Editoriale n. 51 – La Pac dopo il 2020 nelle proposte del Commissario all'agricoltura

Editoriale n. 51 – La Pac dopo il 2020 nelle proposte del Commissario all'agricoltura

Il tempo stringe

Siamo ad un passaggio cruciale per l’Europa che si rifletterà inevitabilmente sulla politica agricola. La domanda centrale è: cosa sarà l’Unione europea dopo il 2020? Tutte le ipotesi sono al momento aperte.
Si potrebbe avere un rilancio del progetto europeo a cominciare dalla messa in comune di alcune competenze ministeriali (Ministero delle Finanze e del Bilancio per tutta la zona euro). Si potrebbe avere una Unione europea “a più velocità”, anche per stigmatizzare le tendenze centripete (o per prenderne atto) in direzione delle quali si muovono alcuni Stati membri. Si potrebbe anche andare verso una ridistribuzione delle funzioni tra Unione e Stati membri, restituendo ai secondi alcune competenze attribuite fin qui al centro, o viceversa. Si potrebbe infine assistere ad una più o meno graduale dissoluzione dell’Unione.
La partita è cominciata da molto tempo. In una direzione hanno sicuramente giocato l’Atto Unico del 1985 e il successivo Trattato di Maastricht del 1992, l’adozione della moneta unica e gli orientamenti assunti nel tempo dalla Banca Centrale Europea, l’unificazione della Germania e l’adesione all’Unione nel tempo di nuovi Stati membri. Nella direzione opposta hanno operato le due bocciature francese e olandese della Costituzione europea nel 2005, l'euroscetticismo registratosi più di recente e diffusamente in tanti appuntamenti elettorali, il neonazionalismo montante in alcune Capitali, fino al referendum del 2016 nel Regno Unito che ha sancito l’affermazione della Brexit.
Se dunque il confronto-scontro sul destino dell’UE si è giocato sui tempi lunghi, ora si approssimano anni cruciali.
Nel 2019 sono in calendario due scadenze fondamentali: le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo in maggio ed il rinnovo della Commissione europea (il mandato della attuale scade il 31 ottobre 2019). In relazione all’inevitabile pausa del 2019, il 2018 sarà un anno critico, anche perché spetta agli attuali organi dell’Unione (Commissione, Parlamento e Consiglio), di formulare le proposte e auspicabilmente di concludere l’iter delle decisioni strategiche per il dopo-2020. Arrivare alle elezioni infatti nell’incertezza, senza una definitiva soluzione per il futuro periodo di programmazione 2021-2027 (o 2025), renderebbe necessario, nel 2020, ripartire pressoché da zero con nuovi protagonisti e possibili nuovi orientamenti. Sarebbe inevitabile un ulteriore rinvio. Una eventualità che offrirebbe alle posizioni euroscettiche un argomento troppo rilevante per speculare in campagna elettorale sull’inefficienza e sull’inutilità dell’Unione.
Il tempo dunque stringe.

L’Unione europea nei documenti della Commissione

Per prepararsi adeguatamente a giocare il proprio ruolo in questa fase della partita, la Commissione Juncker ha lavorato alacremente. In concomitanza con il 60° anniversario della firma del Trattato di Roma, nel mese di marzo di quest’anno ha prodotto un Libro bianco sul Futuro dell’Europa: “Riflessioni e scenari per l’UE a 27 verso il 2025” (Commissione Europea, 2017). Questo testo è stato seguito da una serie organica di Documenti di Riflessione: (a) sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria; (b) sulla gestione della globalizzazione; (c) sulla dimensione sociale dell’Europa; (d) sul futuro della difesa europea; (e) sul futuro delle finanze dell’UE1.
Il Libro bianco indica gli obiettivi prioritari verso i quali concentrare l’impegno per una Unione europea al passo con i tempi e pronta alle sfide future: sicurezza, gestione dell’immigrazione, controllo delle frontiere, contrasto al terrorismo, difesa, lotta alle discriminazioni, occupazione e rilancio economico, riduzione del divario sociale ed economico tra paesi, riforme strutturali, stabilizzazione macroeconomica, transizione verso modelli di crescita sostenibili. La consistenza e l'urgenza di questi obiettivi sono talmente rilevanti che l’Unione Europea stessa acquista senso e la sua funzione si avvalora pienamente soltanto se, e perché, le affronta con le dovute risorse.
Il futuro Quadro Finanziario Poliennale, la strategia di bilancio per il dopo-2020, assume dunque una rilevanza cruciale. La sua stesura, che si completerà nei prossimi mesi (la proposta della Commissione è prevista per maggio 2018), sarà un banco di prova della capacità dell’Unione di far fronte alle sfide di questi anni.

