La progettazione integrata per una equa distribuzione nella filiera: l'esperienza del Veneto

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La progettazione integrata per una equa distribuzione nella filiera: l'esperienza del Veneto

Premessa

Il Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale (2010) identifica, tra i fabbisogni prioritari del settore, la necessità di «aumentare la quota di valore aggiunto nell’ambito della produzione». A tale scopo viene proposto di assicurare una «maggiore integrazione all’interno delle filiere produttive per migliorare l’efficienza negli scambi, la trasparenza tra i diversi attori, l’equilibrio nelle relazioni che intercorrono tra settore agricolo, trasformazione e la fase commerciale». Parallelamente il PSN sottolinea l’importanza di garantire «la concentrazione dell’offerta dei prodotti agricoli, in particolare quelli di qualità, per accrescere il potere contrattuale degli imprenditori agricoli e acquisire un maggior equilibrio nelle relazioni all’interno delle filiere».
I Progetti Integrati di Filiera costituiscono una delle tipologie di azioni integrate proposte nell’ambito del PSN che può sicuramente fornire un maggiore contributo sul tema del miglioramento dell’equità della distribuzione del valore tra gli attori delle filiere agroalimentari. Si tratta di approcci nuovi per l’implementazione degli interventi dello sviluppo rurale che la prevalenza delle Regioni si trova a sperimentare per la prima volta. In quest’ambito le Autorità di Gestione (AdG) si misurano con una difficile sfida: riuscire a coniugare inclusività e semplificazione delle prassi procedurali e attuative con la promozione di interventi complessi che garantiscano, oltre ai consueti risultati tangibili (ad esempio nuove infrastrutture aziendali), anche effetti immateriali (ad esempio migliore qualità delle relazioni di filiera) che non sono sempre univocamente e facilmente quantificabili.
Il Veneto è la prima Regione che ha avviato l’implementazione della progettazione integrata di filiera e che - tra le prime - ha concluso l’intero iter procedurale con la pubblicazione del decreto di finanziabilità delle proposte progettuali. Si tratta di una prima esperienza che in questa sede proveremo ad analizzare provando ad approfondire il potenziale nesso che lega questo approccio integrato all’obiettivo del miglioramento dell’equità di filiera.

L’approccio integrato nello Sviluppo Rurale 2007-2013 e i Progetti integrati di filiera

Il PSN inserisce, tra le modalità di accesso agli investimenti, anche la progettazione integrata (Zumpano, 2008). L’adozione di una nuova modalità di attuazione degli interventi dello sviluppo rurale (Pacchetto aziendale, Progetto integrato di filiera (PIF), Progetto integrato territoriali (PIT)) è realizzata con l’obiettivo di identificare nuovi strumenti «che consentano di migliorare, rispetto alle esperienze fin qui realizzate, la programmazione e la gestione degli interventi promossi dalla programmazione 2007-2013 dello sviluppo rurale».
I PIF sono, in particolare, costituiti da un insieme di interventi attuabili mediante il ricorso a più misure del PSR promossi da una aggregazione di soggetti (privati e pubblici) attivi nell’ambito di una determinata filiera produttiva. Gli interventi proposti devono essere coerenti e collegati tra loro e devono contribuire ad un obiettivo strategico di sviluppo di una determinata filiera produttiva regionale.
I PIF sono in grado di rispondere a diversi fabbisogni di settore (competitività del settore agroalimentare, approcci organizzativi innovativi, innovazione e ristrutturazione delle filiere, razionalizzazione delle relazioni di filiera, organizzazione dell’offerta) contribuendo, in particolare, alla promozione di una più equa redistribuzione del valore aggiunto agricolo tra i diversi segmenti delle filiere agroalimentari (Ascione et al., 2011).

