Le lezioni da trarre dalle valutazioni di sintesi della programmazione dello sviluppo rurale 2007-2013

Le lezioni da trarre dalle valutazioni di sintesi della programmazione dello sviluppo rurale 2007-2013

Abstract

Il tema di questo numero di Agriregionieuropa è la programmazione 2007-2013, a pochi mesi dalla chiusura definitiva dei programmi di sviluppo rurale (Psr). I contributi proposti riflettono le considerazioni, da una parte, di coloro hanno definito e attuato i programmi e, dall’altra, dei valutatori, che alla realizzazione dei programmi hanno contribuito, attraverso le loro analisi sull’efficienza e sull’efficacia degli interventi previsti.

Introduzione

A tre anni esatti dalla partenza del ciclo di programmazione delle Politiche di sviluppo rurale 2014-2020 l’Italia registra un avvio lento, dovuto alle difficoltà organizzative che ogni programmazione sembra portarsi dietro. Nel frattempo i diversi attori coinvolti nell’attuazione delle politiche, come sempre accade nel mezzo del periodo di programmazione, sono impegnati su due fronti di riprogrammazione: quello di medio periodo, con le novità introdotte dalla proposta di regolamentoomnibus1”, e quello di riforma della Pac post 2020. Va da sé che il percorso di programmazione e la conseguente attuazione delle politiche tende a prescinde da un’attenta analisi dei risultati ottenuti, delle criticità incontrate e dagli impatti generati.
Alla programmazione 2007-2013 vanno riconosciuti discreti successi. In primo luogo la capacità inclusiva che, seppur tra numerose difficoltà, ha generato prassi, processi e strumenti innovativi: il ruolo del partenariato socio-economico nel processo di gestione dei programmi; il programma Rete Rurale; nuovi obiettivi (in particolare quelli di sviluppo territoriale) e strumenti, come la progettazione integrata che hanno promosso la cooperazione settoriale e territoriale o la misura 124 per la cooperazione a favore dell’innovazione.
Nello stesso tempo è opinione generalizzata, o almeno quella di chi come noi ha seguito molto da vicino l’attuazione dei programmi, che i risultati siano piuttosto deludenti. Tre gli elementi a sostegno di questa tesi:

  • i Psr hanno lavorato in un periodo di crisi economico-finanziaria ma non sono stati un elemento di contrasto alla stessa, anzi la crisi ha rallentato i processi di attuazione;
  • le troppe misure presenti nei programmi hanno frammentato la spesa pubblica, difficilmente le risorse sono state destinate ad un obiettivo specifico;
  • le risorse sono andate soprattutto a sostegno del miglioramento dell’agricoltura competitiva, tralasciando gli interventi a sostegno dello sviluppo imprenditoriale e territoriale (Mantino, 2010; Sotte, 2016).

I primi due aspetti dipendono dalla rigidità con cui si presentava la politica di sviluppo rurale nella disciplina del Reg. 1698/05. Il terzo si lega a questioni più generali che da anni alimentano il dibattito sulla Pac e le funzioni dei due pilastri. Ma se il primo elemento è di natura congiunturale, gli altri due sono intrinseci alla politica di sviluppo rurale, e quindi con molta probabilità tenderanno a caratterizzare anche l’attuale periodo di programmazione, se gestiti in egual maniera.

