Tutela del consumatore e profili penali della disciplina delle frodi alimentari

Tutela del consumatore e profili penali della disciplina delle frodi alimentari
a Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie della Formazione

Esigenze di riforma della disciplina sanzionatoria e fattori di trasformazione economica e istituzionale

L’interesse scientifico diretto ad una periodica rivisitazione del sistema sanzionatorio in materia alimentare risponde alla verifica dell’adeguatezza nel contrasto alle forme sempre più insidiose delle condotte criminali, in vista dell’effettività della tutela della salute e degli interessi economici coinvolti, a vario titolo, nelle dinamiche di mercato.
Peraltro, costantemente riproposta è la denuncia dell’insufficienza e dei difetti del sistema, appellando la tecnica legislativa come rudimentale e maldestra, destinata a smarrirsi in una minuta casistica, di per sé, episodica e in conseguenza incompleta (Azzali, 1970).
Nell’esame dei meccanismi di tutela previsti dalla disciplina di settore sembra, dunque, di scarsa utilità ritornare sulla descrizione delle singole fattispecie incriminatrici, sia pure alla luce delle diverse questioni interpretative sollevate, quanto soffermarsi – anche attraverso un mero richiamo – intorno a fattori che, sul piano sostanziale, motivano il succedersi delle singole previsioni, a partire dalle nuove acquisizioni scientifiche e dalle innovazioni tecnologiche fino alle ricorrenti pressioni dell’opinione pubblica attivate in occasione delle ripetute e recenti crisi alimentari.

In particolare, si tratta, però, di spostare l’analisi sulla complicazione delle fonti, conseguente all’intervento della normativa europea, quale attore più accreditato della disordinata proliferazione sanzionatoria.
Le trasformazioni del contesto ordinamentale inducono, infatti, a sviluppare una più impegnativa riflessione che, mettendo in discussione la tradizionale «inerenza del diritto penale alle più intime prerogative della sovranità nazionale e, per tale tramite, alle stesse radici culturali del popolo di riferimento» (Militello, 2014), suscita seri interrogativi sulla rilevanza dei vincoli assunti a livello extra-statale rispetto alle scelte politico-criminali, oltre che sulla capacità di enforcement da dispiegare contro fenomeni in grado di pregiudicare l’ordine del mercato e la sostanza di diritti sociali.

Meccanismi di regolazione del mercato e predisposizione di sanzioni

Va osservato, sul punto, come la criminalità anche in materia abbia assunto una dimensione transnazionale a causa del carattere globale dell’economia insofferente a qualsiasi vincolo o limite alla circolazione dei capitali impiegati spesso in operazioni speculative o per sottrarsi all’imposizione fiscale, sfruttando il ribaltamento intervenuto a svantaggio dei poteri di ogni singolo Stato.
E ciò rivela l’incapacità delle politiche nazionali di promuovere meccanismi di regolazione e di controllo del mercato proprio sul piano dell’intervento di contrasto alla deregolazione dell’economia, capace di sottrarsi ai controlli giuridici realizzati dagli ordinamenti statali a fronte delle esternalità negative connesse alla mobilità degli scambi.
Tra gli obiettivi dell’Unione europea si rintraccia, così, quello relativo alla possibilità di adottare norme minime comuni per quanto riguarda la definizione dei reati (Sicurella, 2005), mentre la tecnica attraverso cui si procede normalmente all’inserzione di sanzioni per la violazione dei singoli precetti è costituita dal rinvio dettagliato previsto in sede di recepimento o di applicazione delle varie fonti che si succedono nella materia.
In sostanza, al fine di evitare che la diversità degli ordinamenti possa costituire una forma di resistenza alla uniforme applicazione di principi e regole, viene proposto l’invito a predisporre, alla luce di parametri sostanziali, un apposito catalogo di sanzioni, innescando un processo di ridefinizione dei confini del penalmente rilevante.
Ad esempio, il recepimento del Reg. (CE) 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare ha definito un processo di cooperazione tra le istituzioni europee e lo Stato1 (Jannarelli, 2011) per quanto riguarda la predisposizione dell’apparato di sanzioni dirette ad assicurare la tutela degli interessi coinvolti in osservanza ad una clausola di proporzionalità, effettività e dissuasività.
Se non che, a dispetto della qualificazione formale delle sanzioni, amministrative o penali, coinvolte dalla violazione delle singole fattispecie, l’obiettivo avuto di mira dal legislatore europeo di conseguire l’effettivo controllo dell’economia produttiva non appare privo di conseguenze sul piano della precisa determinazione dei beni oggetto della tutela.

