Valutazione del potenziale energetico ed economico dei residui colturali in Italia

Valutazione del potenziale energetico ed economico dei residui colturali in Italia

Introduzione

La Direttiva europea 2009/28/CE (Red), sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, stabilisce che entro il 2020 il consumo di energia nell’UE dovrà essere soddisfatto per almeno il 20% da energia prodotta da fonte rinnovabile. La direttiva prevede quote diversificate definite sulla base dello specifico potenziale produttivo da rinnovabili di ogni Stato Membro. Per l’Italia, l’obiettivo da raggiungere entro il 2020 è una quota di consumo da risorse rinnovabili sul totale del 17%1.
Lo sviluppo delle biomasse è al centro della strategia europea per il conseguimento dell’obiettivo 2020. Tuttavia, come ribadito in più punti della direttiva, il loro impiego a fini energetici deve essere attentamente controllato per evitare, soprattutto nel comparto agro-forestale, eccessivi sfruttamenti delle risorse agricole e boschive o conflitti con altre forme di impiego delle produzioni agricole. Il documento della Commissione Europea sui requisiti di sostenibilità per lo sfruttamento delle fonti di biomassa solida e gassosa (Commissione Europea, 2010) raccomanda di non prelevare biomassa da aree ad alto valore di biodiversità, da aree ad elevato contenuto di carbonio e dalle torbiere. Tutta la biomassa di origine agricola, inoltre, deve essere ottenuta conformemente ai regolamenti agricoli comunitari in materia di eco-condizionalità (Commissione Europea, 2010). Nell’uso dei residui delle coltivazioni agricole, in particolare, i prelievi di biomassa non devono ridurre eccessivamente l’apporto di sostanza organica ai terreni (Commissione Europea, 2014).

Figura 1 - Disponibilità di biomassa nell’UE per la produzione di elettricità, riscaldamento e raffrescamento

Fonte: Commissione Europea, 2014

Le attività di monitoraggio e valutazione della Commissione Europea sull’implementazione delle strategie per il raggiungimento degli obiettivi 2020 prevedono un incremento significativo dell’offerta di biomassa da fonte agricola, che dovrebbe passare da ~30 Milioni di tonnellate di petrolio equivalente (Mtoe) del 2015 a ~40 Mtoe nel 2020 (Figura 1), da associare in particolare ad un maggiore impiego di residui colturali e da prodotti congiunti all’attività colturale (Commissione Europea, 2014).
L’obiettivo di questa breve nota è di stimare il potenziale energetico ed economico della biomassa ottenuta dai residui delle colture annuali in Italia tenendo conto degli impieghi agricoli (zootecnici) e del fabbisogno in termini di mantenimento della fertilità dei terreni. L’articolo è suddiviso in quattro sezioni. Nella prima si analizza il potenziale di biomassa da residuo colturale in Italia; nella seconda, i dati sulla biomassa da residuo colturale sono utilizzati per stimare il potenziale energetico a livello nazionale; mentre il terzo paragrafo tenta di completare l’analisi energetica con una valutazione economica. Gli ultimi due paragrafi discutono i risultati e tracciano le principali conclusioni dello studio.

Il potenziale di biomassa

La procedura utilizzata per la stima della quantità di biomassa disponibile in Italia è articolata in quattro fasi: 1) individuazione delle superfici destinate alle colture annuali, 2) stima delle rese, 3) calcolo delle produzioni, 4) individuazione degli harvest index e 5) applicazione del tasso di rimozione sostenibile. Le colture annuali considerate sono 15: avena, barbabietola da zucchero, colza, girasole, frumento duro, frumento tenero, mais, orzo, patata, pomodoro da industria, segale, riso, soia, sorgo, tabacco. Le 15 colture rappresentano il 58% della superficie a seminativo in Italia (Istat, 2010). Le colture foraggere sono state escluse dall’analisi, in quanto si assume il loro completo impiego nel settore zootecnico quale fonte alimentare del bestiame.