Degli obiettivi... ai risultati

Il Regolamento 1698/05 ridefiniva la politica di sviluppo rurale 2007-2013 nell’ottica delle novità introdotte della Riforma Fischler, che prevedeva la semplificazione degli strumenti di intervento, il potenziamento dell’approccio strategico e integrato alla programmazione, il rafforzamento della componente territoriale della Pac (Mantino, 2010). Questi elementi si traducono: a) nella creazione di un fondo unico per il secondo pilastro della Pac (Feasr) che supera la commistione tra le sezioni garanzia e orientamento del vecchio Feoga; b) nell’adozione di un approccio strategico alla programmazione definito da quattro Assi strategici con misure di intervento e, in parte, risorse finanziarie finalizzate, c) nell’inserimento del Leader nei mainstream dei programmi di sviluppo rurale.
L’adozione del principio one fund, one programme è sicuramente una novità importante che ha permesso, se non la semplificazione dei processi di attuazione, almeno la razionalizzazione di norme e procedure in relazione alla gestione e al finanziamento dei programmi. Si supera il dualismo che vedeva l’uso di fondi differenti per area territoriale o tipologia di interventi, vengono istituiti organi di gestione e controllo dei programmi (Autorità di gestione, Comitato di sorveglianza e Partenariato socio economico). Dal punto di vista finanziario vengono uniformati i livelli di contribuzione comunitaria, adottata la regola del disimpegno automatico e istituito l’organismo pagatore. Nello stesso tempo, nonostante il legislatore comunitario avesse posto le basi per una programmazione integrata e condivisa con gli altri Fondi comunitari, il regolamento sullo sviluppo rurale veniva slegato dai Fondi strutturali e presentato, seppur implicitamente, come completamento se non addirittura correttivo di una politica settoriale. Nella gestione effettiva delle risorse si è perso di vista che la programmazione fosse inserita in un quadro più ampio di azione definito, a livello comunitario, dal Quadro comune di sostegno (Qcs) e nazionale, dal Piano strategico Nazionale. Questi documenti, una volta avviati i programmi, sono stati considerati mere cornici a favore di un’azione esclusiva dei Psr.
Per quanto riguarda l’approccio strategico, i Psr erano tenuti a definire la strategia d’intervento entro quattro Assi specifici (competitività, ambiente, sviluppo rurale e approccio Leader) cui si legavano misure date e, in parte, anche risorse visto che lo stesso regolamento indicava la percentuale minima del budget da dedicare agli assi (10% per gli assi 1 e 3, 25% l’asse 2 e 5% per l’approccio Leader). Tutto ciò si è rivelato un elemento di estrema rigidità, perché portava con sé regole di attuazione che rendevano complicata la ridefinizione degli obiettivi e dei relativi piani finanziari dei programmi. Se si aggiunge che le misure attuabili erano oltre 40, non è difficile pensare come i programmi abbiano frammentato la programmazione e come le risorse, per quanto legate all’obiettivo, siano andate disperse sul territorio.
La terza novità introdotta dal regolamento è quella potenzialmente più dirompente, poiché afferma che la Pac è anche una politica territoriale. Al secondo pilastro vengono attribuiti specifici obiettivi territoriali legati alla gestione delle risorse naturali (gestione e valorizzazione del territorio e del paesaggio, politica forestale, gestione risorse idriche) e allo sviluppo socio economico delle aree rurali (interventi per lo sviluppo locale, servizi alle popolazioni, gestione delle infrastrutture materiali e immateriali). L’inserimento del Leader nei programmi dota questi di uno strumento di programmazione degli interventi partecipativo e inclusivo. Dal punto di vista attuativo si assiste ad un irrigidimento delle regole di attuazione di Leader che hanno inficiato la formazione e il funzionamento dei Gal, alle difficoltà di attuazione dei Psl e, in alcune Regioni, al disimpegno delle risorse legate agli assi 3 e 4.
