I biocarburanti: siamo di fronte ad un’alternativa energetica sostenibile?

I biocarburanti: siamo di fronte ad un’alternativa energetica sostenibile?

Premessa

A partire dalla crisi petrolifera degli anni Settanta e, più in generale, in conseguenza della volatilità dei prezzi intrinseca al mercato del petrolio, nonché alle rilevanti problematiche ambientali connesse al consumo dei combustibili fossili, molti paesi hanno guardato con crescente interesse alle fonti energetiche rinnovabili (FER) come risposta, ancorché parziale, al problema energetico. Infatti, se i combustibili fossili hanno a lungo rappresentato una fonte energetica disponibile in grande quantità, con costi di estrazione relativamente bassi, di facile impiego dal punto di vista tecnologico, con un’industria e una rete infrastrutturale ben organizzata, l’acuirsi degli svantaggi legati alla sicurezza degli approvvigionamenti e all’inquinamento generato dalle emissioni, hanno fatto sì che negli anni più recenti siano stati attivati strumenti di politica energetica volti ad incentivare l’utilizzo di fonti energetiche alternative.
I biocarburanti rappresentano un’alternativa tecnicamente valida grazie al fatto di essere miscelabili con i combustibili tradizionali e quindi non necessitare, se non in misura modesta, di particolari avanzamenti tecnologici per il loro consumo e la loro distribuzione. Oltre a ciò, i biocarburanti hanno suscitato l’attenzione del mondo produttivo e politico per il loro potenziale ruolo nel sostenere l’attività produttiva, e quindi l’occupazione, nelle aree rurali.
Con il termine di biocarburanti si fa riferimento ad una pluralità di prodotti tra i quali i principali sono il biodiesel e il bioetanolo. Il biodiesel è ottenuto dalla trans-esterificazione degli oli vegetali ricavati da semi oleosi (come la colza e il girasole in Europa e la soia negli USA) come prodotto congiunto dei pannelli che vengono utilizzati per l’alimentazione del bestiame. Il bioetanolo è prodotto dalla fermentazione in alcol dello zucchero contenuto in colture ricche di amido o di saccarosio, quali i cereali, la canna da zucchero, la barbabietola e la cassava. Entrambi sono utilizzati puri o miscelati, rispettivamente con gasolio o con benzina. Miscele a basso titolo (5%) non richiedono in genere modifiche tecniche dei motori.
Si stima che nell’UE il settore dei trasporti sia responsabile del 21% delle emissioni totali di gas ad effetto serra e che, inoltre, quasi tutta l’energia utilizzata in questo settore provenga dal petrolio. L’UE ha fissato al 12% nel 2010 l’obiettivo in termini di quota delle fonti energetiche rinnovabili (FER) sul consumo energetico nazionale. Al fine di raggiungere tale obiettivo l’Unione Europea è intervenuta con tre provvedimenti legislativi, la Direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell’energia elettrica rinnovabile che indica al 22% nel 2010 la quota di elettricità prodotta da FER, la Direttiva 2003/30/CE che ha fissato al 5,75% nel 2010 la quota di miscelazione di biocarburanti nel gasolio e nella benzina e, infine, la Direttiva 2003/96/CE sulla tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità che ha autorizzato gli Stati membri a concedere riduzioni o esentare i biocarburanti dalle accise sui carburanti.

