Il finanziamento e l’efficacia della spesa agricola dell’UE

Il finanziamento e l’efficacia della spesa agricola dell’UE
a Università di Macerata, Dipartimento di studi sullo sviluppo economico
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Introduzione (1)

Mentre l’Europa “agricola” è impegnata a discutere le proposte della Commissione Europea sulla verifica dello stato di salute (Health Check) della Politica agricola comune (PAC), si è appena conclusa la fase di consultazione sulla revisione del bilancio dell’Unione Europea (UE) e si è in attesa del documento di proposte della Commissione, previsto per la fine del 2008. Il mandato politico dato dal Consiglio alla Commissione in materia di revisione di bilancio è piuttosto ampio e include tutti gli aspetti inerenti la spesa (compresa la PAC) e le entrate di bilancio. L’attesa revisione del bilancio ha alimentato di recente un dibattito ampio e assai partecipato a tutti i livelli in Europa (accademico, istituzionale, degli stakeholder) il cui interrogativo di fondo è come aumentare l’efficacia della spesa dell’UE. La questione della spesa agricola e della sua efficacia è, come noto, una delle questioni cruciali nel dibattito sul bilancio dell’Unione; già nel 2003 il rapporto Sapir (Sapir, 2003) concludeva che la spesa agricola dell’UE è del tutto inefficace in quanto il suo valore aggiunto (misurato come differenza tra valore aggiunto agricolo e sostegno pubblico) è negativo; una valutazione che ha sollevato molte perplessità nel mondo agricolo in quanto non tiene in considerazione i servizi e beni non di mercato - e quindi non contabilizzati dal valore aggiunto agricolo - che l’agricoltura offre alla società.
La Politica agricola comune (PAC) è stata sostanzialmente riformata negli ultimi due decenni; le misure di sostegno di mercato sono state pressoché eliminate - sebbene alcuni strumenti della “vecchia” PAC sussistano ancora per alcuni prodotti (ad esempio le quote di produzione) ed il livello di protezione tariffaria sia in alcuni casi ancora elevato - e sostituite da pagamenti disaccoppiati che sono meno distorsivi del commercio e più efficienti nel trasferire risorse agli agricoltori. Dopo la riforma del 2003 e le successive ulteriori modifiche, la maggior parte del sostegno viene assicurato agli agricoltori europei attraverso il regime di pagamento unico (PU), sebbene le politiche di sviluppo rurale stiano gradualmente aumentando il loro peso. Gli aiuti prima previsti all’interno delle singole organizzazioni comuni di mercato (OCM) sono stati inglobati nel PU e le OCM sono state pressoché eliminate. La spesa per il PU nel 2012 sarà di 43.309 milioni di Euro, pari al 93,4% della spesa del primo pilastro e al 71,4% della spesa prevista per la rubrica di bilancio “Risorse naturali”; il restante 28,6% viene destinato allo sviluppo rurale, alle politiche per la pesca, per l’ambiente e per la qualità della vita. Dunque, l’efficacia della spesa agricola oggi dipende in larga parte dall’efficacia della spesa per il PU.
Sebbene lo smantellamento delle vecchie politiche di mercato e l’introduzione di pagamenti disaccoppiati non siano oggi una scelta da mettere di discussione, tuttavia, la nuova PAC è stata oggetto negli anni più recenti di crescenti critiche. Questo lavoro intende esaminare gli aspetti critici della nuova PAC, sotto il profilo della sua efficacia e del finanziamento, e i possibili scenari dopo il 2013 di modifiche, sia negli strumenti, che nelle modalità di finanziamento della spesa agricola.