La ridefinizione della politica di sviluppo rurale per il 2014-2020 nasce da una riflessione sugli elementi sopra riportati poiché impattano direttamente sull’efficacia delle politiche. Le principali novità sono la ritrovata integrazione programmatica con i Fondi Sie in termini di programmazione (Accordo di partenariato) e di attuazione (i programmi integrati Clld e Iti) e la semplificazione interna che agli Assi sostituisce priorità strategiche e focus area di intervento a cui possono essere finalizzate tutte le misure previste. Ma è altrettanto vero che le novità introdotte poco hanno a che fare con gli effettivi problemi di applicazione dei programmi o con l’efficacia degli interventi.
Nella sintesi delle valutazioni intermedie dei Psr (Öir, 2012), presentate nel 2010, già si sottolineava come la lentezza di attuazione di numerosi programmi fosse determinata da due elementi: problemi di natura amministrativa e fattori esterni cui i programmi non erano in grado di adattarsi. Il primo gruppo di elementi comprendeva problemi nella definizione della gestione dei programmi; la necessità di riorganizzare la macchina amministrativa e di formare il personale ad essa preposto, la complessità dei meccanismi di attuazione delle misure in termini di procedure, criteri di selezioni e di eleggibilità; complementarità e demarcazione con altre politiche; molteplicità degli attori coinvolti, definizione dei sistemi di monitoraggio e controllo. Per quanto riguarda i fattori esterni ai programmi, si evidenziava come la crisi finanziaria intervenuta tra il 2008 e il 2009 avesse indebolito la capacità di cofinanziamento di alcuni Stati membri (per esempio l’Irlanda), e avesse reso più difficile l’accesso alle quote private per le misure ad investimento, comportando la riduzione dei beneficiari. L’Italia da questo punto di vista ha dovuto fare i conti anche con il Patto di Stabilità che ha influito soprattutto sulla capacità degli Enti locali di far fronte agli impegni presi come beneficiari delle politiche.
Tutte queste problematiche emergono chiaramente dagli articoli riportati in questo numero di Agriregionieuropa. L’analisi di Zanetti e Lai sugli andamenti della programmazione 2007-2013 in ambito comunitario e nazionale rimarca con evidenza le problematiche di gestione dei Psr. Tesi ampiamente confermata dall’articolo di Dwyer e Powell, che esemplifica l’esperienza del Regno Unito nella gestione della programmazione 2007-2013. A completare l’analisi sulle difficoltà implementative della politica di sviluppo rurale, l’articolo di analisi dei profili di spesa della Politica di sviluppo rurale svolta da Mantino e Tarangioli, che analizza le difficoltà di attuazione dei programmi, particolarmente evidenti anche in questo ciclo di programmazione. Nei primi due anni di applicazione (2014 e 2015) la spesa dei Psr 2014-2020 è stata pari a circa il 6% degli stanziamenti disponibili per l’intero settennio2, contro uno stato di avanzamento di oltre il 12% registrato nello stesso primo biennio della programmazione 2007-2013.
Spesso, le difficoltà incontrate nella gestione dei programmi vengono attribuite all’introduzione di nuovi strumenti o alla gestione di quelli più complessi (pacchetti di misure, progetti integrati, Leader, cooperazione). Gli approfondimenti svolti sulla misura 124 (articolo di Cristiano e Proietti), sulle misure forestali (Romano) e sul Leader (Di Napoli e Tomassini) in parte confermano tali sensazioni altre volte confutano la tesi, evidenziando la capacità, una volta innescato il meccanismo di attuazione, di fare spesa e raggiungere risultati importanti anche da parte di queste misure.

