Introduzione1
Con il presente studio s’intende contribuire all’ampio dibattito teorico-concettuale condotto nel nostro paese sulla collocazione assunta dalla politica per lo sviluppo delle aree rurali nel più vasto ambito delle politiche economiche dell’Unione europea.
Infatti, questa politica comune, nel corso del tempo, ha progressivamente rafforzato la propria centralità nell’insieme degli interventi a favore dell’ambiente e del sistema agricolo, fino a diventare parte integrante dello sviluppo regionale, avendo anch’essa esteso la propria sfera d’azione all’intero territorio europeo, così come la politica di coesione.
Parallelamente a questa evoluzione si è assistito all’accentuazione del suo approccio territoriale, integrato e sostenibile, tanto che oggi la politica di sviluppo rurale definisce un processo di crescita dei sistemi socio-economici locali di tipo endogeno. Si tratta di un’impostazione radicalmente diversa rispetto a quella dei più tradizionali modelli di crescita esogena, giacché – per essere applicata con successo – richiede capacità progettuali e operative tali da trasformare l’identità e la cultura delle aree rurali in fattori strategici di sviluppo.
Dopo il subentro del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) alla Sezione orientamento del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (Feoga), quale suo strumento di finanziamento, la politica per lo sviluppo rurale è stata nettamente separata dalla politica di coesione, con la conseguenza che ora queste due politiche devono coordinarsi tra loro sia negli obiettivi che negli strumenti. In tal modo, a nostro avviso, si è finito per rendere più difficile il legame che dovrebbe rinvenirsi tra una politica orizzontale, com’è quella di coesione il cui obiettivo col Trattato di Lisbona ha assunto anche la connotazione di territoriale, e una politica prevalentemente settoriale, come tuttora si propende a considerare la politica per lo sviluppo rurale.
Nel presente articolo si cerca di delineare i principali tratti del modello di sviluppo rurale definito dalla Commissione attraverso l’analisi dell’evoluzione della politica per le aree rurali dell’Unione europea a partire dalla sua adozione sino ai giorni nostri. Rispetto agli altri lavori che si possono rinvenire su tale tema2, questo tende a differenziarsi non solo perché la ricostruzione storica dell’evoluzione fatta registrare dalla politica per lo sviluppo rurale qui sommariamente condotta cerca di restituire un quadro di analisi che si spinge a considerare le ultime novità regolamentari, cioè quelle riguardanti il futuro periodo di programmazione 2014-2020, ma anche perché s’intende evidenziare le specifiche connessioni esistenti nei confronti della politica di coesione, dando ovviamente per nota la sua corrispondente evoluzione nel frattempo sperimentata.
La politica di sviluppo rurale dalla sua introduzione fino all’attuale periodo di gestione
Il passato
La politica di sviluppo rurale dell’allora Comunità europea è nata nella seconda metà degli anni Ottanta, caratterizzandosi per un insieme d’interventi a favore delle aree svantaggiate (Franceschetti 1995; Leonardi, Sassi 2004). Come colto anche da Fanfani e Brasili (2003), un primo segno premonitore dei cambiamenti necessari per una nuova politica per lo sviluppo rurale si evidenzia con i Programmi integrati mediterranei (Pim) del 1985, i quali rappresentano un vero e proprio avanzamento rispetto alle precedenti sporadiche esperienze in materia. Infatti, i Pim possono essere considerati come il primo progetto complessivo europeo d’intervento strutturale integrato a livello territoriale, che interviene su tutti i settori economici suscettibili di sviluppo a livello locale. Fra le novità più rilevanti introdotte dal Regolamento riguardante i Pim, va rilevato da un lato, il superamento della logica degli interventi settoriali in agricoltura, e dall’altro la ricerca del coordinamento e coinvolgimento dei diversi Fondi strutturali europei (dal Feoga orientamento, al Fondo sociale, al Fondo di sviluppo regionale, ai prestiti della Banca europea degli investimenti). Altra importante novità, che caratterizzerà sempre di più lo sviluppo rurale negli anni successivi, riguarda l’esigenza e l’opportunità della definizione di questi programmi a livello regionale e sub-regionale, con il coinvolgimento degli Enti locali e territoriali interessati, tra cui in particolare le Regioni.
Conseguentemente a tutto ciò e dopo la diffusione di un’importante comunicazione della Commissione – dal titolo “Il futuro del mondo rurale” – ha preso forma questa politica, basata su un approccio territoriale3, co-finanziata dall’Unione europea (UE) mediante i fondi strutturali e tendente a promuovere lo sviluppo rurale, attraverso interventi volti ad accelerare l’adeguamento strutturale nell’ambito della riforma della Politica Agricola Comune (Pac) (Obiettivo 5a) e ad agevolare l’adeguamento strutturale delle zone rurali (Obiettivo 5b)4.
É nel 1991, però, con l’introduzione dell’Iniziativa Comunitaria Leader I che è effettivamente iniziato il nuovo approccio alla politica di sviluppo rurale. Alla centralità del territorio è stata affiancata quella della partecipazione e dell’azione integrata per lo sviluppo endogeno delle aree ricadenti nell’Obiettivo 1 e 5b5. La partnership locale tra soggetti pubblici e privati è stata formalizzata nei Gruppi di Azione Locale (Gal) che gestivano i fondi erogati dalla Commissione europea per dare attuazione ai Programmi di Azione Locale (Pal), cioè quei programmi elaborati dagli stessi Gal per definire le strategie di sviluppo rurale e i relativi interventi da realizzare sul territorio di riferimento.
