La nuova PAC: dall'Italia norme di attuazione riduttive

La nuova PAC: dall'Italia norme di attuazione riduttive

L'opportunità della riforma Fischler

La Politica agricola comune (PAC) da quando è nata oltre quarant'anni fa non conosce tregua; è passata da riforma in riforma, cioè è viva.
Questa volta però con la riforma Fischler del 2003 che in Italia è entrata in attuazione il primo gennaio 2005 ci si trova di fronte a cambiamenti che potrebbero essere veri, se le norme di attuazione nazionale non la svuoteranno. I cambiamenti sono faticosi, creano incertezza, devono far riposizionare; ciò che si era abituati a ricevere (il cosiddetto acquisito comunitario) può essere ridotto o venir meno. Su questi “sentimenti” hanno fatto leva da noi quelli che erano contrari alla riforma, che poi hanno impresso alle norme di recepimento nazionale una visione restrittiva, cioè cambiare il meno possibile lo stato di applicazione nazionale-regionale della PAC precedente.
Due le ragioni principali di questa riforma (Reg. (CE) n. 1782/2003) che l'hanno resa necessaria. La prima, interna all'Unione, dare soddisfazione a una larga parte dell'opinione pubblica (i non agricoltori) e agli interessi di altri settori produttivi, in particolare dell'industria, rendere anche ad essi accettabile il costo della PAC (il settore agricolo, pur rappresentando dopo l'ingresso dei nuovi paesi il 7% dei lavoratori europei, assorbe il 50% del bilancio dell'Unione).
La riforma Fischler completa gli approcci agro-ambientali della PAC precedente e compie una scelta totale a favore di un modello di agricoltura europea diffusamente eco-compatibile e sostenibile, in grado di proteggere l'ambiente e gli habitat naturali. Sta dentro ad un tetto massimo europeo di spesa agricola fissato al vertice di Copenaghen (dicembre 2002) che comprende anche la spesa destinata ai nuovi paesi entrati nell'Unione.
L'altra ragione della improcrastinabilità della riforma è stata quella di dare la riprova in sede internazionale, al WTO (World Trade Organization), che la PAC non sovvenziona più i prezzi dei prodotti agricoli, alterando già dalla produzione le condizioni per un libero mercato. I premi agli agricoltori non sono più dipendenti dai prodotti agricoli e dalle loro quantità, ma dai comportamenti eco-compatibili degli agricoltori nella gestione delle coltivazioni e degli allevamenti.
Queste ragioni si concretizzano nelle seguenti scelte: la nuova PAC non solo blocca le spese di mercato (i cui massimali dell'UE a 25 sono 47.450 milioni di euro nel 2007 e 50.307 milioni di euro nel 2013) e le somministra non più in forma di sostegno ai prezzi dei prodotti ma come sostegno ai redditi degli agricoltori e quindi in modo disaccoppiato dai prodotti dell'azienda agricola, ma mette in moto meccanismi di riduzione delle stesse (es. modulazione, cioè riduzione fino al 5% dei premi quando per azienda superano i 5000 euro/anno). Si alimenterebbe così il secondo pilastro della PAC quello appunto dello sviluppo rurale che al momento rappresenta soltanto il 7% della spesa agricola complessiva, mentre in prospettiva (dopo il 2013) dovrebbe divenire il principale pilastro della PAC.
La politica di sviluppo rurale, che si può ritenere l'erede della politica delle strutture, cioè degli aiuti al miglioramento dell'efficienza delle aziende agricole, delle aziende di trasformazione dei prodotti agricoli, delle infrastrutture rurali, ha via via allargato la sua area di intervento, divenendo sempre più una politica di sviluppo integrato fra i settori produttivi e con i servizi sul territorio, a progettazione e gestione decentrata, dai programmi integrati mediterranei (1988) ai Leader (dal 1991), ai programmi regionali di sviluppo rurale (2000-2006) che ne hanno rappresentato il battistrada.

