Governance dello sviluppo rurale a livello locale: quali prospettive dall’esperienza distrettuale

Governance dello sviluppo rurale a livello locale: quali prospettive dall’esperienza distrettuale
a Università di Firenze, Dipartimento di Scienze Economiche

Il quadro di riferimento

Il Report relativo all’attuazione dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) delle Regioni italiane, per il periodo di Programmazione 2007-2013 (MIPAAF-RRN, 2009), evidenzia la lentezza con cui procede l’attuazione dei PSR stessi nelle Regioni in obiettivo “competitività” e ancor più in quelle in obiettivo “convergenza”, certamente anche per effetto della complessa articolazione del percorso istituzionale di programmazione dal livello comunitario fino all’approvazione dei Piani di Sviluppo Rurale delle Regioni.
Merita anche attenzione l’approccio seguito nei PSR per l’attivazione di interventi volti a favorire l’integrazione delle misure su specifici obiettivi aziendali, di filiera e territoriali. Quest’ultimo aspetto presuppone peraltro una progettualità aziendale, interaziendale, intersettoriale e territoriale che chiama in causa il concorso di dinamismo imprenditoriale, di condivisione di strategie comuni tra i soggetti delle filiere e del territorio e di scelte qualificanti da parte delle Amministrazioni Pubbliche.
In altre parole, la spesa dei PSR delle Regioni si sta dipanando a ritmi soddisfacenti per i trascinamenti e per le misure di carattere redistributivo quali quelle agro-ambientali, per l’insediamento dei giovani agricoltori e per il prepensionamento. Maggiore vischiosità e lentezza, com’era accaduto per il precedente periodo di programmazione, si riscontra invece per l’utilizzazione delle misure volte all’accrescimento della “competitività” (Asse1) e al miglioramento della “qualità della vita e diversificazione” (Asse3).
Anche l’attivazione dell’Asse LEADER, che ha rappresentato una delle novità più stimolanti del Regolamento sullo sviluppo rurale per il 2007-2013, in quanto volta a migliorare il sistema di governance dal basso dello sviluppo dei territori rurali, procede con molta lentezza, con una sfasatura temporale e di progettualità tra l’adozione del PSR e i documenti relativi alla Strategia Integrata di Sviluppo Locale (SISL) dei Gruppi di Azione locale. Non hanno, invece, riscontrato diffuso interesse percorsi che fossero di stimolo alla scelta delle misure più appropriate per la realizzazione dei Progetti Integrati Territoriali e di Filiera e dei pacchetti di misura per le aziende.
Se poi prendiamo in considerazione la diversa metodologia di programmazione e di utilizzazione a livello regionale e locale del FESR (Politica regionale) e del FSE (Politica sociale), appare ancor più evidente la necessità di raggiungere quegli obiettivi di complementarietà e di coordinamento tra i Fondi a livello territoriale, oggi generalmente condivisa nell’enunciazione e fortemente auspicata in prospettiva delle Riforme delle diverse politiche per il dopo 2013.

Più spazio alla dimensione locale della governance

Nel lungo processo di governance istituzionale volto a definire le regole nei rapporti tra i diversi livelli a cui si formano e si attuano le politiche europee, sta prendendo sempre più forza l’esigenza di ricercare soluzioni appropriate di governance a livello locale, capaci di dare risposte concrete alla coesione territoriale, rispetto alla quale nel Trattato di Lisbona sono contenute disposizioni importanti che collegano il rilancio del dibattito istituzionale sull’UE con un ruolo ed una partecipazione più forte dei poteri locali e quindi con il rafforzamento del principio di sussidiarietà a tali livelli di governo.
Con questa prospettiva la ridefinizione degli obiettivi e delle metodologie di intervento delle Politiche richiamate, in un quadro di minori risorse disponibili e dell’esigenza di fronteggiare le nuove sfide, impone a livello locale la selezione degli interventi a maggior valore aggiunto, con l’adozione di una strategia di sviluppo compatibile con le vocazioni e le risorse di ciascun territorio.
Assume altrettanta importanza la capacità di progettazione degli attori locali e quindi la formazione di un partenariato pubblico-privato in grado di diventare punto di riferimento stabile per la valutazione della domanda di investimenti che si manifesta in un dato territorio o in una data filiera e per orientare le scelte sulle progettualità in grado di garantire i migliori risultati. In modo da ridurre la vischiosità nell’utilizzo delle risorse derivanti dalle diverse politiche, così come la difficoltà di progettarne la destinazione su obiettivi limitati ma qualificanti.
Da ciò discende l’ampia riflessione scientifica, tecnica e politica avviata su questi temi e orientata a dare contenuti alla territorializzazione delle politiche, in funzione della coesione territoriale, alla concentrazione delle risorse su un numero limitato di obiettivi strategici più vicini alle esigenze complesse della collettività (Barca, 2009), alla integrazione dei Fondi per migliorare la complementarità e il coordinamento delle politiche strutturali e settoriali (Parlamento Europeo, 2009) e infine alla governance locale per rafforzare sia l’approccio dal basso alla programmazione, sia la capacità di progettazione degli attori del territorio.

