L’inizio del processo di riforma della Pac post-2020 in Italia: un’occasione per riflettere

L’inizio del processo di riforma della Pac post-2020 in Italia: un’occasione per riflettere
a Università degli Studi di Parma, Dipartimento di scienze economiche e aziendali

Contributo rivisto dell’intervento svolto dall’Autore il 22 febbraio 2017 nel corso dell’audizione parlamentare della Commissione Permanente XII (Agricoltura) della Camera dei Deputati sulle Risoluzioni Gallinella 7-01165 e 7-00944 e Oliverio 7-01169: Iniziative in materia di Politica agricola comune. [LINK]

Introduzione

La Politica Agricola Comunitaria (Pac) nell’anno 2017 si appresta a vivere una nuova stagione di riforme a seguito di una concomitanza di fattori che obbligano la Commissione e il Parlamento a rivedere, o più semplicemente adattare, l’attuale assetto normativo sia agli scenari di politica europei (Brexit, elezioni, riforma dell’assetto Istituzionale europeo) che ai nuovi contesti di mercato e ambientali (commercio interno e internazionale, domanda di alimenti di qualità e cambiamenti climatici).
Le prime avvisaglie di un adattamento, più che una vera e propria riforma, sono iniziate con la pubblicazione del cosiddetto Regolamento Omnibus (Com 2016 (605)), ossia la proposta di regolamento che stabilisce le regole finanziarie applicate al bilancio generale dell’Unione Europea e che emenda alcuni Regolamenti che agiscono su diversi settori, tra cui l’agricoltura, e la consultazione pubblica lanciata dal Commissario Phil Hogan a tutti i cittadini europei su un più ampio processo di riforma della Pac per il periodo successivo al 2020.
In questo contesto la Politica Italiana, e in particolare la Commissione Agricoltura della Camera presieduta dall’On. Luca Sani, ha aperto un dibattito sulle “distorsioni” dell’attuale Pac e sui nuovi scenari di intervento nella realtà Italiana che si prospettano. Al riguardo le Risoluzioni presentate dagli Onorevoli Gallinella e Oliverio (Gallinella e Oliverio, 2017) alla Commissione Agricoltura hanno l’obiettivo di impegnare il Governo per emendare alcuni aspetti relativi ai Regolamenti che costituiscono la Pac 2014-2020 e indirizzare alcuni elementi contenuti nel RegolamentoOmnibus”.
Nello specifico gli interventi degli Onorevoli Gallinella e Oliverio intendono impegnare il Governo ad assumere le seguenti iniziative:

  • aumentare fino a 400 euro l’importo minimo del pagamento di base modificando i criteri per la sua definizione con l’ausilio di indicazioni di tipo socioeconomico;
  • riformare lo strumento degli aiuti accoppiati rendendolo più anticiclico, flessibile nelle esigenze dei Paesi membri dando la possibilità di aumentare l’aiuto, finalizzarlo a iniziative specifiche (tutela del benessere animale e alimentazione Ogm free) o, nel caso, sopprimerlo per creare un fondo unico finalizzato a fronteggiare crisi di mercato e ambientali;
  • rivedere le norme sulla greening anche adottando iniziative per misurare gli effetti generati;
  • incoraggiare il mantenimento e la diffusione di colture arboree di pregio paesaggistico per favorire la fruibilità ambientale le potenzialità turistiche delle aree rurali interne;
  • incentivare l’aggregazione verso Organizzazioni di Produttori e Organizzazioni Interprofessionali mediante l’utilizzo di sussidi specifici;
  • aumentare l’efficacia delle misure di gestione del rischio estendendole ad altre forme assicurative;
  • estendere l’obbligo dell’origine in etichetta tutelando e promuovendo le filiere corte;
  • sostenere maggiormente la consulenza agricola;
  • favorire ulteriormente la semplificazione burocratica senza mettere in discussione il principio di agricoltore attivo.

Le misure proposte dai Parlamentari Gallinella e Oliverio, vanno nella direzione di migliorare alcuni aspetti dell’attuale pacchetto normativo alla luce l’esperienza maturata in questi primi anni di applicazione. Essi non sono sicuramente esaustivi delle problematiche aperte (ad esempio non è considerata la questione dell’erba medica nel nord Italia nella diversificazione produttiva) ma offrono l’occasione di una riflessione più ampia rispetto ad un percorso di riforma che sembra delinearsi. Ossia il mantenimento dello status quo con leggere modifiche e adattamenti dovuti prevalentemente alla riduzione del budget disponibile.