Il bilancio dell’UE e quello della Pac

Il Libro bianco di Juncker mette a confronto cinque possibili scenari evolutivi dell’Unione. A ciascuno è attribuita una denominazione sintetica che comunque lascia intuire le implicazioni: (a) Avanti così; (b) Solo il mercato unico; (c) Chi vuole di più fa di più; (d) Fare meno in modo più efficiente; (e) Fare molto di più insieme.
In nessuna parte del testo del documento si accenna alla Pac, ma si comprende bene, per assonanza con quello che si afferma in merito alle politiche strutturali e di coesione, che escluso l’ultimo scenario (irrealistico, dato il clima che si respira nell’Unione), per la Pac ci sarà una ulteriore e consistente contrazione del budget. D’altra parte, nemmeno i Documenti di Riflessione accennano alla Pac, salvo quello sul futuro delle finanze dell’UE, ma soprattutto per indicare una delle potenziali fonti di risorse di bilancio da destinare alle attuali e future priorità dell’Unione.
A conferma dell’orientamento della Commissione a tagliare i fondi della Pac è trapelato di recente un documento interno della DG Agri dedicato all’analisi del bilancio previsionale della Pac per il settennio 2021-2027. In questo testo:

  • si simulano gli effetti a livello di singoli Stati di due ipotetici budget alternativi riferiti ad un taglio dei fondi a prezzi correnti rispettivamente del 15% e del 30% a confronto della situazione al 2020;
  • si analizzano gli effetti dell’introduzione di un cofinanziamento del 30% dei pagamenti diretti da parte degli Stati membri.

Al netto del risparmio di spesa Pac dovuto alla Brexit, nell’ipotesi del taglio del 15%, nell’intero settennio all’agricoltura italiana verrebbero riservati 3.465 milioni di euro in meno con una contrazione del 9%. Se il taglio fosse del 30% la contrazione salirebbe a 9.743 milioni di euro (pari a -25%). Nel contempo però, in quanto contributrice netta, l’Italia risparmierebbe complessivamente nelle due ipotesi rispettivamente 1.535 o 4.315 milioni di euro di contributi al bilancio complessivo dell’Unione.
Nel secondo caso, per la stessa condizione dell’Italia come contributrice netta e per la relativa minore protezione che la Pac assicura agli agricoltori italiani rispetto a quelli di altri paesi (Sotte, 2017), il contributo dell’Italia al bilancio dell’Unione scenderebbe di 11.986 milioni di euro a fronte di un cofinanziamento pari a 7.779 milioni di euro, con un risparmio netto quindi pari a 4.207 milioni di euro.