Figura 2 - Distribuzione della superficie destinata alle 15 colture annuali in Italia

Fonte: VI Censimento dell’Agricoltura Italiana, 2010

Le superfici investite nelle colture annuali oggetto dello studio sono state estratte dal database pubblico del VI Censimento Generale dell’agricoltura italiana del 2010, conservando un livello comunale di dettaglio territoriale. Come mostra la figura 2, le superfici destinate a colture annuali si concentrano in prevalenza in quattro bacini: la pianura padana, il bacino centrale tosco-umbro-marchigiano, il bacino pugliese e quello siciliano. Degli oltre 4 milioni di ettari coltivati, circa il 45% sono concentrati nel bacino padano, il 16% in quello tosco-umbro-marchigiano, il 15% in Puglia-Basilicata e l’8% in Sicilia.
Le produzioni primarie di biomassa raccolta per fini commerciali o di impiego aziendale sono state calcolate utilizzando i dati di resa contenuti nel rapporti statistici Istat sulle previsioni produttive per l’anno 2010. La produzione totale è stata così ottenuta moltiplicando la resa per le superfici restituite dal VI Censimento dell’Agricoltura.

Tabella 1 - Rapporti residuo-prodotto per alcune colture annuali

Fonte: Barbati et al., 2009

La quantità di residuo colturale è stata stimata convertendo la produzione primaria tramite i coefficienti di Rapporto Residuo-Prodotto o Rpr (Residue to Product Ratio), anche denominato rapporto paglia-grano o harvest index (Scarlat et al., 2010; Monforti et al., 2013; Bentsen et al., 2014)2. Le informazioni per la determinazione del rapporto possono essere raccolte mediante analisi diretta delle produzioni, mediante interviste ad operatori del settore (agricoltori, agronomi, ecc.) oppure mediante l’impiego di dati presenti in letteratura. Vista la scala del presente studio, i rapporti residuo-prodotto sono stati individuati in studi sul calcolo delle biomasse agricole presenti in letteratura. In particolare, l’Enea (Barbati et al., 2009) ha stimato mediante rilevazione diretta e analisi statistica le informazioni residuo-prodotto per 8 delle 15 colture analizzate nel presente lavoro differenziate per regione amministrativa (Tabella 1). Si deve tuttavia segnalare che i risultati ottenuti soffrono di una certa approssimazione dovuta all’impossibilità di avere dati ad un maggiore livello di dettaglio; infatti, i valori dei rapporti residuo-prodotto variano in relazione a molteplici fattori quali: varietà, tecnica colturale, condizioni pedoclimatiche, tecniche di raccolta e fattori fitopatologici. Le informazioni per le restanti colture sono state estrapolate da studi analoghi presenti in letteratura, calcolando una media nel caso di più rapporti residuo-prodotto per singola coltura (Tabella 2).

Tabella 2 - Rapporti residuo-prodotto in letteratura

Mediante l’uso del rapporto residuo-prodotto si ricava la resa totale di residui in una data area. Si deve tener presente che la convenienza alla valorizzazione energetica di molti residui agricoli va confrontata con l’impoverimento di sostanza organica dei suoli a causa di eccessive asportazioni operate. L’interramento dei residui costituisce, infatti, una fonte di fertilità chimica, fisica e biologica per il terreno agricolo. Oltre all’impoverimento di sostanza organica dei terreni, vanno tenuti in considerazione i possibili impieghi dei residui come le lettiere per il bestiame, la produzione di mangimi, la coltivazione di funghi, la pacciamatura e, anche se molto marginale, la produzione di materiale isolante nelle costruzioni abitative.