Tante politiche ma un solo strumento

Le Risoluzioni che intendono impegnare il Governo presentano alcuni elementi comuni finalizzati al perseguimento di politiche che, utilizzando lo strumento della politica agricola (la Pac), perseguono obiettivi diversi tra loro. Tali obiettivi esulano in parte da una politica agricola in senso stretto e includono valori e obiettivi tipici di altre politiche che, nella fattispecie, sono riconducibili a: politiche ambientali (nel momento in cui si tutela l’ambiente), paesaggistiche/ricreative (nel momento in cui si tutela il paesaggio agrario), salutistiche (nel momento in cui si tutela e promuove il benessere animale e si evita l’uso di alimenti Ogm), commerciali e di mercato (nel momento in cui si vuole ridiscutere gli aiuti accoppiati, rafforzare il ruolo dell’interprofessione agricola, promuovere le filiere corte e obbligare l’uso dell’indicazione di origine delle materie prime in etichetta) sino a diventare politiche di sviluppo locale nel momento in cui si interviene a sostegno della qualità della vita in aree rurali interne. Non di meno le politiche agricole in senso stretto vanno nella direzione di facilitare l’inserimento dei giovani, migliorare il processo di trasferimento tecnologico, garantire la stabilità e la permanenza degli agricoltori nel loro territorio attraverso una maggiore stabilità economica ottenuta aumentando sia il plafond del pagamento diretto che stabilizzando il suo reddito attraverso il ricorso forme assicurative.

