Introduzione
Le biomasse comprendono tutte le tipologie di materiale organico derivante, direttamente o indirettamente, dalla fotosintesi clorofilliana, e disponibile su base rinnovabile [link]. Nell’ambito di tale categoria i biocombustibili sono di particolare rilevanza per il settore agricolo poiché ottenuti dalle cosiddette “coltivazioni energetiche” quali il girasole, la colza, la soia e il mais.
Le biomasse rappresentano un’importante fonte energetica rinnovabile. Esse costituiscono, nel loro complesso, oltre il 79% delle fonti energetiche rinnovabili, che a loro volta costituiscono il 30% circa dell’offerta mondiale di energia primaria. Lo sviluppo del settore della produzione di energia rinnovabile ha risentito crucialmente dell’interesse ad esso prestato in ambito internazionale a partire dagli anni Settanta e Ottanta, con l’emergere del problema della dipendenza delle economie dei paesi industrializzati dalle importazioni di petrolio. Recentemente, la tematica è stata riproposta con enfasi anche nel quadro delle problematiche sul cambiamento climatico e sullo sviluppo sostenibile: le fonti di energia rinnovabile sono considerate “energia libera”, cioè non esauribile, e pulita in termini di emissioni finali.
In tale contesto il presente lavoro, dopo aver brevemente descritto le principali tappe del dibattito internazionale che hanno portato a delineare l’importanza delle biomasse in particolare come fonte energetica alternativa, si sofferma sull’analisi delle ragioni alla base di tale interesse distinguendo tra paesi industrializzati e in via di sviluppo (PVS). Per questi ultimi, infatti, questo tema assume particolare rilievo non solo nel quadro delle questioni legate alla sicurezza energetica, ma anche di quelle connesse alla sicurezza alimentare.
Infine, si sottolinea l’ampio riferimento sitografico proposto nel testo che è stato pensato per offrire gli strumenti per un rapido approfondimento delle tematiche trattate.
Le principale tappe del dibattito internazionale
La creazione dell’International Panel on Climate Change (IPCC) [pdf], nel 1988, ha portato alla ribalta il tema del cambiamento climatico, considerato la conseguenza della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, derivante dal consumo di combustibili fossili. A tale dibattito si è aggiunto l’interesse per le fonti rinnovabili di energia e, in particolare, per l’energia prodotta dalle biomasse, come importante strumento di sicurezza energetica e sviluppo sostenibile. Tale attenzione si è rafforzata nei successivi appuntamenti internazionali; nella Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 si giunse alla definizione di un piano d’azione globale, “Agenda 21” [link], volto al perseguimento di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale. Con la successiva elaborazione nel 1997 del Protocollo di Kyoto [pdf], si è definito un piano d’azione volto a prevenire il cambiamento climatico, principalmente attraverso la riduzione delle emissioni di CO2. Tra le principali iniziative sostenute vi è la promozione dell’uso diffuso di energia da fonti rinnovabili: secondo il Protocollo di Kyoto l’Unione Europea per il 2010 dovrebbe ridurre le emissioni di gas serra dell’8% rispetto al 1990 proprio facendo ricorso all’energia rinnovabile, nell’ambito della quale le bioenergie dovrebbero giocare un ruolo fondamentale.
Lo stretto legame tra energia e sviluppo sostenibile viene però espressamente affrontato per la prima volta solo durante il Millennium Summit delle Nazioni Unite del 2000, attraverso la definizione del 7° Obiettivo del Millennio [link], e poi dalla Johannesburg Declaration [link], del 2002, che definisce l’energia un bene primario: data la mancanza di accesso a moderni servizi energetici da parte di circa due miliardi di persone e data la crescente domanda energetica, una delle sfide principali dello sviluppo sostenibile riguarda l’impatto ambientale che avrà la promozione della crescita economica generalizzata.
Coerentemente con il quadro sopra delineato, alle fonti rinnovabili di energia si riconosce, pertanto, un ruolo positivo e cruciale nel perseguimento di uno sviluppo sostenibile. In particolare, la produzione di bioenergia (1) avrebbe un ruolo ancora più significativo nei PVS, grazie alla sua disponibilità a livello locale, alla sua poliedricità (2), alla sua stretta connessione con le attività agricole e al fatto di essere un prodotto ad alta intensità di lavoro. Ciò è dovuto al fatto che la maggioranza della popolazione nei PVS si trova proprio nelle aree rurali, in cui si riscontrano i livelli di povertà più elevati.
La promozione della bioenergia non può, tuttavia, limitarsi ai soli PVS: il recente intervento del Commissario Europeo all’Energia, Andris Piebalgs, ribadendo la necessità di un’azione concertata dei Paesi industrializzati per evitare gli effetti irreversibili del cambiamento climatico, ha infatti sottolineato il ruolo di “buon esempio” che essi devono assumere in termini di modelli di consumo energetico nei confronti dei PVS prima di suggerire o imporre anche a questi ultimi l’utilizzo su larga scala di energia pulita per ridurre le emissioni inquinanti dei combustibili fossili [pdf].