Tabella 3 - Quote di rimozione sostenibile, umidità della biomassa e potere calorifico delle colture

* Di Blasi et al. (1997); Scarlat et al. (2010)

** Rapporto Enama (2009)

Il potenziale energetico

La tabella 3 riporta le quote di rimozione sostenibile di residuo colturale, cioè la frazione di biomassa che è possibile indirizzare alla produzione energetica senza compromettere la fertilità dei terreni e garantendo il fabbisogno dei settori zootecnico e vivaistico. Le informazioni sul contenuto di umidità e sui poteri calorifici forniti da ciascun tipo di biomassa (Tabella 3) consentono di calcolare l’energia totale fornita dai residui. Si tratta di una produzione teorica di energia, in quanto le tecnologie attualmente a disposizione per estrarre dalla biomassa energia termica e/o elettrica non garantiscono un rendimento pari al 100%. In questo lavoro si ipotizza di destinare la biomassa di residuo colturale ad impianti di pirogassificazione per la produzione di elettricità. La pirogassificazione appare la tecnologia più adatta per questo tipo di matrice, anche per gli indubbi vantaggi ambientali (Lehmann e Joseph, 2012; Lehman, 2007). Nel processo di conversione della biomassa in elettricità, la pirogassificazione presenta un rendimento termico di circa il 60% e un rendimento elettrico del 30-40% (Arioli, 2009)3.
La figura 3 mostra il potenziale energetico ricavabile dai residui colturali nell’ipotesi di attivazione di filiere agro-energetiche a livello comunale. Le regioni più produttive sono Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, al nord, e Puglia, Sicilia, al sud, in ragione della maggiore vocazione di quei territori alla coltivazione di seminativi. Le produzioni più significative si concentrano soprattutto in Puglia e nella zona della Romagna, in quanto si tratta di aree specializzate nella coltivazione di seminativi diversi dalle foraggere. L’Emilia, ad esempio, mostra una superficie a seminativo molto estesa, ma la vocazione zootecnica di quei territori richiede che parte rilevante della superficie a seminativo sia destinata alle foraggere, con il risultato di una bassa produzione di residui. I comuni meridionali mostrano estensioni più elevate rispetto al nord; tra tutti, Foggia, con circa 34.500 ha, è il comune con la maggiore estensione di superficie destinata ai seminativi considerati nell’analisi.

Figura 3 - Distribuzione del potenziale energia elettrica ottenuta da residui colturali in Italia

Fonte: ns. elaborazioni

Se analizziamo i dati sul consumo/fabbisogno di energia elettrica su base nazionale (Terna, 2014), si può osservare come la quantità di energia elettrica potenzialmente estraibile dai residui colturali abbia un’incidenza piuttosto modesta, ma non trascurabile, sul fabbisogno nazionale, di circa il 2,2% (Figura 4). In un precedente studio del 1997, basato sui dati del Censimento Generale dell’Agricoltura del 1990, venne stimata un’incidenza di circa il 4-5% sul fabbisogno nazionale (Diblasi et al., 1997). Da allora, il cambiamento della configurazione produttiva nazionale, ad opera anche della Pac (Cisilino et al., 2012) e il maggiore fabbisogno energetico hanno determinato una riduzione dell’incidenza del contributo potenziale dei residui delle colture annuali.
Tuttavia in regioni come Basilicata e Molise, dove l’estensione relativa delle colture annuali è elevata, si osserva un’incidenza del 9-10%. In queste regioni, una politica di sviluppo rurale rivolta al rafforzamento delle filiere locali di produzione di energia da fonte rinnovabile potrebbe contribuire a migliorare la sostenibilità economica delle aziende agricole e a conseguire gli obiettivi Red a livello regionale. In Lombardia, nonostante l’elevato potenziale, non si raggiunge nemmeno il 2%, in ragione dell’elevato fabbisogno energetico, di circa 65.000 GWh all’anno, più del doppio di Emilia-Romagna e Veneto.

Figura 4 - Incidenza dell’energia elettrica potenziale offerta dai residui colturali e il consumo elettrico regionale con indicazione degli obiettivi previsti dal DM del 15 marzo 20124

Fonte: ns. elaborazioni

Secondo quanto previsto dal DM del 15 marzo 2012, le regioni concorrono al raggiungimento dell’obiettivo nazionale del 17% di energia generata da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia entro il 2020. Il decreto prevede l’individuazione di target regionali nella logica di una distribuzione delle responsabilità tenendo conto delle specificità territoriali (il cosiddetto burden sharing). La figura 4 mostra come in certe regioni la possibilità di destinare una quantità sostenibile di residui alla produzione energetica potrebbe contribuire in misure significativa al raggiungimento del target previsto.

