I processi di cambiamento dell’agricoltura familiare tra produzione, mercati e territori

I processi di cambiamento dell’agricoltura familiare tra produzione, mercati e territori

Introduzione

L’obiettivo di questo articolo è quello di inserirsi nel dibattito attuale, senza nessuna pretesa di esaustività, e di riflettere sul concetto di agricoltura familiare e sul suo ruolo nell’attuale dinamica del settore agricolo e delle trasformazioni delle aree rurali. Non vi è dubbio che l’agricoltura familiare è più coinvolta nei suddetti processi in quanto investono sia l’azienda agricola che la famiglia.
Ci si propone di riflettere sugli strumenti teorico-metodologici ed organizzativi più adatti a rivisitare, nel contesto attuale, il tema dell’agricoltura familiare. Non tanto e non solo per contribuire al dibattito sulle rilevazioni e gli studi sull’agricoltura familiare quanto per un consapevole riconoscimento che la dinamica strutturale e comportamentale delle famiglie riveste un’importanza rilevante anche all’interno dei processi di cambiamento che interessano l’azienda agraria, il settore agricolo e, più in generale, le aree rurali.
Sbaglia, però, chi vuol far coincidere il modello contadino con l’agricoltura familiare e il modello industriale con l’agricoltura capitalistica.
Fin dalle sue origini, la Pac ha avuto come obiettivo prioritario la competitività, la crescita e la produttività, e il profitto aggiungiamo noi, oggi, con la recente riforma, propone un modello di agricoltura più attento alla sostenibilità, alla sicurezza alimentare, alla qualità. Tale cambiamento di rotta, pur all’interno ancora di mille contraddizioni, riguarda l’agricoltura in generale, compresa quella familiare e quella capitalistica.
Quello che vorremmo porre all’attenzione è che il modello “contadino” presuppone l’agricoltura familiare, ma non tutta l’agricoltura familiare sta dentro al modello contadino.

L’agricoltura familiare in Italia

Riprendendo le considerazioni emerse da uno studio dell’Inea (2014), non c’è dubbio che risponda al vero l’affermazione secondo cui l’agricoltura familiare rappresenta una fetta importante in termini economici e sociali dell’agricoltura nel mondo.
L’importante ruolo che essa riveste nel mondo1 e nell’Unione Europa è confermato dalle statistiche ufficiali e dai documenti prodotti dalla Fao e dalla Commissione Europea 2. Ciò - pur confermando il ruolo centrale che l’agricoltura familiare riveste in Europa, per quanto riguarda il lavoro familiare impiegato - nasconde una enorme variabilità sia in termini geografici che di intensità in termini di lavoro e di volume di affari.

Anche in Italia l’agricoltura familiare presenta una enorme variabilità sia in termini geografici3 che in termini di superficie coltivata4 e di dimensione economica5. In Italia, nell’ultimo Censimento Generale dell’Agricoltura (Istat, 2010), le aziende agricole censite sono 1.620.884. Tra queste, il 96,4% sono gestite in conduzione diretta e il 98,9% sono gestite da famiglie di agricoltori. Dal punto di vista delle caratteristiche strutturali esse coprono l’89,4% della Sau e impiegano l’80,1% delle giornate di lavoro in agricoltura, sono mediamente di piccole dimensioni (la superficie media è di 7,2 ha), più del 50% non raggiunge i 2 ettari coltivando solo il 6% della Sau familiare, mentre le grandi aziende familiari (con più di 30 ettari) costituiscono il 5% del totale, ma coprono quasi metà della Sau (49%).
Le informazioni censuarie sulla evoluzione storica dell’agricoltura familiare presentano un modello piuttosto stabile, in quanto la manodopera familiare ricopre un peso consistente, anche se in leggera diminuzione nell’ultimo decennio (80,1% del 2010 rispetto a 85,3% del 2000). Il lavoro familiare in misura maggiore è ancora fornito dal conduttore. E’ diminuito nell’ultimo decennio il peso fornito dagli altri componenti familiari (-38,9% il coniuge, -35,5% i familiari coabitanti, -21,5% i parenti). Il contributo del lavoro femminile è molto importante nell’azienda di tipo familiare, ma si riduce moltissimo per quanto riguarda il ruolo di responsabile dell’azienda agricola (solo il 33,2% dei conduttori sono donne).
In Italia, perdura il fenomeno della senilizzazione dei conduttori (51,1% ultra sessantenni sul totale conduttori di aziende familiari) e del coniuge che lavora in azienda (46,1%).
I dati aggregati a livello nazionale nascondono una realtà territoriale molto più complessa e articolata del settore agricolo italiano. Non si tratta semplicemente di aziende agricole strutturalmente diverse e che praticano ordinamenti colturali differenti, ma di realtà anche piccole in termini fisici ed economici che si caratterizzano per funzioni che vanno oltre la produzione agricola. Infatti, contribuiscono alla sicurezza alimentare, forniscono diversi prodotti, spesso di alta qualità, migliorano la vitalità dell’economia rurale, attraverso l’offerta di beni e servizi legati in parte all’attività agricola vera e propria e favoriscono la produzione di beni pubblici, mediante il loro interesse nella cura dell’ambiente e del paesaggio e la produzione di servizi socio-sanitari (Di Iacovo, 2003 e 2008).