Gli ambiziosi obiettivi dichiarati per la futura Pac

In questo quadro di tempi stretti e di prevedibili severi tagli alle risorse della Pac, il 29 novembre scorso è stato pubblicato l’atteso documento: “Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura” con il quale il Commissario Hogan ha avanzato le sue proposte per la Pac post 2020.
Il documento elenca minuziosamente le sfide urgenti che l’agricoltura ed i sistemi agro-alimentari debbono fronteggiare. Facendo eco al Libro bianco sul futuro dell’Europa e richiamandosi esplicitamente alle priorità indicate dal presidente della Commissione Juncker, si evidenzia con chiarezza (pag. 8) che la Pac: (a) deve promuovere occupazione, crescita e investimenti di qualità; (b) sfruttare il potenziale dell’energia, dell’economia circolare e della bioeconomia, rafforzando contestualmente la tutela dell'ambiente e la lotta e l'adattamento ai cambiamento climatici; (c) portare ricerca e innovazione fuori dei laboratori, inserendole nei campi e nei mercati; (d) collegare completamente gli agricoltori e le aree rurali all'economia digitale; (e) contribuire all'Agenda della Commissione europea sulla migrazione. Tutto questo nell’ambito dell’accordo di Parigi sul clima e degli obiettivi dello sviluppo sostenibile (Sdg) dell’Onu.
In un'altra pagina (pag. 12) il documento precisa altri obiettivi della futura Pac: (a) promuovere un settore agricolo intelligente e resiliente; (b) rafforzare la tutela dell'ambiente e l'azione per il clima e contribuire agli obiettivi climatici e ambientali dell'UE; (c) sostenere il tessuto socioeconomico delle zone rurali.
Entrando poi nel dettaglio, ancora più avanti (pag. 17), si dice che “la Pac dovrebbe svolgere un ruolo maggiore nell’aiutare gli agricoltori ad aumentare gli introiti provenienti dal mercato” e che a questo fine, è necessario “rilanciare gli investimenti in termini di ristrutturazione delle aziende agricole, modernizzazione, innovazione, diversificazione e sfruttamento delle nuove tecnologie…”.
Non mancano poi richiami alla necessità di migliorare gli strumenti finanziari a disposizione degli agricoltori, di elaborare una impostazione integrata e coerente per la prevenzione e gestione dei rischi, di attrarre nuovi agricoltori e favorire il ricambio generazionale, ecc.
A fronte del precedente analogo documento del Commissario Ciolos che il 18 ottobre 2010 avviò il processo di riforma della Pac per il settennio 2014-2020, il quadro degli obiettivi è in questo caso molto più articolato e dettagliato. Non a caso si passa da 13 (più due di appendice) a 29 pagine.
Si tratta di obiettivi di lungo termine chiari e totalmente condivisibili, sui quali c’è peraltro vasto consenso. Essi implicherebbero, rispetto alla Pac attuale, una decisa opera riformatrice, fondata su una concreta finalizzazione delle misure e ridistribuzione delle (più scarse) risorse. Da qui una domanda: come possono essere perseguiti tutti gli ambiziosi obiettivi di lungo termine qui elencati se non recuperando risorse dalle misure di breve termine e riorientando consistentemente i fondi nella loro direzione?

Le deludenti soluzioni proposte

Passando dagli obiettivi alle proposte concrete di riforma per la Pac post-2020, vi è una chiara inversione di rotta. Il Documento in sostanza è un testo difensivo, il cui scopo è più quello di conservare l’impianto dell’attuale Pac, che di proporre sostanziali cambiamenti. In effetti, il messaggio complessivo è debole a deludente. Al centro si confermano i pagamenti diretti legati alla superficie, eventualmente corretti per porre un limite agli importi ricevuti dai maggiori beneficiari e per favorire le piccole e medie aziende. Così sono confermati i due pilastri, ma il secondo (nonostante gli impegni assunti nella conferenza di Cork 2.0) ha ancora un ruolo secondario rispetto al primo. Date le premesse, se si deve trarre una lezione da quanto è successo nella passata esperienza di riforma della Pac, sarà ancora la politica di sviluppo rurale ad essere più penalizzata nella distribuzione del budget, specie se i tagli saranno consistenti.
A proposito di budget, il documento Hogan apre alla possibilità di introdurre il cofinanziamento nazionale anche per i pagamenti diretti. A questo riguardo è interessante notare che, osteggiato dal Copa-Cogeca e dai nuovi Stati membri dell’Europa dell’Est, il cofinanziamento era stato perentoriamente escluso nella prima versione dello stesso Documento trapelata circa un mese fa. Segno evidente che nella Commissione e nell’Unione si scontrano opinioni differenti.
La principale innovazione proposta per la futura Pac consiste nel maggiore coinvolgimento e nella maggiore responsabilizzazione degli Stati membri. Nella Pac che Hogan propone per il dopo 2020 l’Unione fisserebbe i parametri di base: obiettivi, tipologie d'intervento, requisiti, mentre gli Stati membri, attraverso un “Piano strategico della Pac” relativo a tutta la politica agricola comune (primo e secondo pilastro), sarebbero incaricati di precisare gli interventi, controllarne l’applicazione e comminare le sanzioni.
Questa soluzione mira in primo luogo ad affrontare il problema della palese inefficacia delle misure “one size fits all” applicate in modo indifferenziato in tutti gli Stati membri, come le norme di eco-condizionalità del greening2, e si collega alla decisione assunta nel 2013 di delegare agli Stati membri oltre 50 decisioni in materia applicazione del Regolamento 1307/2013 sui pagamenti diretti.