Il potenziale economico

In base al Decreto Ministeriale del 6 luglio 2012, l’energia ottenuta dall’impiego di biomasse può usufruire di una tariffa incentivante correlata alla taglia dell’impianto ovvero alla potenza installata. Per la stima del potenziale economico dei residui colturali sono stati predisposti tre scenari differenziati di incentivazione: 257 €/MWh, nell’ipotesi di impianti con potenza da 1 a 300 kW, 209 €/MWh per impianti da 300 a 1000 kW e 145 €/MWh per impianti con potenza superiore ai 5 MW; non sono stati considerati i premi aggiuntivi come quelli derivanti dalla cogenerazione ad alto rendimento. Nel caso di uno sviluppo diffuso di micro filiere agro-energetiche con impianti di piccola taglia, il potenziale di ricavi ammonterebbe a livello nazionale ad oltre 1,5 miliardi di euro, con una concentrazione elevata nei bacini evidenziati in figura 3. Una tonnellata di sostanza secca impiegata nella filiera energetica verrebbe remunerata in media a livello nazionale con 233 euro, nell’ipotesi del massimo livello di incentivo, mentre nel caso del secondo e terzo scenario, la remunerazione scenderebbe rispettivamente a 190 e 132 euro. Questa informazione può essere interpretata come il ricavo aggiuntivo di cui il settore agricolo potrebbe beneficiare impiegando i residui colturali all’interno di filiere energetiche. Si tratterebbe di una compensazione per il servizio fornito dall’agricoltore alla collettività attraverso la sostituzione di energia ottenuta da fonte fossile con quella ottenuta da fonte rinnovabile.

Figura 5 - Ricavi potenziali annui da tariffa incentivante per classe di potenza degli impianti

P: potenza
Fonte: ns. elaborazioni

Discussione dei risultati

Secondo quanto stimato nel presente lavoro, la quantità di residui disponibile per la trasformazione energetica in Italia è di 7,2 milioni di tonnellate di sostanza secca all’anno. Le regioni che contribuiscono maggiormente a questa quota sono: Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Puglia e Sicilia. La quantità di energia elettrica che teoricamente potrebbe essere prodotta in impianti di pirogassificazione è di 6.470 GWh all’anno. Questa quota di energia non si distribuisce omogeneamente sul territorio italiano ma mostra dei definiti bacini di produzione individuabili in tre zone: la parte romagnola della Pianura Padana, soprattutto la provincia di Ferrara, una parte nell’Italia centrale, decisamente più rarefatta rispetto a quella ferrarese, situata tra la Toscana e le Marche, ed infine una zona altamente concentrata presente nel tavoliere delle Puglie, principalmente nella provincia di Foggia.
La produzione elettrica ottenuta da tale fonte rinnovabile potrebbe incidere sul fabbisogno nazionale annuale per circa il 2,2%. Tuttavia in certe regioni ad estensione limitata, come Molise e Basilicata, la produzione di energia da residuo colturale arriverebbe al 10% dei fabbisogni complessivi.
L’impiego alternativo delle biomasse da residuo colturale potrebbe generare, sulla base dell’energia elettrica prodotta, un interessante beneficio economico. Le regioni più produttive sono quelle caratterizzate da un’agricoltura più intensiva, come Lombardia e Veneto, dove confluirebbero circa 250 milioni di € all’anno considerando la fascia incentivante più elevata, cioè quella corrispondente al sostegno dei piccolo impianti a biomassa. In questo caso, il ricavo medio teorico di una tonnellata di residuo secco, a livello nazionale, sarebbe pari a circa 230 €. Questo possibile maggior valore colturale potrebbe rappresentare uno stimolo allo sviluppo di filiere locali di produzione di energia da fonte rinnovabile.
Nell’ipotesi non confermata di sostituzione dell’energia elettrica da fonte fossile con quella da fonte rinnovabili, i 6.470 GWh di energia elettrica stimati per la biomassa da residuo colturale contribuirebbero a ridurre le emissioni di CO2 di 482 gCO2/kWh (Ispra, 2009). Complessivamente, su base nazionale, l’utilizzo di biomasse residuali permetterebbe di evitare l’emissione di circa 3 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.