I principali problemi dell’attuale PAC

La riforma Fischler del 2003 ha modificato sostanzialmente la politica agricola del’UE con numerosi effetti positivi largamente riconosciuti: disaccoppiando una quota significativa del sostegno alle aziende agricole dal “quanto” e “cosa” produrre, ha ridotto considerevolmente le precedenti distorsioni di prezzo, restituendo ai prezzi il loro ruolo di orientamento delle scelte degli agricoltori, aumentando l’efficienza economica. Il disaccoppiamento migliora anche i rapporti internazionali rafforzando la credibilità delle posizioni negoziali dell’UE nell’attuale round negoziale, il Doha Development Round, all’interno del WTO; con l’attuale PAC, infatti, è possibile per l’UE accettare riduzioni anche significative del sostegno della “scatola blu” e della “scatola arancione” ed un’eliminazione dei sussidi all’esportazione. Infine, condizionando l’erogazione del PU al perseguimento di obiettivi ambientali e altri obiettivi sociali, la nuova PAC è meno in conflitto con gli obiettivi ambientali, rispetto alla vecchia PAC che forniva incentivi per adottare metodi produttivi intensivi e ad elevato consumo di acqua e che distruggevano i pascoli permanenti.
Nonostante questi indubbi aspetti positivi, tuttavia l’attuale PAC è criticata sotto due punti di vista: da un lato, essa sarebbe inefficace nel raggiungere gli obiettivi assegnati dall’UE alla politica agricola e di sviluppo rurale; dall’altro, le risorse destinate dall’UE alla PAC potrebbero essere utilizzate per politiche che produrrebbero maggiori benefici sociali.