Pagamenti diretti: finalità, risultati e proposte

Da questa considerazione nasce il dubbio che gli strumenti di politica agricola utilizzati per raggiungere obbiettivi legati alla generazione di beni pubblici, già presenti nella passata revisione di medio termine e inserite a pieno titolo nella Pac 2014-2020, siano realmente efficaci o se, per contro, rappresentino un vincolo per le aziende (e quindi un costo) senza apportare reali benefici alle aziende agricole, ai consumatori e alla Collettività. Con riferimento al greening, ad esempio, è noto come in Italia, ma anche nella stessa Europa, il suo impatto è alquanto modesto (Solazzo, et al. 2014 e 2015.; Louhichi, 2015) data l'esclusione delle aziende al di sotto dei 10 ettari a seminativo per la diversificazione colturale e di 15 ettari per l’applicazione dell’Efa. Per contro, per le aziende di maggiori dimensioni la misura del greening rappresenta un modo per incrementare anche in modo significativo il livello di pagamento percepito dagli imprenditori agricoli. In buona sostanza l’esperienza di questo periodo di applicazione ci insegna come, a fronte di una politica agricola più complessa e complicata, vi siano risultati che non dimostrano di andare nella direzione sperata a fronte di costi amministrativi legati ai controlli (umano e via satelliti) non trascurabili.
Correttamente l’On. Oliverio pone la questione della misurazione degli effetti del greening ma una sua puntuale rilevazione porterebbe ad un ulteriore innalzamento dei costi da parte delle aziende agricole. Occorrerebbe quindi ricorrere a strumenti che, pur legandosi alla produzione agricola, siano più mirati negli obiettivi, nei risultati attesi e flessibili nella applicazione in quanto presentano un legame diretto al contesto ambientale e territoriale nel quale le misure di greening vengono applicate (ad esempio tra zone svantaggiate e zone non svantaggiate).
Le Risoluzioni proposte, inoltre, scaturiscono sia dalla recente presentazione del Regolamento Omnibus che dall’avvio del processo di revisione della Pac e sono ispirate dalla necessità di semplificare la Pac ma anche dalla consapevolezza che il budget a favore del settore agricolo potrà subire importanti decurtazioni a seguito della necessità della Commissione di fronteggiare le tante “emergenze” che in questo momento colpiscono l’Europa (Brexit, migranti, crescita economica, coesione sociale, etc). Emergenze non di poco conto se hanno portato la Commissione a varare un Regolamento Omnibus che comprende contemporaneamente interventi su più settori strategici per il futuro della stessa Europa. Semplificazione e economicità delle politiche non dovrebbero essere due slogan ma vincoli ai cui sottostare nell’impostare un possibile percorso di riforma la cui attuazione porta ad un vero e proprio cambio di direzione rispetto alle misure sin qui sviluppate.
Nel valutare le proposte che intendono impegnare il Governo, inoltre, va tenuto conto che in questi anni è stata maturata una notevole esperienza rispetto all’impatto delle diverse misure di politica agricola permettendoci di verificare le problematiche ad esse legate. Vanno considerate altresì le dinamiche delle filiere alimentari e in particolare il ruolo che la Gdo e le politiche commerciali che utilizzano segni di qualità (marchi e brand) nel guidare i consumatori nelle loro scelte di acquisto. Nello specifico, con riferimento alle proposte contenute nelle Risoluzioni che hanno come obiettivo la creazione di beni pubblici in ambito ambientale, benessere animale e qualità degli alimenti, chi si è realmente avvantaggiato sono state le filiere integrate a valle da imprese industriali o, come nella maggior parte dei casi, direttamente dalla Gdo. Quest’ultima infatti sviluppando disciplinari livellati su quelli definiti dai sistemi di qualità (come la lotta integrata) hanno sviluppato marchi commerciali e politiche di marketing qualitative a costi contenuti ricavandone un diretto vantaggio commerciale senza ripartirlo, o ripartendolo in minima parte, con le imprese agricole.
Ne discende che investire nella creazione di beni pubblici senza un diretto sbocco commerciale rischia di generare un effetto opposto a quanto voluto con basso impegno da parte delle imprese agricole (che percepiscono il vincolo ambientale come costo senza generare un valore aggiunto) e una scarsa soddisfazione de cittadini/contribuenti che non percepiscono il valore del beneficio generato.
Una strategia alternativa dovrebbe supportare (anche economicamente) la partecipazione delle aziende agricole a schemi di qualità (cogenti e volontari) che hanno diretto collegamento al mercato e quindi di aziende che aderiscono a filiere economicamente integrate e/o gestite da Organizzazioni di Produttori e/o Cooperative. In altre parole, si tratta di contribuire (in tutto o in parte) a supportare il costo di certificazione relativo all’adozione di specifici schemi di qualità che hanno come oggetto la creazione di esternalità positive o la riduzione di esternalità negative (gestione dell’ambiente, riduzione dei gas serra, benessere animale, etc.). Questo approccio, oltre che andare nella direzione di incrementare la competitività delle aziende, renderebbe esplicito il valore aggiunto generato con la possibilità di ripartirlo tra gli agenti e trasferirebbe il costo del controllo da enti pubblici a “terze parti” che, nel rispetto della normativa vigente, agiscono in modo indipendente garantendo la necessaria imparzialità con una evidente semplificazione amministrativa delle misure di intervento e di controllo. La certificazione di sistemi di qualità, inoltre, amplierebbe la varietà di potenziali buone pratiche che l’agricoltore potrebbe svolgere a vantaggio della Collettività adattandosi, in misura flessibile, alle specifiche condizioni agroambientali dei diversi territori Italiani. La pratica della certificazione volontaria, non è da considerarsi una innovaziona straordinaria ma una pratica innovativa che caratterizza le filiere più dinamiche, più attente ai bisogni dei consumatori nella ricerca di attributi fiducia e capaci di generare un più alto valore aggiunto.
Un approccio che intenda stimolare la nascita dei sistemi di qualità presenta una valenza anche in termini di sviluppo rurale in una logica sostenibile nel momento in cui venisse avviata la possibilità di creare un mercato volontario dei “diritti ad inquinare”. Quest’ultimo consentirebbe alle aziende agricole che accettano di partecipare, e di farsi certificare, di vendere sul mercato le quote in inquinante (ad esempio CO2) sequestrato all’ambiente e reso disponibile al mercato per aziende inquinanti. Tale misura, contemplabile in servizi ecosistemici, oltre che innegabili vantaggi ambientali, consentirebbe un‘integrazione al reddito per le imprese agricole di aree svantaggiate e non svantaggiate  ed anche un incentivo ad applicare buone pratiche agricole a salvaguardia dell’ambiente.

