Luci e ombre nelle politiche per le aziende agricole familiari

Luci e ombre nelle politiche per le aziende agricole familiari
a Commissione Europea, Direzione Generale dell'Agricolura e Sviluppo Rurale

Introduzione

Un riesame critico delle politiche per le aziende agricole famigliari è quanto mai opportuno. Sin dalla sua nascita, all’inizio degli anni Sessanta, la Politica Agricola Comunitaria (Pac) ha avuto per obiettivo il sostegno delle aziende famigliari e dei loro redditi, e questa è tuttora la forma più diffusa di conduzione, pur con tutte le trasformazioni economiche e sociali avvenute nel frattempo. Le politiche nazionali dei diversi Stati Membri che le hanno precedute e accompagnate – ad eccezione dei nuovi Stati Membri – hanno anch’esse condiviso l’obiettivo di fornire sostegno a questo tipo di aziende, con diversi strumenti. Le diverse riforme della Pac che si sono succedute dopo il 1992 non hanno modificato questo indirizzo.
Oggi, il 97% dei dodici milioni di aziende agricole europee è condotto da famiglie (Hennesy, 2014). La questione da porsi, dal punto di vista delle politiche agricole, non è tanto quello della loro presenza e consistenza complessiva, chiaramente dominante rispetto ad altre forme di conduzione, ma piuttosto come le politiche abbiano influito sulla loro articolazione interna tra grandi, medie e piccole aziende, come hanno definito i loro bisogni di modernizzazione nel corso del secondo dopoguerra, quali ragioni hanno giustificato il loro sostegno e se queste siano ancora valide. Questo compito è reso più semplice dal fatto che la Fao ha dichiarato il 2014 “Anno dell’Agricoltura Famigliare” e questo ha dato luogo ad un aggiornamento delle conoscenze su questo tema e ad una valutazione delle politiche rivolte a questo tipo di aziende, non solo in una prospettiva europea ma anche mondiale.
L’azienda agricola famigliare è definita come un’azienda condotta e gestita da un’unità domestica famigliare, che si basa sul lavoro predominante dei suoi componenti sia maschili che femminili (Hennesy, 2014). Sebbene spesso s’identifichi questo tipo di azienda con l’azienda contadina, o con un azienda di piccole dimensioni o di sussistenza, questo non corrisponde alla realtà: vi sono infatti aziende famigliari di tutte le dimensioni, anche grandi; le origini contadine non sono esclusive e comunque non descrivono più il loro modo di operare attuale. L’universo delle aziende famigliari è dunque molto differenziato al suo interno, con bisogni anch’essi differenziati, mentre gli studi più recenti indicano che non tutti i tipi di azienda sono riusciti a trovare nell’offerta di politiche disponibile –a livello europeo e nazionale- interventi adeguati.
Sosterrò in quest’articolo che è necessario identificare e circoscrivere in modo più preciso questi bisogni differenziati di sostegno: ciò che serve ad alcune aziende famigliari non serve ad altre e le politiche oggi disponibili rispondono prevalentemente ad un’idea di modernizzazione uguale per tutte le aziende, ma di fatto percorribile solo da alcune. Questa situazione crea sfasature tra domanda e offerta di politiche e le rende soltanto parzialmente efficaci. È necessario poi chiedersi quale sia l’interesse generale che giustifica oggi il sostegno ai diversi tipi di azienda così identificati per definirli meglio e aggiornarli. Questo non è un esercizio teorico che può farsi a tavolino, ma ha bisogno di osservazioni empiriche e partecipazione degli interessati nella loro formulazione.
Nel panorama attuale delle aziende famigliari nei diversi Stati Membri si possono identificare grosso modo quattro tipi di aziende famigliari:

