Introduzione
Per l’Unione Europea, nella fase iniziale e per alcuni decenni, la costruzione delle politiche agricole è stata sotto molto aspetti facile, in quanto gli obiettivi erano ben definiti: il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare e dell’armonizzazione degli standard qualitativi, la stabilizzazione dei mercati, l’assicurazione di un livello sostenibile di vita per gli agricoltori, il conseguimento di prezzi ragionevoli per i consumatori. A partire dagli anni Novanta, il disegno delle politiche è divenuto sempre più difficile, sia per spinte interne alla Comunità sia per quelle derivanti dalle negoziazioni degli accordi internazionali. I cambiamenti sono stati così complessi che è divenuto sempre più difficile costruire un quadro teorico e analitico in grado di comprendere tutti i pezzi del mosaico presente nel mondo rurale europeo. Ciò ha spinto la Commissione alla ricerca di riforme della PAC (dalla Mc Sharry del 1992 fino a quella più sostanziale di Fischler del 2003), che hanno cercato di introdurre mutamenti successivi negli strumenti adottati nelle politiche agricole e rurali, secondo una prassi consolidata a livello comunitario, cioè un calendario scadenzato nel tempo.
Lo scenario è ora radicalmente mutato alla luce dei ripetuti allargamenti della UE, della globalizzazione, dei recenti rialzi dei prezzi delle materie prime agricole nei mercati mondiali, che ripropongono il problema dell’insicurezza alimentare. Tutto ciò può essere un’occasione per rimettere ordine nella PAC, la politica storica dell’Unione, ma richiede il coraggio di prendere in esame in maniera del tutto nuova i suoi strumenti di intervento, distinguendo tra quelli destinati alla regolazione dei mercati agricoli e alimentari e quelli degli aiuti diretti agli agricoltori, che rappresentano una forma di trasferimento di reddito.
I problemi nella costruzione delle politiche del nuovo millennio sono numerosi; fra gli altri possiamo ricordare i seguenti:
- la presenza di una polarizzazione nei modelli di produzione agricola sia nei vecchi Paesi membri sia, in parte, in quelli nuovi. Da un lato l’agricoltura, soprattutto nell’Europa continentale, è contrassegnata da una maggiore efficienza nelle imprese di grandi dimensioni, che garantiscono una larga parte dell’autoapprovvigionamento alimentare e competono efficacemente nel mercato mondiale; dall’altro vi è la presenza di un diffuso tessuto di unità di medie e piccole dimensioni, che offrono uno scenario sociale e identitario a livello territoriale, che non sembra assicurato dalle grandi imprese. Secondo alcune analisi (Jouen, 2007) l’opinione pubblica europea sembra privilegiare le unità di più piccola dimensione, in quanto in grado di garantire meglio il perseguimento di funzioni di tutela ambientale e paesaggistica, di qualità dei prodotti, nonché di funzioni turistiche e ricreative; di conseguenza la PAC nella sua formulazione attuale sembra giunta al capolinea, con l’inevitabile fine del supporto pubblico. In realtà l’Unione deve trovare strumenti differenziati in grado di affrontare questa situazione polarizzata, che esprime domande differenti, cosa che finora non sembra avere ancora efficacemente affrontato.
- Il secondo problema è quello relativo all’entità delle risorse da destinare alle politiche agricole e rurali, che rimane elevata, nonostante la contrazione dal 40,4% al 36,5% alla fine del 2013, anche in considerazione del fatto che si rivolgono ad una quota largamente minoritaria della società europea (circa 10 milioni di agricoltori cui però devono essere aggiunti i circa 4,6 milioni di addetti agro-alimentari). Nella UE è in atto una discussione sulla riforma del bilancio comunitario; per l’allocazione delle risorse, emerge con forza la contestazione rivolta ai finanziamenti per l’agricoltura; secondo alcuni, questo supporto non ha più ragione di esistere, in quanto uno dei cardini della spesa pubblica europea deve essere il sostegno di beni o servizi con carattere collettivo (Jouen, Rubio, 2007). Occorre tuttavia sottolineare che il finanziamento all’agricoltura, anche tenendo conto dei finanziamenti nazionali, non è eccezionale. Il reale problema è l’entità del bilancio comunitario (soltanto l’1% del Pil europeo), che per avere un reale impatto macroeconomico dovrebbe arrivare perlomeno al 5-7% del Pil, con consistenti ripercussioni anche per le politiche rurali e comunitarie.