L’evoluzione dei contributi interdisciplinari… dall’azienda al territorio

Fino agli anni ’60, l’impianto classificatorio delle aziende comprendeva la dimensione fisica ed economica, i rapporti tra lavoro familiare ed esterno, i rapporti tra impresa e proprietà, gli ordinamenti produttivi. Gli anni ’70 sono caratterizzati dal forte sviluppo della lettura dualistica nel tentativo di spiegare la persistenza delle aziende familiari attraverso la dicotomia fra aziende contadine e aziende capitalistiche, soggette a logiche differenti, pur non cogliendone l’eterogeneità al loro interno. Negli anni ’80, con l’affermarsi del part-time (Cavazzani, 1980; Pieroni, 1983), del dibattito sull’innovazione e sul progresso tecnico e sulle forme di integrazione nel mercato dei prodotti e dei fattori, oltre che dagli apporti provenienti da campi disciplinari diversi, la visione duale si arricchisce di altre categorie classificatorie. L’azienda viene letta con un occhio più attento alle relazioni con il contesto esterno. Lo sviluppo economico inserisce sia l’azienda che la famiglia in una rete di relazioni sempre più dominate dal mercato e questo impone lo spostamento dalla produzione alla crescente integrazione con il complesso agroindustriale. Il contesto appare così capace di provocare differenziazioni aziendali sia attraverso il mercato del lavoro, sia attraverso il mercato dei prodotti e dei fattori produttivi. Rispetto a questi assumono particolare rilievo i processi di destrutturazione, di incorporamento e di istituzionalizzazione connessi alla scientifizzazione delle tecniche produttive che esaltano le dinamiche aziendali e aumentano sempre più l’eterogeneità degli stili produttivi.
Le ipotesi dualistiche, definitivamente in crisi, lasciavano il posto ad una crescente attenzione ai processi interni all’azienda agricola, alle caratteristiche del conduttore e alla famiglia come unità di produzione, di reddito e di consumo e alle caratteristiche del contesto sia in termini di mercato del lavoro che di integrazione del settore agricolo nell’ambito della produzione industriale (agribusiness o complesso agroindustriale).
Il mercato del lavoro e le modalità locali dello sviluppo, il sistema politico-amministrativo e la gestione locale dei sostegni e delle politiche pubbliche costituiscono i principali fattori che tendono a definire la differenziazione tipologica delle aziende agricole. I processi di modernizzazione e/o di integrazione, nonché quelli alternativi a questi, appaiono costituire la chiave di lettura delle diverse combinazioni di  fattori che danno luogo alle dinamiche della differenziazione.
Sul piano teorico, questi processi hanno attirato molto interesse e dibattito e prodotto contributi sui modi di produzione, sulla sopravvivenza dell’agricoltura contadina, sulla pluriattività, sull’agribusiness, sulle filiere, sui contesti territoriali, sui sistemi territoriali in relazione anche ai guasti indotti dal paradigma della modernizzazione e ai grandi problemi sul tappetto (questione ambientale, sicurezza e sovranità alimentare, qualità), sui rapporti con il territorio e la comunità locale.
L’agricoltura oggi deve fare i conti con i fallimenti di modelli che sembravano consolidati, ma con soluzioni inefficaci ed è alla ricerca di strade alternative. Inoltre, la tematica, a torto, spesso coincide con modelli diversi di fare agricoltura, tipico è il confronto tra agricoltura industrializzata, che si fa coincidere con le imprese capitalistiche e/o di larga scala, e agricoltura contadina, che spesso coincide con l’agricoltura di media-piccola scala e con l’agricoltura familiare. L’una si fonda sul dominio sulla natura, sulla specializzazione, sulla competitività, sulla crescita e sul profitto; l’altra si fonda sul coinvolgimento della comunità, su sistemi di produzione e commercializzazione fortemente sostenibili, innovativi e relazionali, sulla biodiversità, sicurezza e sovranità alimentare (Lyson, 2004; Ploeg van der, 2006 e 2009; Cavazzani, 2007 e 2008).