  • le aziende famigliari di sussistenza, caratterizzate da una produzione destinata in misura rilevante a soddisfare i bisogni di consumo e di abitazione dei componenti famigliari ed, in subordine, a produrre per il mercato, da modesti investimenti in fabbricati e macchinari;
  • le aziende famigliari di piccole dimensioni, con redditi extra-agricoli stabili nel tempo, non più dipendenti dal reddito agricolo per la propria sussistenza, che tendono a ridurre il lavoro in azienda e ad aumentare il ricorso all’acquisto di lavorazioni all’esterno (ad esempio il contoterzista);
  • le aziende famigliari di medie dimensioni, caratterizzate da una produzione agricola specializzata destinata al mercato, con un alto impegno lavorativo dei componenti famigliari; il loro reddito dipende prevalentemente dalla loro produzione, tuttavia possono includere la trasformazione e commercializzazione dei propri prodotti, o l’utilizzo delle strutture aziendali per offrire servizi di vario genere come ad esempio l’agriturismo, da cui ottengono redditi aggiuntivi;
  • le aziende famigliari di grandi dimensioni, distinte da quelle medie soprattutto per la scala delle attività interamente destinate al mercato ed il ricorso anche a manodopera non familiare, in modo saltuario o regolare; queste aziende utilizzano in genere le tecnologie più avanzate e ottengono redditi superiori alla media.

Questi tipi di aziende famigliari sono ovviamente una semplificazione di una realtà molto più complessa e articolata, con caratteristiche talvolta mancanti e talvolta sovrapposte e combinate, con configurazioni particolari secondo il luogo e il livello di sviluppo. Lo scopo di questa semplificazione è soltanto quello di aiutare a capire i diversi percorsi di trasformazione avvenuti e possibili, al fine di argomentare in modo convincente la diversità dei bisogni di sostegno che queste richiedono dalle politiche. Va inoltre ricordato che tutte le aziende famigliari, per la loro natura subiscono l’influenza del ciclo di vita della famiglia e che può modificare in modo sostanziale la sua operatività: il numero di figli, la loro formazione e disponibilità alla successione nell’attività agricola, la divisione ereditaria, i ruoli attribuiti ai componenti maschili e femminili, sono tutti aspetti di passaggio critici, che ad ogni generazione che si sussegue possono far mutare gli orientamenti produttivi, sia nell’espansione delle attività che nella loro contrazione.

Contenuti

Nella prima parte di quest’articolo si discutono le politiche settoriali finora attuate, finalizzate alla modernizzazione e continuità delle aziende famigliari; e si valuta se la auspicata modernizzazione aziendale debba seguire soltanto la logica delle economie di scala o meno. Nella seconda parte si abbandona la prospettiva settoriale per osservare la realtà delle aziende famigliari da altri due punti di vista che influiscono sulle loro decisioni. In primo luogo dalla prospettiva introdotta dalle nuove esigenze poste dalla sostenibilità ambientale delle attività agricole, nonché ai beni pubblici che queste possono offrire alla società e successivamente dalla prospettiva del contesto rurale, più o meno diversificato nelle attività economiche. Si sostiene che queste diverse prospettive non sono “esogene” ma debbano considerarsi indispensabili per capire e valutare la domanda e l’offerta di politica agraria dei diversi tipi di aziende famigliari. In sede conclusiva s’identificano le sfasature ed inefficienze (le luci e le ombre a cui ci si riferisce nel titolo) delle politiche attuali nei confronti delle aziende famigliari, delineando, in modo ancora grezzo e approssimativo, gli aspetti che richiederebbero una maggior attenzione da parte delle politiche.

Sostenere una o più modernizzazioni delle strutture aziendali famigliari?

Le origini di un sostegno crescente e indifferenziato

Le politiche agricole nazionali e comunitarie hanno seguito nel corso del tempo un’evoluzione caratterizzata da crescenti forme di sostegno pubblico. Nei paesi di antica industrializzazione dove si sono verificate le prime “rivoluzioni agrarie”, come in Inghilterra e in Olanda nella seconda metà del Settecento, queste si sono sviluppate senza alcuna forma di sostegno pubblico: le prime “modernizzazioni” sono avvenute in forma spontanea, con capitali generati dagli stessi agricoltori, applicando nuove tecniche di produzione che aumentavano le rese (Bairoch, 1967). È soltanto con l’arrivo dei prodotti agricoli americani alla fine dell’Ottocento che le agricolture europee perdono competitività e si osservano le prime politiche di sostegno, in particolare dopo la Prima Guerra Mondiale. Da allora si è andata rafforzando gradualmente la domanda di politiche da un lato e l’offerta di diversi tipi di sostegno dall’altra nei confronti dell’agricoltura famigliare.
È probabile che la perdita di competitività di tutte le aziende indistintamente spieghi la scarsa selettività che ha caratterizzato le politiche agricole nazionali ed europee sin da allora. Il bisogno di sostegno è stato giustificato dallo svantaggio complessivo del settore, piuttosto che da quello di alcune aziende rispetto ad altre. Nel Secondo Dopoguerra, e in particolare con l’avvio della Pac, il bisogno di sostegno all’agricoltura è stato giustificato con una motivazione diversa, prendendo come riferimento lo sviluppo industriale: si stabilisce che l’agricoltore ha diritto ad avere “un reddito comparabile” a quello che avrebbe un lavoratore dell’industria; se il mercato non lo fa allora è la politica economica che deve provvedere. Lo sviluppo dei paesi ad economia avanzata ha coinciso frequentemente con qualche forma di protezione all’agricoltura, considerata come un settore speciale, meritevole di sostegno per motivi di sicurezza alimentare e per i beni pubblici che fornisce alla società.