- L’Unione Europea è da tempo impegnata nelle politiche di coesione economica e sociale, soprattutto a partire dal Trattato di Lisbona. Lo scopo è di ridurre le disparità regionali attraverso la concentrazione delle risorse nelle aree con disparità nello sviluppo, fra le quali sono comprese anche le aree rurali. Partendo dall’assunzione che le politiche di coesione non sono in grado da sole di raggiungere gli scopi prefissati, nelle conclusioni adottate nell’Agenda territoriale dell’Unione (CEC, 2007) si afferma che nella costruzione delle politiche settoriali è necessario tener conto del loro impatto territoriale, attraverso un approccio integrato. Di nuovo un esempio eclatante si trova nella PAC, il cui impatto è ambivalente. Mentre le misure del II Pilastro (in particolare quelli destinate agli assi n. 3: “Diversificazione delle attività nel mondo rurale”, e n. 4: “progetti Leader”), possono infatti favorire un riequilibrio territoriale (ma con una modesta dotazione finanziaria), ciò non accade per i finanziamenti compresi nel I pilastro. Gli aiuti diretti ed il disaccoppiamento rischiano di aggravare la fragilità di alcune aree o di penalizzare i produttori di alcuni prodotti.
Nella costruzione della nuova PAC vi è dunque la necessità di rispondere ad alcune domande cruciali. Come le politiche agricole e rurali possono contribuire ad una sostenibilità economica e sociale a livello territoriale? Come la PAC può essere integrata nelle politiche di coesione, tenendo conto delle differenziazioni nella disponibilità di risorse naturali, nei metodi di gestione, nell’integrazione con la catena alimentare, dei livelli di reddito e di tutela ambientale e paesaggistica?
Per tentare di dare una parziale risposta a queste domande e per contribuire alla discussione sul futuro della PAC, alla luce delle precedenti considerazioni, abbiamo condotto un’indagine a livello regionale (Nuts 2) nell’UE a 25 stati membri. Le fonti delle informazioni sono Regio Data Bank, la Rica europea e l’annesso statistico del 18° rapporto sull’implementazione dei Fondi strutturali del 2006. L’attenzione è stata rivolta soprattutto agli aiuti diretti compresi nel I Pilastro della PAC e ai finanziamenti previsti per gli obiettivi 1 e 2 dei Fondi strutturali.
La PAC e le politiche di coesione a livello territoriale
In primo luogo, per verificare come il disegno e l’implementazione della PAC sono stati influenzati solo in parte dai concetti di coesione economica e sociale, contenuti nel Third Cohesion Report (EC, 2004), abbiamo impiegato alcuni semplici indicatori. Si tratta in particolare dei rapporti tra:
- sussidi totali e Pil (1);
- sussidi totali e superficie agricola utilizzata;
- sussidi totali per occupato in agricoltura.
L’analisi del primo indice (rapporto tra sussidi e Pil) evidenzia come le regioni in cui questo rapporto è basso (inferiore al 2%) sono circa 100 e interessano soprattutto le regioni centrali inglesi, svedesi ed italiane (Tabella 1 e Figura1). Queste regioni producono oltre il 55% del Pil dell’UE a 25 a fronte di una popolazione di poco inferiore al 50% e al 21% della Sau. Le regioni dove i sussidi hanno superato il 5% del Pil sono 65, con circa il 50% dei trasferimenti del I° Pilastro della PAC.