Questi aspetti della politica di sviluppo rurale si sono consolidati in occasione della seconda riforma dei fondi strutturali del 1993, giacché sono state introdotte delle nuove misure alcune delle quali a forte connotazione territoriale, come la promozione e/o la creazione di marchi e investimenti a favore di prodotti agricoli e forestali di qualità, ottenuti a livello locale. Nel 1994, poi, a Leader I ha fatto seguito Leader II che è un programma multi fondo in cui è stata posta maggiore enfasi sugli aspetti innovativi dei progetti, i quali dovevano trovare gli orientamenti e le linee guida nei programmi di sviluppo regionale. In tal modo, lo sviluppo rurale è diventato parte integrante di quello regionale, senza considerare che tra gli obiettivi perseguiti dal Feoga orientamento figurava anche quello dello sviluppo territoriale con una strategia volta alla diversificazione produttiva, alla valorizzazione ambientale e al miglioramento delle condizioni di vita nelle aree rurali, anche se poi gli interventi effettivamente condotti sono risultati molto modesti.
Un’altra significativa svolta nella politica di sviluppo rurale è avvenuta alla fine degli anni Novanta: in seguito al documento strategico denominato “Agenda 2000”6 lo sviluppo rurale da mero obiettivo della politica strutturale è diventato anche uno dei pilastri della Pac (il secondo), mentre la politica che era esclusivamente rivolta alle aree svantaggiate, si è trasformata in una politica a favore dell’intero territorio europeo, cioè in una politica per l’adattamento strutturale delle regioni dell’UE (Inea 1999).
Con il Reg. CEE 1257/99 si è cercato di porre lo sviluppo rurale al centro della Pac, finalizzando a tale processo tutti gli strumenti della politica strutturale, nell’ipotesi di una riforma della stessa Pac, alla luce di un progressivo ridimensionamento della componente “mercato” dell’intervento comunitario in agricoltura (Inea 2000). I principi guida di questa ulteriore nuova politica sono – oltre alla concentrazione e all’integrazione – il decentramento delle responsabilità e la flessibilità della programmazione, basata su un insieme di azioni che devono essere finalizzate e implementate secondo gli specifici bisogni degli Stati membri e delle Regioni, riflettendo la diversità delle aree rurali (European Commission 2003)7. Le innovazioni introdotte nel citato regolamento sono portatrici di una svolta importante nella politica rurale: infatti, si è allargata in modo significativo la sfera d’azione del Feoga orientamento, in quanto può finanziare anche azioni di sviluppo che esulano da una dimensione meramente settoriale e che in precedenza erano a carico del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), come – ad esempio – le misure di diversificazione (ex art. 33 del regolamento allora vigente).
Infine, nel maggio 2000 a Leader II subentra Leader plus che, coprendo il periodo 2000-2006 ed essendo esteso all’intero territorio rurale dell’UE, ha confermato e rafforzato l’approccio bottom-up e i principi di partenariato, innovazione, sviluppo integrato, rete e cooperazione, al fine di completare e rinforzare la politica di sviluppo rurale dell’UE (European Commission 2003). In più, ha unificato nel Feoga orientamento la fonte di finanziamento d’interventi che prima rientravano nella sfera del Fesr o del Fondo sociale europeo (Fse), anche se coll’adozione del monofondo se da un lato si è resa più semplice e lineare la realizzazione degli interventi, dall’altro si è finito per abbandonare il precedente approccio dell’integrazione delle politiche, facendo sorgere l’esigenza di un loro coordinamento.
La nuova politica per lo sviluppo rurale è venuta così configurandosi in tale contesto come volta a realizzare un processo di crescita dei sistemi socio-economico-territoriali o locali, assumendo un ruolo decisamente maggiore nell’ambito sia della Pac che della politica regionale (Inea 2000). Infatti, essa è stata configurata anche in termini di equità quale strumento teso a controbilanciare il ridimensionamento del sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli e, al tempo stesso, a valorizzare funzioni sociali e ambientali che non sono remunerate dal mercato (Falessi, Marotta 2003, pp. 24-36).
Il presente
Nel corso della prima metà del decennio scorso, l’UE ha avviato una generale riforma sia delle modalità di finanziamento della Pac, sia delle misure strutturali per lo sviluppo rurale, con la quale si puntava a definire, per il periodo 2007-2013, un adeguato quadro normativo per un nuovo modello di sviluppo rurale, alla luce dell’intervenuta estensione dell’orizzonte finanziario della Pac al 2013 e del dibattito ormai avviato sulle prospettive finanziarie dell’UE per l’attuale periodo di programmazione (Pareglio 2007).
Il risultato di tutto ciò è costituito da una serie di provvedimenti, il primo dei quali è il Reg. (CE) 1290/2005, con il quale – nel definire un quadro giuridico unico per il finanziamento delle spese connesse alla Pac – sono stati istituiti due nuovi fondi: il Fondo europeo agricolo di garanzia (Feaga) e il già menzionato Feasr. E’ quest’ultimo che finanzia i programmi di sviluppo rurale, definiti e attuati secondo la normativa di settore e in base a stanziamenti differenziati, in analogia a quanto avviene per gli altri fondi a finalità strutturale (come il Fesr, il Fse e il Fondo di coesione), a cui il Feasr risulta assimilabile per i vari istituti gestionali da esso previsti.