I fattori discriminanti

La letteratura mostra che a registrare dinamiche diversificate, tanto nella gestione quanto nell’organizzazione delle attività aziendali, è soprattutto l’agricoltura familiare.
Gli obiettivi più generali della famiglia e quelli più specifici legati all’azienda nell’ambito della formazione del reddito, dell’allocazione del lavoro e del ruolo stesso dell’azienda agricola nel contesto territoriale in cui opera possono essere ricondotti a quattro fattori:

  • le caratteristiche del contesto in cui l’azienda e la famiglia sono inserite;
  • le caratteristiche dell’azienda in termini di dotazione e qualità delle risorse disponibili;
  • le caratteristiche, sia soggettive (motivazionali) che oggettive (età, sesso, istruzione, ciclo di vita, ecc.) dei componenti della famiglia;
  • le reti e le relazioni che si instaurano con il territorio.

Il contesto rappresenta l’opportunità che influenza le decisioni e le azioni dell’agricoltura familiare sia in termini di massimizzazione del profitto che in termini di benessere; a questi vanno aggiunti tutti quei fattori non-economici dello sviluppo che si riferiscono a valori, rapporti e reti che la famiglia e l’azienda riesce a costruire nel territorio e che determinano modi diversi e alternativi di fare agricoltura.
L’agricoltura familiare deve fare i conti inoltre con vincoli e risorse che determinano le scelte relative alle attività aziendali. Queste concorrono a determinare, da un lato, obiettivi e motivazioni, dall’altro - attraverso la fase specifica del ciclo di vita in cui la famiglia si situa - la domanda di risorse per consumi da parte della famiglia e l’offerta di lavoro potenzialmente impiegabile in azienda.
Qui di seguito si visualizza in maniera schematica lo schema concettuale della riflessione ponendo l'accento sui fattori discriminanti e sulle interazioni.

Figura 1 - Schema concettuale: fattori discriminanti e interazioni

I risultati di alcune ricerche condotte qualche decennio fa (Cavazzani, 1990; AA.VV., 1992; De Benedictis, 1995; Mantino, 1990) offrivano già molti elementi interpretativi, permettendo di indagare a fondo quei fattori che influenzano le trasformazioni dell’agricoltura e delle famiglie rurali attraverso l’integrazione tra condizioni organizzative ed istituzionali del contesto, risorse e vincoli e motivazioni individuali e familiari.
Allora e ancor di più oggi ci si rende conto che al di là dei differenti tipi di azienda le relazioni che la stessa riesce a costruire con l’esterno determinano modi diversi ed alternativi di fare agricoltura.
Nel nostro Paese, le dinamiche che hanno interessato l’agricoltura in termini di strutture produttive, di mercati agricoli, in termini di interrelazioni con altri settori ha prodotto una pluralità di forme aziendali.

L’eterogeneità dell’agricoltura familiare

Oggi, più di ieri, il ruolo del settore agricolo non si associa ad un unico modello dominante, ma ingloba più modelli di agricoltura che coesistono e soddisfano diverse e complementari funzioni. La coesistenza di questi molteplici modelli di sviluppo soddisfa domande e bisogni sociali diversi dove ogni realtà si ritaglia il suo spazio, con una strategia ed un suo obiettivo economico e sociale. Dalla letteratura sull’argomento (Inea, 2009, 2010; Giarè e Giuca, 2012; Canale e Ceriani, 2013; Paciola e Giannotta, 2009; Tavolo Res, 2010 e 2013; Sivini e Corrado, 2013), spesso frutto di analisi qualitative piuttosto che quantitative, attraverso esperienze e racconti, emerge una grande varietà di realtà che praticano l’agricoltura in maniera diversa e indicano nuove tendenze con un’attenzione verso aspetti qualitativi, sociali, ambientali e culturali che consentono di definire tanti modi di fare agricoltura e sviluppo. Anche l’agricoltura familiare, costruendo esperienze plurali, non solo resiste all’agricoltura industrializzata, ma indica anche vie d’uscita ai guasti da questa arrecati in termini economici, sociali ed ambientali. E’ un nuovo modo di intendere l’agricoltura, in equilibrio con la natura, e una visione dei rapporti economici, ispirata non al profitto, ma al benessere collettivo, attraverso pratiche di lavoro e di produzione che evidenziano un cambiamento radicale del modello di sviluppo dominante.
Mettendo insieme tipi differenti di aziende agricole e di famiglie e reti/rapporti con il contesto possiamo individuare, semplificando una realtà molto più complessa e variegata, processi di modernizzazione che seguono logiche diverse (economie di scala e economie di scopo), alternative ed innovative.
Tali modelli di comportamento possono essere individuati nei seguenti modi di fare agricoltura e/o di utilizzare l’agricoltura:

  • l’agricoltura familiare professionale di accumulazione che può determinare due modi diversi e alternativi di fare agricoltura6;
  • l’una con un orientamento fortemente integrato con il complesso agroindustriale e con il mercato e con la perdita di autonomia nel processo decisionale, di dimensioni estese, fortemente specializzate e standardizzate nella produzione, con (potenziali) impatti negativi sul territorio (gravi problemi di inquinamento e/o degrado dell’ambiente e del paesaggio) e con nessun rapporto con la comunità locale;
  • l’altra con una strategia contadina, ovvero una organizzazione aziendale di tipo contadino artigianale, in cui il tratto predominante è la “tradizionale” economia di lavoro, la salvaguardia delle decisioni sull’organizzazione e lo sviluppo dell’azienda, la ricerca di canali alternativi di commercializzazione, un rapporto equilibrato tra azienda e natura;
  • l’agricoltura familiare di sussistenza, in cui la famiglia é composta da coniugi anziani, pensionati e senza successori. La principale ragione produttiva è quella dell’autoconsumo, che integra magre pensioni;
  • l’agricoltura familiare di rendita, le famiglie il cui reddito deriva da attività extra-aziendali e per le quali l’azienda si configura come accessoria o avente funzione di residenza. Non appare nemmeno strano che spesso alcune fasi della lavorazione (come in colture arboricole specializzate) vengano scorporate dall’azienda e affidate a cooperative esterne con l’obiettivo di ridurre al minimo il lavoro del conduttore. Disimpegno della famiglia nei confronti del lavoro in azienda, ma funzioni completamente opposte nei confronti del contesto agricolo-commerciale;
  • l’agricoltura familiare diversificata, che riguarda quelle iniziative territoriali di produzione di beni e servizi, da quelli turistici a quelli di agricoltura sociale;
  • l’agricoltura familiare sociale attraverso la quale la proprietà dell’azienda indica vantaggi enormi per la famiglia in quanto consente l’accesso a risorse pubbliche di varia natura, soprattutto previdenziali. Questo tipo di strutture aziendali e queste famiglie utilizzano scarsamente gli incentivi e i benefici delle politiche strutturali, mentre ricorrono con frequenza a politiche congiunturali e sociali. La rilevanza delle politiche previdenziali in agricoltura e, in particolari aree a ritardo di sviluppo rappresenta - in maniera distorta - uno strumento di politica per integrare redditi di per sé insufficienti e attraverso cui passa l’indebito accesso da parte di fette rilevanti di popolazione rurale alla spesa previdenziale (disoccupazione, indennità di malattia e di maternità).

Si potrà osservare che la proposta di classificazione sia molto più complessa. E’ probabile che sia così. Alla composizione di modelli di comportamento concorrono, infatti, più strategie. Molto spesso, pur essendo riconducibili alla medesima “famiglia” di comportamenti, esse sono molto differenziate non soltanto per gli obiettivi che il gruppo attribuisce all’azienda, ma anche per la differente collocazione nelle relazioni sociali di produzione, per un diverso accesso ai benefici del sistema delle garanzie, per differenti livelli di reddito e per diversi stili di vita. Tali differenze si riflettono anche sui modi di produrre.
Il tentativo del lavoro, come si diceva nell’introduzione, non era quello di essere esaustivi ma di (ri)cominciare a riflettere con approcci nuovi su questa importante tematica.

