriormente il livello di BA a livello aziendale è però subordinata alla necessità di non aumentare i costi di produzione, che potrebbero far perdere competitività all’azienda rischiando di farla uscire dal mercato.
Dal punto di vista tecnico i produttori non pongono limiti al miglioramento del BA in azienda, la cui introduzione nei sistemi produttivi può seguire due vie:
- il metodo legislativo, ossia l’adozione di nuove leggi che l’allevatore è obbligato ad applicare. In questo caso però il legislatore deve agire affinché tali norme non creino un incremento dei costi di produzione tale da mettere fuori mercato i produttori europei, creando uno svantaggio competitivo rispetto agli allevatori che operano in Paesi dove tali norme non sono presenti. Per limitare questo effetto sarebbe necessaria una compensazione monetaria pubblica agli allevatori, che però contrasta con la tendenza alla riduzione dei sussidi pubblici in agricoltura e con la tendenza alla liberalizzazione dei mercati agricoli degli ultimi anni. In alternativa ci deve essere una generale disponibilità a pagare di più da parte del consumatore per questo prodotto che presenta caratteristiche intrinseche di carattere etico, in modo da garantire un adeguato livello di reddito agli allevatori. Se questo non avvenisse si otterrebbe un effetto opposto a quello immaginato dal legislatore e dal cittadino europeo e cioè la chiusura per difficoltà economiche delle produzioni nazionali ed europee e l’importazione di prodotti meno cari da Paesi in cui il BA non viene considerato;
- il metodo volontario di adesione a disciplinari che contemplino il BA. Si tratta sicuramente di una via più “democratica”, in cui gli allevatori possono aderire a determinate regole, le quali tramite un marchio vengono comunicate al consumatore, che può scegliere con i propri comportamenti di acquisto se promuovere o meno il BA in allevamento. In questo modo il consumatore paga un prezzo in grado di compensare gli sforzi aggiuntivi dell’allevatore.
In entrambi i casi, ma soprattutto nel secondo, diventa indispensabile un metodo di valutazione super partes e oggettivo del livello di BA raggiunto, accettato in tutti i Paesi europei e in grado di trasferire in modo semplice e chiaro questa informazione al consumatore all’interno di una etichetta che garantisca tutti gli attori della filiera.
Purtroppo allo stato attuale uno strumento del genere non è ancora disponibile.
Per concludere, l’indagine tra i produttori ha dimostrato ancora una volta quanto distante sia il mondo produttivo italiano da un sistema normativo agricolo ormai diffuso a livello europeo.
La scarsa partecipazione al sistema decisionale ha dimostrato nel corso degli anni tutti i limiti di applicazione di norme spesso adeguate in determinati Paesi, ma totalmente inadeguate per altri (quote latte, direttiva nitrati, ecc.), dove le esigenze della pubblica opinione e i sistemi produttivi sono totalmente differenti.
Riferimenti bibliografici
- Menghi A., Schiff M., Miele M. – Benessere animale e tutela del consumatore. Il progetto Welfare Quality. I supplementi di Agricoltura, 29, 2006.
- Menghi A., Gastaldo A. – Benessere animale, ma senza burocrazia. Informatore Zootecnico, 18, 2007.
- Gastaldo A., Menghi A. – Il benessere in stalla visto dagli allevatori. Informatore Zootecnico, 19, 2007.