Al citato regolamento fa pressoché immediato seguito il Reg. (CE) 1698/2005 specificamente rivolto al sostegno dello sviluppo rurale da parte del Feasr. Questo provvedimento, oltre a concretizzare il disegno di un’unica base giuridica, di un unico fondo e di un’unica programmazione per lo sviluppo rurale, fa propri alcuni principi dei fondi strutturali, quali: la programmazione pluriennale, il cofinanziamento, il partenariato, le strutture di gestione e di valutazione, gli stanziamenti dissociati e il disimpegno automatico.
Nella programmazione dello sviluppo rurale, però, va considerato che il Feasr svolge una funzione complementare rispetto agli interventi nazionali, regionali e locali volti ad attuare le priorità comunitarie. É compito della Commissione e degli Stati membri assicurare la coerenza tra gli interventi del Feasr e l’insieme delle attività e delle politiche dell’UE, specialmente per quanto attiene agli obiettivi della coesione economica, sociale e territoriale, del sostegno della pesca, nonché delle misure finanziate dal Feaga. Inoltre, deve essere garantito il coordinamento del sostegno assicurato dai vari fondi comunitari, ivi compresi la Banca Europea di Investimenti (Bei) e gli altri strumenti finanziari minori.
Tale coerenza è assicurata da un insieme di documenti programmatici (dagli Orientamenti strategici comunitari – Osc – ai Programmi regionali di sviluppo rurale – Psr –), riconducibili ad un approccio strategico. Infatti, il regolamento in esame, pur senza negare la sua ottica settoriale, dedica una particolare attenzione all’impostazione strategica della rinnovata politica di sviluppo rurale, giacché tale accento può ulteriormente valorizzare la già acquisita dimensione territoriale del secondo pilastro della Pac. Più specificamente, tra gli altri compiti assegnati agli Osc per lo sviluppo rurale vi è anche quello di garantire la coerenza con le altre politiche dell’UE, in particolare con le politiche della coesione e dell’ambiente, per cui tra le sei priorità assegnate allo sviluppo rurale la sesta riguarda proprio la complementarità tra gli strumenti comunitari. Di conseguenza, mentre gli Osc prevedono lo sviluppo di sinergie tra la politica dello sviluppo rurale, la politica strutturale e quella dell’occupazione, agli Stati membri spetta il compito di garantire complementarità e coerenza tra le azioni finanziate dai diversi fondi strutturali e attuate in uno specifico territorio o settore di attività.
Questa riforma dello sviluppo rurale e della Pac, più in generale, è strettamente connessa all’adozione, avvenuta nel dicembre 2005, delle prospettive finanziarie 2007-2013 proposte dalla Commissione. Per consentire un utilizzo più efficace delle risorse, rendendo più flessibile il sistema finanziario e contabile comunitario, la Commissione ha individuato cinque principali rubriche di spesa – corrispondenti agli obiettivi prioritari dell’azione politica per tale settennio – in luogo delle otto rubriche adottate nel precedente periodo 2000-2006 (Pareglio 2007). Delle nuove rubriche la seconda riguarda lo sviluppo sostenibile, vale a dire la conservazione e gestione delle risorse naturali, che comprende – oltre alle politiche comuni dell’agricoltura e della pesca – anche lo sviluppo rurale e le misure ambientali.
La politica di coesione, invece, rientra nella rubrica 1 (crescita sostenibile), per cui è stata nettamente distinta da quella dello sviluppo rurale che nel frattempo è diventata autonoma dal punto di vista finanziario grazie all’istituzione del Feasr. Tale distinzione, a nostro avviso, risulta alquanto inopportuna, dal momento che uno dei principali temi affrontati nell’ambito della dimensione territoriale della politica di coesione è rappresentato proprio dal sostegno alla diversificazione economica delle aree rurali, delle aree di pesca e di quelle con svantaggi naturali8. Diventa così fondamentale l’integrazione tra la politica di coesione e gli interventi finanziati dal Feasr (oltre che dal Fep), tenuto anche conto del fatto che tra le specificità territoriali per le quali il Reg. (CE) 1080/2006 contiene delle disposizioni relative al Fesr, figurano proprio le zone rurali, per cui a sua volta questo fondo deve coordinarsi soprattutto con l’asse 3 del Feasr, centrato sulla qualità della vita in tali zone e sulla diversificazione dell’economia rurale.
Un altro elemento che ha assunto un particolare rilievo nell’attuale periodo di programmazione è l’evoluzione (o, secondo alcuni, l’involuzione) del cosiddetto “approccio Leader”9. Infatti, il quadro delle nuove norme comunitarie a sostegno dello sviluppo rurale nel periodo di programmazione 2007-2013 prevede un’ampia e definitiva valorizzazione dell’approccio Leader attraverso una sua diretta implementazione nell’ambito della programmazione generale delle strategie e degli interventi. L’approccio Leader, come definito nel Reg. (CE) 1698/2005, viene quindi trasposto in termini di asse metodologico (Asse IV) e attivato come qualificante strumento strategico degli interventi per lo sviluppo rurale nel periodo in corso. Ai sensi del citato regolamento la strategia associativa di sviluppo locale è posta in essere da Gruppi di azione locale (Gal), per cui i soggetti attuatori dell’Asse 4 sono rappresentati appunto dai Gal.
Infine, sulla base anche dell’esperienza maturata a livello regionale nei precedenti periodi di programmazione, il Programma di sviluppo rurale (Psr) 2007-2013 recepisce e valorizza la metodologia Leader, ampliandone la potenziale valenza e la ricaduta territoriale rispetto alla precedente fase Leader+, per innescare significativi “effetti di processo e di sistema”.