L’equità di filiera nei Progetti Integrati di Filiera

L’analisi dei contenuti dei Programmi di Sviluppo rurale (PSR) permette di evidenziare che sono 18 le Regioni che hanno previsto l’utilizzazione dello strumento della Progettazione integrata di Filiera. I dati forniti dalla Rete Rurale Nazionale (2010) permettono di evidenziate che finora sono 12 le Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli V. Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Umbria, Veneto) in cui la procedura PIF è stata attivata. I primi dati sull’attuazione dei PIF mettono in evidenza la consistente mole di risorse finanziarie messe a disposizione dalle Regioni per l’implementazione dell’approccio integrato di filiera (circa 1 miliardo di euro) e l’elevata numerosità delle proposte approvate (285 progetti). Parallelamente si evidenziano criticità connesse alla complessità e ai lunghi tempi di attuazione delle procedure (Tarangioli, 2011).

Equità di filiera e aspetti procedurali nei Progetti Integrati di Filiera

Il contributo che la progettazione integrata di filiera può fornire all’obiettivo del miglioramento dell’equità di filiera dipende dagli accorgimenti procedurali assunti dalle AdG nell’implementazione della procedura PIF. In questa sede ci soffermeremo sull’analisi delle decisione assunte dalle Regioni valutando, in particolare, il contributo che queste scelte forniscono all’obiettivo dell’equità di filiera.

Composizione del partenariato progettuale e caratteristiche del capofila

L’impatto finale di un PIF sull’obiettivo dell’equità di filiera dipende, innanzitutto, dalle caratteristiche del partenariato coinvolto. Una ampia partecipazione degli operatori agricoli permette di generare un effetto moltiplicatore sull’impatto che i PIF hanno sull’equità di filiera. Una elevata numerosità degli operatori ha, infatti, un duplice effetto positivo: da un lato contribuisce alla creazione della massa critica permettendo un recupero del potere di mercato per la componente agricola della filiera dall’altro consente di ispessire il tessuto di relazione tra attori concorrendo a superare l’individualismo che caratterizza le strategia di impresa in agricoltura e a promuovere una cultura di sistema. Anche le caratteristiche del partenariato influenzano l’impatto della progettazione integrata di filiera attraverso diversi aspetti. La presenza di operatori rappresentativi delle diverse fasi della filiera (produzione, trasformazione e commercializzazione) può, infatti, contribuire a migliorare le relazioni di mercato garantendo sbocchi commerciali ai produttori agricoli coinvolti. Anche i settori a valle della filiera agricola possono beneficiare di partenariati progettuali che coinvolgono tutti gli attori di filiera per instaurare relazioni durature che contribuiscano a ridurre i costi organizzativi e di transazione nelle operazioni di approvvigionamento della materia prima. L’impatto della progettazione integrata di filiera sull’equità di filiera è, inoltre, condizionato dalla rappresentatività del partenariato progettuale. L’entità della produzione agricola complessivamente realizzata dagli operatori coinvolti influenza l’impatto che i PIF possono avere sugli aspetti connessi al riequilibrio del potere di mercato e sul miglioramento delle condizione di commercializzazione che caratterizzano i prodotti agricoli. Al riguardo l’identificazione del capofila PIF tra soggetti che svolgono statutariamente una funzione di concentrazione della produzione (Organizzazioni di Produttori, Associazioni di Organizzazioni di Produttori, Associazioni di Produttori, Cooperative, Consorzi) o finalizzati alla promozione di relazioni commerciali (Centro agroalimentare, Mercato Ortofrutticolo, Distretti agroalimentari) può offrire maggiori garanzie in termini di rappresentatività del partenariato progettuale.
