La programmazione per lo sviluppo rurale 2007-2013 in Campania

La programmazione per lo sviluppo rurale 2007-2013 in Campania

Premessa (*)

L’esame della bozza di Regolamento relativo al sostegno per lo sviluppo rurale (luglio 2004), ed il relativo dibattito che ne è scaturito, hanno evidenziato sin da subito che i Programmi per il periodo 2007-2013 avrebbero dovuto caratterizzarsi per il contenuto fortemente innovativo delle strategie da porre in essere, così da introdurre un elemento di profonda discontinuità con il passato.
L’importanza della posta in gioco e la consapevolezza delle difficoltà da affrontare hanno indotto l’Assessorato all’Agricoltura e alle Attività Produttive della Campania ad impostare il proprio Programma sulla base di valutazioni derivanti da una riflessione congiunta tra le diverse Istituzioni pubbliche a vario titolo impegnate in materia di sviluppo rurale. È scaturita così la proposta - poi accolta dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - di definire, insieme ad AGEA, INEA, ISMEA e Università degli Studi del Sannio, uno schema di Programma regionale di sviluppo rurale coerente con le disposizioni e gli orientamenti comunitari.
Nel luglio dello scorso anno, la proposta è divenuta operativa ed ha avuto inizio la elaborazione dello Schema. A distanza di 10 mesi, il lavoro si è concluso: lo Schema è stato presentato al Ministero, che ha ritenuto di porlo all’attenzione di tutte le Regioni quale prototipo di possibile riferimento per la predisposizione e messa a punto dei rispettivi Programmi di Sviluppo Rurale 2007-2013 (PSR). Il lavoro, infatti, grazie alla qualificata collaborazione attivata (un’Amministrazione nazionale ed una regionale, un’Agenzia nazionale e tre Enti di ricerca in campo economico-agrario), ha consentito di coniugare il rigore scientifico e metodologico di strutture di ricerca con l’esperienza pratica di soggetti gestori e attuatori di programmi complessi per lo sviluppo rurale. Peraltro, non va sottaciuta la concreta e positiva esperienza di “lavoro di gruppo” realizzata dai rappresentanti delle Istituzioni coinvolte, con effetti senza dubbio positivi ai fini della circolazione e dello scambio di conoscenze ed esperienze in materia di sviluppo rurale.