Dai risultati… alla ridefinizione di politiche e programmi

La seconda parte del Tema dà voce ai valutatori dei programmi di sviluppo rurale, i quali, alla luce dell’esperienza e delle analisi on going ed ex-post dei Psr, espongono le loro conclusioni sui risultati e gli impatti generati dalla politica.
Nella programmazione 2007-2013, l’introduzione della valutazione on-going dei Psr, ha il merito di aver rafforzato l’utilità e l’uso della valutazione, in termini di supporto all’apprendimento del contesto di azione dei programmi; il che ha permesso un costante accompagnamento alla loro attuazione.
Infatti, l’utilità era presupposto regolamentare alla conduzione on-going delle valutazioni dei Psr 2007-2013, che dovevano comprendere tutte le attività di valutazione da farsi nel corso dell’intero periodo di programmazione e qualunque attività ad essa connessa che l’autorità responsabile del programma ritenesse utile per migliorarne la gestione, oltre alle valutazioni ex-ante, intermedia ed ex-post (Commissione europea, 2006a).
Parallelamente, si è assistito all’innalzamento dei livelli di consapevolezza e di competenza in materia di governance della valutazione dello sviluppo rurale. Ciò ha contribuito alla definizione di percorsi valutativi di qualità più elevata, più utili e più utilizzati nei processi decisionali di programmazione, attuazione e revisione dei programmi (Cristiano et al. 2017, Cristiano et al., 2013; Eenrd, 2014).
Nello specifico, in Italia, già nella documentazione di affidamento dei servizi di valutazione (2008-2009), molte Autorità di gestione dei Psr avevano espresso una rilevante domanda valutativa aggiuntiva, attraverso la formulazione di quesiti valutativi specifici.
Inoltre, la strategicità delle attività di valutazione on-going per le amministrazioni risulta evidente anche dalla destinazione di un ammontare di risorse finanziarie pari a circa il 12% di quelle complessivamente destinate ai servizi di assistenza tecnica dei Psr 2007-2013 e, comunque, superiore a quello registrato per il periodo di programmazione precedente (Bolli et al., 2010).
Per la generalità degli Stati membri, nel corso dell’attuazione dei programmi, si è potuto osservare un progressivo incremento nella capacità delle amministrazioni di esprimere un’autonoma domanda di valutazione, attraverso la richiesta di numerosi approfondimenti tematici e di metodologie innovative di valutazione. Infatti, nel 2012, ossia a due anni dalla presentazione delle valutazioni intermedie dei Psr 2007-2013, la maggior parte degli Stati membri aveva realizzato, anche, approfondimenti tematici. Essi riguardavano, in particolare l’attuazione delle misure di sviluppo rurale, ma anche l’impostazione di lavori che sarebbero stati utili alla finalizzazione delle valutazioni ex-post (Helpdesk, 2014).
In Italia, a fine programmazione si contano circa 145 approfondimenti tematici, oltre i rapporti di valutazione intermedia ed ex-post di per sé obbligatori per i Psr 2007-2013. Al riguardo, è significativo che, l’autonomia espressa dalle amministrazioni nel definire tali approfondimenti sia stata espressa soprattutto per quei temi di sviluppo rurale per i quali non erano previste specifiche prescrizioni regolamentari o di indirizzo comunitario. In particolare, le amministrazioni hanno espresso una domanda specifica di valutazione indirizzata, prevalentemente, all’analisi dei processi di attuazione d’interventi innovativi e complessi: cooperazione per l’innovazione, progettazione integrata di filiera e territoriale, Leader, azioni per la qualità della vita, misure agroambientali. A questo proposito, i contributi dei valutatori dei Psr pubblicati in questa rivista forniscono una panoramica dei risultati di alcune queste tipologie di intervento che sono tra le più strategiche dello sviluppo rurale nei diversi territori.
Di fatto, quindi, l’approccio on-going è stato utilizzato per la definizione in itinere di processi valutativi su misura per le diverse esigenze di supporto e conoscenza delle amministrazioni, in risposta alle necessità di rafforzare/reindirizzare in senso evidence-based i programmi e gli interventi di sviluppo rurale, nelle diverse fasi di programmazione e attuazione dei Psr (Cristiano et al., 2015).
Una nota di merito, a questo proposito, va al contributo della Rete Rurale Nazionale (Rrn), decisivo nel favorire il dialogo tra i diversi attori della programmazione e della valutazione, nell’accompagnare le amministrazioni nell’interpretazione e attuazione degli indirizzi comunitari, svolgendo funzioni di laboratorio e di strumento di capacity building (cfr. articolo Angori e Verrascina, 2017).