Considerazioni finali

Il presente studio mostra come i residui delle colture annuali possano contribuire in misura non trascurabile al raggiungimento degli obiettivi europei di potenziamento delle produzione di energia da fonte rinnovabile e di lotta ai cambiamenti climatici. Tenuto conto delle ipotesi semplificatrici del lavoro, il 2,2% dei consumi elettrici nazionali verrebbe soddisfatto dall’energia prodotta mediante l’impiego dei residui colturali. Si tratta di un contributo limitato al raggiungimento dell’obiettivo nazionale posto al 2020, ma visto nell’ambito di una strategia integrata di sviluppo delle energie rinnovabili, i residui colturali rappresentano una risorsa interessante da sostenere.
Si evidenzia che il presente studio si limita ad un’analisi comunale del potenziale energetico ed economico dei residui colturali e non individua bacini di approvvigionamento della biomassa più estesi. L’applicazione di tecniche di minimizzazione delle distanze che tengano conto della taglia media degli impianti e dei vincoli normativi sulla provenienza della matrice organica potrebbe offrire utili informazioni ai policy maker e alle aziende agro-energetiche. Oltre alle emissioni evitate di CO2, potrebbero essere valutati ulteriori impatti ambientali come l’alterazione determinata dalla rimozione dei residui colturali sul rilascio di silicio nei corpi d’acqua. Un altro aspetto importante, non trattato nel presente studio, riguarda la valutazione dei costi di produzione agro-energetica, soprattutto in riferimento alla tecnologia di trattamento della biomassa. Infine, sviluppi futuri del lavoro potrebbero considerare usi alternativi della biomassa, diversi dalla produzione di energia elettrica, come i biocarburanti (ad es. bioetanolo) e i prodotti della bioraffinazione.

Ringraziamenti

Gli autori desiderano ringraziare i due referee anonimi per gli utili suggerimenti forniti.

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  • 1. In base allo studio Eurobserv’ER sullo stato di implementazione della direttiva, l’Italia aveva raggiunto alla fine 2012 la quota del 13,5% dei consumi provenienti da fonti rinnovabili (Observ’ER, 2013).
  • 2. Il rapporto tra le biomasse di residuo e prodotto principale della coltura (o harvest index) può essere ottenuto nel seguente modo:

    Dove il rapporto residuo prodotto (Rprj) della coltura j è ottenuto dividendo la biomassa del residuo colturale (RYj) e la biomassa del prodotto principale (Yj).

  • 3. La stima del potenziale energetico dei residui colturali è ottenuta dalla seguente formula:

    Dove la quantità totale di energia elettrica misurata in MJ (QE) è ottenuta moltiplicando la sommatoria del prodotto tra la quantità di residuo misurata in sostanza secca (MRj (1-Uj)) e il potere calorifico inferiore (Pcij ) di ogni coltura j per la resa termica (μT) e la resa elettrica (μE) dell’impianto di pirogassificazione; MRj  e Uj  rappresentano rispettivamente la quantità di biomassa rimossa e il grado di umidità per singola coltura.

  • 4. L’approccio metodologico contenuto nel DM del 15 marzo 2012 calcola gli obiettivi regionali esclusivamente in riferimento al contributo delle rinnovabili elettriche (Fer-E) e termiche (Fer-C), escludendo l’energia rinnovabile importata e quella relativa ai trasporti, il cui sviluppo dipende quasi esclusivamente da strategie nazionali.
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