L’inquadramento dell’intervento comunitario nel settore dello sviluppo rurale

Al fine di poter impostare correttamente sia l’organizzazione del lavoro che i contenuti dello Schema di PSR, è stato innanzitutto necessario riflettere sullo spirito e sulla filosofia della nuova politica comunitaria di sviluppo rurale per il periodo 2007-2013, con l’obiettivo di comprenderne la portata innovativa. In proposito, si ritiene che tale politica vada inquadrata alla luce non solo della più generale PAC revisionata (che ne prevede un deciso rafforzamento), ma anche della riforma della politica di coesione europea per il prossimo settennio, la quale ha “rivoluzionato” l’intervento dei Fondi strutturali.
Relativamente a quest’ultimo aspetto in particolare, il dato fondamentale da cui partire è costituito dall’istituzione di due nuovi Fondi specifici per i territori rurali e per le aree dipendenti dalla pesca: rispettivamente, il FEARS (in sostituzione del FEOGA-orientamento, nonché del FEOGA-garanzia per la parte dei contributi specifici destinati allo sviluppo rurale) ed il FEP (in sostituzione dello SFOP), i quali devono operare con programmi propri, al di fuori di quelli dei Fondi strutturali (FERS e FSE). Il fatto che il sostegno specifico per la politica rurale e della pesca sia uscito dall’ambito di azione dei Fondi strutturali costituisce una importantissima innovazione della politica di coesione comunitaria 2007-2013, basata su un forte riconoscimento delle specificità di determinate aree territoriali. Essa può essere così sintetizzata: nell’ambito delle zone rurali e delle zone dipendenti dalla pesca, le azioni del FEARS e del FEP assurgono a dignità di politiche vere e proprie (al pari di quella strutturale), agendo in maniera indipendente rispetto all’azione dei Fondi strutturali (un Programma FEARS distinto da quello degli altri Fondi) e tuttavia in maniera coordinata e integrata con questi ultimi sotto il profilo degli obiettivi e delle strategie. In pratica, affinché si possa contribuire al raggiungimento degli auspicati obiettivi di convergenza, occupazione e competitività delle regioni europee, l’intervento pubblico 2007-2013 per le aree rurali e costiere si deve caratterizzare per la coerenza e la complementarità - più volte sottolineata all’interno degli articolati dei nuovi regolamenti - tra l’azione dei Fondi FERS e FSE e quella dei nuovi Fondi FEARS e FEP, con la messa in atto appunto di strategie regionali coerenti nel loro complesso.
Focalizzando poi l’attenzione in maniera più specifica sulla nuova politica comunitaria per lo sviluppo rurale, emerge con evidenza il riferimento ad uno dei suoi principi basilari a cui ancorare costantemente la definizione e l’attuazione dei Programmi: l’approccio strategico, cui devono attenersi i vari livelli coinvolti (comunitario, nazionale, regionale e locale).
Al fine di rendere concreta l’applicazione di tale principio, la Commissione ha introdotto una serie di innovazioni, ben identificabili nel Reg. (CE) 1698/05, alcune delle quali si caratterizzano per la cogenza delle relative disposizioni, altre hanno un carattere orientativo e di raccomandazione (auspicabilità e preferibilità per la loro messa in atto), altre ancora si connotano per il loro carattere possibilistico. Il riferimento è al sistema di programmazione (Orientamenti strategici comunitari, Piano strategico nazionale, PSR regionali), alle percentuali minime di risorse fissate per i quattro Assi previsti dal Regolamento, alla predeterminazione di un maggior numero di misure disponibili, alle soluzioni strategiche stabilite o auspicate (territorializzazione e integrazione degli interventi, approccio Leader), ai criteri di demarcazione e complementarità con gli interventi finanziati dai Fondi strutturali, alle procedure di monitoraggio e valutazione stabilite o consigliate, ecc..
In tale nuovo quadro, e dopo una esperienza oramai ventennale da parte delle varie Amministrazioni pubbliche nell’applicazione di una politica di sviluppo agricolo e rurale attraverso programmi complessi, potrebbe apparire alquanto riduttivo attenersi alla stretta osservanza delle disposizioni comunitarie obbligatorie: occorre invece, con tutti i modi ed i mezzi possibili, recepire nei nuovi Programmi lo spirito della nuova politica, coglierne i percorsi strategici auspicati e, ove possibile, andare oltre tali percorsi per idearne di nuovi, considerando l’ondata di finanziamenti previsti nel prossimo settennio come la più grande occasione per creare finalmente l’auspicato sviluppo autopropulsivo, solido e duraturo delle aree rurali.

Gli elementi fondanti dell’approccio strategico della politica di sviluppo rurale

Nell’approccio strategico a cui fa riferimento la Commissione europea sono chiaramente evidenti due elementi fondamentali:

  • la territorializzazione delle strategie, per offrire policy differenziate, ossia insiemi coerenti di misure ed interventi adeguati alle caratteristiche delle diverse aree interessate (potenzialità e criticità);
  • l’ integrazione degli interventi finanziabili a titolo del FEARS e di altri Fondi (comunitari, ma anche nazionali), i quali devono essere nel loro complesso coerenti con gli obiettivi e le scelte strategiche ritenute determinanti per lo sviluppo delle aree individuate.