Lo scenario internazionale

Sebbene il settore bioenergetico rappresenti oggi solo una piccola quota nel mercato energetico globale, i tassi di crescita degli ultimi anni lasciano prevedere un forte incremento nel futuro. I biocarburanti, infatti, rappresentano l’unica fonte energetica alternativa al petrolio utilizzabile nel settore dei trasporti.
Nel 2006 la produzione mondiale di bioetanolo è stimata in circa 50 milioni di litri (pari a 40 milioni di tonnellate) di cui circa 36 destinate alla produzione di combustibile. I maggiori investimenti stanno avvenendo in Brasile, negli USA e in Europa. Mentre in Brasile l’interesse è stimolato dal basso costo della materia prima, negli USA e in Europa la chiave è rappresentata dalla dimensione del mercato di consumo. Altre realtà interessanti si riscontrano in alcuni paesi tropicali dove si raggiunge una elevata produttività della canna da zucchero da cui si ricava l’etanolo (Malesia, Indonesia, Filippine). Complessivamente il paese europeo con la maggiore produzione di biocarburanti è la Francia, che con 536 milioni di tonnellate, pari all’1,5% del proprio consumo, si colloca al terzo posto nella graduatoria mondiale dopo Brasile e USA.
In Brasile circa la metà della produzione di canna da zucchero è destinata alla produzione di bioetanolo. Mentre prima del 1980 l’etanolo era utilizzato puro, oggi circa il 55% dei consumi riguarda una miscela con la benzina al 25%. Negli ultimi anni si è diffuso enormemente in Brasile un nuovo tipo di motori (flex-fuels) - prodotti da Volkswagen, Fiat e GM - che funziona con qualsiasi livello di miscelazione e che dovrebbe portare ad un forte incremento dei consumi di bioetanolo. Il Brasile ha inoltre sviluppato le proprie esportazioni di bioetanolo soprattutto nei confronti degli USA, mentre sta concludendo degli accordi destinati ad accrescere la propria presenza sui mercati asiatici. In Brasile la produzione di etanolo avviene in impianti integrati destinati anche alla produzione di zucchero. Negli anni l’industria ha raggiunto un elevato livello di efficienza, risultato della combinazione del costo relativamente basso della materia prima, dell’efficienza del processo di trasformazione e della cogenerazione di energia dal sottoprodotto (bagasse) che spesso rappresenta la fonte energetica primaria degli impianti.
Gli Stati Uniti hanno sviluppato la propria politica a favore dello sviluppo del bioetanolo a partire dal Clear Air Act del 1970. Nelle zone con più elevato inquinamento atmosferico è stata dapprima resa obbligatoria la miscelazione con MTBE o con etanolo e la benzina miscelata con il 10% di etanolo beneficia di una riduzione delle accise sui carburanti. A partire dal 1980 l’utilizzo di MTBE è stato vietato in quanto ritenuto responsabile dell’inquinamento della falda freatica, per cui è stato rimpiazzato dall’etanolo, il cui mercato ha ricevuto un notevole impulso con il Farm Bill del 1985. La produzione beneficia di una riduzione delle accise e alcuni Stati forniscono ulteriori incentivi. Inoltre gli USA applicano un dazio sull’etanolo importato da paesi terzi, ad eccezione dei paesi dell’area caraibica. L’Energy Policy Act del 2005 ha stabilito uno standard relativo ai biocarburanti (RFS) come contenuto di miscelazione obbligatoria. In base a tale standard il volume totale di bioetanolo utilizzato obbligatoriamente va dai circa 15 miliardi di litri del 2006 ai 28 del 2012. Nello stesso atto si stabilisce un minimo di utilizzazione di etanolo da lignocellulosa di 9225 milioni di litri entro il 2013. Queste condizioni hanno senza dubbio stimolato numerosi progetti di investimento nel settore, anche da parte di cooperative di produttori di mais, che rappresenta la materia prima da cui è prodotto il bioetanolo negli USA e determinato, negli anni più recenti, la riduzione della concentrazione – prima estremamente elevata – nel settore. Nel 2006, negli USA, erano attivi 101 impianti per la produzione di etanolo localizzati in 21 stati di cui 7 sono in procinto di aumentare la propria capacità, mentre altri 33 risultano in costruzione. Nel 2007 la produzione potrebbe raggiungere il livello di 25 miliardi di litri.
La Cina ha lanciato, dal 2001, un programma per la commercializzazione di una miscela etanolo-benzina al 10% al fine di utilizzare le eccedenze strutturali di mais e di trovare un’alternativa alla crescita delle importazioni petrolifere.
Nell’UE-25 nel 2005 sono stati prodotte 3,9 milioni di tonnellate di biocarburanti con un tasso di crescita del 65,7% rispetto all’anno precedente. La produzione europea è costituita per l’81,5% da biodiesel e per il resto da bioetanolo mentre altri prodotti come biogas, oli vegetali, bio-ETBE, bio-MTBE rappresentano realtà marginali. Nel 2005 la produzione di biodiesel ha raggiunto le 3.184.000 tonnellate, localizzate per il  52.4% in Germania. La produzione francese, in diminuzione dal 2001, ha segnato nel 2005 un’inversione di tendenza con una produzione di 492.000 tonnellate. Tra i Paesi di nuova accessione emergono la Polonia (100.000 tonnellate) e la Repubblica Ceca (133.000 tonnellate). Il bioetanolo è il secondo tipo di biocarburanti nell’UE (18.5%) e nel 2005 ha raggiunto il livello di 720.927 tonnellate con un aumento del 70.5% rispetto al 2004. Il principale paese produttore è la Spagna (240.000 tonnellate nel 2005). In Spagna l’etanolo è prodotto principalmente dall’orzo e beneficia di un esonero totale dalle accise sui carburanti. In Francia sono avviati alla trasformazione in bioetanolo cereali e barbabietola da zucchero.