Una verifica degli effetti concretamente prodotti da tale approccio e delle implicazioni derivanti può essere in qualche misura colta, in via esemplificativa, dalla specifica esperienza registrata in Italia, facendo riferimento anche alla successiva trasposizione dei dettami regolamentari nel Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale.
Coerenza e complementarità tra politica di sviluppo rurale e politica di coesione nell’esperienza italiana
Per quanto riguarda l’esperienza registrata in Italia circa l’integrazione tra politica dello sviluppo rurale e politica di coesione sono molto poche sia le valutazioni ex post per il periodo di programmazione 2000-2006, sia quelle ex ante relativamente al periodo tuttora in corso. Particolarmente interessanti, dunque, sono quelle effettuate da Raimondo e Lucatelli (2007), secondo le quali, in generale, si è rilevata una scarsa integrazione tra gli interventi finanziati dai diversi Fondi, sia per le regioni del Centro-Nord sia, anche se in misura minore, per le regioni del Mezzogiorno.
Invece, per quanto attiene all’obiettivo del miglioramento della competitività dei sistemi agricoli e agro-industriali in un contesto di filiera, perseguito dalla politica di sviluppo rurale, mancano valutazioni circa la rispondenza delle politiche di rete attuate nel settennio – in particolare, la politica dei trasporti e della logistica – con le esigenze della filiera agro-alimentare, con particolare attenzione allo spostamento delle merci a livello internazionale, interregionale e locale10.
In compenso, per le autrici citate la politica italiana di sviluppo rurale nel periodo 2000-2006 aveva ancora un carattere fortemente settoriale e faticava a diventare una politica trasversale, legata al territorio. Infatti, la maggior parte degli interventi in favore dei territori rurali era ancora costituita da incentivi destinati alle aziende agricole che erano le principali beneficiarie di questi programmi11, mentre altri soggetti, altrettanto importanti, quali Comuni, gruppi di Comuni, Gal, altri operatori economici e popolazioni rurali, hanno beneficiato in maniera marginale di tale politica, tanto che le esperienze più innovative, cioè quelle mirate a integrare le risorse sul territorio e a creare alternative di diversificazione economica, sono purtroppo rimaste marginali.
Dopo l’uscita dello sviluppo rurale dall’azione della politica di coesione, avvenuta con l’istituzione del Feasr, si è ovviamente prestata maggiore attenzione alla loro interconnessione in sede di programmazione. Pertanto, nel Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale 2007-2013 del nostro paese, si sostiene che – ai sensi della vigente normativa comunitaria – è necessario procedere a una programmazione delle singole politiche coerente e complementare, oltre che fortemente integrata in termini di obiettivi e di strategie d’azione12. Nello stesso tempo, però, è anche necessario definire i diversi campi d’azione delle due politiche, definendo una chiara demarcazione fra gli interventi finanziati dal Feasr e quelli finanziati invece dai Fondi strutturali (Fesr e Fse). Inoltre, si rimarca che se la politica di sviluppo rurale è finalizzata a intervenire in uno specifico settore produttivo, essa è tesa anche al complessivo sviluppo socio-economico dei territori, nonché alla protezione dell’ambiente e delle identità culturali locali. D’altro canto, la politica di coesione deve adottare una strategia d’intervento che tocchi anche temi e settori cruciali per lo sviluppo rurale, agro-industriale e forestale, contribuendo tra l’altro al completamento della filiera produttiva.
Pertanto, vengono definiti da un punto di vista operativo gli ambiti di complementarità tra la politica di sviluppo rurale e la politica di coesione, individuando alcuni criteri generali di demarcazione tra i fondi, organizzati sulla base delle priorità d’intervento stabilite dalla politica di sviluppo rurale. Infine, vengono individuati i seguenti ambiti di complementarità e demarcazione: le infrastrutture territoriali; la ricerca; la formazione; la logistica e le energie rinnovabili (Commissione europea, Mipaaf 2010)13.
Dal canto suo, il Quadro Strategico Nazionale della politica di coesione 2007-2013 individua una serie di temi chiave per i quali l'integrazione tra questa politica e quella dello sviluppo rurale è considerata una condizione fondamentale per il raggiungimento dello sviluppo regionale (Raimondo, Lucatelli 2007)14. Il Qsn individua dunque i campi di attività in cui è prioritario perseguire l'integrazione tra le due politiche, distinguendo per obiettivi e individuando - sul “piano alto della strategia” - una ripartizione tra cosa dovrebbe fare la politica di sviluppo rurale e cosa quella di coesione. Per quanto riguarda l'obiettivo “Competitività della filiera agro-alimentare”, previsto dal Regolamento comunitario sullo Sviluppo Rurale e dagli Orientamenti Strategici della Commissione, il Qsn individua come prioritaria l'integrazione nei seguenti campi di attività: innovazione; ricerca e sviluppo; infrastrutture e logistica e capitale umano.
In relazione all'obiettivo del miglioramento della gestione del territorio e dell'ambiente, invece, vengono individuati i seguenti campi di attività: i) miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni rurali; ii) miglioramento della commercializzazione dei prodotti locali; iii) valorizzazione in modo integrato delle risorse umane, naturali e culturali, comprese quelle paesaggistiche e delle produzioni di qualità.