L’esperienza distrettuale in agricoltura e nel contesto rurale

Nell’ultimo quindicennio in Europa sono maturate diverse interessanti esperienze di governance locale dello sviluppo per le aree rurali, sia attraverso la consolidata e più diffusa metodologia LEADER, sia originate da approcci nazionali e regionali allo sviluppo rurale e locale. L’interesse per la governance locale delle politiche comunitarie, attuata attraverso l’esperienza distrettuale avviata in Italia, ha trovato spazio nel corso della Conferenza di Treviso, organizzata dal MIPAAF, (Pacciani A., Toccaceli D., 2008), e della successiva Conferenza europea sullo sviluppo rurale a Cipro (Tarangioli S., 2008).
In questa occasione ci limitiamo a considerare i risultati di una ricerca a livello nazionale, finanziata dal MIPAAF, che ha preso in esame lo stato di attuazione della normativa nazionale e regionale sui Distretti rurali e Agro-alimentari di qualità1 e i risultati in itinere dell’estensione della ricerca stessa ad alcune esperienze europee, con capofila l’Associazione internazionale R.E.D. (Ruralitè-Environnement-Développement)2.
Com’è noto, il dibattito scientifico sull’approccio distrettuale in agricoltura si è sviluppato con alterne vicende. Le difficoltà concettuali di modellare sull’attività agricola e ancor più sui territori rurali gli elementi che hanno caratterizzato la costruzione dei distretti industriali si sono gradualmente attenuate. Alcune esperienze concrete catalogate come Distretti rurali e Agro-alimentari alla fine degli anni ’90 hanno comunque favorito il formarsi di una normativa specifica e l’accrescersi dell’interesse della politica sulle capacità endogene di sviluppo delle aree rurali e delle filiere agro-alimentari.
La Legge di orientamento del 2001 partiva dall’esigenza di introdurre strumenti innovativi che favorissero l’ammodernamento dell’agricoltura, anche in relazione alle trasformazioni del settore ed agli emergenti orientamenti delle politiche comunitarie. I “distretti rurali” e “agro-alimentari di qualità” fanno parte della più vasta e innovativa strumentazione organizzativa individuata all’interno della legge stessa. L’attribuzione alle Regioni dell’individuazione delle due tipologie distrettuali ha alimentato una interpretazione molto differenziata tra le Regioni stesse e un interesse non sempre convergente da parte delle categorie interessate. Da ciò deriva l’esigenza di un approfondimento su come hanno operato le Regioni e su come hanno reagito le categorie all’introduzione del Distretto come nuovo strumento di “governance” volto a favorire il partenariato territoriale e di filiera.
Nelle Regioni interessate la ricerca ha evidenziato un quadro normativo e esperienze concrete assai composito e differenziato con riferimento a molteplici aspetti.
Nella fase della loro formazione le leggi regionali sono state influenzate da approcci diversi alla programmazione, derivanti dall’attribuzione di competenze ai livelli sub-regionali (Province e Comunità Montane), nonché da sollecitazioni dal basso da parte di territori e di comparti produttivi che manifestavano la maturità e la volontà di progettare il proprio sviluppo.
Proprio dal differente approccio della normativa regionale sono derivate metodologie di individuazione e di riconoscimento dei Distretti altrettanto diversificate. In talune Regioni i Distretti sono stati individuati dall’alto sulla base di parametri quali-quantitativi. In altre Regioni invece i Distretti sono stati riconosciuti conseguentemente alla iniziativa dal basso degli attori pubblici e privati di un territorio o di una filiera che, attraverso una intensa attività di animazione, hanno individuato gli obiettivi e redatto un progetto di sviluppo su cui orientare le risorse che si rendevano disponibili.
Anche rispetto alla composizione del partenariato, il ruolo attribuito alle componenti pubbliche e private che lo costituiscono e la natura giuridica attribuita al Distretto sono state individuate nelle leggi regionali in modo eterogeneo, così come gli assetti organizzativi e gestionali.
Ancor più complessa e articolata risulta la definizione dei rapporti, nel Distretto, tra le Istituzioni locali e gli stakeholders del territorio e delle filiere e i soggetti della programmazione locale, in particolare i GAL.
Anche rispetto alla dotazione finanziaria, le normative regionali hanno espresso due posizioni opposte: o non si prevedono risorse pubbliche per la formazione del Distretto in quanto esso deve nascere dalla volontà esplicita di un territorio o di una filiera di progettare il proprio sviluppo, da cui deriva il riconoscimento; oppure si destinano risorse pubbliche solo per promuovere la costituzione e il funzionamento del Distretto.
La varietà di soluzioni adottate dalle normative regionali si proietta anche nel panorama delle esperienze concrete che sono state studiate. Due sono le considerazioni che possono essere fatte. In primo luogo è risultato più facile percorrere la costituzione di Distretti agro-alimentari di qualità piuttosto che di Distretti rurali. Nel primo caso infatti il riferimento ad un prodotto determinato e quindi la marcata specializzazione delle imprese di un territorio, rendono più immediata l’identificazione del Distretto e dei rapporti tra le imprese nelle diverse fasi del processo produttivo. Nel caso dei Distretti rurali invece assume maggior valenza la diversificazione produttiva del territorio e quindi l’esigenza di favorire l’integrazione tra l’agricoltura e le altre attività economiche, in un contesto territoriale in cui non si ha un settore economico o una produzione dominante. In secondo luogo appare evidente il diverso ruolo dei Distretti nell’essere soggetti di governance a livello locale, capaci di redigere un progetto condiviso di sviluppo, in grado di orientare e coordinare l’utilizzazione delle risorse provenienti da diverse fonti.