Le condizioni per lo sviluppo dei biocarburanti

Lo sviluppo dei biocarburanti è fortemente influenzato dal prezzo del petrolio sul mercato mondiale, ma altre variabili fondamentali sono la scala di produzione, la dimensione del mercato nazionale, gli investimenti necessari in infrastrutture, il grado di sostegno delle politiche, la possibilità di esportare ed il prezzo di mercato della materia prima necessaria per la produzione di biocarburanti. Nei paesi OCSE, ovvero nell’insieme dei paesi sviluppati, il sostegno complessivo è stimato i 10 miliardi $/anno, laddove i biocombustibili coprono appena il 3% del consumo totale di carburanti liquidi. Obiettivi più rilevanti in termini quantitativi rischiano di spingere tale cifra a livelli non sostenibili, laddove si stima che (alle condizioni attuali) una quota del 30% corrisponderebbe a sussidi superiori i 100 miliardi/$, pari all’importo dell’intero sostegno attualmente accordato all’agricoltura in quegli stessi paesi.
La parte più rilevante delle politiche a favore dei biocarburanti passa attraverso il sostegno alla produzione che prende la forma sia di riduzioni o esenzioni sulle tasse sulla benzina o il gasolio, che di crediti di imposta. In Europa il valore della riduzione dell’accisa si aggira su una media di 0,30 € per litro con valori più elevati in Spagna e in Germania. Quasi tutti i paesi che producono bioetanolo applicano alla frontiera una tariffa nell’ambito della clausola della nazione più favorita che comporta una maggiorazione del prezzo all’importazione di almeno il 20% pari a 0,10 € per litro. Altri tipi di sostegno riguardano incentivi alla produzione di base, aiuti agli investimenti, finanziamento della ricerca e misure che incentivano l’uso di vetture flex-fuels.
Una variabile chiave nel determinare le condizioni per l’espansione del mercato dell’etanolo è il prezzo del petrolio, sia in termini assoluti, che in relazione alla sua volatilità. Tale effetto è comunque controverso. L’aumento del prezzo del petrolio crea le condizioni per lo sviluppo di carburanti sostituti tra cui l’etanolo, con conseguente aumento della domanda di materia prima e, anche in questo caso, dei prezzi agricoli. Ma, al tempo stesso, determina un aumento dei costi di produzione e quindi una contrazione dell’offerta e un aumento dei prezzi agricoli. L’effetto totale sui mercati agricoli dipenderà dall’incremento relativo dei prezzi dei biocarburanti rispetto a quello dei costi di produzione agricoli. Analisi recenti (OCSE, 2006) hanno dimostrato che l’effetto dell’aumento del prezzo del petrolio sui costi di produzione agricoli è sensibilmente più consistente di quello sulla domanda di materia prima agricola per la produzione di biocarburanti, perché sono ancora molto limitate sia la quota relativa dei biocarburanti sul totale dei combustibili utilizzati per i trasporti sia la capacità produttiva degli stessi.
E’ evidente, comunque, che l’aumento del prezzo del petrolio rende economicamente conveniente l’utilizzo di un numero crescente di produzioni agricole come fonti di energia, ma emergono significative differenze sia a livello di prodotti che di aree di produzione. Il costo della materia prima rappresenta circa il 50% del costo di produzione del bioetanolo, che di conseguenza, è influenzato significativamente dalla variabilità nei prezzi nonché dal suo contenuto in amido o in zucchero. Lo stesso vale per il biodiesel, per il quale il costo degli oli vegetali rappresenta tre quarti del costo di produzione totale. Considerato l’attuale consumo di carburanti e le rese della trasformazione delle colture vegetali in biocombustibili, l’OCSE ha valutato la quota di superficie arabile che andrebbe destinata alla produzione della materia prima qualora si volesse coprire il 10% dei consumi di carburanti con biocombustibili.