Accanto a ciò, la Commissione pone una certa attenzione anche alla strumentazione attuativa delle politiche: essa, infatti, prevede l’obbligo di inserire, all’interno dei Programmi, l’approccio Leader come modalità di attuazione degli interventi alla quale necessariamente riservare una quota minima di risorse (almeno il 5% del budget complessivo dei Piani).
Quale elemento aggiuntivo dell’approccio strategico della politica di sviluppo rurale, la Regione Campania considera importante anche un altro aspetto, al quale essa riserva da tempo una particolare attenzione: il modello organizzativo da progettare per supportare l’attuazione delle policy e la messa in azione degli strumenti operativi previsti per i vari territori. Non che la Commissione non vi faccia riferimento nelle sue disposizioni, ma essa fissa l’attenzione più sugli aspetti di affidabilità e garanzia del sistema di gestione e controllo (e sulla sua capacità di assicurare una serie di funzioni nei tempi richiesti), che non sull’importanza strategica della sua progettazione ai fini dell’efficacia ed efficienza attuativa dei Programmi, del loro reale e positivo impatto e del miglioramento dei sistemi di governance.
Le esperienze già vissute dalle Pubbliche Amministrazioni nella gestione di programmi di intervento complessi, evidenziano invece che, pur in presenza di notevoli e interessanti sforzi programmatori e progettuali, i risultati auspicati non vengono sempre conseguiti a causa di una strumentazione attuativa non proprio funzionale agli obiettivi fissati e, più spesso, di un modello organizzativo non all’altezza delle esigenze emergenti dalle nuove modalità operative messe in campo. In tal senso, i risultati conseguiti dal POR Campania FEOGA/SFOP 2000-2006 dimostrano chiaramente l’importanza strategica rivestita dall’adozione di adeguate soluzioni organizzative.