Il sostegno alla modernizzazione delle aziende famigliari

Le politiche rivolte alla modernizzazione illustrano bene il ruolo atteso dalle aziende agricole famigliari all’interno del settore. Questo tipo di sostegno riguarda gli investimenti di trasformazione strutturale e sono complementari alle politiche di sostegno dei prezzi. Consideriamo qui per brevità soltanto le politiche comunitarie offerte in questo periodo di programmazione (2014-2020) che riguardano, sia gli interventi attraverso il cosiddetto “Primo Pilastro” della Pac, basato su pagamenti disaccoppiati agli agricoltori attraverso 6 tipi di regimi diversi, sia quelli attraverso il “Secondo Pilastro”, che interviene nella promozione degli investimenti delle aziende per la modernizzazione di impianti e fabbricati, ora estesi agli investimenti ambientali e di nuove iniziative imprenditoriali, anche in settori extra-agricoli.

Gli interventi mirati alle piccole aziende

Gli Stati membri possono realizzare interventi specifici destinati alle aziende famigliari di piccole dimensioni attraverso il “Regime dei piccoli agricoltori”. Questo prevede pagamenti annuali ai conduttori fino a 1.250 €, con un sistema semplificato e senza superare il 10% dell’importo complessivo della dotazione nazionale. È un regime facoltativo, lasciato alla decisione degli Stati membri, limitato nelle sue disponibilità finanziarie e che richiede in ogni caso un piano di sviluppo aziendale. Una recente valutazione degli interventi complessivi della Pac nei confronti delle aziende famigliari sostiene che l’ultima riforma ha introdotto nuovi strumenti che hanno rafforzato il sostegno alle piccole aziende, affrontando così il problema della forte sperequazione a favore delle aziende famigliari di grandi dimensioni che ha caratterizzato gli interventi comunitari precedenti (Hennessy, 2014). Il sostegno alle aziende famigliari di piccole dimensioni, che non esisteva fino al 2006, risponde ad una specifica richiesta di alcuni dei nuovi Paesi membri dell’Est europeo, come la Romania, la Bulgaria e la Polonia, con strutture agrarie caratterizzate da una fortissima presenza di piccole aziende famigliari di sussistenza, come più sopra descritte.
A mio parere questo regime non modifica in modo rilevante l’orientamento implicito degli interventi agricoli di sostegno a favore delle aziende famigliari di maggiori dimensioni, che ricevono il 90% della dotazione rimanente, soprattutto considerando che gli altri meccanismi o regimi di pagamento diretto sono proporzionali alla superficie aziendale. Inoltre, la modalità scelta (pagamento annuale) e l’entità modesta del sostegno, condizionate dalla presentazione di un piano di sviluppo aziendale, non sembrano sufficienti a modificare i problemi di scala delle piccole aziende, restando all’interno dell’agricoltura.
Il sostegno alla modernizzazione delle aziende agricole, formalmente aperto indistintamente a tutte le tipologie aziendali, e presente sin dall’avvio della Pac, oggi include un pacchetto piuttosto ricco di misure:

  •  il “Regime a favore dei giovani agricoltori” nel primo pilastro, obbligatorio per tutti gli Stati membri, prevede un pagamento di base per i primi 5 anni dopo l’insediamento a giovani agricoltori (con meno di 40 anni), aggiuntivo rispetto ad altri pagamenti diretti a cui hanno diritto. Le critiche che sono state fatte a questo nuovo tipo di sostegno riguardano il suo carattere non mirato altro che per l’età del beneficiario; la discutibile aggiunta di un nuovo sostegno finanziario oltre a quelli già offerti nel secondo pilastro; l’assenza di misure complementari per facilitare oltre all’entrata dei giovani anche l’uscita dei conduttori più anziani, ritenuta un ostacolo più importante (Matthews, 2013);
  • le misure che forniscono aiuti finanziari agli investimenti materiali delle aziende in generale, contenuti nel secondo pilastro, possono riguardare l’operatività dell’azienda, la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti, le infrastrutture necessarie allo sviluppo e l’adattamento dell’agricoltura, incluso il riordino fondiario, le opere di bonifica, le strade interpoderali, la gestione dell’acqua, le forniture energetiche e gli investimenti non produttivi che accompagnano gli impegni agro-ambientali, la valorizzazione delle risorse naturali da proteggere. Gli Stati membri devono stabilire delle soglie di eleggibilità per accedere a questi contributi. Il vantaggio della formulazione attuale di questo tipo d’interventi è il loro assemblaggio sotto la categoria “investimenti fisici”, più articolati e aperti rispetto al passato.

Le misure specifiche per i giovani agricoltori in entrambi i pilastri, sono state molto rafforzate finanziariamente in questo periodo di programmazione. Questo insieme di misure risponde ad un problema specifico del processo di trasmissione delle aziende famigliari da una generazione all’altra. Le difficoltà di questo passaggio riguardano l’accesso alla conduzione di giovani agricoltori - nel caso di famiglie con uno o più figli o senza successione -, la scarsa disponibilità ad andare in pensione dei più anziani, il mantenimento di una superficie sufficiente dopo le divisioni ereditarie, l’ottenere il capitale necessario ad acquistare nuovi terreni dato il loro alto prezzo, anche come conseguenza del sistema di sussidi (Davidova et al., 2014). A mio parere questi sono problemi che non si possono risolvere soltanto aumentando i finanziamenti o i pagamenti.
Il limite principale delle forme di sostegno più sopra considerate è che si presuppone un modello di modernizzazione basato soprattutto sul raggiungimento di economie di scala, l’aumento della produttività all’interno della filiera alimentare, oppure una compensazione in cambio dei servizi ambientali offerti dagli agricoltori. In realtà queste forme di modernizzazione rispondono prevalentemente ai bisogni delle medie e grandi aziende famigliari (Hennessy, 2014), mentre non si prevede alcun ruolo o percorso di modernizzazione specifico per le piccole aziende di sussistenza o pluri-attive (Davidova e Thomson, 2014) che restano una parte importante della struttura agraria nella maggioranza degli Stati membri, ma si ritiene che i loro problemi siano più di natura sociale che economica, e col tempo dovrebbero trovare soluzione al di fuori delle attività agricole. Ciò è improbabile che succeda, dato che le trasformazioni reali delle strutture agrarie hanno dimostrato che i sistemi di piccole aziende hanno subito processi di modernizzazione che seguono logiche diverse da quelle delle altre aziende, basate su economie di diversificazione dei redditi agricoli ed extra-agricoli, che combinano le attività dei diversi componenti familiari in relazione alle opportunità di lavoro percepite non solo in agricoltura ma anche in altri settori di attività, vicini o lontani, e consentono la loro permanenza all’interno delle strutture agrarie in maniera relativamente stabile (Saraceno, 1994).
Rispondendo alla domanda posta all’inizio di questo paragrafo, sarebbe auspicabile che le politiche di sostegno alle aziende famigliari riconoscessero la presenza di percorsi di modernizzazione alternativi a quelli previsti inizialmente, non limitati a quelli possibili all’interno del settore agricolo. Il ragionare su più percorsi possibili aiuterebbe in modo sostanziale a disegnare interventi che facilitino l’evoluzione delle piccole aziende di sussistenza, non solo scegliendo tra l’opzione della modernizzazione basata sul raggiungimento di economie di scala - improbabile per questo tipo di azienda famigliare per i capitali che richiede anche in presenza di sostegni generosi -, e l’opzione dell’abbandono definitivo dell’attività, ma aggiungendo al menu di opzioni possibili quelle che si sono realizzate spontaneamente nella realtà, come nel caso delle piccole aziende con redditi extra-agricoli stabili, situazioni raggiunte con scarso o nullo sostegno da parte della Pac e che dovrebbero far riflettere sui presupposti che hanno sin qui informato il sostegno alle aziende agricole famigliari. Quelle sin qui attuate sono risultate insufficienti e sfasate perché mirate formalmente a tutte le aziende ma offrendo risposte soltanto alle esigenze di alcune di esse, che probabilmente in molti casi erano in condizioni di investire da sé.