Per gli Stati Uniti e il Canada, tale quota ammonterebbe a circa il 30%, mentre per l’UE-15 si salirebbe ben al 72%. Al contrario in Brasile, che si trova già al 22% dei consumi totali, una quota del 10% corrisponde al 3% della superficie. Questo dato è ovviamente influenzato dal livello dei consumi energetici pro-capite, che per il Brasile è ancora molto basso. La domanda di terra per la produzione di biocarburanti si riduce al crescere delle rese legate al progresso della tecnologia ma, al tempo stesso, aumenta al crescere della domanda energetica.
E’ evidente comunque che, qualora si determinassero le condizioni per una convenienza della produzione di biocarburanti relativamente alle importazioni di petrolio, si creerebbe una forte pressione sull’allocazione della terra. Un fenomeno, questo che potrà attenuarsi nel momento in cui si realizzeranno i progressi tecnologici necessari alla produzione di etanolo da biomasse cellulosiche o ligno-cellulosiche, considerate attualmente la nuova frontiera, che dovrebbe divenire operativa nel prossimo decennio.
Il problema della competizione sull’uso della terra tra destinazioni food e no-food, è particolarmente sentito negli USA, dove le recenti politiche hanno determinato una forte espansione della produzione di etanolo dal mais. La produzione statunitense di etanolo è stimata in 22,4 miliardi di litri, pari al 4% circa del consumo di benzina, ed assorbe circa il 20% della produzione di mais, ma numerosi investimenti in impianti di trasformazione sono in corso per una domanda addizionale stimata in oltre 55 milioni di tonnellate di mais, più dell’intera produzione di mais dell’UE. Uno studio recente (Roe et al. 2006) stima che l’espansione dell’industria dell’etanolo da mais negli USA dovrà arrestarsi – considerando un prezzo del petrolio pari a 60$ al barile – alla soglia di 139,6 milioni di tonnellate di mais trasformato, pari al 51% della produzione interna ed all’11% dell’attuale consumo di benzina. L’arresto sarà provocato dalle tensioni che si creeranno sul mercato a causa dell’aumento del prezzo del mais, della diminuzione del prezzo dell’etanolo e dei sottoprodotti e dalla pressione proveniente dai consumatori per effetto del rialzo dei prezzi alimentari. Tali risultati sono confermati anche da altri studi. Gallagher (Gallagher, 2000) stima, nel caso di un’estensione del divieto sull’MTBE a tutti gli Stati Uniti, un raddoppio della produzione di etanolo dal mais ed una crescita corrispondente della domanda di mais e dell’8% del suo prezzo. Al tempo stesso, l’offerta di sottoprodotti dell’industria mangimistica aumenterebbe del 50%, mentre i prezzi relativi diminuirebbero con un effetto espansivo sul settore zootecnico. Tali risultati sono confermati da studio del FAPRI (2006) sull’impatto dell’EPA.
Per analoghe ragioni la questione dell’impatto della competizione tra produzione di cibo e di bioenergie sta ricevendo una crescente attenzione nel dibattito sulla sicurezza alimentare (FAO, 2007). In generale i paesi dell’America Latina ,dove il prodotto base dell’alimentazione umana è rappresentato dal mais, sono quelli che corrono i rischi maggiori in tal senso. Al tempo stesso, in questi paesi la produzione di colture bioenergetiche – non necessariamente biocarburanti liquidi- se accompagnata da opportuni programmi e politiche, potrebbe costituire una opportunità d reddito per milioni di piccoli agricoltori che oggi vivono in condizioni di povertà, senza danneggiare l’ambiente e creare problemi di sicurezza alimentare.