Politiche commerciali, forme di coordinamento di mercato e il ruolo della qualità

Collegato alla creazione di beni pubblici vi è l’annoso dibattito sull’indicazione obbligatoria dell’origine della materia prima in etichetta. L’assunto è che l’indicazione della semplice origine Italia sia un valore aggiunto prontamente trasferibile ai produttori. In realtà, i vantaggi sono solamente potenziali e limitati all’Italia. Potenziali in quanto il trasferimento del valore aggiunto alla produzione è legato alla capacità di dialogo e al potere contrattuale tra le gli agenti della filiera. Limitato all’Italia in quanto, escludendo i prodotti Dop e Igp per i quali l’origine è garantita, a esportare sono principalmente imprese che legano la loro strategia commerciale all’utilizzo di marchi commerciali (industriali o del distributore). Sono questi ultimi a guidare i consumatori all’acquisto e questo sia sui mercati nazionali che internazionali. Il vero fattore trainante che potrebbe garantire il trasferimento del valore aggiunto alla componente agricola è l’adozione di una politica di qualità basata sulla presenza di attributi intrinseci ed estrinseci ricercati dai consumatori e una forte capacità negoziale lungo la filiera.
Si ritorna quindi al tema del coordinamento delle filiere alimentari e alla necessità di concentrare l’offerta nonché di accrescere il potere contrattuale dell’offerta agricola. Il Regolamento orizzontale 1308/2013 sull’organizzazione comune di mercato ha ampliato i settori di intervento dell’interprofessione. Tuttavia, l’Italia, nonostante il dibattito in atto e gli innegabili progressi rappresentati dalla legislazione vigente (DL 51/2015 convertito nella Legge 91/2015), non ha ancora prodotto gli effetti sperati e che dovrebbero caratterizzare un’interprofessione moderna ed efficiente. Quest’ultima deve essere considerata non solo come lo strumento per una moderna gestione dei rapporti di filiera (e quindi di mercato) ma anche lo strumento per rafforzare la stabilità delle aziende agricole e il loro grado di resilienza e di sostenibilità.
In particolare, la possibilità prevista dal Regolamento Omnibus di gestire condizioni di rischio - relativamente ad un ampio spettro di potenziali fattori che possono ridurre il reddito delle imprese agricole -  attraverso la stipula di assicurazioni, al momento, appare come uno strumento complesso. Questo soprattutto in considerazione della mancanza della necessaria competenza tecnica da parte degli imprenditori agricoli nel gestire forme assicurative contro rischi di variazioni di prezzo. Per contro forme assicurative finalizzate alla stabilizzazione del prezzo potrebbero essere veicolate e gestite proprio dalle organizzazioni di gestione della filiera come le OP o le Aop. Il loro intervento, infatti, potrebbe favorire una gestione più efficiente di questi strumenti attenuando l’eventuale impatto di rischi sistemici.
Relativamente all’interprofessione, il Regolamento 1151/2012 collegato all’art. 157 del Reg. 1308/2013, come noto, definisce le funzioni dei “Gruppi” che gestiscono le Indicazioni geografiche e prevede la possibilità, su richiesta delle Organizzazioni, di un loro riconoscimento come interprofessione. I Gruppi, in base alla legislazione attuale vigente in Italia, sono riconducibili ai Consorzi di tutela delle Dop e Igp che devono rappresentare una quota rappresentativa della filiera (pari a 2/3 dei produttori e 50% della produzione). Tuttavia, nella maggioranza dei casi la filiera è rappresentata nei Consorzi solo formalmente e, molto spesso, in modo strumentale per consentire il governo del Consorzio o alla componente agricola della filiera o ai trasformatori. Ne deriva che non tutte le componenti della filiera sono rappresentate in modo equo rendendo potenzialmente non equilibrato il processo decisionale. Se ne deduce che benché i Consorzi siano potenzialmente equiparabili alle OI, nella sostanza, in Italia non sono assimilabili OI (Giacomini et al., 2012).
Data l’importanza economica, sociale e ambientale, ma anche di immagine, che il comparto delle Denominazioni di Origine ricopre in Italia, nonché il crescente ruolo delle OI come punto di coordinamento delle filiere, la riforma della Legge Comunitaria 1999 n. 526 che regolamenta le competenze dei Consorzi di tutela si rende quanto mai necessaria. Questo adeguamento si rende quanto mai urgente in considerazione del fatto che i Consorzi di tutela operano in condizioni erga omnes e della possibilità concessa ai Consorzi di programmare la produzione, di imporre e gestire quote produttive presso le aziende agricole e di trasformazione loro associate. In questa fase di revisione, per dare maggiore forza all’azione di governance dei Consorzi, sarebbe quanto mai opportuno che in Europa vi fosse convergenza sul modello di rappresentatività e governance della filiera da parte dei Consorzi di tutela spingendoli verso forme riconducibili ad OI a tutti gli effetti. Al riguardo, un esempio efficiente a cui guardare è sicuramente il modello dell’interprofessione francese e il loro rapporto con i Consorzi di tutela.
Va da sé che Consorzi di tutela forti e forme interprofessionali efficienti rappresenterebbero forme di gestione delle filiere moderne capaci non solo di aggregare l’offerta ma di indirizzarla verso i bisogni del mercato e della Collettività mediante canali commerciali efficienti. Solo in questo caso interventi anticiclici sviluppati mediante aiuti accoppiati consentirebbero di non far perdere competitività alle aziende e anzi creare valore aggiunto. Per contro, aiuti accoppiati elargiti a filiere mediante un approccio “a pioggia” non fornirebbero alle aziende una sufficiente garanzia di superare momenti di difficoltà congiunturale.

