L’efficacia dei piani di sviluppo rurale: riflessioni e proposte a partire dal caso toscano

L’efficacia dei piani di sviluppo rurale: riflessioni e proposte a partire dal caso toscano
a Università di Pisa, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

L’agricoltura europea è entrata nel pieno di una fase di transizione, nella quale i punti di riferimento e gli orizzonti tecnici, organizzativi, imprenditoriali vanno cambiando completamente, e i cui esiti dipendono dalla configurazione dei campi di forza che verranno attivati dai soggetti coinvolti.
Per guidare la transizione è necessario prima di tutto capire in che modo agire su livelli complessi come il territorio, le reti di impresa, le forme di governance, e come connettere questi con le azioni a livello di impresa. La competitività, parola chiave del nuovo ciclo di programmazione, si gioca sui livelli complessi, sulla capacità di garantire alle imprese un ambiente in grado di selezionare comportamenti virtuosi, innescare processi di apprendimento e di innovazione, fornire beni pubblici localizzati. In questo breve articolo avanzerò alcune proposte a partire dall’analisi del caso toscano.

La programmazione dello sviluppo rurale in Toscana

Nonostante le difficoltà nel reperimento dei dati necessari, l’analisi del rapporto di valutazione intermedia del Piano di sviluppo rurale della Regione Toscana nel periodo 2000-2006 ci offre numerosi spunti di riflessione, anche in vista del prossimo ciclo di programmazione. Qui di seguito, trascurando per brevità i numerosi risultati positivi, si riportano alcuni dei punti critici più significativi:

  • la maggioranza delle risorse destinate a investimenti è destinato a macchine e attrezzi;
  • l’impatto positivo degli investimenti sull’ambiente è in gran parte limitato ad effetti secondari, peraltro difficilmente quantificabili;
  • le misure agro-ambientali hanno ottenuto risultati difficilmente valutabili se non a livello aziendale, mentre hanno in gran parte mancato di ottenere effetti territoriali;
  • gli interventi nel settore forestale sono caratterizzati da grande frammentazione, con mancanza di effetti territoriali di rilievo;
  • le misure relative al capitale umano, e in particolare alla formazione, sono state alquanto deludenti sotto il profilo quantitativo, sebbene interessanti sotto il profilo qualitativo;
  • le misure relative all’asse 3 hanno mostrato una forte prevalenza dei finanziamenti di tipo tradizionale, e in particolare nel finanziamento di aziende agrituristiche, con la significativa eccezione della misura 9.4 “servizi essenziali per l’economia e le popolazioni rurali” in cui metodologie innovative hanno consentito importanti risultati in termini di accrescimento del capitale umano e sociale.

I valutatori, commentando la mancanza di efficacia territoriale delle misure, suggeriscono un approccio differenziato e concentrato, eventualmente supportato da un più ampio ricorso a tecniche di programmazione supportata da sistemi informativi territoriali. La mia opinione è leggermente diversa: il raggiungimento degli obiettivi di trasformazione strutturale difficilmente potrà essere ottenuto se non verrà modificata la filosofia di implementazione del piano.

Il problema dell’implementazione

Non credo che la situazione toscana si discosti molto da quella di altre regioni, e dunque approfitto di questo forum per estendere le mie riflessioni ad un ambito più generale. In un articolo di qualche anno fa, insieme a due colleghe, avevo cercato di sollevare la questione dell’implementazione delle politiche, sostenendo che il problema rappresenta un “buco nero” per l’economia agraria ma anche per le amministrazioni pubbliche (Brunori et al. 2001). L’ipotesi di fondo dell’articolo era quella secondo cui l’implementazione delle politiche di sviluppo rurale è basata su un modello in cui lo stimolo al raggiungimento degli obiettivi del piano viene garantito in larga parte dalla motivazione economica del beneficiario, attraverso un rapporto diretto tra ente erogatore e beneficiario.
Per gli apparati pubblici, in cui la velocità di spesa è tuttora la stella polare della valutazione delle politiche e conseguentemente delle carriere, il modello in questione è estremamente funzionale. La sua implementazione si attua attraverso un piano “a menù”, in cui gli obiettivi del piano sono realizzati attraverso una lista di possibili azioni cui i beneficiari attingono – in genere individualmente – in base a procedure imperniate su bandi. Per velocizzare ulteriormente la spesa, la compilazione delle graduatorie dei beneficiari avviene sulla base di criteri facilmente deducibili da documenti ufficiali.
Purtroppo, l’efficacia e l’efficienza generate da questo meccanismo sono molto limitate. Non di rado esso favorisce un atteggiamento passivo e talvolta opportunistico da parte degli imprenditori, stimolati a effettuare investimenti non necessari per poter cogliere le opportunità che via via si concretizzano.