L’attualità dei distretti tra contraddizioni e potenzialità

In generale, dall’esame dello stato di attuazione della legge nazionale sui Distretti rurali e agro-alimentari di qualità, alla luce della normativa regionale adottata e delle prime esperienze realizzate, si possono trarre delle considerazioni su alcune contraddizioni che emergono.
In primo luogo la Legge di orientamento si è limitata a definire le due tipologie di Distretto in modo superficiale, senza indicazioni utili a orientare la Regioni a emanare norme che si armonizzassero almeno per le coordinate fondamentali. In secondo luogo, anche le Regioni che avevano già adottato proprie leggi in materia, hanno attribuito deboli funzioni di governance ai Distretti rurali e a quelli agro-alimentari di qualità. In particolare, sorprende la loro mancata individuazione quali soggetti capaci di promuovere progettualità locali nell’ambito dei PSR.
Il quadro che emerge dallo stato di attuazione delle leggi regionali in materia e delle esperienze in atto evidenzia, pur in presenza delle richiamate contraddizioni nella concreta attribuzione ai Distretti di funzioni di governance a livello locale, una crescente attenzione in prospettiva delle prossime riforme delle politiche comunitarie orientate verso la loro territorializzazione.
Infatti il riconoscimento da parte della Commissione Europea del regime di aiuti di stato ai contratti di filiera e di distretto rilancia l’interesse per percorsi di integrazione verticale dei contratti di filiera, e di integrazione territoriale dei contratti di distretto (Commissione Europea, 2008).
In tale contesto, il contratto di Distretto3 assume funzioni di governance, seguendo la sperimentata metodologia della programmazione negoziata, pur se limitatamente all’utilizzo delle specifiche risorse previste per tale scopo.
In previsione della riforma delle politiche per il dopo 2013, si devono fare ancora due considerazioni. Anzitutto i Distretti riconosciuti devono organizzarsi in modo da poter dialogare costantemente, al proprio interno e con l’esterno, sulla base di un progetto di sviluppo territoriale o di filiera, in grado di favorire la capacità di proposta degli attori del territorio basata su modalità originali di cooperazione stabile tra istituzioni pubbliche e private. In altre parole, i Distretti possono assumere un ruolo forte di governance locale dei territori rurali anche per accrescere la coesione territoriale.
In secondo luogo, si dovrà rivalutare una delle potenzialità dei distretti che molte Regioni hanno fino ad oggi trascurato, cioè la loro capacità di migliorare la qualità e l’efficacia della spesa attraverso una valida strategia condivisa, in grado di coordinare la progettazione locale sulla quale finalizzare le risorse finanziarie provenienti dalle diverse politiche che hanno una valenza territoriale, a cominciare dalla politica di sviluppo rurale.