Tabella 1 – Classi di regioni secondo il rapporto: Sussidi totali PAC 2000-2005/Pil 2000. Valori percentuali
Figura 1 - Sussidi totali della PAC 2000-2005 in relazione al PIL 2000
Interessanti sono le considerazioni se l’analisi si sposta sui pagamenti disaccoppiati nel 2005. Si può osservare come la misura incida in misura maggiore nelle regioni in ritardo di sviluppo: ne sono testimonianza quelle dei nuovi stati membri, ed in parte alcune regioni mediterranee, mentre si dimostra come, nonostante l’elevata spesa comunitaria, non incidano in misura significativa nelle regioni più prospere, in cui il livello di sviluppo è determinato soprattutto dagli altri settori.
L’analisi territoriale evidenzia comunque due realtà differenti. L’impatto delle misure della PAC è rilevante da un lato nelle aree continentali con elevati livelli di sviluppo (soprattutto regioni francesi), dall’altro nei sistemi con i più elevati svantaggi nello sviluppo socioeconomico (in alcune regioni dei nuovi paesi membri, aree mediterranee). Ciò del resto corrisponde all’attuale ruolo del settore: l’agricoltura è infatti importante non soltanto nei territori in cui rappresenta ancora un settore significativo per l’occupazione e per il reddito, ma anche in quelli in cui è strettamente integrata nella catena alimentare e rappresenta un importante volano per lo sviluppo.
Figura 2 – Sussidi totali PAC in relazione alla SAU, 2005
Il rapporto tra i sussidi totali e la superficie agricola utilizzata (Figura 2) mette invece in evidenza una situazione relativamente più omogenea ad eccezione delle aree in cui minore è la superficie dedicata alla agricoltura, sia per il conflitto con altre destinazioni del territorio (ad esempio nelle regioni settentrionali italiane), sia per la minore disponibilità di superfici agricole (es. regioni scandinave).
Infine, se si considera l’entità dei sussidi della PAC per occupato agricolo (Tabella 2 e Figura 3), emerge con tutta evidenza come gli obiettivi della PAC siano in netta contrapposizione con gli obiettivi della coesione economica e sociale. In 106 regioni (38% della Sau totale e 67% degli addetti agricoli), che corrispondono da un lato ad una larga parte alle regioni in ritardo di sviluppo nella UE a 15 e alla totalità dei nuovi stati membri, dall’altro a regioni come quelle scandinave, in cui, come già accennato, le condizioni climatiche limitano fortemente l’esercizio dell’attività agricola, ciascun occupato riceve in media meno di 5.000 euro per anno. Se si considera anche il gruppo di regioni successivo, quello fino a 10.000 euro, complessivamente in 181 regioni si concentra larga parte dei sussidi agricoli, quasi il 60%. In queste regioni ricade circa il 69% della superficie, ma oltre l’88% dell’occupazione agricola. Di conseguenza, un numero limitato di addetti agricoli, localizzati nelle aree più ricche, percepiscono il resto degli aiuti PAC e ciò comporta un elevato contributo pro-capite, nettamente superiore ai 10.000 euro. Gli elevati livelli di sussidi non influiscono però in misura significativa sullo sviluppo locale, dato che gli addetti agricoli si aggirano in media intorno al 5-6% dell’occupazione totale a livello territoriale.
Tabella 2 – Classi di regioni in euro per occupato agricolo secondo il rapporto: Sussidi totali PAC/Occupazione agricola. Valori percentuali
Figura 3 - Sussidi totali PAC in relazione all’occupazione agricola, 2005
Nella seconda parte abbiamo preso in considerazione gli indicatori relativi agli obiettivi 1 e 2, nonché le relazioni che si instaurano con le misure della PAC. Come è noto, l’obiettivo 1 rivolto alle regioni in ritardo di sviluppo prevede nei singoli paesi due livelli di intervento: il primo è quello regionale, il secondo è quello che si attua a livello nazionale per specifici interventi. Poiché in alcune realtà, in particolare nei nuovi stati membri, le modalità di attuazione hanno previsto soltanto interventi orizzontali nazionali, si è deciso di regionalizzare anche gli interventi contenuti nei piani settoriali nazionali, pur nella consapevolezza delle problematiche insite nella metodologia adottata. Ciò si è realizzato utilizzando il dato relativo alla popolazione residente nelle singole regioni. Nei limiti della metodologia adottata, l’obiettivo era di comprendere la relazione esistente a livello territoriale tra le misure previste dalla PAC e quelle previste dai fondi strutturali (obiettivi 1 e 2).