Il ruolo del progetto nella programmazione di sviluppo rurale

L’adozione di un modello più appropriato, in grado di guidare questi processi verso livelli più avanzati di conoscenza e di organizzazione, non è semplice. Tuttavia, anche se a titolo sperimentale, alcune soluzioni innovative di implementazione potrebbero essere introdotte.
Un elemento centrale a tale proposito può essere rappresentato dal ruolo del progetto nella programmazione. Un progetto è un insieme coerente di interventi volti a raggiungere un obiettivo. Progettare vuol dire identificare degli obiettivi, individuare alternative, selezionare le priorità, quantificare le risorse necessarie, modulare la tempistica, definire indicatori per la valutazione della realizzazione. Senza progetto, un investimento rischia di essere inefficace e inefficiente. Attraverso il progetto è possibile attivare in modo sinergico più misure di sostegno, coerenti tra di loro.
Il processo di progettazione può essere un momento fondamentale delle politiche di sviluppo rurale, in quanto stimola la creatività, facilita processi di apprendimento, mobilita capitale umano e capitale sociale. Anche in presenza di un mancato finanziamento, l’impatto sul tessuto produttivo e sociale di un progetto è comunque positivo, in quanto è la stessa fase della progettazione ad avere un impatto non trascurabile.
Il progetto aiuta a realizzare gli obiettivi del programma: esso favorisce una più appropriata selezione dei beneficiari e garantisce una più oculata attribuzione di risorse scarse.
In che modo far comparire il progetto all’interno della programmazione dello sviluppo rurale? Ritengo che sia necessario riflettere su tre livelli:

  • Il progetto d’impresa. La transizione di regime socio-tecnico implica spesso l’adozione di una diversa filosofia di gestione aziendale, che richiede un insieme coerenti di modifiche dell’impostazione strutturale e gestionale. Attraverso il progetto aziendale, si fa leva sul capitale umano, stimolando l’acquisizione di competenze e la maturazione di una visione strategica.
  • Il progetto collettivo. Nel nuovo regime socio-tecnico la competitività deriva anche, e soprattutto, dalla capacità di mettere a punto modelli organizzativi innovativi, in grado di integrare in modo originale le risorse e di combinare autonomia individuale con collaborazione su specifici obiettivi. Il progetto collettivo è di per sé generatore di capitale sociale, in quanto la sua messa a punto richiede l’attivazione di relazioni tra imprese per la definizione di linguaggi e di obiettivi comuni.
  • Il progetto territoriale. La competitività oggi si gioca anche sul livello territoriale, ovvero sulla capacità di creare e mobilitare risorse endogene che costituiscono un fattore di vantaggio di costo o di differenziazione per le imprese nei confronti di altri territori.

Per favorire l’introduzione dei progetti, il piano di sviluppo rurale dovrebbe poter prevedere: a) bandi multimisura; b) procedure di valutazione dei progetti trasparenti e indipendenti; c) cofinanziamento dell’attività di progettazione; d) formazione finalizzata alla realizzazione di progetti; e) finanziamento di consulenza finalizzata alla progettazione aziendale e collettiva; f) finanziamento di azioni di animazione volte alla progettazione collettiva.
Sono consapevole che meccanismi basati sulla valutazione dei progetti, soprattutto all’inizio, potrebbero rallentare le procedure di spesa. E allora perché non avviare una fase sperimentale cui dedicare una parte minore delle risorse a disposizione, e su cui concentrare una intensa attività di ricerca e di monitoraggio in modo da poter utilizzare, in una fase immediatamente successiva, le lezioni apprese?
Il momento di osare è arrivato: il prezzo da pagare per non aver osato potrebbe essere molto alto.

Riferimenti bibliografici

  • Brunori G., Galli M., Rossi A. (2001) Il ruolo dei fattori istituzionali nell'analisi dell'implementazione delle politiche agro-ambientali, Rivista di Economia Agraria, num. 3, vol. 3, pp. 360-383.
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