L’agricoltura di precisione, una sfida anche per il diritto

L’agricoltura di precisione, una sfida anche per il diritto

Abstract

L’articolo approfondisce i principali profili giuridici dell’agricoltura di precisione, con particolare attenzione alla questione dei dati non personali, muovendo dall’esempio paradigmatico dell’impiego dei droni, una tecnologia che, secondo le previsioni più accreditate, troverà una grande diffusione proprio nel settore agricolo.

Introduzione

Con l’espressione agricoltura di precisione si fa riferimento al crescente fenomeno della digitalizzazione in agricoltura1.
Grazie alla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in particolare delle tecnologie digitali di nuova generazione e più “distruttive” (ovvero capaci di modificare profondamente lo status quo, cambiando il modo di vivere e di lavorare attraverso l’introduzione di nuovi prodotti e servizi, come i Big Data, l’Internet of Things, il cloud computing, la robotica, ecc.), lo strumentario oggi a disposizione degli agricoltori si è ulteriormente arricchito di attrezzature (come  smartphone, tablet, droni, sistemi di guida automatica, sistemi di mungitura robotica, fotocamere multispettrali, sofisticati sensori) che consentono, con sempre maggiore accuratezza, di monitorare e controllare un appezzamento di terreno più in dettaglio o un singolo animale, nel caso dell’allevamento, e di intervenire solo dove e quando è necessario e opportuno, con aumento delle rese e risparmio considerevole dei fattori produttivi (semi, fertilizzanti, acqua, suolo, fitofarmaci, farmaci veterinari, carburanti, ecc.), di tempo, di fatica (fisica e mentale) e con benefici che superano il singolo contesto aziendale e investono l’intera società.
L’agricoltura di precisione, rendendo possibile produrre con una efficienza sempre maggiore e con impatti ambientali sempre minori, è considerata infatti una risposta ottimale alle sfide che l’agricoltura deve oggi fronteggiare, come la rapida crescita della popolazione mondiale, il cambiamento climatico, la crescente domanda di energia e la scarsità delle risorse.
Proprio in ragione di ciò si sta assistendo a una intensificazione della sua promozione e più in generale della diffusione delle tecnologie digitali nel comparto agroalimentare, sia sul fronte nazionale (v. Mipaaf, 2017) sia sul fronte europeo. La riflessione sul futuro della politica agricola comune dopo il 2020 si sofferma ampiamente sul necessario avanzamento delle tecnologie digitali, addirittura fa della smart agriculture uno dei primi obiettivi da conseguire (Commissione europea, 2017c).