L’efficacia dell’attuale PAC

La critica principale è che gli strumenti della nuova PAC non sono efficaci nel perseguire i nuovi obiettivi della politica agricola e di sviluppo rurale del’UE enunciati per la prima volta nel documento Agenda 2000 e poi richiamati in molti altri documenti ufficiali successivi. Le giustificazioni di fondo per una politica agricola comune in Europa vengono oggi ricondotte a tre obiettivi chiave: beni pubblici ed esternalità, sostegno al reddito, competitività e qualità. Ci sono buone ragioni per ritenere che la spesa del primo pilastro (e quindi per il PU) non contribuisca in modo efficace a questi obiettivi.
Beni pubblici ed esternalità. Si sostiene che il PU è un pagamento agli agricoltori giustificato dal fatto che questi producono esternalità positive e beni pubblici; la condizionalità lega il sostegno al rispetto di specifiche condizioni in materia di ambiente, salute animale e vegetale e benessere degli animali. Tuttavia, vi sono almeno due aspetti ambigui nel meccanismo della condizionalità che ne minano l’efficacia. In primo luogo, l’ammontare del pagamento non è legato alla produzione di esternalità. Questo significa che agricoltori che producono un ammontare maggiore di esternalità o di beni pubblici (ad esempio, le aziende estensive localizzate in zone, come la montagna, che danno un contributo significativo al mantenimento del paesaggio o della biodiversità) non ricevono un pagamento maggiore; anzi, spesso è vero il contrario, e cioè che le aziende che ricevono pagamenti più elevati sono proprio quelle localizzate in aree nelle quali è più probabile che l’agricoltura produca esternalità negative (ad esempio, l’inquinamento delle acque in pianure in cui prevale un’agricoltura molto intensiva). In secondo luogo, il condizionamento è nei fatti molto debole, in quanto agli agricoltori è richiesto solamente di rispettare la legislazione europea vigente e di mantenere i terreni in buone condizioni agricole e ambientali. Standard bassi in generale producono anche scarsi risultati, sebbene sia stato di recente sostenuto che la condizionalità stia avendo qualche effetto positivo sull’ambiente (Cooper et al, 2007). Una critica di fondo è che con questo pagamento gli agricoltori sono pagati sostanzialmente per non produrre esternalità negative (ad esempio: non inquinare le acque) anziché essere incoraggiati a produrre esternalità positive. Ciò è contrario al principio “chi inquina paga” e implicitamente fa passare l’inaccettabile principio che gli agricoltori hanno il diritto di inquinare e che la società deve compensarli per non farlo (Bureau e Witzke, 2007). Le proposte della Commissione relative alla verifica dello stato di salute includono una revisione della lista delle condizioni da rispettare e la rimozione di quelle che comportano un eccessivo carico burocratico e amministrativo per gli agricoltori, senza aumentare l’efficacia della politica. Queste proposte, dunque, sembrano orientate più a semplificare questo meccanismo, come richiesto dalle organizzazioni dei produttori agricoli, piuttosto che a rafforzare gli standard da rispettare o a migliorare i controlli.
Sostegno del reddito. Viene anche sostenuto che il PU ha lo scopo di sostenere il reddito degli agricoltori dell’UE, sebbene in molte aree dell’UE-15 il reddito medio agricolo non sia inferiore a quello di altre famiglie rurali. Il sostegno agli agricoltori oggi viene giustificato sulla base del fatto che il reddito agricolo, diversamente che in altri settori, è soggetto ad un elevato rischio sia di produzione, che di mercato. Inoltre, viene spesso sostenuto che specialmente dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007, nelle aree meno sviluppate dell’UE l’agricoltura è ancora un’importante fonte di occupazione e reddito; quindi, sostenere l’agricoltura significa sostenere le aree e le famiglie a minor reddito e ridurre le disparità di reddito all’interno dell’UE.