Per quanto riguarda l'obiettivo dello sviluppo rurale, il Qsn accoglie e integra le indicazioni e gli Orientamenti strategici dell'Unione europea in relazione allo sviluppo rurale, venendo ad affermare che la politica di coesione potrà impegnarsi nelle seguenti direzioni: migliorare l'offerta e l'accesso dei servizi essenziali nelle aree rurali (con particolare attenzione a quelle marginali), anche attraverso la realizzazione di infrastrutture materiali e immateriali che siano strumento di facilitazione per l'accesso ai servizi stessi e consentano dunque di rallentare lo spopolamento e di favorire lo sviluppo di nuove attività; nonché mettere in atto adeguate politiche per il miglioramento dei livelli di istruzione nelle aree rurali, in coordinamento e con un ruolo aggiuntivo rispetto alla politica ordinaria per il lavoro regolare, l'occupazione, le pari opportunità di genere e per l'istruzione.
Oltre a questi riferimenti espliciti riportati nella sezione del Qsn dedicata all'integrazione tra la politica di sviluppo rurale e quella di coesione, le aree rurali sono richiamate più volte come aree di intervento prioritario nell'ambito delle diverse priorità, come – ad esempio – in quelle dell’inclusione sociale e i servizi per la qualità della vita e l’attrattività territoriale, della diffusione delle Ict, del miglioramento e la valorizzazione delle risorse umane e, infine, in quella dedicata alle reti e al miglioramento della mobilità.
Infine, va ricordato che ci sono parti importanti del documento programmatico della politica di coesione che, sebbene non prevedano un riferimento esplicito alle aree rurali e non abbiano incluso il riferimento territoriale nell'esplicitazione delle loro strategie, molto presumibilmente avranno un impatto positivo sulle stesse15.
Quale relazione fra sviluppo rurale e coesione nel prossimo periodo di programmazione?
Poiché la Commissione europea nell’autunno dell’anno scorso ha presentato – alla luce della verifica circa lo stato di salute della Pac (il cosiddetto Health Check) – le sue proposte di regolamento per il periodo di programmazione 2014-202016, a questo punto pare quanto mai opportuno chiedersi quale sarà la relazione che verrà instaurata fra la politica di sviluppo rurale di cui al secondo pilastro della stessa Politica agricola, e la politica di coesione economica, sociale e territoriale nel prossimo settennio (Frascarelli, 2012).
Relativamente ai Psr, la proposta di regolamento sullo sviluppo rurale conferma l'approccio strategico introdotto con il regolamento (CE) n. 1698/2005, ma prevede adeguamenti alla luce dell'esperienza maturata nel frattempo. Infatti, sono confermati gli obiettivi strategici di lungo periodo (contribuire alla competitività del settore agricolo, alla gestione sostenibile delle risorse naturali e all’azione per il clima, a uno sviluppo equilibrato delle zone rurali) che, intersecandosi con tre obiettivi orizzontali (innovazione, ambiente e cambiamenti climatici) si tradurranno nelle seguenti sei priorità: 1) trasferimento delle conoscenze e innovazione; 2) competitività dell'agricoltura e redditività delle aziende agricole; 3) organizzazione della filiera agroalimentare e gestione dei rischi aziendali; 4) preservazione degli ecosistemi dipendenti dall'agricoltura e dalle foreste; 5) uso efficiente delle risorse e passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio; 6) inclusione sociale, riduzione della povertà e sviluppo economico delle zone rurali. É appena il caso di sottolineare come quest’ultima priorità, sostanzialmente avulsa dal contesto agricolo, tenda di fatto a coincidere con una parte rilevante della politica di coesione, nei suoi risvolti sia economici che sociali, così come risulta evidente anche dalle tre azioni chiave per essa previste: a) favorire la diversificazione, la creazione di nuove piccole imprese e l’occupazione; b) stimolare lo sviluppo locale nelle zone rurali; c) promuovere l’accessibilità, l’uso e la qualità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle zone rurali.
La proposta del nuovo regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale introduce poi delle innovazioni, soprattutto per quanto riguarda l'architettura degli strumenti di programmazione, che sono strettamente collegate a un'altra proposta legislativa presentata (nell’ottobre 2011) dalla Commissione europea, cioè quella relativa alle disposizioni comuni sui Fondi strutturali, sul Feasr e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp)17.
Quest'ultima proposta prevede l'elaborazione da parte della Commissione di un Quadro Strategico Comune (Qsc) nel quale tradurre in azioni chiave gli obiettivi generali e specifici della strategia dell'Unione europea per una "crescita intelligente, sostenibile e inclusiva" come definita dalla comunicazione "Strategia Europa 2020".
Questa importante novità implica una maggiore coerenza con le altre politiche dell’UE. Infatti, in linea con gli obiettivi della strategia comunitaria Europa 2020, la futura politica di sviluppo rurale dovrebbe funzionare in modo coordinato e complementare sia al primo pilastro della Pac sia agli altri fondi dell’Unione. Ciascun Fondo, conformemente alla propria missione, concorrerà al raggiungimento di una decina di obiettivi tematici: ricerca, Ict, competitività, sostenibilità ambientale, sistemi di trasporto sostenibile e infrastrutture di rete, occupazione, inclusione sociale, formazione, efficienza della pubblica amministrazione.
L'impegno dei singoli Fondi del Qsc sarà sancito – così come proposto nel Rapporto Barca (Barca, 2009) – in un Contratto di partenariato (CP) fra la Commissione europea e ogni Stato membro, che verrà elaborato in cooperazione con le autorità regionali e locali, le parti economiche e sociali e gli organismi che rappresentano la società civile. I CP adotteranno un approccio integrato allo sviluppo territoriale e comprenderanno obiettivi basati su indicatori concordati e investimenti strategici.