I principali ambiti giuridici coinvolti 

In molti studi e documenti sull’agricoltura di precisione (v., ad esempio, Eprs, 2017; Eip-Agri, 2015) viene dato un certo rilievo alle questioni giuridiche sollevate dalla diffusione della digitalizzazione in agricoltura.
Infatti, non pochi sono gli ambiti giuridici coinvolti, come quelli inerenti all’utilizzo delle tecnologie (es. legislazione sui droni, sull’utilizzo del gps, disciplina sui sistemi di guida senza conducente, sicurezza dei lavoratori, responsabilità civile, ecc.); alle finalità agro-alimentari-ambientali per cui tali tecnologie sono utilizzate (es. normativa sulle acque, sui nitrati, sui fitosanitari, sul benessere degli animali, sul degrado del suolo, ecc.); alle misure incentivanti l’attività agricola, in particolare, quelle adottate nell’ambito della politica agricola comune; all’impatto sull’impresa agricola; nonché al vasto campo della protezione e dello scambio dei dati.
Per meglio comprendere tali ambiti è utile soffermarsi sull’impiego dei droni a fini agricoli.
Innanzitutto, l’utilizzazione del drone è soggetta alla normativa che regolamenta l’utilizzo degli aeromobili in ambito civile. Il principale riferimento normativo è il Regolamento CE n. 216/2008 (c.d. Regolamento basico) il quale, tuttavia, per quanto riguarda i droni con massa operativa al decollo di peso inferiore o uguale ai 150 kg - che attualmente rappresentano pressoché la totalità dei droni impiegati in agricoltura – mantiene la regolamentazione agli Stati membri.
L’Italia ha dettato una propria disciplina in merito, la quale, muovendo dal codice della navigazione, trova il suo principale riferimento nella normativa a carattere regolamentare dettata dall’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac). Nello specifico, qui interessa il Regolamento mezzi aerei a pilotaggio remoto (inizialmente emanato del 2013 e, a oggi, più volte modificato) che prevede regole specifiche anche per i sistemi a pilotaggio remoto (sapr), quali i droni. Curiosamente, il termine drone, sebbene decisamente più popolare di altri, non compare nel diritto nazionale né in quello dell’UE, ove si fa riferimento agli unmanned aercraft systems (uas).
Come opportunamente osservato dalla dottrina che si è occupata maggiormente del tema, la normativa è in continua evoluzione e non ancora sufficientemente capace di supportare le aspettative di sviluppo dei droni (Franchi, 2014; Severoni, 2016).
Un importante sforzo verso un miglioramento dell’attuale quadro normativo si registra sul fronte europeo, dove si sta lavorando all’introduzione di una regolamentazione uniforme applicabile a qualsiasi drone, indipendentemente dal peso, volta a superare la frammentazione causata dalle diverse legislazioni nazionali, ritenuta pregiudizievole per lo sviluppo di un mercato unico dei droni e delle operazioni cross-border. Tale legislazione sarà incentrata su un approccio basato sui rischi e sulle tipologie di attività e introdurrà tre categorie di operazioni diversamente regolamentate in ragione della gravità del rischio che presentano: categoria «aperta», «specifica» e «certificata» (Easa, 2016). Significativamente, si riconosce come la maggior parte delle operazioni condotte nell’ambito dell’agricoltura di precisione ricadranno nella categoria «aperta», ovvero quella a basso rischio, con minori aggravi burocratici (Easa, 2017).
I droni in agricoltura possono operare innanzitutto come strumento multispettrale. In questo caso, favorendo l’intervento più adeguato – per esempio sotto il profilo dell’irrigazione, dell’uso dei fertilizzanti e dei concimi, dei fitofarmaci, etc. -, contribuiscono al rispetto della normativa ambientale, in materia di acque, nitrati, degrado del suolo, ecc. e, al contempo, i dati generati costituiscono una prova di tale rispetto.
Inoltre, i droni operano anche come strumento applicativo, come nel caso in cui vengano utilizzati per lo spargimento di prodotti fitosanitari, sia biologici (come insetti antagonisti) che non. In questo secondo caso, va tenuto presente che in base all’art. 9 della Direttiva 2009/128/CE e in base all’art. 13 del d.lgs. 150/2012 e al successivo “Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari” l’irrorazione di prodotti fitosanitari con mezzi aerei è vietata, fatte salve deroghe specifiche concesse solo nei casi in cui non siano praticabili modalità alternative o se l’irrorazione presenta evidenti vantaggi in termini di salute umana e tutela ambientale. E’ stata comunque recentemente avviata una discussione a livello europeo sulla possibilità di escludere dal concetto di “irrorazione aerea” di cui alla precitata normativa proprio l’uso dei droni (Eprs, 2017).
Una maggiore diffusione dell’impiego di droni in agricoltura è indubbiamente favorita dal sostegno attraverso misure di incentivazione come quelle previste a livello nazionale (v. misure fiscali recentemente introdotte in ottemperanza del Piano nazionale dell’Industria 4.0, Circolare dell’Agenzia delle Entrate, n. 4/E del 30 marzo 2017) ma soprattutto quelle previste dalla Pac, in particolare attraverso gli interventi nell’ambito dello sviluppo rurale (Regolamento UE n. 1305/2013), che, come è noto, molto puntano all’innovazione (Mipaaf, 2017). Non si deve poi tralasciare un altro aspetto: se è vero che la Pac è funzionale allo sviluppo dell’impiego dei droni e più in generale dell’agricoltura di precisione, al contempo, è anche vero che quest’ultima è funzionale alla efficiente implementazione della Pac, grazie ai dati generati si consente un controllo amministrativo più facile dei pagamenti e degli aiuti ricevuti, e grazie alla maggiore efficienza e razionalità delle attività realizzate si facilita il conseguimento degli obiettivi legati ai pagamenti e agli aiuti stessi (Eprs, 2017).