L’influenza delle problematiche ambientali e le caratteristiche del territorio rurale sulle scelte famigliari

Nel paragrafo precedente sono state considerate alcune delle forme di sostegno prevalenti nella Pac, rivolte esclusivamente alle aziende agricole famigliari nella loro missione di produttori di beni alimentari. Qui abbandoniamo la prospettiva settoriale per osservare altre dimensioni della realtà che influiscono sulle decisioni delle aziende famigliari e che a mio avviso dovrebbero contribuire alla comprensione delle strategie possibili per le aziende agricole famigliari, orientando gli interventi di sostegno, che non possono essere immutabili nel tempo, ma che vanno adattati di volta in volta ai bisogni effettivi dei diversi tipi di azienda che si trovano in un determinato luogo ed in una determinata fase della loro evoluzione, che come si è visto più sopra è molteplice e non unica. Si considerano schematicamente tre tipi di prospettive: quella del livello di sviluppo economico, quella della sostenibilità ambientale e quella più circoscritta del territorio rurale all’interno del quale si trovano le aziende agricole. L’obiettivo anche in questo caso è soltanto illustrativo e mira a dimostrare che la prospettiva esclusivamente agricola degli interventi di sostegno non riesce a spiegare né a tener conto degli altri fattori “esogeni” che influiscono in modo sostanziale sulle scelte delle aziende famigliari. L’allargamento delle prospettive con cui si guarda alle aziende famigliari fornisce inoltre nuove ragioni per giustificare il loro sostegno.

La prospettiva ambientale

La prospettiva ambientale è diventata una parte rilevante della politica agraria dopo la riforma della Pac del ’92 con l’introduzione delle misure-agro-ambientali. Da allora questa prospettiva è cresciuta molto in importanza ed è diventata sia una condizionalità legata all’ottenimento dei pagamenti disaccoppiati (“regime di base”), sia un’opportunità che consente agli agricoltori di ottenere pagamenti aggiuntivi per la fornitura di servizi ambientali, considerati beni pubblici, alla società nel suo insieme (“regime di inverdimento”). A queste forme di sostegno del primo pilastro si aggiungono quelle disponibili nel secondo pilastro per gli investimenti di natura ambientale e il sostegno all’agricoltura organica.
Le dimensioni delle aziende anche in questo caso sono fattori importanti, poiché grandi e piccole aziende contribuiscono diversamente alla sostenibilità ambientale. In uno studio dell’Ocse (Ocse, 2005) si afferma che le aziende di maggiori dimensioni sono quelle che più probabilmente adottano pratiche di conservazione e utilizzano le misure e i regimi di inverdimento, mentre le piccole aziende propendono maggiormente per vincolarsi con l’economia rurale ed offrire lavoro, anche quello necessario alle produzioni organiche, che richiedono più lavoro per unità di prodotto. Tuttavia si osserva anche che le aziende caratterizzate da pratiche intensive sono meno propense a sostenere la biodiversità. Queste osservazioni conducono l’Ocse a domandarsi se tutte le aziende agricole famigliari debbano essere coinvolte ugualmente nella produzione di beni pubblici di natura ambientale o meno, mettendo indirettamente in discussione l’approccio non mirato della Pac in questo tema.
D’altro lato, vi sono esempi molto interessanti di sistemi di piccole aziende famigliari associate che, contrariamente a quanto osservato dall’Ocse, hanno usufruito delle misure agro-ambientali per la cura dei paesaggi ad alto valore naturale (Davidova, 2010). Va dunque fatta attenzione nel formulare generalizzazioni, prestando attenzione anche a ciò che sembra una eccezione, perché è proprio da queste che nascono le innovazioni e le nuove opportunità. La prospettiva ambientale a mio parere apre nuove possibilità di sviluppo sia alle grandi che alle piccole aziende, ed è legittimo chiedersi se, al di là delle condizionalità di base stabilite per il rispetto dell’ambiente da parte degli agricoltori e che vanno applicate obbligatoriamente da tutte le aziende, l’offerta di servizi ambientali non debba invece essere lasciata alle aziende che desiderano percorrere questo indirizzo “produttivo”, siano queste grandi, medie o piccole.