Riconoscimento dei diritti del consumatore nell’ordinamento europeo e diversa prospettiva di tutela da parte del Codice penale

Invero, già agli esordi del processo di integrazione europea si avvertiva che «non solo il contenuto precettivo di una disciplina, ma anche la sua intensità misurata dal rigore delle sanzioni che la presidiano, possa avere un’incidenza diretta sull’instaurazione e sul funzionamento del mercato comune» (Pedrazzi, 2003).
Ma se il disegno di progressiva armonizzazione della disciplina di mercato e di concorrenza è avanzato con molto realismo, se bene non senza difficoltà, risulta trascurata la riflessione sull’accennata difficoltà di coordinare l’ampiezza e l’articolazione del mercato e la devianza provocata dalla concentrazione dei capitali e dalla convenienza degli investimenti per mezzo della tradizionale strumentazione messa a disposizione dal diritto penale di fonte statale.
Il frutto dell’ideologia liberista viene messo a nudo dall’alterazione delle relazioni instaurate tra ordinamenti, nel senso che «non sono più gli Stati che garantiscono la concorrenza tra le imprese, ma sono le grandi imprese che mettono in concorrenza gli Stati, soprattutto gli Stati più deboli, andando ad investire dove massima è la possibilità di sfruttare il lavoro, di inquinare e devastare l’ambiente e di corrompere i governi» (Ferrajoli, 2013).
Il tentativo di ristabilire le regole del gioco (Rossi, 2006), ripristinando la necessaria corrispondenza tra la struttura degli ordinamenti giuridici e l’effettiva capacità di regolazione della vita economica in vista degli interessi generali, almeno con riguardo al moderno sistema agroalimentare, conferma la chiave di lettura unificante della generazione di funzioni di garanzia dei diritti e di repressione dei reati, in una cornice di derivazione europea.
Lo spunto può essere offerto dal progressivo riconoscimento del consumatore in quanto «portatore di diritti della persona che costituiscono un limite naturale all’attività dell’impresa» (Alpa, 2009) e dalla contestuale ricerca dell’interesse le cui offese siano legislativamente previste quali costitutive di reato.
La sistematica interna del Titolo VIII, Libro II (“Dei delitti in particolare”) del Codice penale, al di là della distinzione, nominalisticamente intestata nella rubrica dei due primi capi “Delitti contro la economia pubblica” e “Delitti contro l’industria e il commercio”, non lascia, del resto, dubitare che, «nell’insieme delle attività economiche che si svolgono nell’ambito della nazione […] colte nel loro reciproco coordinamento e condizionamento, in quanto confluiscono in un sistema unitario» (Pedrazzi, 1965), sia del tutto eclissata la rilevanza di quella figura con tutte le conseguenze che ne discendono rispetto alla violazione di diritti ed obblighi tra il contraente forte e quello debole.
Che la dimensione del consumo sia estranea al progetto di regolazione penalistica della materia in funzione della tutela di personali e determinati interessi e diritti si spiega facilmente per ragioni storiche, tenendo a mente la data di emanazione dello stesso Codice, se è vero che nella Relazione ministeriale sul progetto, all’interno di una visione dichiaratamente corporativa (Fornasari, 1994), era sottolineata l’esigenza di operare un organico raggruppamento delle «sanzioni intese a costituire una compiuta tutela del pubblico interesse al corretto, libero e normale svolgimento di fattori della produzione e della ricchezza nazionale».
Scarso è rimasto, dunque, l’interesse ad approfondire la reale incidenza delle incriminazioni rispetto alla soglia di protezione degli interessi dei consumatori di alimenti non ostante le crescenti aspettative suscitate dalla punibilità di condotte imprenditoriali lesive della salute, nella sua dimensione attiva, riferita a ciascun individuo artefice e responsabile della propria vita e alla stessa collettività.
Tra la dicitura chiunque, che apre la formulazione delle diverse norme poste nel Codice a presidio dell’incolumità pubblica e la segnalata emersione della nozione di consumatore, che voglia soddisfare i propri bisogni alimentari al riparo della perdita di chances rilevanti sul piano del benessere fisico e psichico, si interpone un diaframma che, necessariamente, storicizza le ragioni di una profonda trasformazione della nozione di salute rispetto all’esercizio di una serie di pretese che allargano la necessità di tutela del potenziale bersaglio.
Ad esempio, seguendo un’evidente linea di continuità storico-culturale con il modello del Codice, la stessa frode in commercio destinata a sanzionare la sleale esecuzione, mediante dazione di un bene diverso da quello pattuito o dichiarato, di qualsiasi negozio che preveda l’obbligo di consegnare una cosa mobile per un’altra, finisce per lasciare ai margini dell’analisi che, l’aliud pro alio, trattandosi di alimenti, venga ad incidere sui requisiti di sicurezza e, dunque, sulla idoneità materiale-sostanziale all’immissione in commercio.