L’analisi dei bandi/avvisi finora adottati evidenzia che quasi tutte le Regioni introducono precisi requisiti in merito al numero minimo di componenti per l’ammissibilità del partenariato progettuale. L’Emilia Romagna, il Lazio e le Marche propongono, in particolare, una differenziazione della numerosità dei beneficiari in base al settore produttivo oggetto della proposta progettuale mentre il Friuli Venezia Giulia e il Veneto diversificano il numero minimo di imprese da coinvolgere nel PIF in base anche all’ambito territoriale (montagna, zonizzazione PSR). La Calabria e la Puglia utilizzano, invece, la numerosità dei partecipanti al PIF come criterio di selezione delle proposte progettuali. Interessante, infine, segnalare la scelta assunta dalla Basilicata che introduce un criterio che tiene conto sia della numerosità delle imprese coinvolte sia del valore della produzione agricola complessivamente realizzata dai partner di progetto. Anche la completezza della filiera rappresenta un requisito di ammissibilità per quasi tutte le Regioni. Per la Basilicata, la Campania, il Lazio e il Veneto è necessario che gli interventi proposti dal PIF coinvolgano operatori attivi in tutte le fasi della filiera (produzione, trasformazione e commercializzazione). Per l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana è invece sufficiente che accanto alla fase di produzione agricola sia coinvolto almeno un altro stadio della filiera agroalimentare. Per la Calabria, invece, l’integrazione di tutti i segmenti della filiera produttiva (dalla produzione alla commercializzazione) compare tra gli obiettivi prioritari della progettazione integrata di filiera. Per la Lombardia, infine, il coinvolgimento formale di distributori o di associazioni di consumatori riconosciute a livello regionale rappresenta, invece, criterio di priorità nella selezione delle proposte progettuali.
In merito alla rappresentatività del partenariato alcune Regioni definiscono valori minimi di produzione agricola realizzata/coinvolta come parametro per valutarne l’ammissibilità. Questa decisione è assunta dalla Basilicata e dalle Marche. Il valore della produzione costituisce, invece, criterio di selezione nelle procedure PIF della Campania e della Puglia. La prevalenza delle Regioni non formula, infine, indirizzi stringenti in merito alle caratteristiche del soggetto promotore o del capofila del partenariato progettuale anche nell’ottica di non frapporre specifici ostacoli agli operatori economici interessati alla promozione di esperienze di progettazione integrata di filiera. È interessante segnalare che le procedure adottate da alcune Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Marche e Veneto) valorizzano però il ruolo delle Organizzazioni di Produttori, dei Consorzi di Tutela, dei Distretti agroalimentari, delle cooperative agricole e di consorzi attribuendo a questi soggetti un maggiore capacità di aggregare e di rappresentare i diversi operatori che prenderanno parte alla progettazione integrata di filiera.