Una questione degna di rilievo riguarda l’approccio di tipo knowldge-driven che ha caratterizzato i percorsi valutativi on-going, finalizzati a restituire una conoscenza specifica e sistematica sui programmi e la loro attuazione, che è andata sedimentandosi nel corso della programmazione 2007-2013, fino a svolgere una funzione servente rispetto alle valutazioni ex post dei Psr. Di questa conoscenza ha beneficiato anche la definizione dei programmi dei Psr 2014-2020, le cui valutazioni ex ante, peraltro, sono state realizzate, per la quasi totalità dei programmi, dai valutatori on-going dei Psr 2007-2013.
L’utilità dimostrata dalla valutazione on-going anche oltre il periodo di attuazione dei Psr, a parere delle scriventi, introduce un elemento ulteriore di riflessione relativa alla valutazione ex-post. Questa, infatti, secondo gli indirizzi comunitari, è presentata alla Commissione europea entro i tre anni successivi al termine della programmazione; è di tipo sommativo ed è finalizzata alla rendicontazione e alla verifica del raggiungimento dei risultati attesi dei programmi. In prospettiva, inoltre, la valutazione ex-post, attraverso l’analisi degli impatti dei programmi, deve supportare le scelte di politica, contribuendo al suo miglioramento, perché fondata sull’evidenza dei cambiamenti determinati nelle aree rurali. La realtà dei fatti, come accennato, mette in discussione tale auspicata utilità delle valutazioni di chiusura dei programmi, a causa, da una parte della discrasia temporale e metodologica tra le valutazioni ex post e il ciclo di definizione della Pac; e dall’altra, dell’incoerenza dei tempi di analisi rispetto a quelli di effettiva osservabilità di risultati attribuibili ad alcuni degli interventi di sviluppo rurale.
L’ultima questione è avanzata dai valutatori ex post con riferimento a diverse misure d’intervento, immateriali e d’investimento, e ai programmi nel loro insieme. I loro risultati non possono essere osservati e contabilizzati, attraverso indicatori anche sufficientemente pertinenti, entro i tre anni successivi alla conclusione degli interventi. È questo il caso, tra gli altri, dei risultati in termini di mitigazione dei cambiamenti climatici, di aumento del valore aggiunto delle aziende che abbiano realizzato investimenti innovativi, della crescita delle capacità imprenditoriali dovute a interventi di formazione e di miglioramento delle pratiche agrarie a seguito di interventi di consulenza.
La questione della discrasia temporale e metodologica tra le valutazioni ex post e il ciclo di definizione della Pac è più complessa.
La discrasia temporale dipende dalla asincronia tra ciclo di definizione della politica e quello di attuazione e valutazione dei Psr (Figura 1).
La discrasia metodologica è addebitabile, innanzitutto, al fatto che le attività ex post sono finalizzate alla valutazione di programma e, dunque, non sono utilizzate per l’analisi dei risultati della politica, che sta alla base delle riforme della Pac. Queste ultime, infatti, sin dal 2003, sono basate, principalmente, su analisi di scenario (impact assessment), tramite cui sono simulati gli effetti delle diverse opzioni di politica. In questo contesto, le valutazioni ex-post dei programmi, sintetizzate per temi a livello comunitario, sono utilizzate soltanto come riferimento bibliografico.
Il percorso di definizione della Pac 2014-2020 in figura 1 dà evidenza del fatto che le riflessioni per la riforma, così come quelle di definizione di nuovi programmi, possono basarsi al massimo su analisi intermedie della programmazione precedente o di quella in corso di attuazione. Nello stesso tempo, è evidente che la politica di sviluppo rurale, per quanto tenda a conservare gli strumenti di attuazione, ad ogni ciclo di programmazione ridefinisce strategia ed obiettivi, rinnova i principi di governance degli interventi, introduce nuovi approcci di gestione, a prescindere dal fatto che gli strumenti utilizzati, l’organizzazione adottata e la gestione effettuata abbiano portato o meno buoni risultati. Basti pensare a come si è evoluta l’attuale normativa sullo sviluppo rurale rispetto a quella 2007-2013: in rottura con il passato per quanto riguarda il contesto di programmazione e attuazione, ma fortemente conservativa in termini di obiettivi e strumenti. Tutte le novità introdotte sono legate ad esigenze di policy fondate su analisi di scenario, che poco hanno a che fare con l’esperienza maturata e le regole di attuazione definite che, per certi versi, si sono irrigidite creando effettive difficoltà applicative. L’elenco di queste ultime è lungo: per esempio il greening e le regole di demarcazione con le politiche del primo pilastro hanno per mesi impegnato le amministrazioni nazionali e regionali nella definizione di un quadro regolatorio adeguato.