Le esperienze di integrazione territoriale in Campania

L’attuazione della politica di sviluppo rurale, pur avendo reso possibile in molti casi il recupero di patrimoni rurali di indubbio valore (sotto il profilo paesaggistico, agricolo, enogastronomico, architettonico, artigianale, artistico, culturale, ecc.), spesso non si è mostrata capace di innescare gli auspicati processi di sviluppo. Ciò che sovente è mancato è stata un’attività di interconnessione fra iniziative di promozione territoriale che - attraverso la creazione di reti tra gli operatori economici e istituzionali operanti nei diversi territori (Regione, Provincia, Comunità Montane, Comuni, Associazioni di categoria, Enti Parco, Associazioni locali, ecc.) - fosse in grado di soddisfare la domanda di servizi dei potenziali fruitori dei territori stessi, trasformandone le oggettive risorse possedute in elementi di attrazione duratura. Infatti, le varie iniziative sviluppate in tal senso, vengono spesso realizzate attorno a una o poche risorse e in maniera purtroppo ancora isolata e non coordinata: questa situazione raramente riesce a mobilitare un sufficiente interesse verso territori interni e marginali; né, d’altro canto, la fruizione di una singola risorsa riesce ad attivare un adeguato indotto economico e occupazionale a livello locale.
La strategia è allora quella di collegare tutte le risorse presenti in un territorio e, di conseguenza, tutti gli attori ad esse interessati, così da riuscire a gestire in maniera coordinata una serie di servizi di fruizione delle risorse stesse, provvedere alla promozione sinergica di un’immagine unica del territorio da valorizzare e garantirne un adeguato grado di attrattività.
Nell’ambito del POR FEOGA 2000-2006, più di uno strumento è stato orientato alla messa in opera di una siffatta strategia. La Regione ha infatti posto, alla base della programmazione delle misure per l’agricoltura e le aree rurali, un deciso orientamento verso una logica di concentrazione e di integrazione degli interventi a livello territoriale, adottando poi una serie di documenti di indirizzo e di disposizioni attuative finalizzate a coordinare in maniera operativa le iniziative possibili e a connetterle fortemente alle risorse dei sistemi locali.
Allo scopo di rendere concreta tale logica operativa sin dall’attivazione del POR, l’Amministrazione regionale ha, a suo tempo, predisposto apposite linee di indirizzo alle quali dovevano riferirsi i soggetti richiedenti i finanziamenti. Tali documenti miravano all’integrazione di due tipologie di misure - quelle più tipicamente produttive e di filiera e quelle di sviluppo rurale locale - dando così origine, rispettivamente, ai Programmi Integrati di Filiera (PIF) ed ai Programmi Integrati per le Aree Rurali (PIAR).
I primi individuavano le zone di maggiore concentrazione produttiva e fornivano, per ciascun segmento delle principali filiere produttive regionali (produzione agricola, trasformazione e commercializzazione), un’analisi articolata dei limiti e delle potenzialità di sviluppo, nonché delle strategie d’intervento più opportune. In altri termini, i PIF puntavano a orientare gli interventi atti a migliorare la competitività del sistema agroalimentare campano, attraverso un modello di azione che vedesse coinvolti, in un’unica strategia di ammodernamento e sviluppo, tutti i segmenti delle filiere produttive del sistema stesso.
I PIAR, riguardanti essenzialmente gli interventi di cui all’art. 33 del Reg. (CE) 1257/99 e successive modifiche, rappresentavano invece delle linee guida per ricondurre lo sviluppo di ciascuna area rurale regionale ad un disegno programmatico unitario e organico.
Pur essendo ancora valida la logica e la metodologia alla base della definizione dei PIF e dei PIAR, va sottolineato che questi hanno sortito solo parzialmente gli effetti sperati. Ciò perché il loro carattere di mero indirizzo e guida ha lasciato ai richiedenti margini eccessivi di autonomia e di libertà nell’applicazione dei modelli proposti.
In riferimento all’attuazione delle misure FEOGA secondo una logica strategica integrata e coordinata sui territori, un ruolo estremamente significativo viene riconosciuto alla revisione della PAC del 2003. Essa ha, infatti, comportato una serie di modifiche al quadro normativo comunitario di riferimento Reg. (CE) 1783/03, la più interessante delle quali è stata senza dubbio quella che ha reso possibile l’introduzione, nei Programmi esistenti, di una apposita misura di sostegno ai partenariati locali per la “gestione di strategie integrate di sviluppo” nelle aree rurali. L’importanza di tale modifica consiste nel fatto che essa, anticipando alcune rilevanti novità introdotte dal Reg. (CE) 1698/05, ha rappresentato una concreta occasione per sperimentare processi di programmazione negoziata all’interno della programmazione ordinaria POR per lo sviluppo rurale.
La misura che ne è scaturita (Misura 4.24) ha lasciato sostanzialmente invariata l’attuale strutturazione delle misure del POR Campania finanziabili a titolo del FEOGA, giacché non ha introdotto ulteriori tipologie di interventi strutturali rispetto a quelle già operanti, ma si è posta soltanto una finalità organizzativa e procedimentale. Essa, infatti, è tesa a sistematizzare e razionalizzare i vari interventi FEOGA in alcune aree regionali a vocazione rurale, con l’obiettivo di perseguire un disegno di sviluppo comune e condiviso da parte di partenariati locali: pertanto, in termini operativi, la Misura non fa altro che finanziare attività a carattere immateriale (progettazione, assistenza tecnica, spese di funzionamento, specifici interventi immateriali) destinate all’implementazione ed al coordinamento dei cosiddetti Progetti Integrati Rurali (PIR), per la cui realizzazione, invece, è disponibile una riserva complessiva di 100 milioni di euro che attinge ai piani finanziari di ciascuna misura FEOGA.
Riguardo a quanto finora realizzato con l’attuazione della Misura 4.24, si rileva che essa ha fatto registrare buoni risultati in termini finanziari, ma non altrettanto si può dire in riferimento ad alcuni aspetti qualitativi. In particolare, alla progettazione integrata dei PIR non ha potuto seguire una vera gestione coordinata delle misure (soprattutto di quelle rivolte ai beneficiari privati), in quanto, l’impianto regolamentare attuativo del POR e la distinzione delle basi giuridiche delle misure, consentono esclusivamente un iter “singolo” (un richiedente->una istanza->un intervento) e non una attuazione congiunta di interventi, pur se collegati ed integrati in un progetto strategico collettivo.
Gli strumenti finora sperimentati sono quindi riusciti soltanto parzialmente - e soltanto negli ambiti territoriali più maturi - a creare delle reti integrate di risorse e attori. Ciò, come si è detto, è la conseguenza essenzialmente del sistema applicativo alla base della programmazione in corso, la cui rigidità appare invece attenuata alla luce delle possibilità offerte dalla nuova programmazione.