Riferimenti bibliografici

  • Barca F. (2009), An agenda for a reformed cohesion policy. Indipendent report, Paper, DG REGIO, April 2009 [link]
  • Commissione europea (2208), Aiuti di Stato N379/2008, Regime dei contratti di filiera e di distretto, Bruxelles, 10 Dicembre 2008
  • MIPAAF-Rete Rurale Nazionale (2009), Programmi di Sviluppo Rurale 2007-2013, Report sull’avanzamento del bilancio comunitario e della spesa pubblica, Roma, 15 Dicembre 2009
  • Pacciani A. e Toccaceli D. (2008), “Il ruolo dei Distretti per la competitività dell’agricoltura italiana e lo sviluppo delle aree rurali”, in : Le nuove sfide dello sviluppo rurale in Italia: tra Health Check e riforma del bilancio UE, Treviso, 7-8 Ottobre 2008
  • Parlamento Europeo (2009), Risoluzione del 24 marzo 2009 sulla Complementarità e coordinamento della politica di coesione e delle misure per lo sviluppo rurale,(2008/2100(INI))
  • Tarangioli S. (2008), “Rural and quality food districts as governance instruments: the italian experience, 5th Workshop – Improving delivery: successful governance and networking, in: Europe’s rural areas in action. Facing the challenges of Tomorrow, Cyprus, 16 17 Ottobre 2008
  • 1. La ricerca su Nuovi strumenti di governance per lo sviluppo del sistema agro-alimentare e delle aree rurali alla luce delle politiche agricole comunitarie e nazionali, si è conclusa a Dicembre 2009. Finanziata dal MIPAAF nell’ambito dei Progetti a sportello, è stata coordinata dal Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Firenze, con la partecipazione delle Università di Palermo, Potenza, Foggia, Pisa, Siena, Viterbo e Torino. Sono state messe a confronto le leggi regionali adottate e studiate le esperienze in atto al momento dell’inizio della ricerca del Piemonte (Distretto floricolo del Lago Maggiore Distretto del riso del Piemonte, Distretto agro-alimentare di qualità del settore orticolo), Toscana (Distretti rurali della Maremma, della Lunigiana, Vivaistico e floricolo-ornamentale), Lazio (Distretto agro-alimentare di qualità dei Monti Cimini e Distretto rurale della Montagna Reatina), Basilicata (Distretti agro-alimentari di qualità del Metaponto e del Vulture), Puglia (Distretto agro-alimentare del Tavoliere) e Sicilia (Distretti rurali dei Monti Nebrodi e delle Madonie). I risultati saranno presentati nella prossima primavera in un Convegno nazionale, anche con la collaborazione di Agriregionieuropa.
  • 2. L’Associazione internazionale R.E.D. (Ruralitè-Environnement-Developpement), su iniziativa della Regione belga della Vallonia coordina una ricerca dal titolo: “Les territoires ruraux dans l’après 2013 européen”, i cui risultati verranno presentati a Namur il prossimo 7 maggio. L’obiettivo della ricerca è volto a sviluppare una riflessione sulla capacità di governance dei territori rurali nella prospettiva del dopo 2013 per essere attori della coesione territoriale a livello europeo e essere poli di sviluppo riconosciuti allo stesso titolo dei poli urbani. La ricerca si basa su un confronto di diverse metodologie di governance locale di quattro aree rurali europee: Wallonie (Belgio), Maremma (Italia), Tierra de Campos (Spagna) e Communauté de Communes du Solesmois (Francia).
  • 3. Nel caso dei contratti di Distretto si fa espresso riferimento ai “soggetti che, in base alla normativa regionale, rappresentano i distretti di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, finalizzato a rafforzare lo sviluppo economico e sociale dei distretti stessi”…allo scopo… “di favorire processi di riorganizzazione delle relazioni tra i differenti soggetti delle filiere operanti nel territorio, stimolare forme di organizzazione della catena del valore e garantire prioritariamente ripercussioni positive sulla produzione agricola”.
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