L’impiego dei droni, così come delle nuove tecnologie digitali e dei servizi ad essi connessi, invita a riflettere circa il loro impatto nel contesto dell’azienda agricola, sia in termini di investimenti necessari (aprendo quindi alle questioni inerenti ai finanziamenti e all’accesso al credito) sia in termini di sviluppo di nuovi servizi agricoli svolti dagli agricoltori (Francario, 1988) e di nuove forme di contoterzismo.
Ad oggi, comunque, l’ambito giuridico più delicato che concerne l’uso dei droni, e più in generale la digitalizzazione nel suo complesso, è quello relativo ai dati, poiché attiene al nucleo essenziale dell’agricoltura di precisione, la quale, per definizione, muove dal monitoraggio e dalla raccolta dei dati che, una volta analizzati e trasformati in informazione, consentono di intervenire ove è necessario e maggiormente opportuno.
Più nello specifico, i dati generati dal drone a seguito delle operazioni effettuate in un’azienda agricola possono essere utilizzati esclusivamente dal singolo agricoltore per operare delle scelte all’interno del suo contesto aziendale ma possono altresì confluire in piattaforme e cloud presenti nel web, permettendo la combinazione dei dati acquisiti dai droni (così come dei dati provenienti da altre tecnologie impiegate dall’agricoltura di precisione quali quelle legate all’Internet of Things) con l’imponente massa di dati presenti nella rete internet (big data).
Tale combinazione rileva sotto almeno due importanti profili: quello della interazione dei dati provenienti dai droni con i dati dei social network e degli altri strumenti di rilevazione dei movimenti delle persone (es. smartphone, gps, etc.), e quello della massiccia aggregazione di dati relativi all’attività agricola di numerosi agricoltori (big data agriculture).
Il primo profilo aumenta la possibilità di “intrusioni” nella vita privata dei cittadini “terzi” che si possono verificare per via delle telecamere e dei sensori installati sui droni. Tali strumentazioni possono infatti catturare immagini e dati non strettamente attinenti alle finalità “agricole” per cui operano (Parlamento europeo, 2015). Il fatto che le immagini e i dati catturati dai droni confluiscono nella rete e interagiscono con gli altri dati ivi presenti contribuisce alla identificazione delle persone e alla conoscenza di informazioni potenzialmente lesive della loro sfera privata (Finn, Donovan, 2016). I dati acquisiti possono inoltre concernere anche dati personali dell’agricoltore e dei lavoratori agricoli.
Il secondo profilo, maggiormente rilevante ai fini che qui interessano, tocca gli aspetti legati alla protezione dei dati relativi all’attività agricola e alla loro “proprietà”, termine questo emerso nei più recenti dibattiti attinenti allo scambio di dati non personali per dar conto di una «questione emergente» (Commissione europea, 2015) che va oltre la mera protezione nel senso di sicurezza (ad esempio, contro attacchi informatici) e di riservatezza. La questione attiene al controllo dei dati e, soprattutto, allo sfruttamento economico e alla commerciabilità dei dati grezzi, ovvero non trattati o modificati dopo la raccolta. In ambito agricolo, è peraltro particolarmente accentuata l’esigenza di una equa ripartizione del valore economico generato dai dati a seguito della loro analisi svolta da soggetti terzi.
Quando i dati grezzi generati dalle macchine (come i droni o i trattori con sensori, a esempio) vengono aggregati e combinati in larga scala unitamente a quelli di una molteplicità di altri agricoltori consentono comparazioni e confronti e soprattutto permettono di creare “nuove conoscenze” (EU Scar, 2016); tali nuove conoscenze possono essere utilizzate a fini lucrativi, allorché trasformate in applicazioni (a pagamento) per suggerire l’attività agricola ottimale (c.d. prescription agriculture) (Carbonell, 2016; Bronson, Knezevic, 2016), o, in prospettiva, a fini speculativi nell’ambito dei mercati delle commodity (Rasmussen, 2016).
Normalmente i produttori delle tecnologie impiegate nell’agricoltura di precisione forniscono anche i software per raccogliere, archiviare e trattare i dati, dando supporto ai singoli agricoltori nelle loro scelte, e mantengono il potere di analizzare i dati aggregati provenienti da più aziende (EU Scar, 2016). Come opportunamente osservato: “those who own the data can direct and control the data sets, are in central position of power, and create the added value and earn a major share of income generated in agriculture. Thus, the most critical issue for the future of PA [Precision agriculture ndr] and farming in Europe lies in future ownership of data and control of these platforms, and, secondarily, in issues concerning privacy” (Eprs, 2016, p. 26).
La preoccupazione è anche quella per cui questa situazione possa ingenerare dei cambiamenti di potere nel settore agroalimentare, paventando una nuova forma di dipendenza economica a danno degli agricoltori (Commissione europea, 2017b). Un altro rilevante aspetto da porre in evidenza concerne il timore che il controllo dei dati finisca con l’essere gestito al di fuori dell’UE a detrimento dell’agricoltura europea nel suo complesso (Eprs, 2016, p. 26).
L’importanza delle questioni qui poste in rilievo trova riscontro negli enormi investimenti avviati recentemente da alcune società nel settore dei big data in agricoltura, come la Monsanto, la quale non solo ha direttamente attivato piattaforme di raccolta e analisi di dati di aziende agricole fruibili dagli agricoltori ma sta anche acquisendo centinaia di start-up digitali  (nel 2013 ha acquisito il digital tool developer Climate corporation, che, nel 2016, a sua volta, aveva già acquistato circa 640 start-up, v. Bronson, Knezevic (2016)).