Tuttavia, c’è scarsa evidenza che l’attuale distribuzione del sostegno tra le regioni sia consistente con i bisogni di reddito; spesso il sostegno è concentrato in aree con più elevati redditi mentre è minore laddove i redditi sono minori (Shucksmith et al, 2005). E’ anche scarsa l’evidenza che l’attuale sostegno raggiunga gli agricoltori più poveri. I dati resi pubblici dalla Commissione indicano come circa il 15% della spesa per il PU sia destinato allo 0,44% delle aziende agricole che ricevono più di 100.000 Euro all’anno e sono localizzate per lo più nell’UE-15; probabilmente si tratta di aziende di grandi dimensioni ed è difficile pensare che queste possano essere l’obiettivo di una politica di sostegno dei redditi. D’altra parte, circa il 13% della spesa per il PU è catturata dal 77% delle aziende, le quali ricevono meno di 5.000 Euro ciascuna; più del 56% delle aziende riceve meno di 1.250 Euro all’anno. E’ improbabile che un pagamento di queste dimensioni possa avere un effetto apprezzabile sotto il profilo del sostegno del reddito, soprattutto nei paesi dell’UE-15. Infine, il PU è spesso capitalizzato nel prezzo della terra e questo significa che, nelle aree in cui gli agricoltori non possiedono la terra, il PU viene catturato per lo più da gruppi sociali diversi dagli agricoltori (Matthews, 2007). Nei nuovi paesi membri, la dissipazione delle rendite della politica ai proprietari terrieri è ancora maggiore a causa dei vincoli di accesso al credito degli agricoltori (Ciaian, Swinnen, 2007). Nel complesso, l’attuale iniqua distribuzione del PU tra aziende e territori limita significativamente la sua efficacia nel contribuire al raggiungimento dell’obiettivo del sostegno del reddito agricolo. Le recenti proposte della Commissione di imporre la regionalizzazione obbligatoria in tutti i paesi e di introdurre la cosiddetta “modulazione progressiva” sicuramente influiscono sulla distribuzione del sostegno e possono contribuire in alcuni casi a ridurne la concentrazione; tuttavia, il sostegno del reddito, così come i pagamenti, rimangono non mirati (targeted) e ciò mina l’efficacia della spesa per il PU nel raggiungere l’obiettivo del sostegno del reddito.
Competitività e qualità: Il regime di PU non contribuisce attivamente ad aumentare la competitività delle aziende agricole europee. Senza dubbio con la nuova PAC le decisioni degli agricoltori vengono guidate dal mercato, e non come in passato dalle politiche. Tuttavia, non ci sono buone ragioni per credere che il regime di PU dovrebbe o potrebbe aumentare la competitività dell’agricoltura europea; al contrario, in alcuni casi potrebbe produrre il risultato opposto. Ad esempio è stato sostenuto che i pagamenti erogati al grande numero di aziende di semi-sussistenza ancora presenti nei nuovi paesi membri stiano ostacolando la ristrutturazione in queste aziende anziché promuoverne la competitività (anche se in misura minore, ciò vale anche per alcuni paesi del Mezzogiorno europeo). Le risorse finanziarie dell’UE invece che essere utilizzate per promuovere la modernizzazione delle aziende agricole, vengono usate per aumentare il consumo delle famiglie contadine (Wilkin, 2003 e 2007). Per quanto riguarda la qualità, c’è un meccanismo che lega l’erogazione del pagamento alla qualità, e cioè l’art. 69 del regolamento 1782/2003; questo articolo prevede che gli Stati membri possano destinare fino al 10% delle risorse nazionali destinate al regime del PU per pagamenti supplementari (accoppiati) agli agricoltori che migliorano la qualità dei prodotti.
L’implementazione di questa misura, tuttavia, è stata nei fatti molto deludente in quanto i paesi membri hanno fissato livelli di standard di qualità molto bassi.
Il problema di fondo è che mentre l’UE ha ridefinito gli obiettivi generali della sua politica agricola, è meno chiaro e piuttosto ambiguo quali siano gli obiettivi chiave che gli attuali strumenti della PAC dovrebbero perseguire. Il regime di PU non è stato disegnato con l’obiettivo prioritario di raggiungere efficacemente gli obiettivi generali dichiarati in Agenda 2000. Piuttosto esso è stato introdotto nel 2003 con l’obiettivo prioritario di disaccoppiare il sostegno e, in questo modo, ridurre le distorsioni di mercato e renderlo compatibile con la definizione di “scatola verde”; la scelta di disaccoppiare il sostegno mantenendo la sua distribuzione storica tra aziende e territori è la causa della sua attuale inefficacia nel raggiungere gli obiettivi più sopra citati. Inoltre, è anche discutibile se sia opportuno utilizzare un solo strumento per raggiungere differenti obiettivi; il “targeting principle” suggerisce che ciò conduce ad inefficienze e ad una netta riduzione dell’efficacia della spesa.