Figura 1 - Il nuovo contesto per lo sviluppo rurale
Fonte: Commissione europea, da Castellano (2011)
La nuova architettura che ne dovrebbe risultare, può essere schematicamente rappresentata nel precedente prospetto (Figura 1) dal quale emerge la necessaria coerenza nell’attuazione della politica di sviluppo rurale e di quella di coesione (finanziata coi fondi strutturali), le quali costituiranno i principali strumenti mediante i quali attuare il Quadro strategico comune, finalizzato a realizzare la strategia Europa 2020, vale a dire la politica per lo sviluppo socio-economico dell’UE.
Infine, si evidenzia come lo sforzo di semplificazione e armonizzazione delle regole della Pac implichi regole comuni sia in rapporto agli altri fondi UE, tramite il cosiddetto regolamento "ombrello", sia all'interno della Pac stessa, con il nuovo regolamento "orizzontale" a cavallo tra pagamenti diretti e sviluppo rurale18.
La proposta della Commissione europea di riforma della Pac mantiene la struttura in due pilastri nel segno della continuità ma anche della semplificazione, dedicando un intero regolamento alla disciplina di molteplici norme generali della Pac. Il tentativo è quello di armonizzare, dove possibile, le regole di finanziamento, gestione e controllo del Feaga e del Feasr, e prevedere disposizioni di base unitarie su temi trasversali fra i due pilastri quali la condizionalità e il sistema di consulenza aziendale. Si tratta in linea generale di conferme rispetto all'impianto normativo attualmente vigente, ma con talune novità sia per gli agricoltori sia per le amministrazioni chiamate ad attuare la Pac, come nel caso della razionalizzazione della condizionalità o della previsione di estensione del sistema di monitoraggio e valutazione anche al primo pilastro.
Conclusione
Per rafforzare le considerazioni formulate alla fine del precedente paragrafo circa l’esigenza di armonizzare le norme che regolano il funzionamento delle varie politiche dell’UE, vale la pena di fare un piccolo passo indietro dal punto di vista temporale per considerare un ulteriore elemento, che, sebbene rientri in una disciplina diversa da quelle finora privilegiate, cioè quella territoriale, appare del tutto coerente con il nuovo approccio recentemente individuato sia per la Pac, nel suo complesso, sia e soprattutto per la politica di sviluppo rurale (De Castro, 2010, Mantino, 2008 e 2011)19. Tra il 2008 e il 2009, infatti, la Direzione generale della politica regionale della Commissione europea (DG Regio) aveva promosso uno studio conoscitivo sui rapporti tra aree urbane e rurali proprio al fine di valutare in che modo territori rurali e urbani insieme possono cercare di raggiungere i comuni obiettivi della competitività territoriale, dello sviluppo sostenibile e della coesione sociale (Toccaceli, 2010).
Come noto, fino ad allora, erano state adottate politiche differenti per far fronte alle diverse problematiche in questi due ambiti territoriali. Nel corso di tali lavori, invece, è stata articolata una riflessione che conduce al superamento di quest'approccio. In buona sintesi, la tesi esposta, che è stata discussa e anche esemplificata attraverso numerosi casi di studio, è che le aree urbane e rurali in realtà sono unite da un legame funzionale d'interdipendenza che in passato collegava interessi contrapposti, ma che oggi è possibile e più utile che si configuri come relazione di cooperazione rispetto a comuni obiettivi di sviluppo sostenibile. In termini squisitamente politici, l'attuazione di questo diverso approccio potrebbe significare l'unione delle politiche per gli spazi rurali e urbani sotto l'unico denominatore delle politiche territoriali.
Tra tutte le indicazioni emerse quella forse più rilevante è che laddove si è sviluppata una positiva collaborazione, si è finito per perdere la contrapposizione fra urbano e rurale, per lasciare spazio a una percezione di problematiche semplicemente territoriali, passando da un approccio alle questioni territoriali, imperniato sulle competenze, a uno invece orientato sui problemi20. Per trasferire queste esperienze a livello d’intero territorio europeo, occorrerebbe “riunire i fili” delle varie politiche, focalizzandosi su aree funzionali per conseguire uno sviluppo sostenibile regionale e disegnare finalmente una vera politica territoriale europea 21.
Allo stato attuale, lo sforzo di “riunire i fili” delle politiche potrebbe essere compiuto attraverso la ricerca di una migliore complementarità e di un maggior coordinamento proprio tra la politica di coesione e quella di sviluppo rurale. Infatti, benché la politica di coesione impieghi molte risorse in favore dei territori rurali, le difficoltà incontrate nel coordinamento delle politiche e nell'uso coordinato delle risorse finanziarie rischiano di ridurre l'efficacia complessiva dell'azione politica.
A questo proposito, va anche considerato che tuttora nel secondo pilastro della Pac sono riunite misure settoriali (primo e secondo asse) e territoriali (terzo e quarto asse), ma in futuro si potrebbe lasciare alla Pac il ruolo di politica settoriale, con il secondo asse come misure di accompagnamento, mentre le misure territoriali potrebbero trovare più adeguata collocazione nell'ambito della politica regionale22.
Sempre in merito alle relazioni tra aree urbane e rurali, si deve anche ricordare che dovranno trovare soluzione diversi aspetti tecnici che risultano ancora piuttosto problematici. In primo luogo, poiché non è facile fornire una precisa definizione di aree urbane e rurali e delle diverse tipologie di rapporti che si possono stabilire tra loro, si tratta di valutare l’opportunità del suggerimento di introdurre un’unica tipologia di “aree deboli”, che potrebbero essere individuate attraverso l'utilizzo dei medesimi parametri strutturali in tutti i fondi, sebbene questo approccio che semplifica alcuni problemi, tenda a eludere un’efficace definizione di area funzionale. In secondo luogo, va stabilito il livello territoriale più adeguato per il coordinamento delle due politiche. Secondo alcuni (Pasca-Raymondo, 2007), la politica di coesione e quella di sviluppo rurale necessiterebbero di un coordinamento centralizzato, anche se hanno dimostrato di prestarsi ad una governance multilivello che ha consentito l'assunzione di decisioni e responsabilità al livello più adeguato23.