L'applicazione in Italia

Purtroppo l'applicazione in Italia di questa riforma (che poteva essere rimandata al 2006 per prepararsi meglio, come ha fatto la Francia), non è stata conseguente alle attese. Con le norme messe a punto in Italia il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali e le regioni congiuntamente hanno rinunciato a utilizzare gli spazi di autonomia che il regolamento comunitario ha lasciato ai paesi membri. Tali norme sono state ispirate prevalentemente ad assicurare il mantenimento dell'acquisito nazionale e la riserva dei premi comunitari alle filiere prevalenti (cereali, soia, girasole), a non ammettere differenze applicative fra le regioni, a non introdurre modalità che avrebbero accresciuto la già complessa applicazione della riforma. Si è preferito il ritorno alla uniformità delle norme, caratteristica della PAC precedente e della gestione nazionale centralizzata nel MiPAF. E' prevalso un recepimento di taglio amministrativo (burocratico-finanziario) con poca attenzione ai contenuti che avrebbero dovuto considerare e premiare le caratteristiche di qualità e distintive delle nostre agricolture .In particolare, si sarebbe dovuto tener conto della prevalente composizione di aziende medie e piccole (part-time), del favore crescente verso l'agricoltura integrata ed eco-compatibile (l'Italia è il paese europeo con la più vasta e diversificata agricoltura biologica), delle superfici a foraggiere (che il precedente regime escludeva dai premi) per favorire la produzione di unità foraggiere aziendali anziché ricorrere all'industria mangimistica, delle nuove aziende (che non hanno percepito premi negli anni di riferimento 2000-2002 per il calcolo del premio unico aziendale) e quindi dei giovani nuovi agricoltori che pur ci sono e stanno aumentando.
Il disaccoppiamento quasi totale, come è stato deciso, per gli agricoltori e allevatori in crisi di vocazione, potrebbe essere l'occasione per tendere al loro definitivo disimpegno, tanto fino al 2013 il premio unico è assicurato. Ipotesi da temersi da più di un punto di vista. Questa possibile deriva era invece evitabile se il disaccoppiamento fosse stato scelto nella visione d'assieme del Reg. 1782/03, quindi nelle norme nazionali-regionali di attuazione, che invece è mancata. In particolare, in sinergia e coerenza con le norme per premiare la qualità dei prodotti agricoli, le migliorie ambientali, l'osservanza dei criteri di gestione dell'azienda e delle buone condizioni agronomiche.
Il premio unico aziendale (che sostituisce i distinti premi per prodotto: cereali, vitelli, ecc.) poteva essere calcolato sia per singola azienda in base alla media dei premi ricevuti nei tre anni dal 2000 al 2002, così come l'Italia ha scelto, oppure in base al montante dei premi su base regionale diviso per le aziende e le rispettive produzioni, cioè una media regionale. Il regolamento consente questa modalità che avrebbe ridotto le disuguaglianze storiche fra settori e tra produttori, fra queste la più evidente a danno dei piccoli e medi produttori e delle aree marginali. Questa modalità avrebbe fra l'altro caratterizzato di più il premio unico aziendale come integrazione di reddito mentre invece resta un prolungamento dell'integrazione di prezzo in quanto calcolato in base ai prodotti, alla loro quantità, di quella determinata azienda. Cioè la conferma della distribuzione precedente: l'80% dei premi al 20% degli agricoltori.
Un altro snodo attuativo del Reg. 1782/03 è quello dell'art. 69 che prevede di destinare fino al 10% del massimale nazionale per prodotto al sostegno di attività di miglioramento della qualità dei prodotti agricoli, alla commercializzazione, nonché alle misure di tutela dell'ambiente. La scelta del MiPAF e delle Regioni è stata quella di non utilizzare appieno questa possibilità (8% seminativi, 7% bovini, 5% ovi-caprini) e quindi di lasciare in parte in piedi il vecchio sistema, cioè si è ricorso in questi casi al ri-accoppiamento (parziale) del premio con il prodotto e non per qualificare ancora meglio la nostra agricoltura. In più la destinazione del prelievo è stata finalizzata a livello nazionale (mentre poteva essere finalizzata a livello regionale) ad azioni a tappeto, in gran parte già adottate nella pratica corrente come ad esempio l'utilizzazione di sementi certificate per i grani, esenti da contaminazioni OGM, e avvicendamento almeno biennale per tutti i seminativi (ogni richiamo al ripristino della rotazione è stato cancellato) non pregnanti quanto al loro effetto sulla tutela dell'ambiente. Di questi premi supplementari avrebbero potuto avvalersene le aziende intenzionate a scegliere anch'esse l'agricoltura biologica o integrata.