Emersione della sicurezza ed effettività delle scelte punitive

Così, una volta che la sicurezza sia individuata quale bene giuridico necessariamente strumentale non solo alla tutela della salute – di cui arricchisce anche in una logica precauzionale i contenuti di anticipata tutela – ma allo stesso governo dei processi produttivi e ai meccanismi di circolazione dei prodotti alimentari, la base ideologico-sociale del Codice penale si presta ad una necessaria rivisitazione per quanto riguarda il concetto di economia pubblica, non certamente definito nella sua estensione più vasta, ma ritagliato almeno a quella sua parte che concerne le offese ai consumatori che operano nel mercato agroalimentare.
Coesistono, invero, nella tradizionale sistematica, ragioni esplicite di una tutela polivalente (Pedrazzi, 1971) che risponde alla disciplina della produzione e dello scambio di un particolare genere di prodotti destinati, con l’ingestione, a interferire con le condizioni elementari della salute, ma le direttive del relativo svolgimento non sono destinate ad intrecciarsi e connotare di maggiore effettività le scelte punitive e il disvalore conseguente all’incidenza offensiva delle condotte criminali. La moltiplicazione delle prospettive di intervento proposte a livello europeo (Bernardi, 2002) porta naturalmente con sé la frantumazione delle norme specialistiche di riferimento e la tutela giuridica riservata ai tradizionali beni inseriti lungo il doppio binario (Pedrazzi, 1971), vincolato a parametri alternativi di intervento salute-economia, si arricchisce di originali strumenti applicativi la cui previsione è il risultato del collegamento interdisciplinare con le scienze e le tecnologie, con la estensione di circuiti di circolazione dei prodotti, con la complessità operativa delle filiere agro-alimentari, fino alla distribuzione al consumatore finale.
Sopra tutto, però, l’innesto in meccanismi e procedure operative in grado di monitorare e gestire i rischi e intervenire, al tempo stesso, in modo rapido ed efficace, a garanzia del funzionamento del mercato è destinato a connotare in termini plurioffensivi la condotta dell’operatore alimentare anche quando proceda all’adulterazione, alla contraffazione o, comunque, alla sofisticazione di alimenti, realizzando una palese violazione all’ordinato svolgersi delle relazioni concorrenziali, così come, nel caso in cui si ponga in essere una condotta fraudolenta o ingannevole non può sfuggire l’importanza di riconfigurare i fatti ricadenti nella previsione della fattispecie incriminatrice, tenendo conto delle esigenze di tutela di interessi collettivi e diffusi attinenti alla salute.
L’art. 14 del Reg. (CE) 178/2002 cit. stabilisce – e ciò risulta ampiamente indagato dalla dottrina (Costato et al., 2013) – che gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato. Ma quando possiamo considerare tale un singolo prodotto destinato all’immissione in commercio? In effetti, l’enunciato normativo esaurisce la casistica: nel caso in cui sia accertato che provochi un danno alla salute o, alternativamente, si presenti inidoneo al consumo. Sì che, anche le informazioni incidono sulla ricostruzione del profilo di sicurezza in ragione delle modalità di utilizzo e la relativa manipolazione potrebbe essere inserita in una cornice di palese aggressione dello stato di complessivo benessere e di pieno sviluppo delle funzioni fisiche e psichiche della persona non riducibile alla compromissione della salute in relazione alla messa in vendita di prodotti privi delle qualità promesse o, comunque, veicolati mediante dati, notizie o riferimenti falsi o ingannevoli.
A conferma di ciò, si può, ancora, osservare che lo stesso art. 8 del regolamento richiamato stabilisce che la legislazione alimentare si propone di intervenire a presidio degli interessi economici dei consumatori con il contrasto delle pratiche fraudolente e ingannevoli non che dell’adulterazione degli alimenti e contro ogni altro tipo di pratica in grado di fuorviare scelte consapevoli, vale a dire rappresentando comportamenti incriminati tipicamente all’interno della tradizionale categoria dei reati di pericolo.