La distorta applicazione del principio di sussidiarietà

La giustificazione addotta è quella secondo cui “una maggiore sussidiarietà consentirebbe di tenere conto più specificamente delle condizioni ed esigenze locali”. Ma proprio nel richiamo alla sussidiarietà il documento Hogan appare contraddire i principi stessi su cui si regge l’Unione europea. La sussidiarietà infatti riguarda la distribuzione delle competenze tra diversi livelli di governo (UE-Stati membri-Regioni) ed esprime la modalità d’intervento (sussidiario) degli enti superiori rispetto a quelli inferiori. In altre parole, i livelli superiori intervengono solo se l’esercizio delle funzioni da parte dei livelli inferiori sia inadeguato per il raggiungimento degli obiettivi. Su questo il Trattato sull'Unione Europea (art. 5) è chiaro: “In virtù del principio di sussidiarietà […] l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione”.
Qui sta il punto. La sussidiarietà è un principio. I principi si applicano, non si estendono o contraggono. In materia di mercato interno, che è il compito del primo pilastro, la competenza non può che rimanere a livello di Unione europea. Lo attesta esplicitamente il Trattato, proprio in tema di politica agricola: “l'organizzazione comune del mercato […] deve escludere qualsiasi discriminazione fra produttori o consumatori dell'Unione” (art. 40). Diverso è il caso della politica di sviluppo rurale: per la sua proiezione territoriale e la necessità di adattarsi alle peculiarità regionali e locali è giusto che sia decentrata e guidata da una governance multilivello con l’attribuzione agli SM e alle Regioni di compiti programmatori e gestionali, mentre all’Unione spettano i compiti di indirizzo e controllo.
La questione è quindi molto delicata perché infrange i principi base dell’Unione, che lo stesso Documento Hogan, entrando in contraddizione con se stesso, riconosce quando (a pag.17) recita: "la PAC deve adempiere alle proprie funzioni seguendo i principi di ‘Uguaglianza tra i suoi membri, grandi o piccoli, tra est e ovest, nord e sud’, come ha ricordato il Presidente Juncker nel discorso sullo stato dell'Unione del 2017. in questo senso, dovrebbe ridurre le differenze tra Stati membri per quanto riguarda il sostegno della PAC". 
La scelta di delegare agli Stati membri decisioni cruciali sul sostegno ai redditi fu già pesantemente criticata a suo tempo per il rischio di produrre distorsioni al mercato unico. L’effetto (puntualmente osservato) è stato quello di trattamenti diversificati per gli agricoltori a seconda dello Stato membro in cui operano (Matthews, 2017; Sotte, Bignami, 2015). Un’estensione del decentramento delle decisioni in materia di pagamenti diretti può ulteriormente frammentare la Pac in tante politiche nazionali. D’altra parte, se le decisioni sono decentrate, ogni Stato membro, nel timore di danneggiare i propri agricoltori sul piano della competitività, ad esempio in tema di agro-ambiente, tende ad assumere le decisioni più indulgenti e quindi meno rispondenti agli obiettivi di tutela e salvaguardia.

