Le aspettative sugli effetti delle denominazioni geografiche
La crescente concorrenza sul lato dei costi di produzione derivante da un mercato sempre più aperto, unitamente alle modifiche apportate alla politica agricola comunitaria, che di fatto slega la concessione degli aiuti alla realizzazione di specifiche produzioni, porta le imprese alla ricerca di nuove modalità di competizione. Tra queste, una valenza particolare assumono da un lato la ricerca di una differenziazione delle produzioni su base qualitativa, e dall’altro l’offerta di nuovi servizi, ispirati dal principio della multifuzionalità, e che spesso non rientrano nel tradizionale alveo delle attività agricole (agriturismo, agricoltura sociale, fattorie didattiche, tutela dell’ambiente e della biodiversità, ecc.), ma che appaiono oggi in grado di permettere la permanenza e la rigenerazione dell’agricoltura nell’ambito di spazi rurali sempre meno centrati sulle attività agricole.
La differenziazione delle produzioni basata sull’origine territoriale rientra tra le leve cui le imprese, i loro organismi associativi e le istituzioni pubbliche locali guardano per favorire la penetrazione su nuovi mercati e canali commerciali, nonché per mantenere quote di mercato.
Da tempo l’UE ha messo a disposizione delle imprese agro-alimentari uno strumento di tutela e differenziazione delle produzioni “tipiche”, ovvero le cui qualità derivano dal legame col territorio. Si tratta in particolare della Denominazione di Origine Protetta (DOP) e dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP), istituite con il Reg. CEE 2081/92, recentemente sostituito dal Reg. CE 510/2006.
Le “giustificazioni” per l’introduzione di questo tipo di tutela sono essenzialmente di quattro ordini, come si evince dalla lettura dei “considerando” del regolamento stesso:
- il consumatore: i consumatori mostrano un crescente interesse verso i prodotti tipici, che giudicano normalmente di migliore qualità, più genuini e salubri rispetto ai prodotti di identità sconosciuta; inoltre i consumatori sono interessati ad instaurare legami solidaristici con l’identità culturale dei territori che li esprimono;
- il mercato: DOP e IGP possono essere utilizzati dalle imprese come strumento di differenziazione qualitativa per sfuggire alla concorrenza sul lato dei costi di produzione;
- la concorrenza sleale: l’elevata reputazione di cui molti prodotti tipici godono deve essere tutelata dalle imitazioni e usurpazioni per fornire ai consumatori un’informazione corretta e leale;
- lo sviluppo rurale: per il legame multidimensionale al territorio, i prodotti tipici possono esercitare effetti positivi sulle dinamiche di sviluppo rurale, contribuendo a mantenere tradizioni e culture, sistemi sociali ed economici vitali, soprattutto nelle aree svantaggiate e marginali, con effetti di spillover sull’economia locale (Arfini, 2006).
L’interesse verso questa forma di tutela / differenziazione è stato imponente soprattutto nei paesi “ad alta vocazione di tipicità” (Nomisma, 2005), e in particolare in Francia e in Italia, Paesi che oggi si contendono il primato del numero delle denominazioni geografiche registrate.
Evidentemente il successo “numerico” delle DOP e IGP in Italia è indice delle considerevoli aspettative che le imprese e i sistemi di imprese legate ai prodotti tipici ripongono nell’ottenimento e utilizzo di questi segni di qualità.
Tuttavia l’effettivo impiego delle DOP e IGP da parte delle imprese permane molto ridotto, fatta eccezione per alcune denominazioni storiche e di alta reputazione (ad es. Parmigiano-Reggiano, Grana Padano, prosciutto di Parma, ecc.). Evidentemente le DOP-IGP non sono sempre all’altezza delle aspettative, vuoi per le difficoltà connesse al loro impiego effettivo da parte delle imprese, vuoi per i risultati non soddisfacenti che permettono di conseguire sui mercati intermedi e/o finali.