Tabella 3 - Classi di regioni secondo il rapporto: Fondi strutturali OB1 + OB2/PIL 2000. Valori percentuali
Fonte: RICA, Eurostat, CEC, Annex to the 18th Annual Report on Implementation of the Structural Funds, Estonian Government’s, Single Programming Document 2004-2006
I risultati della tabella 3 e della figura 4 evidenziano come in una larga parte delle regioni europee (150 regioni, 50% della Sau e circa 35% degli occupati agricoli) l’incidenza dei fondi strutturali sul Pil è inferiore al 2%. In questi territori, che corrispondono in larga parte alle regioni più ricche, gli interventi sono per la totalità quelli dell’obiettivo 2, ma rilevante è soprattutto il livello di spesa della PAC, circa il 68% del totale, soprattutto se confrontata con gli occupati in agricoltura. Le regioni in cui il rapporto fondi/Pil è compreso tra il 2% ed il 5%, tendono ad essere concentrate nei nuovi paesi, dove l’operatività delle politiche di coesione è stata parziale. Accanto ad un gruppo di regioni altamente sviluppate, vi sono aree in cui il contributo comunitario influisce in misura limitata sulla qualità della vita degli abitanti e in cui sono necessarie politiche territoriali in grado di favorire la diversificazione delle attività a livello territoriale. Nelle rimanenti regioni, 67, l’incidenza supera il 5% del Pil e fa riferimento quasi esclusivamente all’operatività dell’obiettivo 1; i sussidi della PAC sono il 30% e l’occupazione agricola sfiora il 47%.
Confrontando le tabelle 1 e 3 e le figure 1 e 4 si nota come il numero di regioni in cui il rapporto sussidi/Pil e fondi/Pil supera il 5% è analogo; la composizione dei due gruppi è però sostanzialmente differente, soprattutto nel caso dei gruppi con sussidi/Pil dal 5,1 al 10%, e fondi/Pil dal 5,1 al 10%, entrambi di 39 regioni. Nel primo caso sono regioni la cui ricchezza è poco al di sotto della media comunitaria (11,6% del Pil, 13,5% della popolazione) contrariamente al secondo dove le regioni possiedono un livello di sviluppo decisamente inferiore alla media comunitaria (8,3% del Pil e 15,7% della popolazione).
Estendendo il confronto ad altri parametri, quali l’occupazione agricola, emerge nuovamente il divario. Da tali considerazioni, se pure fatte sulla base di semplici indicatori, appare come l’attuale PAC sia scarsamente integrata con le politiche di coesione.
Figura 4 – Fondi strutturali Ob. 1 & Ob. 2 (2000-2006) in relazione alla popolazione totale (media 2000-2006)
Fonte: CEC, Annex to the 18th Annual Report on Implementation of the Structural Funds, Estonian Government’s, Single Programming Document 2004-2006; Eurostat
Le proposte delle Commissione del maggio 2008
L’analisi condotta conferma dunque come la PAC abbia consentito soltanto in misura limitata di ridurre le disparità regionali, ed anzi per alcuni aspetti sembra avere prodotto risultati contrastanti con gli obiettivi di coesione economica e sociale (v. Shucksmith et al., 2005), dato che gli aiuti diretti si concentrano nelle regioni più ricche dell’Unione. Le disparità aumentano anche nelle regioni dell’obiettivo 1 e spesso all’interno di uno stesso paese. La situazione per le misure comprese nel II pilastro è più complessa, anche per l’eterogeneità del mondo rurale, ma anche in questo caso risulta solo in parte riconducibile ad obiettivi di coesione. Inoltre non si può dimenticare che nella passata stagione di programmazione (2000-2006) i finanziamenti del II pilastro sono stati utilizzati in maniera difforme nel territorio europeo: nelle regioni continentali sono stati indirizzati in prevalenza verso le misure agroambientali, in quelle mediterranee essi sono stati in larga parte considerati come un elemento di sostegno dei redditi agricoli. In una prima analisi condotta per il periodo 2007-2013 (Jouen, 2007), emerge a questo proposito una tendenza alla conservazione, senza una autentica volontà di riequilibrio attraverso iniziative di sviluppo rurale.