Gli orientamenti regionali in relazione al nuovo approccio strategico

La Regione Campania, per rispondere alle principali sfide del nuovo approccio strategico (territorializzazione, integrazione tra interventi e complementarietà tra le azioni dei vari Fondi, strumentazione attuativa e modello organizzativo), ha identificato ed aggregato i territori omogenei, nonché definito gli obiettivi strategici e le politiche per ciascuno di tali territori, orientandosi poi verso soluzioni attuative ed organizzative utili a supportare le scelte operate.
La territorializzazione delle strategie e delle linee di policy, data l’evidente estrema eterogeneità degli scenari regionali, è da subito apparsa come la soluzione più idonea per assicurare la coerenza dell’intervento regionale  alle priorità degli Orientamenti comunitari e del Piano nazionale per lo sviluppo rurale, come pure agli indirizzi del Documento strategico regionale (DSR) (1). In via preliminare e strumentale a questa esigenza, si è proceduto ad effettuare una approfondita analisi territoriale, che ha consentito di individuare 7 macro-aree, diverse dal punto di vista della dimensione ambientale, del grado di ruralità, della vocazionalità agricola e agro-alimentare, del modello di agricoltura, nonché della presenza di marchi a tutela d’origine (Figura 1).

Figura 1: Aree della Regione Campania individuate nello Schema di PSR 2007-2013

Lo scenario emerso dall’analisi ha confermato con rigore scientifico che l’applicazione tout court delle numerose misure previste dal Reg. (CE) 1698/05 su tutto il territorio regionale sarebbe stata dispersiva e poco efficace. È stato quindi necessario differenziare le strategie sulla base delle caratteristiche distintive dei relativi sistemi locali individuati: in tal senso, la disponibilità nel nuovo regolamento di un maggior numero di misure e interventi possibili (che pur è stata oggetto di qualche critica da parte di alcuni Stati membri) si è invece rivelata un’opportunità importante per differenziare poi le risposte in termini di politiche offerte, in una logica di adattamento e concentrazione del sostegno sui bisogni reali, nonché di innalzamento qualitativo dell’intervento nel suo complesso.
Per quanto riguarda invece gli aspetti legati all’ integrazione tra gli interventi finanziabili a titolo dei vari Fondi, la Regione ha cercato di assicurare in maniera operativa, e sin dalle prime fasi della programmazione, la complementarità tra i diversi Programmi in corso di impostazione o definizione (PSR e Programmi FERS-FSE e FEP), stabilendo la partecipazione ai rispettivi tavoli di partenariato di almeno un rappresentante per ciascun Programma. Un’impostazione analoga è prevista anche nella futura fase di attuazione del PSR, con l’ipotesi di assicurare la partecipazione dei rappresentanti delle Autorità di gestione dei vari Programmi ai rispettivi Comitati di Sorveglianza, nonché di prevedere l’istituzione di un apposito Gruppo di lavoro per l’“integrazione tra Programmi”.
Lo scenario scaturito dalla territorializzazione delle strategie e delle policy, nonché la concertazione interna all’Amministrazione regionale finalizzata all’integrazione tra Programmi e interventi, hanno poi fatto emergere anche la problematica di come sostenere, con una adeguata strumentazione attuativa, l’applicazione di una politica regionale di sviluppo rurale che fosse al tempo stesso più selettiva nelle opzioni offerte a livello territoriale e maggiormente coerente con la politica di coesione e della pesca. In proposito, come è già emerso dall’esperienza del passato, l’impianto attuativo dell’attuale fase di programmazione - che prevede basi giuridiche separate per ciascuna misura - non si mostra pienamente efficace per conseguire una reale integrazione tra gli interventi possibili.
Di qui la necessità di ricercare soluzioni che permettessero, da un lato, di finalizzare l’intervento pubblico complessivo agli obiettivi di sviluppo definiti a livello locale e, dall’altro, di dare organicità agli interventi attraverso un accesso coordinato alle misure da parte di più beneficiari (progetti di natura collettiva) o anche di un singolo beneficiario (progetti di natura individuale).
Riguardo alla progettazione collettiva, il modello campano prevede varie tipologie di progetti che aggregano interventi e soggetti diversi attorno ad un unico disegno strategico. Esso ne auspica un ricorso massiccio in termini finanziari (poiché prevede di riservare a tali strumenti almeno il 50% del budget complessivo del PSR), ma nel contempo propone, per alcuni di essi, una certa selettività sotto il profilo delle aree di applicazione (fig. 2).