Tuttavia, l’elemento che a nostro avviso risulta decisivo ai fini dell’evidenziazione delle connessioni tra politica di sviluppo rurale e politica di coesione, consiste nelle implicazioni socio-economiche e territoriali derivanti dall’allargamento dell’UE a 27 Stati membri. In proposito De Castro (2010) ha affermato che, in seguito a tale mutamento politico-istituzionale, “l’incidenza delle aree classificate come rurali è aumentata fino a comprendere il 90% del territorio e circa il 50% della popolazione comunitaria. Così anche il contesto rurale europeo si è arricchito di nuove sfumature e di più ampie differenze sociali ed economiche. Alcune aree soffrono condizioni geomorfologiche difficili e sono caratterizzate da dinamiche di declino socio-demografico, mentre altre, soprattutto nei pressi dei grandi centri (urbani), sono soggette alle pressioni espansive delle grandi città e all’inevitabile competizione nell’uso dei suoli” (p. 126). In tali aree, dunque, il secondo pilastro della Pac deve continuare a essere un argine rispetto ai fenomeni di spopolamento e depauperamento ambientale. Questo può essere ottenuto favorendo attività agricole rispettose dell’ambiente, capaci di valorizzare le specificità territoriali, ma anche attraverso azioni più incisive nella promozione della diversificazione delle economie locali, al fine di consentire loro di svolgere un ruolo sempre più attivo delle suddette aree nella prestazione di servizi economici e sociali, da parte di tutte le componenti dell’economia rurale.
In tal modo appare evidente – almeno a nostro avviso – che la finalità propria che è venuta assumendo la politica di sviluppo rurale e che le dovrebbe essere riconosciuta è del tutto analoga a quella già attribuita alla politica di coesione e da questa svolta al di fuori delle aree rurali. In altre parole, la maggiore differenza che connoterebbe le due politiche non è costituita tanto dalla presunta settorialità della politica di sviluppo rurale, quanto dai diversi contesti territoriali in cui esse operano. Si spera, dunque, che almeno nel settennio 2014-2020 tale constatazione venga colta, anche in base alle effettive realizzazioni che i vari soggetti responsabili delle due politiche (dalle Amministrazioni pubbliche locali fino agli imprenditori e agli altri stakeholder) nel corso dello stesso periodo si dimostreranno capaci di conseguire.
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- 1. Si ringraziano due anonimi referee per le puntuali osservazioni critiche che hanno formulato, giacché hanno consentito di migliorare la precedente versione del lavoro. Ovviamente, la responsabilità di quanto in esso sostenuto rimane interamente dell’autore.
- 2. Ci si riferisce, in particolare, a: Fanfani e Brasili (2003), Hoffmann (2006) e Mantino (2008).
- 3. Anche per Falessi e Marotta (2003) uno degli elementi più innovativi della strategia d’intervento nelle aree rurali delineata nella comunicazione della Commissione è costituito dall’approccio “integrato” che introduce una dimensione spaziale nell’analisi dei fenomeni economici, implicando conseguentemente l’abbandono della logica settoriale a favore di quella integrata, la quale assume appunto il territorio come oggetto d’intervento. Nello sviluppo integrato delle aree rurali l’agricoltura mantiene in ogni caso un ruolo centrale.
- 4. Si ricorda che gli obiettivi 5a e 5b costituivano gli ultimi due obiettivi prioritari di sviluppo perseguiti dalla politica di riequilibrio regionale in seguito alla nota riforma dei fondi strutturali adottata nel 1988.
- 5. Le aree ricadenti nell’Obiettivo 1 erano costituite dalle regioni aventi un Pil pro capite inferiore al 75% della media comunitaria, mentre le aree ricadenti nell’Obiettivo 5b erano le zone rurali.
- 6. In tale documento vengono sottolineati gli elementi distintivi e caratterizzanti il “modello di agricoltura europeo”, nonché il ruolo funzionale delle aree rurali nel modello di sviluppo sostenibile dell’UE. La politica di sviluppo rurale, oltre ad essere consacrata come il secondo pilastro della Pac, viene così ad assurgere – sempre secondo Falessi e Marotta (2003) – al rango di uno degli strumenti strategici per il raggiungimento della coesione economica e sociale dell’UE.
- 7. Le numerose misure ivi previste sono raggruppabili in tre principali categorie (ristrutturazione e competitività, gestione ambientale e della terra, ed economie e comunità rurali), mentre gli interventi per lo sviluppo rurale nelle zone svantaggiate trovano collocazione nel nuovo Obiettivo 1 della politica di coesione, che riguarda le regioni in ritardo di sviluppo, e nel nuovo Obiettivo 2, relativo alle zone di riconversione economica e sociale.
- 8. Gli altri due temi sono il contributo delle città alla crescita e all’occupazione, da un lato, e la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale, dall’altro.