Figura 1 – I tempi di politica, programmazione e valutazione

Fonte: nostra elaborazione

Ogni ciclo di programmazione, seppure si presenti con priorità e obiettivi ridefiniti, tende a conservare gli strumenti d’intervento e soprattutto le regole di attuazione, e sono proprio queste a inficiare i processi attuativi (Mantino 2010; 2017, Sotte, 2017) e a determinare successi e insuccessi dell’azione pubblica. Alcuni autori hanno notato un palese rischio di vedere, in alcune situazioni, le scelte programmatiche dettate dalla facilità di gestione degli strumenti piuttosto che dal valore dei risultati (Dwyer et al., 2016).
In prospettiva, va rilevato, comunque che la complessità dell’impianto programmatorio 2014-2020 (revisione Psr già in atto) e attuativo (principalmente nuovo codice sugli appalti e procedure di avvio delle misure) sta causando ritardi, ormai preoccupanti, nelle selezioni dei valutatori dei singoli Psr, che si rifletteranno sulle performance della valutazione durante il periodo di programmazione.
Questi, infatti, allo stato attuale, sono stati selezionati soltanto per 5 Psr (Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Provincia Autonoma di Bolzano, Basilicata); mentre, nello scorso periodo di programmazione, le selezioni erano terminate entro il secondo anno i attuazione dei Psr 2007-2013. All’epoca, le amministrazioni italiane si dimostrarono più virtuose di tanti altri Stati membri, che tardarono le selezioni fino a pochi mesi prima la scadenza prevista per la presentazione delle valutazioni intermedie dei Psr (31/12/2010).
In conclusione, ci si auspica che, nel corso dell’attuale periodo di programmazione, la dinamicità che ha caratterizzato il rapporto tra valutazione e attuazione dei Psr sia perpetuata, e possa favorire il consolidamento dei livelli di consapevolezza delle amministrazioni circa l’utilità della valutazione per la buona attuazione dei programmi. Al tempo stesso, il rafforzamento della cultura della valutazione all’interno delle amministrazioni, cui si è assistito finora, dovrà tradursi in una migliore pianificazione delle modalità di utilizzo della conoscenza valutativa che verrà maturata nel corso del periodo di programmazione.
Ovviamente, questo cambiamento delle amministrazioni deve essere fatto proprio e accompagnato dai valutatori. Ad essi è richiesta altrettanta dinamicità e innovatività nel rafforzamento e ampliamento delle competenze, sui temi di sviluppo rurale, sugli approcci e sui metodi di analisi, e delle capacità di farsi promotori della cultura della valutazione nelle amministrazioni.

Alcune riflessioni

Puntualmente, all’aprirsi del dibattito sul futuro delle politiche di intervento comunitario vediamo la Pac al centro di accese discussioni sulla sua utilità, sui costi che genera e sui risultati da essa determinati. L’analisi degli effetti, almeno per quanto riguarda la politica di sviluppo rurale, mette in evidenza l’effettiva capacità di quest’ultima di incidere sui contesti in cui agisce.
Ai risultati conseguiti corrisponde, però, un processo di attuazione complesso, farraginoso e poco adatto a modificarsi rispetto ai fattori esterni che influiscono sui progressi  dei programmi. Infatti, l’attuale programmazione sta più che mai evidenziando difficoltà. Una buona parte delle Regioni ha già modificato i programmi per inserire correttivi soprattutto nei meccanismi di funzionamento delle misure, mentre sono numerose le misure non ancora rese operative per la complessità e non chiarezza delle regole attuative (per esempio alcune misure forestali, la consulenza, gli interventi della misura 7.3 per la banda ultra larga, numerose azioni della misura 16 cooperazione, il Leader/Clld). Nel corso del 2017, probabilmente, si procederà ad ulteriori modifiche dei Psr con l’entrata in vigore del Regolamento Omnibus3 che interviene piuttosto incisivamente sulle regole di intervento di tutta la programmazione 2014-2020.
Il Regolamento Omnibus è inteso, principalmente, come uno strumento di semplificazione e razionalizzazione di quanto già disposto dai Regolamenti del 2013. Per lo sviluppo rurale presenta regole di semplificazione (per es. per l’approccio Leader e alcuni interventi agroambientali) e introduce strumenti tarati sulle esigenze dei potenziali beneficiari (strumenti per l’accesso al credito). Inoltre, forse per la prima volta nella storia delle politiche agricole, introduce approcci di intervento e di gestione legati ad esigenze contingenti, come l’emergenza rifugiati, proponendo interventi mirati e prioritari di inclusione dei migranti. Tale percorso include il miglioramento del sistema di valutazione dell’impatto della Pac, nel senso di sviluppo di pratiche di follow-up, tese a far tesoro dei risultati raggiunti e utilizzarli nella fase successiva del ciclo politico e decisionale.
L’Omnibus non è tanto una riforma di medio termine, quando un tentativo di rendere più gestibili gli interventi comunitari. Probabilmente è anche il tentativo di avviare un processo di riforma della Pac centrato su un processo di semplificazione ormai sempre più necessario per costruire interventi efficaci.

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