Figura 2: Schema di riferimento territoriale per la progettazione collettiva in Campania nel periodo 2007-2013

Fonte: “Schema di PSR Campania 2007-2013” (2006)

Sono stati quindi innanzitutto previsti - come da obbligo regolamentare - i Progetti di Sviluppo Locale dell’approccio Leader nelle aree a prevalente ruralità, scegliendo di riservare ad essi la promozione e la realizzazione di quelle azioni di carattere più immateriale, atte a sostenere e sviluppare il capitale relazionale (orientamento e supporto agli operatori economici nei processi di diversificazione, attività di marketing territoriale, ecc.). La realizzazione di investimenti a carattere essenzialmente materiale, è stata invece riservata ad altre tipologie di progetti collettivi che, a seconda dei casi, possono aggregare soggetti di natura solo pubblica o soggetti di natura pubblica e privata (Progetti Integrati per le Aree Rurali, Progetti Integrati di Filiera e Progetti Tematici di Sviluppo) (2): per tali strumenti attuativi, al fine di minimizzare alcune problematiche che, nelle esperienze precedenti, hanno ostacolato una effettiva integrazione in fase di gestione dei progetti, si è fatta strada l’ipotesi di ricorrere alle soluzioni operative previste dalle disposizioni sulla programmazione negoziata (contratti di investimento, accordi di programma), più che a procedure concorsuali.
Per quanto concerne i progetti di natura individuale, l’Assessorato si propone di andare oltre la classica modalità di attuazione che prevede il finanziamento di istanze separate per ciascuna misura. Infatti, accanto a ciò, intende introdurre nel PSR la possibilità, per un singolo richiedente (privato o pubblico), di integrare interventi che siano coerenti, pur se riferiti a misure diverse: ciò appare possibile attraverso il ricorso al cosiddetto “cluster” di misure, ossia ad un “pacchetto” che consente, attraverso un’unica domanda di finanziamento, di accedere contestualmente a più misure (3). Oltre al beneficiario unico, ciò che deve caratterizzare tali "pacchetti" sono naturalmente la complementarietà tra quegli interventi che, in maniera sinergica, possano meglio di altri rappresentare le politiche territoriali scelte.
Il “cluster” rappresenta una soluzione innovativa rilevante, su cui l’Amministrazione, pur nella consapevolezza delle difficoltà da affrontare per articolare i connessi strumenti procedurali, intende scommettere per innalzare la qualità degli investimenti (sotto il profilo delle sinergie che si possono sviluppare e del conseguimento degli obiettivi strategici territoriali).
Nel caso di richiedenti privati, poi, il ricorso al “cluster” non può prescindere dall’obbligo di presentare un piano di sviluppo aziendale da cui si evinca la funzionalità degli interventi previsti e delle misure attivate rispetto alla strategia competitiva dell’impresa e ai suoi obiettivi di sviluppo, nonché la rispondenza alle priorità del territorio di riferimento: detto piano, quindi, diventa la base principale della valutazione dell’istanza, la quale potrebbe efficacemente basarsi sull’applicazione di matrici che consentano un’analisi multidimensionale, con lo scopo di pesare adeguatamente i valori espressi da indicatori di natura sia economica che extraeconomica (ossia relativi al cosiddetto “rendimento globale” dell’azienda, nella terminologia comunitaria). La presentazione di istanze progettuali che sono più articolate (multiobiettivi e pluriattività) richiede, fra le altre cose, una specifica azione formativa per i tecnici istruttori, al fine di adeguare ed integrare le loro competenze alle necessità di un nuovo modello di valutazione che dovrà consentire una selezione quanto più oggettiva possibile.
La composizione e le competenze del gruppo dei tecnici istruttori rappresentano uno degli argomenti di riflessione nell’ambito della progettazione e implementazione del modello organizzativo per l’attuazione e gestione del PSR 2007-2013. In proposito, l’esperienza positiva compiuta dalla Regione Campania nella fase 2000-2006, ha costituito un importante riferimento per definire l’ipotesi di organizzazione funzionale dell’apparato che dovrà gestire il PSR.
È stata così ipotizzata una struttura organizzativa a matrice, di supporto al Responsabile del Fondo FEARS, per fornire una collaborazione continua, utile a conseguire efficienza ed efficacia nell’azione di guida e coordinamento del Programma. La struttura anzidetta è costituita da una Cabina di regia per l’attuazione e il controllo del PSR, articolata in sei unità di staff (fig. 3), di cui tre destinate a implementare le attività di gestione (valutazione dell’attuazione, pianificazione e controllo di gestione, formazione e comunicazione) e tre deputate a supportare le attività di controllo (audit interno, sistema informativo e monitoraggio, consulenza giuridico-amministrativa). L’ipotizzata soluzione organizzativa risulta anche coerente con la segregazione delle funzioni che, come è noto, rappresenta un aspetto rilevante della realizzazione degli interventi cofinanziati dall’UE.