La sostenibilità ambientale

Mentre l’utilizzo dei biocarburanti appare giustificato dal lato ambientale, sulla base della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e quindi del minor costo sostenuto dalla collettività per il loro abbattimento, la produzione della materia prima destinata alla trasformazione in bioetanolo o biodiesel può avere effetti ambientali negativi. Entrambi questi effetti vanno pertanto considerati attentamente nel momento in cui si mettono a punto politiche destinate allo sviluppo di tale filiera.
Il bilancio in termini di gas ad effetto serra si basa sul computo delle emissioni durante il processo di produzione, dalla coltivazione della materia prima alla fase di trasformazione. Gli studi analizzati presentano risultati diversi a causa dalla differenza nelle assunzioni di base. In generale, la produzione di etanolo dalla coltivazione della barbabietola piuttosto che dai cereali appare più sostenibile dal punto di vista ambientale. La riduzione di gas ad effetto serra ottenuta attraverso la produzione di biocarburanti appare comunque meno economica rispetto ad altre soluzioni, come ad esempio la produzione di biomasse. Queste, infatti, consentono di ottenere energia alternativa con un livello minore di emissioni dal momento che è eliminata la fase della trasformazione industriale. La produzione di bioetanolo potrebbe comunque essere resa più efficiente economicamente attraverso l’utilizzazione dei sottoprodotti, lo sfruttamento delle economie di scala.
Le ragioni per una maggiore pressione sull’ambiente e della produzione di materia prima destinata alla produzione di energia può derivare da (EEA, 2006):

  • aumento della domanda di prodotti agricoli e conseguente intensificazione dei processi produttivi;
  • incentivazione alla trasformazione delle aree coltivate in modo estensivo verso superfici a seminavo destinate alla produzione di materia prima bioenergetica;
  • scelte produttive inappropriate che non tengono conto delle specifiche pressioni ambientali delle varie colture in un determinato contesto territoriale.

I processi sopra descritti potrebbero pertanto generare effetti ambientali negativi in termini di erosione dei suoli, compattazione dei terreni, rilascio di nutrienti e pesticidi nel terreno e nelle acque, maggiore domanda di acqua a scopo irriguo, perdita di biodiversità.

Conclusioni

Il settore dei biocombustibili, in particolare, si presenta come fortemente sussidiato e, molto probabilmente, tali incentivi non rappresentano il sistema più efficiente per raggiungere gli obiettivi a cui con essi si vuole rispondere. Ciò non vuol dire che quella dei biocarburanti non sia una strada praticabile ma che forse non si può caricare il settore di obiettivi troppo ambiziosi: la riduzione della dipendenza energetica, dell’inquinamento atmosferico e il sostegno del reddito agricolo. Lo stesso mercato dei carburanti è soggetto ad elevata volatilità dei prezzi e pertanto è caratterizzato da un elevato livello di rischio. Occorre pertanto una notevole dose di prudenza e una attenta valutazione del fabbisogno di investimento pubblico, del grado di rischio, delle implicazioni della dipendenza dal sostegno nel lungo termine nonché dell’impatto ambientale.

Riferimenti bibliografici

  • EEA (2006), How much bioenergy can Europe produce without harming the environment?, Report No 7/2006, Copenhagen
  • FAO (2007), Assessment of the World Food Security Situation, CFS2007/2, Roma.
  • FAPRI, Implications of an increased ethanol production. Technical report, FAPRI at the University of Missouri, 2005
  • Gallagher P., Otto D., Dikeman M. (2000), “Effects of an oxygen requirement for fuel in Midwest ethanol markets and local economies”, Review of Agricultural Economics, vol. 22, n° 2, pp. 292-311
  • OECD (2005), Agricultural market impacts of the future growth in the production of biofuels, OECD, Doc AGR/CA/APM(2005)24/Final, Parigi
  • Roe J. D., Jolly R.W., Wisner R. N., Another Plant?!...The Rapid Expansion in the Ethanol Industry and its Effect all the Way Down to the Farm Gate, American Agricultural Economics Association Annual Meeting, 2006, Long Beach, USA

 

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