Organizzazione della filiera, responsabilità degli operatori e repressione dei reati alimentari

Anche non volendo assegnare particolare rilievo alle critiche successivamente fondate sul disordine della disciplina e sulla continua precarietà del suo assetto si è, comunque, intuito ben presto che il modello penalistico, modulato in una prospettiva che è stata definita molecolare (Piergallini, 2004), risultasse inidoneo alla repressione e, prima ancora, alla prevenzione degli illeciti connessi al soddisfacimento dei bisogni alimentari.
In particolare, tenuto conto delle moderne forme di organizzazione dei circuiti commerciali della distribuzione, la mancata coincidenza dell’operatore a cui sia riferita la messa in circolazione degli alimenti con quello a cui sia imputabile la minaccia di aggressione, non solo fa cadere la ricorrenza del dolo nella struttura della fattispecie incriminatrice, dimenticando il turbamento sociale meritevole di più severa punizione, quanto, sopra tutto, evidenzia le difficoltà di arretramento della tutela.
In relazione alla tecnica di costruzione della fattispecie di illecito l’inserimento del bene sicurezza incide, invece, sulla diretta individuazione delle modalità di attivazione della responsabilità, senza nè pure procedere all’accertamento della derivazione causale del pericolo per la salute ovvero del pregiudizio dell’economia dalla condotta dell’agente, una volta che sia oggettivamente rilevata la violazione delle procedure previste per la prevenzione e la gestione dei rischi inerenti ad alimenti destinati al consumo ed immessi sul mercato.
Né si tratta di legittimare l’incriminazione di un rischio, quando non si possa fornire alcun chiarimento circa l’effettiva pericolosità di un prodotto, tornando a far leva su spregiudicate congetture di offesa, ma di ricercare la normale interazione causale che lega una data condotta sviluppata nelle diverse fasi di produzione, trasformazione e distribuzione all’incidenza del rischio.
D’altra parte, sembra essenziale proprio la segmentazione delle fasi e la successiva ricomposizione sistemica in una dimensione di filiera in cui ciascun operatore sia chiamato a rispondere per quella parte del processo produttivo su cui possa ragionevolmente intervenire secondo un criterio di diretta imputazione, in quanto si tratta di proporre attraverso l’anticipazione della soglia di intervento, da prima, l’adozione di cautele doverose e, conseguentemente, il recupero della maggiore effettività degli strumenti sanzionatori.
Si muove, infatti, nella direzione di spostare l’interesse dalla ricerca di sanzioni minuziosamente calibrate sulla natura dell’illecito a quella, logicamente attinente ad un momento anteriore, del soggetto da responsabilizzare e (poi) da sanzionare, al fine di incidere concretamente sull’offensività delle condotte in un’area di manifesta irritazione sociale.
Ci si limita, in proposito, a sottolineare che, anche quando il destinatario della frode alimentare non sia uscito dall’anonimato, la fase commerciale in cui si può intervenire per il contrasto di comportamenti che rivelano la connotazione lesiva della fiducia negli scambi commerciali (artt. 516 e 517 cod. pen.) resta quella finale di distribuzione al consumo o, al limite, di esposizione in pubblici esercizi o di offerta in vendita attraverso la proposta di listini e reclame, con una evidente attenuazione della finalità di graduare la risposta sanzionatoria; mentre, nel caso vero e proprio della frode (art. 515 cod. pen.), la condotta coinvolge soltanto l’esito finale del percorso dal campo alla tavola e, cioè, quello della cessione al consumatore finale.

Diligenza organizzativa e accertamento della responsabilità

Proprio in quanto sull’operatore alimentare incombe l’obbligo di realizzare efficienti meccanismi di controllo in grado di evitare che in ciascuna fase della filiera possano individuarsi patologie e anche sintomi di devianza, la violazione delle regole di sicurezza riguarda sempre l’assenza della dovuta diligenza, tenuto conto della qualificazione dell’attività economica e del diverso grado di complessità della organizzazione.
È utile sottolineare, al riguardo, come il punto che accomuna i comportamenti incriminati supponga l’omessa applicazione o la mancata osservanza di procedure o requisiti prescritti, di volta in volta, in ordine alle attività di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti, per prevenire l’insorgere di rischi che, in tanto possono essere marginalizzati, in quanto siano introdotti adeguati investimenti aziendali.
Non suscita, peraltro, immediato interesse accertare se la singola violazione si risolva in un risultato di pericolo per la salute o di compromissione degli interessi economici dei consumatori, in quanto l’intendimento perseguito dall’operatore alimentare resta quello di precostituirsi una identica posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti che una corretta gestione dell’attività di impresa non consentirebbe di conseguire: ad esempio, riducendo l’operatività di strumenti o procedure di analisi del rischio e di controllo dei punti critici ovvero pregiudicando la fiducia e la libertà di scelta dei consumatori, omettendo di predisporre un’efficace rete di verifiche a garanzia che la segnalazione dell’origine dei prodotti corrisponda ai particolari standards qualitativi e di sicurezza attesi.
Rispetto alle dinamiche di un mercato strutturato in base alla sostanziale interdipendenza tra le economie dei singoli Stati e dagli scambi di materie prime agricole ridotte al rango di commodity slegate dalla domanda alimentare locale, la messa a punto di comportamenti fraudolenti risponde, sempre, ad una valutazione comparata costi-benefici ed è l’esito di «un contesto caratterizzato da una progettazione razionalmente svolta» (Alessandri, 2005).