Figura 3: Il modello organizzativo campano ipotizzato per la fase 2007-2013

Fonte: “Schema di PSR Campania 2007-2013” (2006)

La struttura complessiva del modello organizzativo illustrato è basata su due elementi fondamentali: la completezza e la flessibilità. Le due strutture di staff, infatti, sono state opportunamente articolate in più unità per poter assicurare lo svolgimento di tutte le funzioni necessarie (e affrontare tutte le evenienze di un programma estremamente complesso quale è il PSR); tuttavia, le varie unità sono anche caratterizzate da modalità di funzionamento e di interazione flessibili, così da renderne possibile l’adattamento continuo alle varie esigenze emergenti, che saranno naturalmente diverse a seconda dei differenti strumenti attuativi messi in campo.

Nota conclusiva

L’esperienza campana di programmazione per lo sviluppo rurale 2007-2013 evidenzia in maniera chiara l’estrema complessità di un percorso di lavoro che ha cercato di tenere contemporaneamente in considerazione tutti gli elementi ritenuti strategici per lo sviluppo delle aree rurali.
Il salto di qualità richiesto dall’Unione europea alle Amministrazioni pubbliche è, infatti, notevole (territorializzazione, integrazione e complementarità, attuazione strategica). A ciò si è cercato di dare una concreta risposta, cogliendo anche i numerosi spunti derivanti dalle esperienze già compiute, con l’obiettivo di non disperdere il patrimonio accumulato e di individuare soluzioni utili a superare le criticità già incontrate. In tal senso, lo sforzo è stato ed è ancora quello di adattare gli orientamenti comunitari e nazionali ai sistemi territoriali regionali, nonché di andare oltre le disposizioni regolamentari per individuare percorsi (anche del tutto innovativi) utili al conseguimento degli obiettivi strategici definiti a livello comunitario, nazionale e regionale.
Il primo importante step di questo percorso si è concluso con l’ottenimento dello Schema di PSR, frutto di un lavoro di gruppo, nel quale la possibilità di valorizzare congiuntamente le professionalità di diversi soggetti ha conferito un notevole valore aggiunto al lavoro stesso. Inoltre, la metodologia seguita nella elaborazione del documento, si è basata su percorsi di lavoro e su riferimenti oggettivi, che la rendono estremamente operativa e concreta. Proprio per questo l’impostazione metodologica ed i contenuti dello Schema, presentati sinteticamente in questo articolo, hanno suscitato un certo interesse da parte di alcune Regioni, che in questo momento sono impegnate nella programmazione 2007-2013.
La non meno importante fase successiva, che condurrà al passaggio dallo Schema al Programma vero e proprio, è attualmente in corso ed è rappresentata dalla prevista concertazione, da un lato, con la Commissione europea e, dall’altro, con i competenti Enti locali, con le Parti economiche e sociali e con altri Enti rappresentativi dei territori. L’auspicio è che da tale processo di consultazione “verticale” ed “orizzontale”, scaturiscano ulteriori utili elementi di programmazione, nonché soluzioni attuative e organizzative che possano conferire maggiore concretezza all’approccio strategico considerato.