Il finanziamento della PAC e il dibattito sul bilancio

Nel 2012 il 31,5% dell’intera spesa dell’UE sarà destinato al primo pilastro della PAC (il 29,5% al regime di PU). Circa l’83% della spesa per il PU sarà catturata dai paesi dell’UE-15 mentre il 17% sarà destinata ai nuovi paesi membri. Se si considera anche il secondo pilastro, la quota della spesa allocata all’agricoltura nell’UE supererà il 35% dell’intero bilancio. Viene spesso argomentato che più di un terzo del bilancio dell’UE è destinato ad un settore che pesa meno del 5% sul Pil dell’Unione e che questa irrazionale allocazione della spesa mina la capacità dell’UE di raggiungere gli obiettivi chiave dell’agenda di Lisbona (Sapir, 2003). A fronte di queste critiche, bisogna però ricordare che la politica agricola rimane una delle poche politiche quasi interamente finanziate dal bilancio dell’UE. Un’ulteriore critica è che il valore aggiunto agricolo è minore del sostegno totale e quindi il valore sociale netto della spesa per la PAC, cioè quello che viene chiamato il valore aggiunto della spesa, è negativo (Sapir, 2003; Wichern, 2004). Tuttavia, una misura dei benefici sociali della spesa agricola dovrebbe tenere conto, oltre che dei benefici privati misurati dal valore aggiunto, anche della produzione di beni pubblici da parte dell’agricoltura (compresa la sicurezza alimentare a livello aggregato) e delle esternalità positive, se ce ne sono, prodotte dall’agricoltura.
Il dibattito sul bilancio è in larga misura influenzato dalle preoccupazioni di natura politica inerenti la contribuzione netta dei paesi al bilancio. I paesi che sono beneficiari netti del bilancio dell’UE chiedono il mantenimento di una consistente fetta della spesa per le politiche agricole, mentre coloro che sono contributori netti chiedono una sua sostanziale riduzione. Per quanto riguarda il PU, i principali contributori netti sono la Germania, il Regno Unito, l’Italia e i Paesi Bassi, mentre i principali beneficiari sono la Polonia, la Francia, la Grecia e la Spagna. Anche la spesa per il secondo pilastro ha un suo effetto redistributivo con Germania, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi come maggiori contributori netti e Polonia, Ungheria Portogallo e Grecia come principali beneficiari netti. Quindi, una riduzione della quota della spesa per il primo pilastro a favore della spesa per il secondo pilastro influisce in misura significativa sulla posizione finanziaria netta dei paesi membri. Tuttavia, una riduzione della spesa del primo pilastro attraverso un aumento del tasso di modulazione obbligatoria, mantenendo in ogni paese membro le risorse finanziarie che risultano alla modulazione, così come proposto dalla Commissione, non produrrebbe alcun effetto redistributivo. Questo spostamento delle risorse dal primo al secondo pilastro, nei fatti, manterrebbe inalterata la distribuzione storica della spesa europea per l’agricoltura tra i diversi paesi membri. Ma questo “congelamento” nella distribuzione della spesa tra paesi membri è oggi piuttosto difficile da giustificare.
Al di là delle legittime preoccupazioni a proposito di contribuzioni nette, la questione del finanziamento della PAC, dovrebbe essere affrontata sulla base di un’attenta valutazione di quale sia un’efficiente e razionale allocazione della spesa e delle competenze tra paesi membri e UE (Grethe, 2006). La neutralità finanziaria a livello di singolo paese non dovrebbe costituire il vincolo alle riforme. Le riforme dovrebbero essere guidate dall’obiettivo di migliorare la coerenza e l’efficacia delle politiche agricole. Come già detto, l’attuale allocazione della spesa tra paesi non ha una particolare giustificazione, ma è piuttosto il risultato della path-depedency della PAC, e cioè, la distribuzione del sostegno tra i paesi ereditata dalla vecchia PAC.