Accordo/contratto di filiera ed impegni di fornitura e commercializzazione

I bandi/avvisi emanati dalle Regioni dedicano una specifica sezione alla definizione dei contenuti e delle modalità di formalizzazione dell’accordo/patto che dovrà intercorrere tra i soggetti protagonisti del PIF nell’ottica di garantire il coordinamento degli interventi proposti e l’integrazione del partenariato progettuale. Spesso una sezione specifica dell’accordo/patto è destinata a definire gli obblighi in termini di conferimento/acquisizione della materia prima agricola (contratti vincolanti) assunti dai partecipanti al PIF. La presenza di accordi commerciali nell’ambito delle esperienze PIF può, infatti, promuovere un riequilibrio del potere di mercato tra gli stadi della filiera garantendo migliori e più sicuri sbocchi di mercato alle produzioni agricole realizzate. L’efficacia degli accorgimenti procedurali appare però collegata alla puntuale definizione delle modalità che regoleranno le modalità di acquisto/cessione della materia prima agricola. L’introduzione nell’accordo/patto di clausole relative alle modalità di consegna (scadenze, luogo, modalità di trasporto), al prezzo, ai parametri qualitativi, alle modalità di erogazione dei servizi di assistenza tecnica garantiti dal soggetto acquirente può rappresentare un presupposto fondamentale per la concreta applicabilità delle intese sottoscritte. In questo contesto un ulteriore decisivo contributo al miglior esito degli accordi dovrà necessariamente provenire dall’azione di verifica svolta dall’AdG che dovrebbe essere chiamata a valutare il grado di applicazioni degli impegni sottoscritti dalle parti prevedendo in caso inadempienza a comminare specifiche sanzioni (revoca parziale o totale del finanziamento concesso, obbligo della restituzione delle somme indebitamente percepite maggiorate degli interessi). In questo senso la presenza di format di accordo/patto nell’ambito della documentazione allegata al Bando/Avviso può fornire un concreto contributo alla migliore implementazione della progettazione integrata di filiera (D’Alessio, 2010).
L’analisi delle disposizioni procedurali e delle modalità attuative contenute nei bandi/avvisi evidenzia che quasi tutte le Regioni prevedono la formalizzazione di un accordo tra i partner che promuovono il PIF. Le tipologie di accordo/contratto (Contratto di Filiera per la Basilicata e le Marche, Regolamento per la Calabria, Consorzio di Filiera per la Campania, Accordo per l’Emilia Romagna, Patto di filiera per il Friuli Venezia Giulia, Formale Accordo per il Lazio, la Puglia e la Lombardia, Accordo di Filiera per la Toscana, Organismo di Filiera per l’Umbria e Associazione Temporanea di Impresa per il Veneto) definiscono in maniera più o meno formale gli obblighi e i ruoli dei diversi soggetti nella progettazione integrata di filiera. Al riguardo è opportuno, inoltre, segnalare che l’Emilia Romagna, la Basilicata e le Marche forniscono un format di schema di accordo/contratto nell’ambito della documentazione allegata al Bando/Avviso.
Anche gli impegni di fornitura e commercializzazione sono puntualmente precisati nei Bandi/Avvisi di quasi tutte le Regioni. In questo caso le AdG indicano la percentuale della produzione realizzata dai soggetti agricoli che dovrà essere obbligatoriamente conferita ai soggetti della commercializzazione e/o della trasformazione impegnati nel partenariato di progetto. In questo caso è interessante segnalare che gli obblighi di conferimento/ritiro variano (il 75% per la Campania e l’Emilia Romagna, il 70% per la Basilicata, il 51% per la Toscana e l’Umbria, il 50% per le Marche, il 20% per il Lazio e il Veneto) nelle diverse procedure regionali. Per la Calabria, la Lombardia e la Puglia il livello di conferimento/cessione dei produttori agricoli agli altri soggetti della filiera aderenti al PIF rappresenta un criterio per la selezione delle proposte progettuali.

Criteri di selezione

L’ultimo aspetto considerato riguarda la scelta dei criteri per le definizione della graduatoria di merito dei PIF ammessi a finanziamento. La figura 1 permette di evidenziare l’importanza che l’obiettivo dell’equità di filiera riveste nelle scelte assunte dalla diverse Regioni in merito ai criteri di selezione delle proposte progettuali. A questo risultato si è giunti attraverso un lavoro di analisi delle griglie di valutazione riportate nei bandi/avvisi relativi alla progettazione integrata di filiera nelle 12 Regioni che hanno avviato la procedura PIF. Sono stati, in particolare, selezionati tutti i criteri che valorizzano il contributo che la proposta progettuale è in grado fornire all’impatto della progettazione di filiera sull’obiettivo del miglioramento dell’equità di filiera. La somma complessiva dei punteggi accordati a questi criteri è staa quindi pesata sul totale del punteggio massimo previsto per la valutazione delle proposte progettuali.

Figura 1 - Peso dell’obiettivo Miglioramento dell’Equità di filiera nell’ambito dei criteri di selezione dei PIF nelle Regioni italiane

Fonte: Ns. Elaborazioni

Come si può osservare dalla figura 1 le Regioni assegnano in media il 34% del punteggio complessivo valutando il contributo che le azioni progettuali proposte forniscono complessivamente all’obiettivo del miglioramento dell’equità di filiera. Le Marche sono la Regione che utilizza criteri di selezione che attribuiscono il maggior peso (70%) ad attività finalizzate all’obiettivo dell’equità. Anche Puglia, Toscana, Lazio e Calabria danno un peso mediamente maggiore all’obiettivo del miglioramento dell’equità di filiera nella procedura di selezione delle proposte progettuali. Altre Regioni (Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Veneto), pur dichiarando esplicitamente tra le finalità dei PIF l’obiettivo del miglioramento dell’equità di filiera, attribuiscono minor peso a queste azioni nella selezione delle proposte di progettuali.