Ciò pone in chiara evidenza come la problematica della diffusione delle fonti energetiche alternative abbia una dimensione internazionale strettamente correlata a quella locale.
La prospettiva dei paesi industrializzati: la sicurezza energetica
Nei Paesi industrializzati il riconoscimento dell’importanza della bioenergia, dimostrato ad esempio da documenti quali il “Biomass Action Plan” elaborato dalla Commissione Europea [pdf] e il “Multi-year Program Plan” del Dipartimento per l’Energia degli USA [pdf], ha ragioni di natura essenzialmente politica ed economica.
Le prime fanno riferimento essenzialmente all’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 al fine di rispettare gli impegni presi con la ratifica del Protocollo di Kyoto e, soprattutto per i Paesi che non lo hanno ratificato, di rispondere alle pressioni dell’opinione pubblica, che si dimostra sempre più sensibile al tema del riscaldamento globale.
Le seconde si collegano alle politiche agricole ed energetiche perseguite da questi Paesi.
In relazione alle politiche agricole, la promozione della bioenergia, in particolare dei bio-combustibili, favorendo un utilizzo alternativo e produttivo delle terre poste in regime di set aside, contribuisce sensibilmente alla creazione di opportunità economiche nelle zone rurali, al miglioramento del reddito degli agricoltori, al contenimento delle migrazioni campagna-città e alla conservazione dell’ambiente e della cultura rurale.
Per quanto riguarda le politiche energetiche, la produzione e il consumo su ampia scala di bioenergia contribuirebbero alla riduzione della dipendenza dai Paesi esportatori di petrolio e gas naturale. Tale riduzione avrebbe sicuramente un immediato valore politico, considerata l’instabilità che caratterizza molti Paesi esportatori di fonti di energia fossili; tuttavia, è bene notare che essa produrrebbe anche effetti positivi a livello economico: assieme alle importazioni di energia diminuirebbero anche le spinte inflazionistiche derivanti dalle fluttuazioni dei prezzi del petrolio, nonché i costi delle materie prime, portando così a un aumento, da un lato, del reddito reale e del consumo e, dall’altro, del ritorno agli investimenti, generando un circolo virtuoso in termini di crescita economica e di rafforzamento della competitività internazionale [pdf].
La prospettiva dei paesi in via di sviluppo: la sicurezza alimentare
Nei PVS, alle motivazioni di ordine politico ed economico appena descritte (e che valgono soprattutto per i Paesi emergenti, data la loro crescente domanda di energia), se ne aggiunge un’altra, legata alla sicurezza alimentare delle popolazioni.
La sicurezza alimentare è qui intesa come fenomeno multidimensionale determinato dalla compresenza di più fattori: la disponibilità, l’accesso, l’utilizzo e la stabilità dell’accesso al cibo. Pertanto, al fine di analizzare l’impatto potenziale sulla sicurezza alimentare della produzione di bioenergia, e in particolare di bio-combustibili, verrà analizzato il suo effetto su ciascuna delle suddette determinanti.
Per quanto riguarda gli effetti sulla disponibilità di cibo, una parte della letteratura attuale enfatizza l’esistenza di un trade-off tra produzione alimentare e produzione di coltivazioni energetiche, che competono con le prime non solo in termini di terra, ma anche di lavoro e di altri input: la produzione di bio-combustibili su larga scala provocherebbe, quindi, una riduzione della produzione alimentare, causando insicurezza alimentare. Quest’ultima sarebbe poi aggravata dell’incremento della vulnerabilità delle popolazioni rurali conseguente agli impatti negativi sul piano ambientale che l’introduzione delle coltivazioni energetiche produrrebbe: da un lato, una crescita nell’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, con i connessi rischi di impoverimento dei suoli nel medio-lungo termine; dall’altro, il pericolo di una deforestazione indiscriminata come si è avuto, ad esempio, in Brasile dopo il lancio nel 1975 del National Alcohol Program finalizzato alle produzioni di bio-etanolo.
Le principali critiche a questa visione si basano innanzitutto sull’assunto che la disponibilità di cibo non può essere considerata la sola determinante della sicurezza alimentare. In secondo luogo, bisogna considerare il fatto che le coltivazioni energetiche possono essere prodotte su terreni non utilizzati o non utilizzabili per la produzione alimentare, e che possono produrre esternalità positive sulla produzione di cibo, quali il miglioramento delle infrastrutture rurali, o l’incremento della produttività agricola grazie ad alcuni sottoprodotti della produzione di biomassa commerciale che possono essere usati come fertilizzanti o nutrimento per gli animali.
In riferimento agli effetti della produzione di bioenergia sull’accesso al cibo, è possibile osservare come essi possano essere positivi a livello sia individuale/familiare, sia nazionale.
A livello individuale, essi passerebbero attraverso l’incremento dell’occupazione della popolazione rurale e il conseguente miglioramento dell’accesso al reddito monetario e al mercato alimentare. Nel caso in cui la concorrenza delle coltivazioni energetiche su quelle alimentari in termini di fattori produttivi risultasse in un incremento del prezzo del cibo, l’effetto netto andrebbe comunque calcolato caso per caso [pdf] (3).