Oltre il 2013

L’attuale politica agricola europea rappresenta solo un ulteriore passaggio nel processo di riforma della PAC avviato agli inizi degli anni novanta e non può esser considerato un punto di arrivo di quel processo. La Commissione europea sta proponendo degli aggiustamenti ragionevoli all’attuale PAC da mettere in pratica prima del 2013 i quali, rimuovendo il legame tra pagamento ricevuto dall’agricoltore e i suoi diritti storici, potrebbero aprire la strada a cambiamenti più radicali; inoltre, uno spostamento delle risorse finanziarie dal primo al secondo pilastro potrebbe contribuire a riequilibrare nel futuro il peso dei due principali strumenti di politica agricola in Europa.
I cambiamenti proposti dalla Commissione tuttavia, non rimuovono i problemi di fondo dell’attuale PAC sotto il profilo della sua sostenibilità finanziaria e della sua efficacia. Le due questioni sono strettamente collegate tra di loro: diversi obiettivi a strumenti della PAC sono coerenti con differenti assetti di competenze e modalità di finanziamento della PAC. Ad esempio se è vero che l’obiettivo della PAC è il sostegno del reddito degli agricoltori allora ci sono buoni argomenti a favore di una rinazionalizzazione della spesa agricola, in quanto le politiche sociali vengono finanziate e gestite in Europa in larga parte a livello nazionale.
Tuttavia, ci sono buone ragioni per sostenere che dopo il 2013 ci sarà ancora bisogno di una politica agricola nell’UE, i cui obiettivi vanno ben oltre il sostegno del reddito agricolo.
Le due priorità di fondo dell’agricoltura europea dovrebbero essere la competitività e il mantenimento dell’ambiente e la produzione di altri beni pubblici socialmente rilevanti nella aree rurali, coerentemente con gli obiettivi di Lisbona e con la strategia di sviluppo sostenibile dell’UE. La competitività dovrebbe costituire l’obiettivo chiave di un primo pilastro profondamente riformato. Nonostante le favorevoli prospettive dei prezzi agricoli internazionali, l’agricoltura europea appare sempre più schiacciata da una crescente concorrenza: la liberalizzazione commerciale, come conseguenza degli accordi commerciali multilaterali e preferenziali, sta mettendo sotto pressione diversi sistemi agricoli europei (ad esempio, l’industria dello zucchero, in alcuni paesi dell’UE, il settore dell’ortofrutta nelle aree in cui prevalgono aziende di piccole dimensioni) che richiedono ristrutturazione, riduzione dei costi, aumento della qualità per rispondere a esigenze specifiche dei consumatori e, in alcuni casi, di spostarsi su altre produzioni. Nuovi paesi esportatori stanno entrando nei mercati internazionali di alcuni prodotti di cui l’UE è tradizionale esportatore (ad esempio, nel commercio mondiale di vino, in grande espansione negli ultimi anni, l’UE sta perdendo quote di mercato). Inoltre, la produttività dell’agricoltura europea sta crescendo a tassi minori rispetto a quelli dei principali paesi concorrenti, e ciò implica una perdita di competitività relativa (Bureau e Witzke, 2007). Infine, le principali sfide per l’Europa e la sua agricoltura sono, da un lato, le implicazioni nei prossimi anni del cambiamento climatico e dall’altro, quelle determinate dall’aumentata domanda di biocarburanti. Queste rappresentano questioni di medio-lungo termine che richiedono però un’azione politica fin da oggi.
Come già detto, l’attuale PU non sembra uno strumento adeguato per affrontare queste questioni. Una parte crescente delle risorse finanziarie attualmente riservate al PU potrebbero essere destinate a finanziare diverse politiche per la competitività, quali ad esempio politiche orientate a sostenere: l’innovazione, l’assistenza tecnica, la formazione e l’educazione, stimolando l’adozione di innovazioni da parte delle aziende agricole europee, con possibili effetti positivi sotto il profilo della eco-compatibilità e della crescita della produzione di energia rinnovabile; politiche orientate a migliorare le strutture delle aziende agricole e, laddove necessario, ad aumentare la dimensione aziendale allo scopo di sfruttare le economie di scala ed aumentare la redditività delle imprese. Inoltre, uno degli obiettivi del primo pilastro dovrebbe essere quello di mitigare i rischi di produzione e di mercato che ragionevolmente aumenteranno negli anni a venire anche a seguito delle riforme della PAC. I vecchi strumenti di gestione dei mercati (quali i prezzi di intervento e i sussidi all’esportazione) sono in via di eliminazione ma la volatilità dei prezzi aumenterà, così come saranno più frequenti e consistenti gli eventi climatici estremi. Nuovi strumenti per la gestione dei rischi sono dunque necessari, quali, ad esempio, le reti di sicurezza da far scattare in circostanze eccezionali.
La maggior parte di queste politiche per la competitività deve essere disegnata a livello europeo per evitare distorsioni della concorrenza. La seconda priorità, la protezione dell’ambiente e di altri beni pubblici, in aree rurali che hanno particolare valore per la società, dovrebbe essere perseguita all’interno del secondo pilastro, che dovrebbe essere molto più attivo che nel passato nel promuovere lo sviluppo delle aree rurali.