- 9. Per approccio Leader s’intende una strategia di sviluppo locale comprendente almeno i seguenti elementi: (a) programmi territoriali destinati a territori rurali ben definiti, di livello sub-regionale; (b) approccio dal basso verso l’alto, con gruppi di azione locali dotati di potere decisionale in ordine all’elaborazione e all’attuazione di una strategia di sviluppo locale; (c) partenariato pubblico-privato sul piano locale; (d) approccio globale multisettoriale basato sull’interazione tra operatori e progetti appartenenti a vari settori dell’economia locale; (e) implementazione di approcci innovativi; (f) realizzazione di progetti di cooperazione; (g) collegamento in rete di più partenariati locali.
Poiché Leader interviene sui problemi tradizionalmente legati ai territori rurali, come l’invecchiamento della popolazione e l’esodo rurale, il suo intento è di potenziare lo sviluppo rurale e incentivare nuove attività e fonti di occupazione. Devono quindi essere forti il coinvolgimento dei protagonisti locali e lo scambio delle esperienze tramite l’istituzione di reti e anche la promozione di eventi a sostegno di titolari di piccoli progetti. Nell'attuazione dei progetti Leader sono frequentemente presenti alcuni problemi legati alla pletora di procedure, ai ritardi nell'assegnazione dei soggetti beneficiari, alla frammentazione delle risorse finanziarie e alla costituzione di partenariati fragili. - 10. In proposito non va comunque dimenticato il lusinghiero giudizio espresso da Sotte (2007), secondo il quale fino al periodo di programmazione 2000-2006, i fondi strutturali della politica di coesione hanno dimostrato di essere in grado di migliorare le condizioni socio-economiche dei territori rurali, ivi incluso il settore agricolo nel lungo periodo, in modo forse più efficace di quanto abbia fatto la stessa politica di sviluppo rurale.
- 11. In merito, sembra opportuno precisare che anche le politiche settoriali, se ben programmate e implementate, potrebbero produrre positivi effetti sullo sviluppo territoriale: infatti, un aumento della competitività aziendale normalmente procura un miglioramento del reddito aziendale, dal quale potrebbe derivare una maggiore e/o migliore occupazione all’interno delle aziende agricole, la quale a sua volta comporta un miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni ubicate nelle zone rurali.
- 12. Per un’analisi critica del Piano strategico italiano si rinvia a De Filippis, Sotte (2006), in cui – oltre a definire lo sviluppo rurale come uno sviluppo locale integrato – si sottolinea il rilievo dell’approccio strategico e della programmazione integrata.
- 13. Per Raimondo e Locatelli (2007), però, nonostante gli indubbi passi in avanti l’attuale Piano nazionale per lo sviluppo rurale resta un documento fortemente settoriale, tanto da non sembrare in grado di garantire quel coordinamento tra diverse politiche considerato fondamentale per far avanzare l’intervento in favore dei territori rurali.
- 14. Si sottolinea che l'individuazione di queste Priorità per l'integrazione costituisce il risultato di un lungo processo di concertazione: orizzontale tra Mipaaf, Mise e le altre Amministrazioni centrali di riferimento, e poi anche allargato alle Regioni e alle parti economiche e sociali interessate.
- 15. Nel Rapporto 2008-2009 dell’Inea si segnala che anche in altri paesi dell’UE vengono destinate consistenti risorse ai territori rurali tramite le politiche di coesione programmate per il periodo 2007-2013, ma senza un effettivo coordinamento; cfr. Inea (s.d.).
- 16. Si segnala che per quanto riguarda lo Sviluppo rurale dall’Health Check derivano quattro nuove impegnative sfide: (1) cambiamenti climatici e rispetto del protocollo di Kyoto; (2) energie rinnovabili; (3) gestione delle risorse idriche; (4) biodiversità.
- 17. La proposta di istituire questo nuovo Fondo è stata avanzata dalla Commissione nell’ambito delle varie modifiche stabilite per il periodo 2014-2020.
- 18. Come noto, il regolamento orizzontale punta ad armonizzare alcune disposizioni applicative tra I e II pilastro dalla condizionalità alla consulenza, al controllo e monitoraggio.
- 19. Secondo De Castro (2010), in particolare, l’approccio seguito dall’UE nel suo intervento a favore dello sviluppo rurale si è evoluto col passare dei decenni, portando in primo piano l’elemento territoriale rispetto a quello settoriale. Si sono così affermati e consolidati nel tempo alcuni principi comprendenti, fra l’altro, la valorizzazione del ruolo multifunzionale delle aziende agricole e la realizzazione di un legame tra agricoltura e territorio, finalizzato a creare percorsi sostenibili di sviluppo locale. Inoltre, è stato così sancito il ruolo essenziale che le aree rurali rivestono per uno sviluppo equilibrato della società europea.
- 20. Questo sembra confermare quanto già evidenziato nel noto Libro verde sulla coesione territoriale, circa l'importanza di ricorrere a “aree geografiche funzionali”, per definire un insieme di azioni politiche integrate e coordinate per un dato territorio.
- 21. Si ricorda che con l'adozione del Trattato di Lisbona, la coesione territoriale è stata inserita tra gli obiettivi dell'Unione Europea ed è divenuta materia la cui competenza è condivisa tra l'Unione e gli Stati membri.
- 22. In altre parole, si tratterebbe di ritornare alla situazione preesistente all’istituzione del Feasr, avvenuta nel 2005. Tuttavia, è noto che il Commissario all'agricoltura e sviluppo rurale Dacian Cioloş ha dichiarato tutt'altro orientamento rispetto alla politica di sviluppo rurale.
- 23. Infatti, molte scelte sono state operate a livello di ciascun territorio piuttosto che al livello centrale-comunitario o nazionale.