I Progetti integrati di Filiera nella Regione Veneto

L’esperienza dei PIF nella Regione Veneto ha preso avvio nel febbraio 2008 (deliberazione n. 199 del 12 febbraio 2008 pubblicata sul BUR n. 18 del 29 febbraio 2008) con l’apertura dei termini del primo bando generale di presentazione Progetti Integrati di filiera agroalimentari. L’iter procedurale (Figura 2) si è concluso con la definizione della graduatoria delle istanze finanziabili approvata nel novembre 2008 (decreto AVEPA n. 39 21/11/2008 pubblicato sul BUR n. 102 del 12/12/2008).

Figura 2 - Progetti Integrati di filiera agroalimentari nella Regione Veneto - FASI PROCEDURALI

Fonte: Ns. Elaborazioni

La Tabella 1 riporta i dati relativi ai risultati dell’istruttoria della prima fase di implementazione dei Progetti integrati di filiera agroalimentare della Regione Veneto. Come si può osservare sono complessivamente 32 le “domande obiettivo” presentate e ritenute finanziabili. Le domande finanziabili riguardano prevalentemente il settore vitivinicolo (31%) e quello lattiero-caseario (19%). Un consistente numero di proposte ammesse si registra anche per l’ortofrutticolo (13%) e le grandi colture (13%).
Le “domande obiettivo” ritenute finanziabili promuovono complessivamente investimenti per circa 270 milioni di euro a fronte dei quali viene richiesto un contributo complessivo di circa 80 milioni di euro (32,4% del totale della spesa ammissibile). È il settore vitivinicolo, in particolare, a promuovere il maggior importo di spesa per investimenti (33%). Investimenti rilevanti in ambito PIF verranno promossi anche per i settori lattiero-caseario (18%), ortofrutticolo (17%), e della carne (13%). In termini di contributo concesso è il settore vitivinicolo a ottenere la migliore performance (32%) seguito dal lattiero-caseario (20%), dal settore ortofrutticolo (18%) e dalla carne (12%).
Le “domande obiettivo” ritenute finanziabili riguardano complessivamente 1.625 aziende. Il settore vitivinicolo registra il numero maggiore di beneficiari (32%) seguito dal lattiero-Caseario (19%) e dal settore ortofrutticolo (17%).

Tabella 1 - I Progetti integrati di filiera agroalimentare nella Regione Veneto – Aspetti finanziari per settore di intervento

Fonte: Ns elaborazioni su dati AVEPA (2010) e Agriconsulting (2010)

La Tabella 2 permette di evidenziare che la misura 114 “Utilizzo servizi di consulenza” è quella più attivata nell’ambito della progettazione integrata di filiera (46%) in Veneto. Più di un terzo (35%) delle imprese prevede, invece, di utilizzare la misura 121 “Ammodernamento aziende agricole” (35%). Più ridotta è invece l’adozione della misura 123 “Accrescimento del valore aggiunto” (9%) e della misura 132 “Partecipazione a sistemi di qualità” (8%). Marginale è infine il ricorso alla misura 111 “Formazione professionale” (1%) e alla misura 133 “Informazione e promozione” (0,5%).

Tabella 2 - I Progetti integrati di filiera agroalimentare nella Regione Veneto – Misure attivate per i progetti esecutivi previsti

Fonte: Ns elaborazioni su dati Agriconsulting (2010)