La questione dei dati agricoli

La nuova disciplina europea in materia di protezione dei dati personali, contenuta nel Reg. UE 2016/679, fornisce una risposta per il trattamento dei dati personali (ovvero «qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile») generati durante le attività agricole, siano essi relativi all’agricoltore, ai lavoratori impiegati nelle attività agricole e, in generale, ai soggetti che da esse vengono coinvolti. La nuova disciplina sui dati ovviamente dovrà essere rispettata anche dall’agricoltore per il trattamento dei dati personali nonché dai fabbricanti dei macchinari e delle attrezzature di precisione per quanto riguarda l’aspetto della privacy by design e by default.
Per quanto riguarda i dati non personali, come i dati agronomici, la non facile risposta alle esigenze ad essi connesse è da ricercare altrove. Tuttavia, ad oggi, deve riconoscersi l’assenza, per utilizzare le parole della Commissione, di «quadri programmatici complessivi a livello nazionale o dell’Unione in relazione ai dati grezzi generati da macchine non classificabili come dati personali o alle condizioni del loro sfruttamento economico e commerciabilità» (Commissione europea, 2017a). Infatti, la normativa europea in qualche modo riferibile al trasferimento dei dati nei rapporti Business-to-Business (B2B), nel cui ambito si annida essenzialmente la questione della configurabilità di “diritti (esclusivi) sui dati”, principalmente rappresentata dalla disciplina sul diritto d’autore e sul diritto sui generis sulle banche dati nonché dalla disciplina sul segreto commerciale, risulta inadeguata (Lattanzi, 2017).
In assenza di una normativa di carattere generale riferibile ai dati, l’accesso è essenzialmente regolato da clausole contrattuali stipulate tra le parti, con il rischio che nei casi in cui il potere negoziale dei diversi operatori del mercato è diseguale, le soluzioni lasciate all’autonomia delle parti si rivelino insufficienti, da sole, a garantire equi e favorevoli risultati all’innovazione, nonché a permettere l’accesso di nuovi operatori del mercato e a evitare effetti di lock-in (Commissione europea, 2017a). Ciò accade, ad esempio, quando i fabbricanti o i fornitori dei servizi possono diventare di fatto “proprietari” dei dati generati dalle loro macchine o processi, anche quando i dispositivi stessi sono di proprietà dell’utilizzatore, al quale possono impedirne l’uso (grazie a mezzi tecnici, come la cifratura) così come possono vietargli di autorizzarne l’uso da parte di altri soggetti.
Muovendo proprio dalla constatazione dell’inesistenza di un quadro programmatico complessivo applicabile all’accesso e al trasferimento dei dati grezzi (non personali) generati dalle macchine, la Commissione nel 2017 (Commissione europea, 2017a) ha avviato la discussione con gli stakeholder su alcune possibili soluzioni per colmare tale lacuna, tra cui l’introduzione di “nuovi diritti” a favore dei produttori dei dati nonché interventi in materia dei contratti sui dati. Facendo seguito alle consultazioni, la Commissione, nello scorso aprile, nell’ambito di un più vasto disegno volto a favorire la creazione di uno spazio comune dei dati (Commissione  europea, 2018), ha optato per uno strumento di soft law, ovvero delle linee guida per lo scambio B2B dei dati generati dalle macchine, vertenti su alcuni principi chiave come: la trasparenza, la condivisione del valore creato dai dati, il reciproco rispetto degli interessi commerciali, l’assicurazione di una competizione non distorta, la minimizzazione del data lock-in.
Si tratta dunque di una soluzione poco intrusiva rispetto alla autonomia delle parti contrattuali, che necessità di essere adeguatamente declinata nel contesto agricolo, caratterizzato, da sempre, da una forte asimmetria contrattuale.
La cronica debolezza contrattuale che caratterizza la posizione degli imprenditori agricoli nella filiera agroalimentare non li agevola di certo anche nello scenario della economia dei dati e lascia facilmente intendere come pure le relazioni contrattuali inerenti alla “catena del valore dei dati agricoli”, ove gli agricoltori si fronteggiano con operatori indubbiamente più esperti, alcuni dei quali già noti, difficilmente possano avere altra sorte. Urgono, dunque, soluzioni adeguate, capaci di affrontare una simile peculiarità (Eprs, 2017).
Proprio per far fronte a tale situazione stanno nascendo iniziative di autoregolamentazione concernenti l’adozione di codici di condotta e linee guida per la redazione dei contratti aventi ad oggetto i dati agricoli e che mirano a garantire il rispetto di alcuni principi volti a tutelare gli agricoltori (v. l’esperienza del codice di condotta elaborato da BO Akkerbouw, un organismo di coordinamento delle organizzazioni interprofessionali riconosciute nel settore dei seminativi in Olanda, la posizione del Copa-Cogeca (2016) (Wolfert, Bogaardt, Ge, Soma, Verdouw, 2017). Tali iniziative si registrano anche in Paesi extra-europei, come la Nuova Zelanda (v. New Zealand Farm Data Code of Practice) e gli Stati Uniti (v. Privacy and Security Principles for Farm Data promosso dall’American Farm Bureau Federation), che, peraltro, non si limitano a suggerire dei principi guida da seguire nella redazione dei contratti di cui è parte un agricoltore, ma propongono una sorta di certificazione o di segno distintivo volti ad attestare l’“affidabilità” di quei contraenti che si sono impegnati a rispettare tali linee guida nella redazione dei contratti con gli agricoltori.
In questo contesto, anche alla luce dei maggiori poteri negoziali recentemente riconosciuti alle organizzazioni dei produttori e alle organizzazioni interprofessionali, tali soggetti così come le cooperative agricole e i consorzi ed altri fenomeni associativi potrebbero svolgere un ruolo fondamentale nella contrattazione sui dati agricoli oltre che nella garanzia della loro accuratezza e veridicità, nonché nella fornitura di servizi basati sui dati, nella logica della promozione di nuove forme di agricoltura di servizi, a cui prima si è accennato (Lattanzi, 2017).
L’agricoltura che verrà (Adornato, 2015) non può prescindere dai numerosi benefici ambientali, sociali ed economici che derivano dall’agricoltura di precisione, la cui diffusione presso le aziende agricole europee è tutt’ora relativamente modesta.
Il suo sviluppo dipende dal superamento di vari ostacoli tra cui gioca un ruolo rilevante il fatto che le normative vigenti non sempre sono rispondenti alle esigenze specifiche del settore agricolo (Eprs, 2017) né sono ancora adeguate alle nuove tecnologie impiegate. La sfida dell’innovazione tecnologica promossa dall’agricoltura di precisione, soprattutto quella legata alla data driven innovation (Oecd, 2015), costituisce in definitiva anche una sfida per il diritto. 