Conclusioni

E’ possibile rintracciare forme diverse di sviluppo economico e sociale e modi diversi di fare agricoltura determinati dall’impatto con i processi di modernizzazione o caratterizzati da economie comunitarie e piccoli mercati locali, nelle quali le relazioni di reciprocità - più che l’accumulazione - danno luogo a forme non omologanti. Le caratteristiche strutturali dell’agricoltura familiare basata sulla proprietà e sul lavoro non sono sufficienti a spiegare la complessità dei comportamenti degli attori. Si consideri, inoltre, che nella stessa agricoltura familiare ritroviamo tratti che nel medesimo tempo inglobano forme diverse. Assai spesso l’agire deriva non soltanto dalle condizioni oggettive del contesto, ma da quello che i soggetti pensano sia il loro ambiente e dai valori, soggettivamente intesi, cui essi si riferiscono. Entra qui dunque in campo la considerazione di variabili soggettive che senza dubbio ciascuno è portato a scegliere tra i modelli culturali disponibili.
C’è in questo passo una indicazione di metodo profonda. I valori (gli scopi) di cui certi individui sono portatori ambiziosi creano rappresentazioni del mondo e tali immaginazioni sono in grado di produrre realtà concreta, economicamente, socialmente e politicamente visibile.

Riferimenti bibliografici

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  • 1. In base ad indagini effettuate (Wca-Fao, 2013), ci sono 500 milioni di aziende agricole a conduzione familiare nel mondo, pari al 98% delle aziende agricole totali, con una dimensione media di meno di 2 ettari (l’80% di esse), ma detengono il 75% di tutte le risorse agricole a livello globale e sono responsabili per almeno il 56% della produzione agricola.
  • 2. Nell’Unione Europea, il 97% delle aziende agricole, con un peso del 68% sulla SAU totale e del 71% sullo Standard Output complessivo, sono costituite da imprese individuali a conduzione familiare. In media nell’Unione Europea il 90% del lavoro svolto nelle aziende agricole è familiare.
  • 3. Le aziende agricole familiari sono concentrate soprattutto nelle regioni meridionali e insulari, dove la loro quota sul totale italiano è pari, rispettivamente, al 42,8% e al 17,3%. Le regioni del Nord Italia, nel complesso, presentano il 24,4% di aziende familiari con una prevalenza in Veneto (7,4%) ed Emilia Romagna (4,5%). Nelle regioni delle Italia centrale si trova il 15,4% del totale delle aziende familiari.
  • 4. Le regioni dell’Italia del Sud detengono nel loro complesso una quota maggiore di Sau, pari al 28% del totale nazionale. Seguono le regioni del Nord-Est che possiedono il 18,4%, le regioni del Nord-Ovest (16,8%) e quelle del centro (16,1%). La Sau media aziendale rappresenta un elemento caratterizzante: essa presenta una frammentazione aziendale più spinta nelle regioni meridionali con due eccezioni rappresentate dalla Basilicata (9,3 ettari di media) e dalla Sardegna (17,5 ettari di media).
  • 5. Incrociando i dati del Censimento agricolo con quelli riguardanti la loro dimensione economica, emerge che, in Italia operano 1.603.709 aziende agricole condotte da famiglie, di cui il 58,6% si caratterizza per una produzione standard inferiore agli 8 mila euro l’anno e per una dimensione economica aziendale che non supera i 5 ettari. Di queste, il 39,1% non supera i 4 mila euro di produzione standard e possiede una superficie agricola inferiore ai 2 ettari. Accanto a queste piccole aziende troviamo però anche realtà di ridotte dimensioni in termini di superficie, ma economicamente più solide, che rappresentano il 14,8% delle imprese familiari totali. Le aziende agricole di tipo familiare di maggiore estensione (da 5 a 309 ettari rappresentano il 17,1%, mentre quelle che superano i 30 ettari sono il 4,9%. Il 13,9% delle aziende medio-grandi ha quindi anche una dimensione economica importante.
  • 6. Benché entrambi i tipi di azienda-famiglia tendano ad incrementare la capacità produttiva della propria unità ed a migliorare il rapporto con il mercato, la forma in cui tali obiettivi vengono perseguiti è fondamentalmente diversa. In entrambi i casi l’azienda è centrale nella composizione del reddito familiare, nella capacità di assorbire lavoro, così come nei valori e nella identità dei membri della famiglia. Il comportamento dei due tipi di azienda risulterà diverso rispetto al modello di produzione agricolo proposto dal processo di modernizzazione e al nuovo paradigma di sviluppo rurale (Ploeg, 2006).
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