Per stimare il contributo potenziale che i PIF approvati dalla Regione Veneto forniscono al miglioramento dell’equità di filiera si sono analizzati i contenuti dei 32 piani progettuali presentati1. Lo sforzo analitico svolto in questa sede non ha carattere di esaustività. Per una completa valutazione del contributo dei PIF all’obiettivo dell’equità sarebbe necessario considerare ulteriori aspetti (incrementi in termini di valore aggiunto e reddito aziendale per le aziende beneficiarie dei PIF, qualità dell’applicazione dei contratti di fornitura/vendita, consolidamento dei flussi di materia prima prodotta/acquistata e lavorata dalle imprese PIF, livello dei prezzi) che non possono manifestarsi nell’immediato e che, viceversa, potranno essere valutati nel medio o lungo periodo. L’analisi condotta ha, viceversa, l’obiettivo di soffermarsi su alcuni caratteri delle proposte progettuali presentate nell’ottica di evidenziare aspetti che possono potenzialmente dispiegare un effetto sull’impatto dell’esperienza PIF sul miglioramento dell’equità di filiera.
Il primo aspetto considerato ha riguardo la numerosità e le caratteristiche dei soggetti coinvolti nei piani progettuali. I partenariati di filiera sono mediamente composti da circa 51 soggetti con aggregazioni che si presentano numericamente più consistenti nei comparti ortofrutta (70) e grandi colture (68). Le imprese agricole costituiscono quasi il 90% dei partecipanti e attivano un volume d’investimenti di circa 96 milioni di euro (39,1% del volume totale d’investimenti attivato dai PIF). Le imprese di trasformazione e commercializzazione che partecipano ai PIF sono 173 ed attivano il 58,2% del volume complessivo d’investimento. Analizzando le caratteristiche in termini di natura giuridica dei soggetti industriali e commerciali partecipanti si nota che il 41% delle imprese industriali sono cooperative. Il 40,1% sono, invece, società di capitale, Srl e Spa, mentre la restante parte è costituita per il 12,3% da società di persone e per il 3,7% da ditte individuali.
Il secondo aspetto considerato riguarda le caratteristiche del soggetto proponente. In questo caso si rileva che i proponenti dei PIF sono per il 41% cooperative o consorzi mentre il 22% è costituito da società di capitale o di persone. Tra i proponenti ci sono, infine, 5 Consorzi di tutela del prodotto, 6 Organizzazioni di Produttori e 1 Associazione di Organizzazioni di Produttori. Questo esito appare frutto di quanto disposto degli indirizzi procedurali adottati dall’AdG che promuovevano anche in termini di criteri di selezione una priorità per le AOP, le OP e le cooperative agricole e i Consorzi di Tutela.
Un ultimo aspetto riguarda il contributo dei PIF all’organizzazione dell'offerta di prodotto e all’integrazione tra fasi diverse della filiera. Una valutazione efficace di questi aspetti non può essere svolta necessariamente nell’immediato. Sarebbe, infatti, opportuno soffermare l’attenzione sugli effetti e sulle modalità di implementazione dei contratti di fornitura/vendita sottoscritti dai partner di filiera e sull’incremento della base associativa e dei volumi di prodotto conferiti dei consorzi e cooperative aderenti alla progettazione integrata di filiera. Per una valutazione nell’immediato della capacità aggregative dei PIF possiamo segnalare alcuni risultati conseguiti nell’ambito dell’attività di Valutazione in itinere del PSR della Regione Veneto svolta da Agriconsulting (2010). Quest’attività ha, infatti, previsto uno specifico approfondimento sulla progettazione integrata di filiera attraverso la somministrazione di questionari ai capofila dei PIF. I soggetti intervistati formulano un giudizio complessivamente positivo sulla capacità aggregativa dei PIF. Per il 67% degli intervistati la progettazione integrata di filiera ha fornito un contributo nel migliorare la qualità delle relazioni esistenti e nel promuovere nuovi rapporti tra attori della filiera agroalimentare. Il giudizio è positivo anche in merito al contributo fornito dai PIF per l’integrazione di filiera. Per il 62% dei capofila intervistati la progettazione integrata di filiera è in grado di favorire le relazioni tra soggetti agricoli ed imprese della trasformazione e della commercializzazione.

