Evoluzione dei mercati mondiali, riforma della OCM vino e competitività del settore vitivinicolo italiano

Evoluzione dei mercati mondiali, riforma della OCM vino e competitività del settore vitivinicolo italiano

La riforma della Organizzazione Comune di Mercato del vino, su cui si è recentemente aperto il dibattito, è considerata necessaria e urgente dalla Commissione sia per il “deteriorarsi dell’equilibrio tra offerta e domanda” sia per “l’acuirsi delle sfide sul mercato europeo e internazionale del vino”. Il tema della competitività è quindi al centro della riflessione ed è uno degli obiettivi dichiarati della proposta di riforma, che si propone di “migliorare la competitività dei produttori di vino europei, rafforzare la notorietà dei vini europei di qualità che sono i migliori del mondo, recuperare vecchi mercati e conquistarne di nuovi all’interno dell’Unione Europea e ovunque nel mondo” (Comunicazione della Commissione “Verso un settore vitivinicolo europeo sostenibile”).
Alla base delle proposte della Commissione vi sono le analisi presentate e discusse nel mese di febbraio in due working paper “Wine Economy of the Sector” e “Wine Common Market Organisation”, che prendono in considerazione sia gli aspetti economici del mercato del vino sia gli aspetti normativi e applicativi della OCM.
Nel presente articolo ci soffermeremo sui principali aspetti evolutivi del mercato mondiale del vino, così come analizzati nei lavori della Commissione, cercando di evidenziare gli elementi che interagiscono con la proposta di riforma e la loro influenza sulla competitività del sistema produttivo italiano.
In particolare i temi analizzati riguardano i consumi, la produzione, la bilancia commerciale (importazioni ed esportazioni), le performance produttive e commerciali dei paesi del Resto del mondo.

Importanza dell’Unione Europea nel mercato del vino ed evoluzione dei consumi

Il punto di partenza della riflessione proposta dalla Commissione è che l’Unione Europea, in un mercato dalle caratteristiche globali, è il maggior produttore mondiale di vino, nonché il maggior consumatore, esportatore ed importatore.
Copre infatti il 60% della produzione mondiale (con una produzione media tra il 2000 e il 2004 di 170 milioni di ettolitri) e circa il 60% dei consumi (stimati in 130 milioni di ettolitri nell’annata 2002/03).
L’UE è allo stesso tempo il maggior esportatore e il più grande importatore, con una bilancia commerciale positiva sia in quantità che in valore: i valori medi del periodo 2000/03 sono infatti di 12,5 milioni di ettolitri di vino esportati (per un valore di 4,5 miliardi di Euro) e di 9 milioni di ettolitri importati (per un valore di 2,5 miliardi di Euro), con un surplus della bilancia commerciale pari quindi a 2 miliardi di Euro.
Questi numeri, che mostrano un’indubbia leadership a livello mondiale, non evidenziano però quanto l’Unione Europea abbia patito e stia ancora oggi soffrendo in termini di competitività “l’acuirsi delle sfide” dei paesi del resto del mondo sia sul mercato internazionale sia sul proprio mercato interno, in particolare nella capacità di conquistare quote nei mercati in crescita. Vi è inoltre la questione se l’OCM, riformata nel 1999, sia stata concepita tenendo in considerazione tali sfide e abbia previsto gli strumenti adeguati per rispondervi.
Proviamo quindi ad approfondire brevemente le tendenze del mercato maggiormente significative. I consumi interni all’Unione Europea sono in leggero e continuo calo, effetto di una diminuzione strutturale e di lungo periodo nei principali paesi consumatori e produttori non compensata dalla recente crescita dei consumi nei paesi non tradizionali produttori (Nord Europa).
Anche a livello mondiale, di fronte alla diminuzione in alcuni paesi tradizionalmente produttori (come l’Argentina), si assiste alla crescita di importanti mercati (primo fra tutti il Nord America).
I mutati stili di vita alla base del calo dei consumi nei paesi tradizionali produttori portano anche alla richiesta di una maggiore qualità del prodotto; questi paesi inoltre (in particolare Italia e Francia) non sembrano essere particolarmente permeabili alla concorrenza estera.
Nei paesi importatori la crescita è accompagnata dall’aumento del numero di consumatori e, anche in questo caso, alla richiesta di prodotti di qualità. Entrambe le tendenze hanno fatto sì che, sul mercato interno della UE, ad una generale diminuzione dei consumi sia corrisposta una crescita del consumo di vini di qualità, che hanno raggiunto anche in quantità il livello dei vini da tavola. Purtroppo questa distinzione non è però sufficiente a spiegare appieno il fenomeno in quanto nei vini da tavola sono compresi anche prodotti con indicazione geografica come gli IGT italiani o i Vins de Pays francesi, che hanno avuto invece una dinamica positiva e sono per valore e qualità in molti casi comparabili ai vini a denominazione di origine, nonché frequentemente associati a vitigni specifici, mentre il calo interessa soprattutto il vino da tavola senza alcuna denominazione.
Nel caso dell’Italia, ad esempio, la principale regione produttrice, il Veneto, produce l’82% degli oltre 7 milioni di ettolitri come vini ad indicazione geografica, e di questo il 69% è rappresentato da vini a Indicazione Geografica Tipica e solo il 31% da vini a denominazione di origine (DOC e DOCG); gli IGT hanno una quota preponderante tra i vini con indicazione geografica anche nelle altre tre principali regioni produttrici: Emilia Romagna, Puglia e Sicilia.