La prospettiva territoriale rurale

L’approccio territoriale rurale, distinto da quello settoriale agricolo ha svolto un ruolo importantissimo nella trasformazione delle aziende agricole famigliari, modificando le condizioni delle zone rurali in cui le aziende con le loro famiglie operano. In alcuni territori più che in altri, si sono andate sviluppando piccole e medie imprese, industriali, artigiane e di servizio, che hanno di fatto risolto gradualmente alcuni aspetti problematici delle zone rurali, diversificando il loro mercato del lavoro locale. Questo, a sua volta, ha modificato le opportunità di lavoro per i componenti famigliari delle aziende agricole: quelli che non volevano o non potevano lavorare in azienda, hanno avuto l’opzione di trovare occasioni di lavoro al di fuori dell’agricoltura, contribuendo così al reddito famigliare e mantenendo la residenza in azienda.
La diversificazione delle attività economiche nella maggior parte delle regioni rurali europee - secondo la definizione dell’Ocse (Ocse, 1996; Saraceno 2003) - ha contribuito in misura sostanziale al miglioramento della qualità della vita e dell’economia rurale, coinvolgendo anche zone remote e montane. Questo processo ha rallentato o ridotto l’esodo agricolo dalle zone rurali, talvolta capovolgendo i flussi migratori e attraendo nuovi residenti dalle città, ha creato occasioni d’imprenditorialità diffusa e di rivalorizzazione e innovazione delle attività artigianali tradizionali, sviluppato nuove forme di turismo rurale, di cui le aziende agricole famigliari sono state le prime a beneficiare.
Lungi dall’entrare in conflitto con le attività produttive dell’agricoltura o nei mercati del lavoro locale, lo sviluppo dell’economia rurale ha creato esternalità positive per le aziende famigliari, una domanda di servizi aggiuntivi, come nel caso del contoterzismo, o quello dei terreni offerti in affitto, che ha beneficiato le aziende agricole di medie e grandi dimensioni. In questo modo si è venuto a creare un nuovo percorso di modernizzazione, particolarmente interessante per le piccole aziende, che ha trasformato l’organizzazione caratteristica della aziende di sussistenza, integrando il loro reddito aziendale con quello fornito dalle attività extra-agricole. Questo nuovo percorso di sviluppo ha compensato il mancato sostegno delle politiche agricole della Pac alle piccole aziende ed ha reso evidente una sfasatura piuttosto imbarazzante: a conti fatti le aziende di sussistenza, quelle che erano nelle condizioni più vulnerabili, sono riuscite ad arrangiarsi con un aiuto molto modesto da parte delle politiche agrarie; mentre quelle di medie e grandi dimensione, relativamente più agiate, si sono invece modernizzate con un aiuto piuttosto generoso e di lungo periodo da parte delle politiche.
I programmi di sviluppo rurale del secondo pilastro della Pac hanno colto in qualche misura questi sviluppi indirettamente attraverso un intervento di tipo territoriale innovativo. Si fa riferimento all’approccio Leader di sviluppo locale, integrato e partecipativo, avviato all’inizio degli anni ’90 come un’iniziativa comunitaria dotata di pochi fondi, facoltativa, molto ben congegnata, che andava incontro ai bisogni multi-settoriali creati dallo sviluppo rurale diversificato appena descritto e offrendo attraverso i Gruppi di azione locale, la possibilità di attuare progetti integrati di sviluppo e di mettere intorno ad un tavolo attori agricoli ed extra-agricoli a discutere di bisogni e priorità in una logica non di sussidio ma di sviluppo. Il successo di questa iniziativa ha determinato la sua continuazione nei periodi di programmazione successiva. Attualmente l’approccio Leader è incluso stabilmente nei Programmi di Sviluppo Rurale, ed insieme con altre misure di sostegno destinate alla popolazione rurale nel suo insieme, rappresenta una parte complementare agli interventi di carattere esclusivamente settoriale. A mio parere trovo curioso che questo approccio non sia stato esplicitamente collegato al “Regime dei piccoli agricoltori”.
Va inoltre sottolineato che nel caso dello sviluppo rurale con un approccio territoriale integrato appena descritto, ritroviamo due tipologie di piccole aziende ben diverse nei loro bisogni: quelle di sussistenza e quelle che dipendono stabilmente da redditi e attività extra-agricole. Entrambe queste tipologie sono presenti nell’Unione Europea, sebbene prevalentemente in situazioni di sviluppo diverse: le prime negli Stati membri ancora in via di sviluppo economico ed in particolare tra i nuovi Stati membri; le seconde nei paesi a sviluppo avvenuto, in particolare trai paesi di più recente industrializzazione del Sud Europa (Portogallo, Spagna, Italia, Grecia). Questa differenza suggerisce non solo che le tipologie delle aziende famigliare sono strettamente collegate alla fase dello sviluppo economico del proprio paese, ma anche che le aziende di sussistenza di oggi potrebbero trasformarsi eventualmente nelle piccole aziende agricole con redditi extra-agricoli un domani. In questo caso, probabilmente, delle politiche più mirate ed adeguate nei percorsi di modernizzazione proposti potrebbero risultare più efficaci di quelli oggi offerti.