In generale, la necessità di misurare e valutare i possibili impatti negativi derivanti dalla produzione di bioenergia nei PVS (specialmente in termini di rischi di deforestazione e di aumento dei prezzi del cibo) è pienamente entrata nel dibattito sul ruolo dell’agricoltura nel perseguimento di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale [pdf], senza tuttavia portare a modifiche sostanziali nella considerazione della bioenergia come una grande opportunità di sviluppo per questi Paesi [link].
A livello nazionale, il miglioramento dell’accesso al cibo sarebbe il risultato delle entrate garantite dalla bioenergia sul mercato internazionale, grazie alle quali i governi dei Paesi in via di sviluppo potrebbero anche finanziare politiche socio-economiche a favore dei gruppi più poveri e vulnerabili.
In riferimento all’utilizzo del cibo come determinante della sicurezza alimentare, la letteratura lo mette in relazione con il consumo di energia e la salute a livello familiare. Il consumo di bioenergia permetterebbe, da un lato, di ridurre quello di legna e carbon fossile, la cui combustione (oltre ad essere estremamente inefficiente dal punto di vista energetico) produce emissioni nocive per la salute; dall’altro, di risparmiare il tempo dedicato alla loro raccolta e di destinarlo ad attività produttive o all’istruzione [pdf], contribuendo anche attraverso questo canale al rafforzamento della sicurezza alimentare [pdf].
Infine, per quanto concerne la stabilità di disponibilità e accesso al cibo, la letteratura si concentra sulla vulnerabilità [link] causata, nelle aree rurali, principalmente dal fatto che le popolazioni dipendano totalmente per la loro sussistenza dalla produzione agricola e siano quindi fortemente esposte agli effetti negativi del cambiamento climatico causati dal riscaldamento globale. Da un lato, a livello individuale/familiare, l’introduzione delle coltivazioni energetiche ridurrebbe la vulnerabilità derivante dalla monocoltura e renderebbe più stabile il reddito. Dall’altro, l’impatto positivo della bioenergia sull’ambiente, in termini di mitigazione dei cambiamenti climatici, permetterebbe nel medio-lungo periodo un migliore accesso e uso delle risorse naturali da parte delle popolazioni rurali.
Conclusioni
L’analisi condotta ha posto in luce il crescente interesse da parte dei governi dei paesi industrializzati e delle economie arretrate per la promozione dell’uso dei prodotti derivanti dalla biomassa agricola ai fini di ridurre le emissioni di gas serra, incoraggiare la diversificazione e il miglioramento della sicurezza dell’offerta energetica, aumentare i benefici ambientali e sostenere un ampio ventaglio di opportunità socio-economiche, tra le quali la sicurezza alimentare e più in generale il sostegno dei redditi e dell’occupazione nelle aree rurali [link]. L’attenzione prestata dal settore pubblico alla tematica, combinata con il forte interesse del settore privato, fa prevedere un rapido sviluppo del mercato delle biomasse per usi energetici, anche alla luce delle opportunità per i produttori offerte dalla diversificazione dell’uso delle risorse e dall’apertura di nuovi potenziali mercati.
Restano, tuttavia, delle criticità tutt’altro che risolte, tra le quali tre sono di particolare rilevanza.
La prima fa riferimento alle politiche per il sostegno del settore, che dovranno essere sempre più volte a favorire la ricerca, l’innovazione e la produzione di livelli più elevati di esternalità positive. Questo è un punto delicato, poiché sino ad ora gli interventi pubblici hanno avuto come obiettivo primario solo quello di colmare il gap tra costi di produzione e prezzi di mercato in modo da rendere competitiva la produzione di biomassa e, in particolare di bioenergia, rispetto alle tradizionali fonti energetiche.
Il secondo elemento di criticità, strettamente connesso al primo, riguarda l’introduzione di appropriati standard internazionali richiesti dalla crescente commercializzazione della materia prima a livello internazionale che, anche in questo caso, dovrebbero mirare alla riduzione delle emissioni di gas serra e alla massimizzazione dei benefici sociali.
Infine, interventi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sono di particolare rilevanza, soprattutto per il coinvolgimento a livello locale della popolazione e la conseguente accettazione dei progetti di sviluppo delle biomasse.
Note
(1) Con il termine bioenergia si intende qualsiasi forma di energia ottenuta da bio-combustibili derivati direttamente dalle biomasse; si veda [link]
(2) Per poliedricità si intende la grande varietà di prodotti finali e di usi disponibili; si veda il rapporto ITABIA su “Le biomasse per l’energia e l’ambiente – Rapporto 2003”, disponibile al sito [link]
(3) Per una descrizione degli effetti della produzione di bioetanolo su un aumento del prezzo del mais in Messico e negli USA si veda [link]
Sitografia
http://www.eere.energy.gov/
http://www.energia.org/
http://www.europa.eu/
http://www.fao.org/
http://www.ifpri.org/
http://www.imf.org/
http://www.itabia.it/
http://www.un.org/
http://www.undp.org/
http://www.unfccc.int/
http://www.worldbank.org/
http://www.oecd.org/