Note

(*) Il lavoro è frutto comune dei due autori. Tuttavia, la redazione dei singoli paragrafi va così attribuita: A. Falessi, “Premessa”, “Gli elementi fondanti dell’approccio strategico della politica di sviluppo rurale”, “Nota conclusiva”; I. Di Paolo, “L’inquadramento dell’intervento comunitario nel settore dello sviluppo rurale”, “Le esperienze di integrazione territoriale in Campania”, “Gli orientamenti regionali in relazione al nuovo approccio strategico”.
(1) Il DSR è stato definito dalla Giunta Regionale con l’obiettivo di rendere organica l’impostazione di tutta la programmazione regionale per lo sviluppo, attuabile sia attraverso le risorse comunitarie e nazionali e sia mediante i fondi ordinari.
(2) Per un approfondimento sulla natura, gli obiettivi e modalità di attuazione di ciascuno dei progetti menzionati, si veda lo Schema di PSR Campania 2007-2013.
(3) Al riguardo si evidenzia che, all’art. 70, paragrafo 7, secondo comma, il Reg. (CE) 1698/05 apre la possibilità all’impostazione delle misure in "pacchetti" (anche se rientranti in Assi diversi).

Riferimenti Bibliografici

  • Bencardino F., Falessi A., Marotta G. (2005), I sistemi agroalimentari e rurali. Metodologie di analisi ed assetti organizzativi in Campania, Pubblicazioni DASES, Franco Angeli, Milano.
  • Cacace D., Falessi A., Marotta G. (2005), I sistemi agroalimentari e rurali in Campania. Filiere e territori, Pubblicazioni DASES, Franco Angeli, Milano.
  • Decisione del Consiglio (2006/144/CE) del 20 febbraio 2006 relativa agli orientamenti strategici comunitari, G.U. L 55/20 del 25.02.2006.
  • Falessi A. (2006), La gestione coordinata delle misure di sviluppo rurale. Aspetti tecnici e procedurali, Intervento al seminario nazionale “Sviluppo rurale, governance e programmazione 2007-2013”, Roma, 20 luglio.
  • Marotta G. (2006), Programmazione integrata e governance: il caso della Campania. Intervento al seminario nazionale “Sviluppo rurale, governance e programmazione 2007-2013”, Roma, 20 luglio.
  • Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (2006), Piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale, art. 11 Reg. (CE) 1698/05, aprile 2006.
  • Regolamento (CE) n. 1698/2005 del 20 settembre 2005 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, G.U. n. L 277 del 20.10.2005.

 

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Commenti

Le attuali norme in materia faunistica prevedono, oltre alla gestione programmata delle popolazioni animali selvatiche, anche interventi volti alla riqualificazione del territorio agro-silvo-pastorale, al fine di valorizzare gli ambienti a vocazione faunistica e nel contempo salvaguardare le aree più specificatamente destinate alle produzioni agricole e forestali. A tale scopo la normativa richiama più volte la formazione di “tecnici specializzati” in grado di utilizzare e programmare gli interventi necessari a gestire le interazioni fra attività antropiche, le popolazioni animali selvatiche e l'ambiente. Un'analisi della domanda del settore faunistico deve necessariamente partire dall'importanza e dalle funzioni che il sistema agro-ambientale svolge all'interno del sistema economico. Il Regolamento (CE) n. 1698/2005 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del (FEASR) per il periodo 2007-2013, contiene elementi idonei alla conservazione dell'agrobiodiversità, alcuni dei quali rappresentano un'interessante novità rispetto al passato periodo di programmazione (2000-2006). La diversità della fauna e flora selvatiche e le funzioni della biodiversità intese come fonti di sostentamento, se gestite consapevolmente nel contesto più ampio dell'agricoltura sostenibile e dello sviluppo rurale, servono alla popolazione rurale, ai consumatori dei prodotti agricoli e alla società in generale.
 
Cordiali saluti,
 
Dott. Agr. Salvatore Fontana

Commento originariamente inviato da 'Dott. Agr. Salvatore Fontana' in data 30/10/2006.

salve.
sono alla ricerca di materiale o siti da esplorare per avere una serie di informazioni che mi consentano di esprimere un giudizio critico dell'operato della regione campania in merito al PSR 2007-13.
Grazie

Commento originariamente inviato da 'Agostino' in data 28/02/2009.