Le sfide sul mercato europeo ed internazionale

E’ nei mercati in crescita (l’esempio più importante per la UE è la Gran Bretagna, che pesa per il 45% delle importazioni europee, ma si devono considerare anche tutti gli altri paesi del Nord Europa) che si gioca la sfida tra i vini dei produttori del resto del mondo ed i vini dei paesi tradizionali produttori, che per la diminuzione del consumo interno e anche grazie alla riconversione del proprio vigneto sono sempre più orientati verso le esportazioni. Una sfida in cui la componente prezzo è solo uno dei fattori competitivi e che si gioca invece su elementi di prodotto come la qualità, la riconoscibilità, la marca e sui fattori legati alla distribuzione e alla comunicazione.
Con la liberalizzazione del commercio del vino, legata agli accordi dell’Uruguay Round, le importazioni comunitarie sono cresciute in modo esponenziale; erano infatti solo 2,7 milioni di ettolitri nel 1993 e sono diventate 11,6 milioni di ettolitri nel 2004; l’82% proviene da quattro paesi, Australia, Cile, Sud Africa e Stati Uniti, le cui quantità esportate si sono decuplicate nel corso di dieci anni. La crescita in valore è stata del 31% annuo dal 1995 al 2001 e solo negli ultimi anni si è assistito ad una stabilizzazione del valore delle importazioni che, per la continua crescita dei volumi, si è tradotto in una diminuzione dei prezzi unitari.
Allo stesso tempo anche le esportazioni dell’Unione Europea sono cresciute, ma ad un ritmo minore, da circa 10 milioni di ettolitri del 1995 ai quasi 14 milioni del 2004; la crescita in valore è stata pari invece ad un 7% annuo dal 1996 ad oggi, anche se, analogamente a quanto è avvenuto per le importazioni, dal 2002 non vi sono aumenti nel valore delle esportazioni.
La bilancia commerciale si è quindi fortemente ridotta in termini di quantità mentre la sua diminuzione in termini di valore risulta molto contenuta. Considerando i dati aggregati (che non tengono conto della diversa composizione dei panieri dei prodotti) il valore unitario dei vini esportati (325 €/hl) è superiore del 50% rispetto a quello dei vini importati (215 €/hl).
I produttori dell’Unione Europea si sono quindi posizionati nel tempo verso segmenti di mercato a maggior valore aggiunto. Anche questa considerazione, che è considerata basilare per le scelte di riforma della OCM che dovrebbe privilegiare i prodotti di qualità, in cui la UE sarebbe più competitiva, non spiega però appieno alcuni elementi.
In particolare il valore medio delle importazioni di vino dall’Australia si è collocato dal 1996 ad oggi tra i 300 e i 350 €/hl ed è quindi paragonabile alla media dei valori europei; nonostante questo elevato valore l’Australia ha saputo però portare le quantità esportate da circa 500 mila ettolitri del 1996 ai quasi 3 milioni del 2004, rimanendo allo stesso tempo quasi impermeabile alle importazioni di vino europeo e dimostrando una forte capacità competitiva non basata solamente sui prezzi.
Anche rispetto agli Stati Uniti, che sono il più importante mercato per le esportazioni della UE, pur nell’ambito di un ammontare di scambi crescente, il tasso di crescita delle importazioni risulta maggiore di quello delle esportazioni.
Un altro tassello alla riflessione sui fattori competitivi, oltre al valore medio del prodotto esportato, è offerto dalla comparazione dei costi di produzione dei diversi paesi. In particolare per quanto riguarda il caso emblematico dell’Australia emerge come rispetto all’Italia non vi siano sostanziali differenze nella maggior parte dei fattori di produzione, quali il prezzo della terra, i prezzi delle uve, il costo del lavoro o i costi di trasformazione, in quanto anche la maggior parte del vino italiano risulta prodotto in impianti in grado di sfruttare adeguatamente le economie di scala produttive. Allo stesso tempo le differenze normative nelle pratiche enologiche (che senz’altro hanno incidenza sui costi specialmente per le produzioni a minor valore aggiunto) non significano assenza di controlli sul prodotto o di adeguati sistemi di rintracciabilità ed etichettatura. Le differenze sostanziali di competitività sono però da ricercare nel grado di concentrazione delle imprese (basso in Italia e molto elevato in Australia, così come negli altri paesi del resto del mondo) e nella capacità delle imprese più grandi di sfruttare le economia di scala nel settore della distribuzione e sviluppare adeguate politiche di comunicazione e marketing, fortemente orientate all’occupazione di nuovi mercati (Pomarici, Tedesco, 2005). Anche la spesa per ricerca e sviluppo, sostenuta sia dalle imprese che dallo Stato, risulta uno degli elementi qualificanti della qualità e della competitività del prodotto australiano (Arisi, 2005).