DOP e IGP possono dunque costituire un utile strumento di valorizzazione per i prodotti tipici e per i territori di origine, a condizione che vengano valutati attentamente e preventivamente i costi e i benefici del loro utilizzo (Carbone, 2003; Verhaegen e Van Huylenbroeck, 2001).
In termini generali, i costi relativi alla predisposizione e all’uso di una Denominazione geografica si possono suddividere in alcune categorie:
- Costi preliminari: consistono nell’insieme dei costi sostenuti per ottenere la protezione della Denominazione, generalmente di natura fissa (indipendenti dal numero delle imprese e dal volume di produzione), che riguardano ad esempio consulenze ad esperti per la predisposizione della relazione tecnica e della relazione storica che accompagnano il Disciplinare, o all’attività di animazione sul territorio.
- Costi diretti: sono costi legati alle attività inerenti il controllo per l’accertamento del rispetto del Disciplinare, la cui entità è funzione di molte variabili, quali la tipologia di prodotto e di processo produttivo, l’entità dei volumi produttivi delle singole imprese e complessivi, la struttura della filiera, ma è comunque strettamente dipendente dalle specifiche disposizioni contenute nel Disciplinare e nel Piano di controllo che ne deriva (Belletti et al., 2006.b).
- Costi indiretti: in questa categoria rientrano i costi di adattamento strutturale e operativo da sostenere per rispettare i contenuti del Disciplinare, che riguardano sia le imprese (ad es. adattamenti agli impianti e revisione dell’organizzazione e delle procedure interne all’azienda, aumento del costo delle materie prime) che il sistema nel suo complesso (ad es. creazione di sistemi collettivi di supporto).
- Costi di non conformità: questi sono determinati dal mancato collocamento sul mercato (o dall’inferiore posizionamento sullo stesso) dei prodotti che non sono conformi allo standard qualitativo previsto dal Disciplinare (Fucito, 2002).
Vi sono inoltre costi complementari, che derivano dalla necessità di realizzare attività promozionali e di vigilare circa il corretto uso della denominazione. Questi costi normalmente sono sostenuti attraverso organizzazioni collettive (ad es. i Consorzi di tutela) e/o Istituzioni pubbliche.
Un’ulteriore categoria riguarda inoltre i costi di esclusione, derivanti dal fatto che alcune imprese che già producevano il prodotto tipico prima dell’ottenimento della protezione comunitaria non hanno poi la possibilità di adattarsi al Disciplinare, con conseguenti mancati introiti e una possibile riduzione del valore degli investimenti legati allo specifico processo produttivo.
Di per sé l’entità e la ripartizione dei costi delle DOP-IGP poco ci dicono se non vengono analizzati alla luce degli effettivi benefici conseguiti dalle imprese.
Normalmente, tra i benefici attesi una rilevanza centrale viene attribuita agli incrementi di prezzo ottenibili, sia grazie al plus che il logo DOP-IGP conferirebbe al prodotto (maggiore disponibilità a pagare del consumatore) che attraverso la “ripulitura” del mercato dai “falsi” prodotti che impiegano scorrettamente il nome geografico (riduzione dell’offerta del prodotto tipico sul mercato). Tuttavia queste aspettative non sempre vengono realizzate. Ad esempio, una indagine svolta dagli Autori nel 2005 (Belletti et al., 2006.a) su 45 imprese di differente tipologia e dimensione operanti con 4 diversi prodotti ad indicazione geografica della Toscana (Prosciutto Toscano DOP, Pecorino Toscano DOP, Olio Chianti Classico DOP e Fagiolo di Sorana IGP) ha evidenziato come la valutazione sulla redditività derivante dall’impiego della DOP-IGP non fornisca risultati confortanti: oltre il 25% delle imprese (distribuite in maniera uniforme tra i quattro prodotti esaminati) dichiara l’impiego della DOP-IGP assolutamente non remunerativo nel breve periodo, mentre un terzo delle imprese ritiene che i maggiori costi siano appena compensati dai maggiori ricavi. Soltanto una delle 45 imprese intervistate ha ritenuto molto remunerativo l’impiego della denominazione.