Verso una politica agricola e agroalimentare

Infine, l’attuale processo di revisione della Pac fornisce l’occasione di riconsiderare il cammino sin qui svolto dalla Pac per adattarlo alle nuove esigenze dei consumatori e della Collettività portandolo da una “politica agricola” ad una “politica agricola e alimentare”. Questo passaggio sancirebbe definitivamente l’idea che la politica agricola da sola non basta, ma occorre identificare nuovi strumenti finalizzati a raggiungere nuovi obiettivi in modo semplice e efficiente. Ne è un esempio il reflection paper “Towards a Common Agricultural and Food Policy” (Fresco and Poppe, 2016) il quale auspica un deciso cambiamento di indirizzo della Pac. L’obiettivo è valorizzare sempre di più i “tanti” attributi qualitativi che sono presenti negli alimenti. I consumatori sono sempre più consapevoli che il cibo e le sue modalità di produzione impattano sull’ambiente, sulla sostenibilità delle aree rurali ma anche sulla loro salute. Per questo motivo il “fenomeno” dei mercati contadini sta diventando una componente strutturale dell’offerta agroalimentare a cui si rivolgono direttamente i consumatori. Ma non solo, occorre rilevare che le modalità di consumo alimentare radicate all’interno della sfera famigliare si stanno evolvendo per trasferirsi nel luogo di lavoro. Questo fa sì che nascono nuovi soggetti che si inseriscono all’interno delle filiere che si rapportano con gli agenti a monte diventando responsabili di alimentare i loro clienti in un modo sano e salubre e di influenzare il comportamento e la sostenibilità delle imprese a monte.
In questo contesto una moderna politica alimentare non si deve limitare a sostenere economicamente la sola produzione (offerta agricola), ma deve considerare la possibilità di sostenere e indirizzare anche i consumi di qualità, ossia quelle produzioni alimentari riconducibili in schemi di qualità certificati (food quality scheme). Diverse esperienze Europee riconoscono agli operatori pubblici che gestiscono cibo per mense scolastiche, mense ospedaliere e in generale mense per i dipendenti dello Stato che si approvvigionano mediante “public procurement” un ruolo sempre più importante nell’indirizzare la domanda di qualità e nello sviluppo di comportamenti virtuosi da parte dei produttori. In Italia vi sono esperienze significative in questo senso che hanno avuto il grande merito di legare domanda e offerta qualità con importanti ricadute in termini di sviluppo rurale.

Conclusioni

Il cammino verso una nuova (si spera) Politica Agricola Europea è appena avviato e in un contesto sociale e politico europeo come quello attuale diventa difficile fare delle previsioni sulla sua evoluzione. In questi giorni il Presidente della Commissione Europea Juncker ha proposto cinque possibili scenari istituzionali per l’Europa a 27 Paesi (senza il Regno Unito) e le loro implicazioni sulla futura politica agricola sono ancora del tutto sconosciute. Quello che appare evidente però è che la Pac per come l’abbiamo conosciuta e applicata scontenta molti agricoltori e ampie fasce di cittadini/contribuenti che lamentano una scarsa capacità di salvaguardare le filiere europee e le aree rurali interne. Forse è giunto davvero il momento di ripensare a una nuova Pac per obiettivi e strumenti di implementazione.

Riferimenti bibliografici

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  • Solazzo R., Donati M., Arfini F., (2015). Cap towards 2020 and the cost of political choices: the case of Emilia-Romagna region, Land Use Policy, Volume 48. November 01. 2015. Pages 575-587. Doi information: 10.1016/j.landusepol.2015.06.015. ISSN: 02648377

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