Considerazioni conclusive: luci e ombre delle politiche per le aziende politiche famigliari

La breve analisi svolta sulle politiche europee per le aziende agricole famigliari ha evidenziato due aspetti su cui converrebbe riflettere:

  • da un lato che le aziende famigliari in Europa rappresentano quasi l’universo delle aziende agricole esistenti. Da questo punto di vista tutte le politiche esistenti a livello comunitario influiscono in un modo o nell’altro sulle aziende a conduzione diretta e danno una possibile ragione della loro scarsa selettività;
  • da un altro lato, le differenze emergono soltanto se si guarda alle diverse tipologie di aziende. In questo articolo abbiamo utilizzato la dimensione aziendale come criterio di distinzione per confrontare se effettivamente tutte le aziende famigliari venivano sostenute allo stesso modo. Ma qui sono emerse differenze significative nel corso dell’analisi: le politiche della Pac sia nel primo che nel secondo pilastro favoriscono prevalentemente la modernizzazione delle aziende famigliari di medie e grandi dimensioni con una logica di economie di scala e stabilizzazione del reddito, mentre le piccole aziende, tanto di sussistenza come quelle con redditi extra-agricoli stabili, ricevono sostegni modesti e a mio parere inadeguati ai loro bisogni. Questi risultati implicano che vi sono sfasature e insufficienze, soprattutto per le aziende agricole famigliari di piccola dimensione e che le politiche di modernizzazione tradizionale non sono le uniche possibili, dato che le piccole aziende si sono modernizzate seguendo un altro percorso.

Riferimenti bibliografici

  • Bairoch P. (1967), Rivoluzione industriale e sottosviluppo, Einaudi, Torino

  • Davidova S. (2010), Semi-subsistence farming in the EU: concepts and key issues, Background Paper, Seminario “Aziende di semi-sussistenza nell’Unione Europea: situazione attuale e prospettive” Sibiu, Romania, 21-23 aprile 2010

  • Davidova S., Thomson K. (2014), Family Farming in Europe: Challenges and Prospects. Studio preparato per il Parlamento Europeo, Agricoltura e sviluppo rurale [link]

  • Hennessy T (2014), Cap 2014-2020 Tools to Enhance Family Farming: Opportunities and Limits. Studio preparato per il Parlamento Europeo, Agricoltura e sviluppo rurale [link]

  • Matthews A. (2013), Family Farming and the Role of Policy in the EU [link]

  • Ocse (1996), Rural employment indicators. Remi; Structures and Dynamics of Regional Labour Markets, Paris

  • Ocse (2005), Farm structure and farm characteristics. Links to non-commodity outputs and externalities, Paris

  • Saraceno E. (1994), The modern functions of small farm systems: the Italian experience in Sociologia Ruralis, vol.XXXIV, N.4

  • Saraceno E. (2003), Rural Development Policies and the Second Pillar of the Common Agricultural Policy

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