Pagamenti agro-ambientali e altri pagamenti mirati, destinati ad agricoltori che producono esternalità positive e beni pubblici, dovrebbero essere rinforzati e la loro implementazione migliorata. L’ammontare dei pagamenti dovrebbe essere basato sui costi (cioè in relazione al costo di produzione dell’esternalità positiva) oppure dovrebbe essere commisurata all’ammontare dei benefici prodotti dall’azienda; ciò renderebbe i pagamenti ancora più efficienti sotto il profilo economico. Pagamenti per le colture energetiche potrebbero anche esser presi in considerazione all’interno del secondo pilastro, sebbene la loro efficacia sino ad oggi sia stata messa in discussione (Bureau, Witzke, 2007). Inoltre, questi sussidi possono avere effetti negativi sull’ambiente in quanto incoraggiano l’uso di pesticidi e fertilizzanti e danno un contributo piuttosto marginale all’obiettivo della riduzione della dipendenza energetica dell’UE dai combustibili fossili. Tutto ciò suggerisce di adottare un approccio prudente riguardo a questa problematica. I biocarburanti di seconda generazione basati sull’etanolo sembrano essere più promettenti. Sotto il profilo dell’assetto istituzionale delle competenze, se non ci sono effetti ambientali di natura trans-nazionale, sarebbe opportuno implementare questi pagamenti a livello nazionale o regionale, mentre se ci sono effetti transnazionali è bene che queste politiche vengano disegnate e gestite almeno in parte a livello europeo (Grethe, 2006).
L’obiettivo di sostegno del reddito degli agricoltori dovrebbe invece essere perseguito attraverso politiche nazionali (sociali, non agricole) mirate (targeted).
Per quanto riguarda il finanziamento, possono essere individuati diversi possibili scenari.
Un primo scenario è quello dell’introduzione del cofinanziamento delle misure del primo pilastro. Questa ipotesi consentirebbe di aumentare le risorse per le altre politiche dell’UE, senza aumentare il bilancio complessivo dell’Unione. Tuttavia, ciò comporterebbe con molta probabilità una modifica della posizione finanziaria netta dei diversi paesi membri il cui esito non è del tutto chiaro. Se, ad esempio, le risorse risparmiate con il cofinanziamento del primo pilastro venissero utilizzate per aumentare la spesa per le politiche regionali, i tradizionali contribuenti netti della spesa agricola europea potrebbero non migliorare la loro posizione e potrebbero, anzi, perfino peggiorarla. Inoltre, alcuni dei nuovi paesi membri potrebbero avere difficoltà a reperire le risorse finanziarie nazionali per cofinanziare anche il primo pilastro; e ciò potrebbe condurre ad una complessiva riduzione delle risorse destinate in questi paesi alle politiche del primo pilastro. I nuovi paesi membri potrebbero ragionevolmente reclamare che mentre i paesi dell’UE-15 hanno beneficiato per decenni di ingenti risorse finanziarie europee per le proprie agricolture, queste verrebbero ora eliminate per i nuovi paesi membri nei quali l’agricoltura riveste ancora un ruolo importante nell’economia. Diversi tassi di cofinanziamento potrebbero contribuire ad attenuare almeno in parte il problema.
Un’altra opzione possibile è quella di spostare buona parte delle risorse dal primo al secondo pilastro attraverso la modulazione - uno scenario questo che è coerente con il graduale smantellamento del regime di PU e il rafforzamento delle politiche agro-ambientali e di sviluppo rurale -, ma senza imporre il vincolo che le risorse risparmiate dal primo pilastro debbano rimanere all’interno dello stesso paese membro, e mantenendo però allo stesso tempo un tasso di finanziamento del 100% da parte dell’UE ad un primo pilastro significativamente ridimensionato. Ciò potrebbe anche comportare una riduzione della spesa complessiva dell’UE, ma tuttavia non comporterebbe miglioramenti nella posizione finanziaria dei paesi contribuenti netti. All’interno dell’UE-15, la Francia peggiorerebbe sicuramente la sua posizione, ma anche la Germania, i Paesi Bassi e il Regno Unito perderebbero, in quanto la loro quota sulla spesa del primo pilastro è comunque maggiore di quella che essi hanno nella spesa del secondo pilastro. Altri paesi dell’UE-15 quali Portogallo e Austria, potrebbero probabilmente guadagnare in quanto il loro peso sulle spese del primo pilastro è minore di quello che essi hanno nelle politiche di sviluppo rurale. I nuovi paesi membri potrebbero per lo stesso motivo guadagnare significativamente (la loro quota sulla spesa del primo pilastro è pari al 17% mentre oggi catturano circa il 35% delle risorse del secondo pilastro) sebbene per accedere a queste risorse debbono comunque reperire risorse dai bilanci nazionali.
Queste costituiscono alcune delle sfide e delle possibili modiche all’attuale PAC per aumentare l’efficacia della spesa agricola e rendere la PAC finanziariamente sostenibile. Sono state avanzate in Europa diverse proposte di revisione; qualunque sia l’esito del dibattito sul futuro della PAC, l’importante è che esso conduca ad un chiarimento in primo luogo su quali sono gli obiettivi e gli strumenti della politica agricola dell’UE e conseguentemente sulla più efficace allocazione delle risorse e delle competenze tra UE e stati membri. Questo processo potrebbe comportare modifiche sostanziali non solo degli strumenti della politica ma anche della posizione finanziaria netta dei singoli paesi, un effetto “collaterale” delle riforme, comunque necessarie, che potrebbe essere mitigato con opportuni interventi finanziari.
Nei fatti, questa è una condizione necessaria per aumentare l’efficacia della spesa agricola dell’UE e per rendere l’agricoltura europea capace di affrontare le sfide dei prossimi anni.

Note

(1) Questo lavoro è frutto di uno studio condotto per il Parlamento Europeo presentato al workshop congiunto delle Commissioni Agricoltura e Bilancio del Parlamento “The financing and effectiveness of agricultural expenditure” tenutosi a Bruxelles il 2 aprile 2008.

Riferimenti bibliografici

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