E’ importante però considerare che la richiesta di riconoscimento della DOP-IGP e, successivamente, il suo utilizzo da parte delle imprese rispondono spesso a logiche operative e motivazioni che si collocano in una strategia più ampia rispetto alla valutazione costi-ricavi di breve periodo.
Le imprese esprimono motivazioni sia di tipo “offensivo” che di tipo “difensivo”, e molto spesso non immediatamente legate a motivazioni di prezzo.
La protezione dall’uso sleale del nome geografico è la motivazione spesso prevalente, almeno per quei prodotti che hanno una reputazione consolidata anche se magari solo su mercati locali o di nicchia e/o che impiegano nomi dotati di per sé di una elevata attrattività (ad es. Toscana o Chianti).
Tra gli altri effetti positivi cui le imprese fanno riferimento vi sono:
- la garanzia fornita sulle caratteristiche del prodotto verso coloro che abbiano conoscenza del sistema di garanzia sottostante il Reg. CE 510/06, a oggi più diffusa presso i clienti intermedi “professionali” (es. buyer della moderna distribuzione), che finali;
- la crescita della logica della qualità all’interno dell’azienda grazie all’adozione di sistemi di certificazione della qualità;
- la qualificazione complessiva dell’offerta (assortimento), che utilizza il prodotto DOP-IGP come una “medaglia”.
Da tutto ciò può derivare il consolidamento di canali commerciali esistenti o l’apertura di nuovi canali e mercati (in particolare GDO, export, canali lunghi).
Non va tuttavia sottovalutato il punto di vista “collettivo”, espresso spesso dalle istituzioni pubbliche locali, per le quali la DOP-IGP è intesa come strumento atto a sostenere i processi di sviluppo locale, dando una maggiore visibilità al territorio e accrescendo il senso di consapevolezza dei soggetti che della filiera del prodotto tipico fanno parte (Casabianca, 2003; Tregear et al., 2007).
Conclusioni
La decisione da parte delle imprese di utilizzare una Denominazione geografica è il frutto di una complessa valutazione dei costi e dei benefici economici che da essa possono derivare. I fattori che entrano in gioco nel bilancio costi-benefici sono numerosi e spesso di complessa valutazione e quantificazione, e sono strettamente legati alle caratteristiche sia delle singole imprese che del sistema produttivo nel suo complesso.
In generale la scelta di utilizzare o meno la Denominazione rientra nella logica delle strategie delle singole imprese, e in particolare della tipologia dei mercati serviti e delle richieste dei clienti intermedi e finali, ed è dipendente dalle dotazioni di risorse fisiche e umane dell’azienda. La maggior parte delle imprese che operano all’interno dei sistemi legati alle produzioni tipiche sono di piccola-media dimensione, e spesso orientati alla commercializzazione su canali locali per i quali la presenza di una DOP-IGP non riveste una particolare valenza informativa e/o di garanzia in quanto altri meccanismi (fiducia, prossimità geografica e culturale) sono all’opera. Al contrario, per le imprese che operano su canali lunghi/moderni la presenza della Denominazione geografica appare uno strumento più promettente ed efficace.
In prospettiva l’efficacia della Denominazione dipende da un lato dalla riduzione dei costi di utilizzo, e dall’altro dall’aumento dei benefici ottenibili.
Sul lato dei costi un elemento chiave è il modo con cui viene costruito il Disciplinare. Infatti un’eccessiva specificazione di aspetti poco rilevanti nella determinazione della qualità del prodotto, può comportare una lievitazione dei costi sia diretti (es. di analisi) che indiretti (es. non conformità), pregiudicando la convenienza all’utilizzo della denominazione. Una più attenta stesura del Disciplinare affiancata da un’efficiente organizzazione collettiva possono rendere meno gravoso l’utilizzo delle denominazioni, in particolare per i piccoli prodotti e per le piccole imprese.