Considerazioni conclusive

Il Commissario Hogan, a conclusione del sondaggio lanciato l’anno scorso dalla Commissione europea, aveva anticipato la sua intenzione di proporre per la Pac “più una evoluzione che una rivoluzione”. Quindi non c’era da aspettarsi un atto di coraggio. Ma alla luce degli obiettivi che lo stesso Documento Hogan enuncia, si poteva almeno fare evolvere la Pac nella loro direzione. Il documento invece si presenta come un testo difensivo. Il cuore della Comunicazione rimane all’interno di una logica di sussidi basati sul possesso della terra a conferma, nella sostanza, dell’attuale impianto della Pac.
La lista di ambiziosi e giusti obiettivi orientati al lungo termine stride con la modestia dei mezzi mobilitati per perseguirli, mentre si perpetua e si difende la logica degli interventi di breve termine, riguardo ai quali peraltro si riconosce come l’efficacia sia modesta e la distribuzione sia squilibrata a beneficio di percettori niente affatto prioritari. Si afferma, è vero, l’intenzione di smussare le punte di questa distribuzione e di favorire gli agricoltori più meritevoli di sostegno ma, come si è già sperimentato con la convergenza interna e con il greening (commisurato in Italia così come in tanti altri Stati membri al pagamento base), potenti lobby sono pronte ad attivarsi (a Bruxelles e a Roma) per difendere, assieme ai pagamenti diretti, anche la loro squilibrata ed iniqua distribuzione.
La Pac ha dimostrato nei decenni la sua straordinaria resilienza, in particolare la sua capacità di mantenersi in una condizione di separatezza rispetto a tutte le altre politiche comunitarie, con le sue peculiarità e con il suo bilancio (diminuito nel tempo, ma pur sempre consistente, a fronte delle altre politiche dell’UE). Ma se con questo testo si pensa di contribuire a difendere il futuro budget della Pac, probabilmente ci si sbaglia.
Il progetto poi di decentrare ulteriormente le decisioni relative al primo pilastro, oltre quanto osservato sugli effetti distorsivi immediati sul mercato unico, può preludere nei futuri aggiustamenti della Pac ad una vera e propria rinazionalizzazione, come peraltro suggerito da tempo da alcuni autorevoli analisti (Padoa Schioppa, 1987; Sapir, 2003). Questo consentirebbe all’UE di recuperare un budget particolarmente ambito per altre finalità ma, al tempo stesso impedirebbe, specie agli imprenditori agricoli e a tutto il sistema agroalimentare italiano (specie per la sua vocazione nei prodotti di qualità) di competere in condizioni di parità in un mercato europeo aperto e sostenuto da una politica omogenea e non discriminatoria per tutta l’Unione.  

Riferimenti bibliografici

  • Commissione europea (2010), La Pac verso il 2020: rispondere alle future sfide dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio, Bruxelles, 18.11.2010 Com(2010) 672 definitivo [pdf]

  • Corte dei Conti Europea (2017), L’inverdimento: un regime di sostegno al reddito più complesso, non ancora efficace sul piano ambientale, Relazione speciale n.21/2017 [pdf]

  • Matthews A. (2017), Cap Reform: How Member States are implementing the new Cap, Capreform, December 3, 2017 [link]

  • Padoa Schioppa T. (1987), Efficiency. Stability and Equity. A Strategy for the Evolution of the Economic System of the European Community, European Commission [pdf]

  • Sapir A. et al (2003), An Agenda for a Growing Europe. Making the EU Economic System Deliver, Report of an Independent High-Level Study Group established on the initiative of the President of the European Commission [pdf]

  • Sotte F. Bignami F. (2015) Le scelte degli Stati membri sui pagamenti diretti, Agriregionieuropa anno 11 n°42 [link]

  • Sotte F. (2017), Gli scarsi finanziamenti Pac che arrivano in Italia, Agriregionieuropa anno 13 n°48 [link]

  • Unione Europea, Trattato sull'Unione europea (versione consolidata) [link]

  • 1. Tutti questi testi sono accessibili dal sito dell’Unione europea alla pagina: [link].
  • 2. Una recentissima Relazione Speciale della Corte dei Conti europea in materia di greening è esplicita perfino nel titolo: “L’inverdimento: un regime di sostegno al reddito più complesso, non ancora efficace sul piano ambientale” (Corte dei Conti Europea, 2017).
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