Riferimenti bibliografici

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  • 1. Esistono molte definizioni di agricoltura di precisione. Una definizione sintetica ma efficace è quella che la descrive come «apply the right treatment in the right place at the right time» (Pierce, Nowak, 1999). Una definizione più estesa, non limitata alla considerazione del giusto trattamento agronomico come la precedente, la identifica invece come «una gestione aziendale (agricola, forestale e zootecnica) basata sull’osservazione, la misura e la risposta dell’insieme di variabili quanti-qualitative inter ed intra-campo che intervengono nell’ordinamento produttivo. Ciò al fine di definire, dopo analisi dei dati sito-specifici, un sistema di supporto decisionale per l’intera gestione aziendale, con l’obiettivo di ottimizzare i rendimenti nell’ottica di una sostenibilità avanzata di tipo climatica ed ambientale, economica, produttiva e sociale» (Mipaaf, 2017). Le espressioni smart farming, digital farming, internet of farming e agricoltura 4.0 (in analogia a Industria 4.0) non sempre sono intese come sinonimi di agricoltura di precisione ma vengono usate in letteratura per sottolineare un’evoluzione dell’agricoltura di precisione verso forme di gestione aziendale in cui è dato maggiore rilievo alle più recenti tecnologie (in particolare ai big data) e al data management (Wolfert, Ge, Verdouw, Bogaardt, 2017; Commissione europea, 2016).
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