Competitività e riforma dell’OCM vino

Con le riforma dell’OCM del 2000, rispetto alle tendenze descritte che proprio negli stessi anni hanno manifestato la loro influenza, la UE ha attivato una serie di interventi finalizzati al miglioramento strutturale, quali la ristrutturazione dei vigneti, e alla qualità, attraverso una normativa stringente relativa alle limitazioni delle pratiche enologiche, alle classificazioni e all’etichettatura.
Altri interventi, quali lo sviluppo delle associazioni di produttori e delle altre forme organizzative della filiera, seppure previsti, non hanno di fatto avuto spazio adeguato, e non vi sono stati interventi specifici in azioni di promozione, commercializzazione e ristrutturazione organizzativa delle imprese vitivinicole, che sono stati invece probabilmente i fattori chiave di successo dei paesi del resto del mondo (in particolare Australia e Stati Uniti).
Le politiche di contenimento dell’offerta, associate al mantenimento della rete protettiva (distillazioni, magazzinaggi), non hanno portato al permanere di un adeguato livello dei prezzi, anche perché molte delle opportunità aperte dalla crescita di nuovi mercati sono state colte dai concorrenti. Forse quindi l’intervento è stato ancora mirato troppo al sostegno (peraltro i redditi degli agricoltori di molte aree hanno subito il forte ribasso dei prezzi delle uve) e non abbastanza ad accrescere la competitività, i cui fattori chiave, oltre agli adeguamenti strutturali dei vigneti, sono le capacità di marketing e di concentrazione dell’offerta, i rapporti con la distribuzione e la gestione delle filiere (solo un’adeguata valorizzazione delle uve può consentire infatti il rinnovo dei vigneti).
Nelle conclusioni del working paper della Commissione di febbraio 2006 "Wine Common Market Organisation" si afferma chiaramente come, data la situazione attuale della competizione internazionale, per mantenere l’impegno verso la ricerca di maggiore competitività non sia sufficiente continuare negli sforzi di incontro tra offerta e domanda e accelerare il tasso di rinnovo dei vigneti e razionalizzazione delle strutture produttive, ma sia necessaria la modernizzazione dell’industria vinicola a tutti i livelli, dall’imbottigliamento alle vendite e al marketing, così come la ristrutturazione delle cantine, l’organizzazione dei produttori e la promozione dei prodotti, specialmente nei mercati potenzialmente più interessanti. Queste considerazioni non hanno forse trovato spazio adeguato nel successivo documento di proposta di riforma della OCM.