Circolazione dei prodotti nello spazio unitario europeo e adeguatezza delle sanzioni in riferimento alla tutela della salute e degli interessi economici

Le considerazioni svolte – sia pure in modo sommario – lasciano intendere come, ai fini di una eventuale revisione delle fattispecie penali, il contenuto dei precetti e il dosaggio delle sanzioni debbano risultare il più possibile coerenti con gli atteggiamenti di valore maturati nella società (Marinucci, 1975).
È chiaro, in proposito, che la potenzialità diffusiva di danni conseguenti alla circolazione di alimenti in un mercato, comunque, confinato a livello geografico e scarsamente interessato da innovazioni tecnologiche abbia inizialmente richiesto una risposta tranquillizzante, nel caso di offesa alla salute, concepita come non rinunciabile condizione di vita della persona ovvero di aggressione al suo patrimonio.
L’obiettivo da perseguire sul piano politico-criminale, preso atto della diversità dello scenario contemporaneo e degli effetti descritti della libera circolazione dei prodotti postula, invece, l’attivazione di misure capaci di agire sul versante della tutela di aspettative rilevanti sul piano collettivo ove si consideri la crescita esponenziale dei rischi e l’impatto sull’economia di emergenze – dalla mucca pazza all’influenza aviaria – che, nel periodo più recente, hanno mostrato la necessità di articolare una risposta multilivello e in rete per bloccare l’immissione in commercio di lotti di determinate produzioni ovvero di provvedere al richiamo in caso di acquisita disponibilità da parte dei consumatori.
In effetti, pur nella prospettiva dell’interesse a rimuovere pericoli di portata collettiva, ad esempio, evidenziati nella fattispecie di avvelenamento, resta estranea alla disciplina del Codice la configurazione dell’offesa sul piano del disastro, che meglio si attaglia alle odierne e cicliche esperienze di allarme sanitario e, sopra tutto, si combina, in modo compatibile, con la procedura di allarme rapido, che è attivata immediatamente in caso di tempestiva individuazione di un rischio potenziale ed emergente per la salute.
Nell’impatto con l’ordine alimentare europeo non si può, per altro, fare a meno di constatare la riduzione del valore d’uso delle previsioni del Codice anche sotto un altro profilo riconducibile all’accertamento del pericolo per la salute pubblica nell’ottica denunciata di una forzosa alternativa e, cioè, di risultare «inutile, perché si punisce il fatto che lo produce solo quando c’è stato anche il danno finale che avrebbe dovuto essere impedito» ovvero «indeterminato, perché se non è così concreto e neppure può attestarsi su livelli di astrazione troppo formalizzati, presenta uno spazio applicativo grigio, un margine incerto» (Donini, 2014).
Quel che non può mancarsi di rilevare è, invece, che la violazione delle regole inerenti alle diverse fasi di organizzazione della filiera suscettibili di esporre al rischio la salute dei consumatori a fronte di condizioni di insicurezza, sia tale da configurare un oggetto di tutela del tutto specifico all’esplicarsi della (singola) attività produttiva.
Ciò richiede che le tipologie sanzionatorie destinate a rafforzare il rispetto delle soglie avanzate di tutela della salute e degli interessi economici dei consumatori debbano essere supportate, nell’occasione di una seria e complessiva revisione della disciplina (Donini, 2007), da più specifici strumenti ed adeguate opzioni di intervento in ordine a fatti derivanti dalle modalità di produzione.
L’oggetto generico della tutela giuridica sembra, infatti, da individuare nell’ordine alimentare di mercato (Piccinno, 1988) in modo da ricostruire, dalla raccolta fino alla immissione in consumo, tutte le fasi dell’organizzazione, mettendo al riparo la sicurezza dell’approvvigionamento di prodotti idonei al consumo dalle condotte di operatori normalmente consapevoli della violazione di obblighi preventivo-cautelari suscettibili di esporre a rischio la salute dei consumatori ed alterare i meccanismi di concorrenza.

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  • 1. Il rinvio è al d.lgs. 5 aprile 2006, n. 190 Disciplina sanzionatoria per le violazioni del regolamento (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel settore della sicurezza alimentare.
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