Alla fine di maggio del 2008 la Commissione ha formulato alcune proposte al Consiglio e al Parlamento Europeo, in uno scenario per molti aspetti inedito. Il fatto eclatante è rappresentato dal consistente aumento dei prezzi delle materie prime agricole nei mercati mondiali (cereali), con il conseguente rischio di insicurezza negli approvvigionamenti alimentari, ma anche da altri processi, quali la crisi petrolifera, la crescente domanda alimentare da parte dei paesi emergenti, i mutamenti climatici. Di fronte a queste proposte le posizioni dei paesi membri si collocano all’interno di due estremi. Da un lato vi sono i paesi, che in tutto o in parte concordano con la Francia, che vede nella crisi dei mercati mondiali l’opportunità per il mantenimento della PAC. Dall’altro, i paesi che si rifanno alla posizione del Regno Unito che sempre alla luce della crisi nei mercati, trova le ragioni per il totale smantellamento della PAC.
La proposta, che non ha lo scopo di affrontare globalmente il futuro della PAC dopo il 2013, dimostra la volontà di introdurre mutamenti significativi soprattutto nella gestione dei mercati, ma al tempo stesso come non sia giunta ancora a maturazione la riflessione della Commissione sul futuro della PAC in rapporto alla coesione territoriale. In altre parole non sembra ancora risolto il dilemma tra la concentrazione delle risorse nelle imprese e nelle regioni più competitive, al fine di mantenere un potere nei mercati mondiali o, all’opposto, il rafforzamento delle misure per valorizzare il mondo rurale.
Non è questa la sede per affrontare esaustivamente gli interventi sui mercati. Brevemente, si può però affermare che la limitazione dell’intervento al grano duro rischia di non produrre effetti, nel caso in cui i prezzi rimangano elevati. Inoltre la soppressione delle quote latte potrebbe comportare la concentrazione della produzione di latte in poche regioni, mentre la fine del set aside pone non trascurabili problemi ambientali (biodiversità). Circa la concentrazione delle risorse della PAC in un numero ridotto di beneficiari, la proposta di autorizzare il passaggio dagli aiuti basati sulle serie storiche aziendali ad aiuti legati agli ettari potrebbe implicare un sostanziale livellamento del supporto pubblico, con forti redistribuzioni tra regioni e fra tipologie aziendali.
Nonostante l’aumento dei tassi della modulazione obbligatoria, soprattutto le proposte per lo sviluppo rurale rimangono ancora ambigue e generiche. La proposta della Commissione di ri-allocare secondo le loro priorità un finanziamento pari al 10% del budget degli aiuti agricoli per sostenere alcune situazioni particolari, già presente nell’ art. 69, ma con un campo di utilizzazione allargato, viene giudicata positivamente da numerosi Stati membri, ma vi è il timore che questo strumento verrà utilizzato per aiutare direttamente alcune produzioni, con il rischio di produrre distorsioni nella concorrenza.
Di fronte al rischio di aumento degli squilibri regionali, il nodo cruciale da affrontare nella costruzione delle politiche rurali è l’abbandono di una politica costruita sulla base della compensazione di svantaggi agricoli (anche se in alcune situazioni queste misure devono essere mantenute), politica spesso generica e non finalizzata alla promozione di progetti e di attività finalizzate allo sviluppo locale. Solo affrontando senza ambiguità i tanti dualismi esistenti a livello territoriale e aziendale, sarà possibile disegnare una nuova politica per l’agricoltura e per l’alimentazione, che tenga conto sia delle istanze provenienti dal mondo rurale, sia di quelle dell’intera società europea.
Note
(1) Per uniformità con il successivo confronto Fondi strutturali/PIL, è stato utilizzato il valore iniziale del PIL (2000), poiché si è ritenuto che i valori successivi fossero influenzati dall’azione dei fondi, mentre i sussidi totali si riferiscono al periodo 2000-2005.
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