Alcuni cenni alla situazione italiana

Un’ultima riflessione riguarda l’Italia, che si presenta di fronte a queste sfide con una situazione in chiaroscuro. Nel commercio extra-UE è il primo paese esportatore in volume (35% del totale) ma in valore è superata nettamente dalla Francia (51% del totale contro il 30% dell’Italia). Rispetto all'intero ammontare delle esportazioni (comprese quelle tra i paesi UE), l’Italia è il secondo paese esportatore a livello mondiale con 2.863 milioni di Euro (media 2001/03), un valore che è meno della metà rispetto alla Francia, ma circa il doppio di Spagna ed Australia.
Sui principali mercati di importazione ha posizioni di preminenza: negli Stati Uniti, Italia ed Australia si contendono il primato per quantità di vino esportato, mentre i prodotti francesi perdono progressivamente terreno; in Gran Bretagna, è preceduta nettamente da Francia ed Australia ed i prodotti italiani si collocano su fasce di prezzo più basso rispetto ai concorrenti (mentre gli acquisti si spostano dai vini a denominazioni ai vini da tavola e IGT); l’Italia è infine il primo fornitore della Germania, anche se con quote decrescenti.
Il più basso valore unitario delle esportazioni italiane (rispetto principalmente al prodotto francese) può essere in questo momento un punto di forza che permette di reagire meglio alle sfide della concorrenza.
Tra i problemi che però occorre mettere in evidenza vi è la fortissima frammentazione del tessuto produttivo italiano, tanto che da alcuni studi affermano che solo poche imprese sono in grado di competere con successo nella fascia premium dei mercati internazionali (Rabobank, 2003); ulteriore limite è la dipendenza dalle esportazioni di vino sfuso, che hanno avuto un vero e proprio crollo negli ultimi anni e non sono state sufficientemente sostituite dalle esportazioni di vino da tavola confezionato, mettendo in crisi intere aree geografiche del nostro paese.
Una situazione dunque in cui a importanti successi e posizioni di preminenza si accompagnano difficoltà di sistema, con numerose imprese e ampie aree geografiche del paese che non riescono a valorizzare il proprio prodotto, ricorrono in modo sistematico al sostegno delle misure di protezione dell’OCM e non sono in grado di realizzare adeguate strategie di marketing e distributive capaci di rendere profittevole l’attività.

Riferimenti bibliografici

  • Arisi S. (2005), L'Australia del vino punta su ricerca e ambiente. In VQ, n.6, dicembre 2005. 
  • Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, Verso un settore vitivinicolo europeo sostenibile, COM(2006) 319 definitivo, 22/6/2006, [pdf]
  • European Commission, D.G. for Agriculture and ural Development, Wine Common Market Organisation, Working Paper, February 2006, [pdf]
  • European Commission, D.G. for Agriculture and Rural Development, Wine Economy of the Sector, Working Paper, February 2006, [pdf]
  • ISMEA (2006), Vini DOC-DOCG Report economico finanziario 2005.
  • Pomarici E. (2005), Il mercato mondiale del vino: tendenze, scenario competitivo e dualismo tra Vecchio e Nuovo mondo. In VQ, n.0, aprile/maggio 2005.
  • Pomarici E., Tedesco R. (2005), Competitività del sistema del vino: Italia e Australia a confronto. In VQ, n.6, dicembre 2005.
  • Rabobank (2003), Wine is business. Rabobank International, Food & Agribusiness Research.
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