Sul lato dei benefici, buona parte del successo della Denominazione è legato all’entità del capitale reputazionale del nome geografico utilizzato. Molto spesso vengono registrate Denominazioni con lo scopo di “creare”, più che di “difendere”, una reputazione associata al nome geografico. In questi casi, in cui spesso l’iniziativa della registrazione viene fortemente voluta e supportata dalla rete di istituzioni pubbliche locali (Belletti e Marescotti, 2006), l’intento è quello di stimolare la ripresa dell’attività economica locale sfruttando l’“effetto medaglia” che deriva dalla concessione della protezione comunitaria. Altrettanto spesso, tuttavia, le imprese non sono sufficientemente coinvolte e/o interessate, vuoi per le concrete difficoltà a sfruttare a fini di mercato la Denominazione stessa, vuoi perché la reputazione del marchio aziendale è superiore e l’utilizzo della Denominazione porterebbe ad “appiattire” nei confronti del consumatore il messaggio circa il livello qualitativo del prodotto aziendale (Segre, 2003). In questi casi sarebbe dunque necessario sostenere la costruzione e/o il mantenimento della reputazione attraverso azioni collettive e/o pubbliche.
Riferimenti bibliografici
- Arfini F. (2005), “Segni di qualità dei prodotti agro-alimentari come motore per lo sviluppo rurale”, Agriregionieuropa, dicembre.
- Belletti G., Burgassi T., Manco E., Marescotti A., Scaramuzzi S. (2006.a), “La valorizzazione dei prodotti tipici: problemi e opportunità nell’impiego delle denominazioni geografiche”, in Ciappei C. (A cura di), La valorizzazione economica delle tipicità locali tra localismo e globalizzazione, Florence University Press”, Florence University Press, Firenze, pp.169-264.
- Belletti G., Burgassi T., Marescotti A., Pacciani A., Scaramuzzi S. (2006.b), “Costi e modelli organizzativi nelle denominazioni geografiche”, in: Romano D., Rocchi B. (A cura di), Tipicamente buono. Prodotti tipici, percezioni di qualità lungo la filiera e possibilità di sviluppo del mercato, Franco Angeli, Milano, pp.149-173.
- Belletti G., Marescotti A. (2006), “I percorsi di istituzionalizzazione delle produzioni agro-alimentari tipiche”, in: Romano D., Rocchi B. (A cura di), Tipicamente buono. Prodotti tipici, percezioni di qualità lungo la filiera e possibilità di sviluppo del mercato, Franco Angeli, Milano, pp.121-147.
- Carbone A. (2003), “The role of designation of origin in the Italian food system”, in: Gatti S., Giraud-Héraud E., Mili S. (Eds.), Wine in the old world. New risks and opportunities, Franco Angeli, Milano, pp.29-39.
- Casabianca F. (2003), “Les produits d’origine: une aide au développement local”, in: Delannoy P., Hervieu B. (Eds), A table. Peut-on encore bien manger?, Editions de l’Aube, Paris, pp. 66-82.
- Fucito R. (2002), Un contributo all'analisi dei costi della qualità nell'impresa agro-alimentare, Rivista di Economia Agraria, LVII – 1.
- Nomisma (2005), “Originale Italiano”, Rapporto Indicod-Ecr - Promozione e Tutela dell'Agroalimentare di Qualità, Agra Editrice, Milano.
- Segre G. (2003), “DOC, exit e innovazione. Diritti di proprietà nel distretto culturale del vino delle Langhe”, Sviluppo Locale, X, 22(1/2003): 24-48.
- Tregear A., Arfini F., Belletti G., Marescotti A. (2007), “Regional foods and rural development: the role of product qualification”, Journal of Rural studies, n.23, pp.12-22.
- Verhaegen I. e Van Huylenbroeck G. (2001), “Costs and benefits for farmers participating in innovative marketing channels for quality food products”, Journal of Rural Studies, 17, pp.443 – 456.
- Progetto di ricerca SINER-GI: Strenghtening International Research on Geographical Indications: from research foundation to consistent policy [link]