La condizionalità per una agricoltura eco-compatibile

Ma il passaggio stretto della riforma e insieme la riprova che si è di fronte seriamente ad un cambiamento di rotta è quella di vincolare il pagamento del premio unico aziendale e degli altri premi (parte dei premi non disaccoppiati, premio supplementare, premio per la qualità e l'ambiente) all'osservanza da parte di ogni azienda (non solo sui terreni in coltivazione che hanno dato luogo ai premi) dei criteri di gestione obbligatori e delle buoni condizioni agronomiche ed ambientali che vanno sotto il nome di condizionalità. I primi (otto riguardano questioni ambientali, sette la sanità pubblica e la salute degli animali e delle piante, tre il benessere degli animali) sono già da tempo definiti da direttive, regolamenti e decreti e quindi dovrebbero essere osservati dagli agricoltori già da prima della riforma, ma dal 2005 se non saranno osservati in tutto o in parte daranno luogo a penalizzazioni, cioè a riduzione del premio unico aziendale o al diniego dello stesso fino alla cancellazione dalla lista degli aiuti. Le seconde invece sono state stabilite a livello nazionale (anche se potevano essere stabilite dalle Regioni) mentre le Regioni potranno fare solo certe specificazioni delle stesse. Orbene queste norme di buona conduzione agronomica e ambientale così come sono state riportate nel decreto MiPAF del 13 dicembre 2004 non solo sono carenti proprio dal punto di vista del miglioramento agronomico e ambientale, ma sono in gran parte già osservate dagli agricoltori, oppure si possono considerare adempimenti facili, di esecuzione ovvia, ancorché di difficile controllo (cioè se le pratiche prescritte siano eseguite), anche per le numerose deroghe previste nel decreto. Tutte le norme della condizionalità richiedono un continuo monitoraggio che il Reg. 1782/03 prevede e finanzia. Quindi tali norme potrebbero essere facilmente adottate dagli agricoltori nel senso che non cambieranno granché la conduzione in atto delle coltivazioni e degli allevamenti.
Ancora una volta si è cercata la scappatoia (forse anche con il consenso dei rappresentanti della categoria) mentre una condizionalità più virtuosa stabilita dalle Regioni sarebbe stata più aderente alle condizioni ambientali locali e alle rispettive entità e qualità di svolgimento delle operazioni colturali. Avrebbe contribuito ad assicurare a tutti i cittadini garanzie ambientali, a migliorare l'immagine delle nostra agricoltura e quindi la caratterizzazione della sua produzione, anche di quella destinata all'esportazione, sia dal punto di vista della qualità che della sicurezza alimentare. L'accettabilità della PAC presso l'opinione pubblica ne avrebbe guadagnato in quanto l'agricoltura italiana si sarebbe qualificata di più per il suo apporto alla conservazione del suolo, al mantenimento dell'ambiente, del paesaggio ed alla naturalità dei cibi.

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Commenti

Poche parole ma buone, Sig. Picchi.
Hanno premiato ancora una volta i ''grossi'', che nei tre anni (2000-2002) hanno messo sempre il grano, infischiandosi delle rotazioni e della buona agricoltura.
Non credo ad una sola parola, condizionalità, mantenimeto del'ambiente, conta solo il quattrino.
Ne conosco solo una, PENALITA', la mia, da 2.500 euro di premio sono passato a 306 !
Sono sempre gli stessi 5 ettari di terra...Sig. Fischler !

Commento originariamente inviato da 'Marco' in data 04/01/2006.

mia madre è titolare di un'impresa agricola ereditata alla morte di mio padre e di consegluenza anche noi figli siamo eredi, cosa devo fare per usufrire del premio unico per il terreno coltivato ad ulivo? quanto mi spetta? anche per la vite vale tale aiuto?
cordialmente, michele

Commento originariamente inviato da 'michele' in data 24/04/2007.