Conclusioni

I risultati dell’analisi esposta evidenziano il contributo positivo che potrà provenire dall’implementazione delle prassi di progettazione integrata di filiera al fine di migliorare l’equità di filiera. Dall’analisi è, in particolare, emerso come la scelta degli accorgimenti procedurali (numerosità e composizione dei partenariati, peculiarità dei capofila, impegni di conferimento/acquisto della materie prima agricola, contenuti degli accordi/patti di filiera) possa avere effetti sull’impatto della progettazione integrata di filiera. D’altro canto l’analisi ha evidenziato come sia necessario monitorare e valutare attentamente gli effetti dei PIF. L'attuale Quadro Comune di Monitoraggio e Valutazione (Commissione Europea, 2006) risponde soltanto in parte a questa esigenza (Rete Rurale, 2011). Diventa perciò necessario uno sforzo per sperimentare approcci valutativi innovativi che siano in grado di analizzare e misurare gli effetti complessi che provengono dalle esperienze della progettazione integrata di filiera. In questo contesto l’analisi del contributo dei PIF sull’equità di filiera può rappresentare una domanda valutativa specifica di cui sarà necessario tenere conto nella costruzione di un eventuale quadro comune di monitoraggio e valutazione dell’approccio integrato di filiera. La recente presentazione del Sistema di Monitoraggio della Progettazione Integrata testimonia l’attenzione dimostrata dalla Rete Rurale Nazionale sul tema e rappresenta un primo contributo alla creazione di un sistema informativo che sia in grado di fornire tempestivamente le informazioni necessarie alla valutazione. Per altro l’integrazione nell’attuale struttura della banca dati delle informazioni sulla qualità degli impegni di conferimento/acquisto della materie prima agricola potrebbe permettere di valutare un aspetto cruciale della progettazione integrata di filiera.
Il tema dell’integrazione è destinato, infatti, ad assumere sempre maggiore rilevanza nel prossimo futuro. Le proposte di riforma della Politica Agricola Comune post 2013 (Commissione europea, 2011) prevedono un rafforzamento della dimensione dell’integrazione nelle politiche di sviluppo rurale offrendo la possibilità agli Stati membri o alle Regioni di inserire nei PSR dei sottoprogrammi tematici finalizzati a rispondere a specifiche esigenze di settore (giovani agricoltori, piccole aziende, zone montane e filiere corte). Questa nuova prospettiva evidenzia l’importanza dell’esperienza che le Regione italiane e i partenariati progettuali dei PIF stanno attualmente maturando in merito all’implementazione dell’approccio integrato di filiera anche considerando che la prossima riforma della PAC offrirà la possibilità alle AdG di poter designare organismi intermedi per provvedere alla gestione e all'attuazione dei sottoprogrammi tematici.

Riferimenti bibliografici

  • Ascione E., Cristiano S., Tarangioli S., (2011): “Farm advisory services for the agro-food supply chain as a foster of innovation: the case of Veneto Region” comunicazione al 5th International European Forum (Igls-Forum) on System Dynamics and Innovation in Food Networks, 14-18 febbraio 2011, Innsbruck-Igls, Austria

  • Commissione Europea (2006): Handbook on common monitoring and evaluation framework, Bruxelles

  • Commissione Europea (2011): Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), COM(2011) 627/3, Bruxelles

  • D’Alessio M. (2010): La progettazione integrata di filiera. Una guida per l’implementazione dello strumento a livello nazionale. TF Progettazione Integrata - RRN

  • Rete Rurale (2010): I progetti integrati nei PSR 2007-2013. Report di avanzamento, Roma

  • Rete Rurale (2011): La valutazione della progettazione integrata per lo Sviluppo Rurale 2007-2013, Roma

  • Tarangioli, S., (2011): “I progetti integrati di filiera: obiettivi e strategie regionali”, comunicazione al Seminario informativo I Progetti integrati di filiera nel Programma di sviluppo rurale 2007-2013, Firenze, 11 aprile 2011

  • Zumpano, C. (2007) “L’approccio integrato nelle politiche di sviluppo rurale: strumenti e modalità di attuazione”, in Rivista Agriregionieuropa, n. 9, 2007

  • 1. Si ringrazia il dott. Franco Contarin Dirigente dell’AVEPA per avere messo a disposizione la documentazione disponibile.
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