L’esperienza dei Progetti integrati di filiera: esperienze nel settore cerealicolo

L’esperienza dei Progetti integrati di filiera: esperienze nel settore cerealicolo

Introduzione

L’art. 59 del Reg. 1698/05 sullo Sviluppo Rurale offre la possibilità di sviluppare strategie d’intervento - i progetti integrati - capaci di agire sulle principali problematiche settoriali e territoriali, innescando processi innovativi di sviluppo aderenti alle esigenze locali e facenti leva sul coinvolgimento degli attori economici e sociali. L’obiettivo della progettazione integrata è la concentrazione delle risorse finanziare su ambiti omogenei di intervento, coinvolgendo gli attori socioeconomici nei processi di sviluppo, favorendo la condivisione e la comunicazione con le istituzioni locali, nonché il decentramento amministrativo per meglio orientare gli interventi rispetto alle singole esigenze locali.
Nell’ambito della programmazione per lo sviluppo rurale 2007/2013, il 16% delle risorse pubbliche destinate ai Psr è stato impegnato in Progetti Integrati di Filiera (Pif) per un impegno complessivo di 692.204.375 euro (Mipaaf, 2012) in 14 regioni.

I progetti di filiera nel settore cerealicolo

Complessivamente i progetti nel settore cerealicolo rappresentano il 12% dei progetti approvati e assorbono il 10% delle risorse destinate ai Pif, collocandosi al terzo posto dopo i settori dell’ortofrutta (30%) e del lattiero-caseario (17%) e a pari merito con il comparto vitivinicolo (Figura 1).

Figura 1 - I Pif per comparto a livello regionale (valori in %)

Fonte: Inea Monitoraggio Rete Rurale Nazionale, 2014

Mediamente un Pif ha un costo pubblico di circa 2,4 milioni di euro, anche se i finanziamenti generalmente accordati variano da un minimo di 900 mila ad un massimo di 11 milioni di euro per progetto. Nel caso del comparto cerealicolo il finanziamento pubblico medio è di 4,5 milioni di euro.
I Pif sono realizzati dai soggetti della filiera aderenti a un Accordo di filiera, finalizzato:

  • alla soluzione delle criticità di filiera individuate;
  • alla gestione integrata di temi come qualità, tutela dell’ambiente, sanità pubblica;
  • alla realizzazione di operazioni nella produzione primaria, nella trasformazione e nella commercializzazione/distribuzione.

L’accordo di filiera si configura come un contratto formale con il quale, dopo l’approvazione del progetto, tutti i soggetti partecipanti condividono e sottoscrivono gli obiettivi e le strategie operative, gli impegni e gli obblighi che ciascuno è tenuto a rispettare, nonché gli specifici ruoli e le singole responsabilità. Uno tra i vincoli più ricorrenti riguarda, appunto, il conferimento e la commercializzazione del prodotto: un’azienda aderente al Pif contrae un obbligo a conferire a un altro soggetto del Pif una quota percentuale della propria produzione. Questo è uno degli aspetti di maggior rilievo della progettazione di filiera il cui obiettivo è di creare relazioni stabili e paritarie lungo la catena agroalimentare. La durata minima dell'accordo varia dai tre ai cinque anni dalla conclusione degli investimenti. Punto caratterizzante di tali accordi è l’impegno a reperire o conferire la materia prima quantificata nell’accordo di filiera per almeno una quantità minima dalle imprese agricole partecipanti, attraverso conferimenti o acquisti e cessioni risultanti dal medesimo accordo.
La composizione dei partenariati è molto varia e rispecchia la natura che ad essa hanno dato i diversi bandi regionali. Complessivamente i Pif nel settore cerealicolo hanno coinvolto 755 soggetti di varia natura. In media, un partenariato è composto da circa 24 imprese, anche se la situazione è abbastanza variegata. Le aziende agricole rappresentano circa il 90% dei soggetti partner, seguono le cooperative (7%) e un piccolo gruppo di altri soggetti tra cui alcuni soggetti pubblici come Comuni, Università ed Enti di Ricerca, ed altri soggetti come consorzi, camere di commercio, organizzazioni professionali, la cui funzione è di accompagnare con misure specifiche le attività economiche previste dal progetto di filiera.
I progetti integrati di filiera si caratterizzano, come si è detto, per l’attivazione simultanea di più misure finalizzate al raggiungimento di un obiettivo specifico.
Sostanzialmente le misure attivabili ricadono in due tipologie:

  • misure di sistema: rientrano in questa categoria le misure rivolte al capitale umano (111, 114 e 331) alla cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie (124) e per la qualità dei prodotti (132 e 133), ossia tutti quegli interventi che possono avere una ricaduta sull’intera filiera. Esse sono affidate alla gestione diretta del partenariato o di un soggetto da esso individuato. L’attivazione della misura 124 “Cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie”, prevista da quasi tutte le Regioni, manifesta la volontà di dar vita a processi aggregativi che, oltre agli agricoltori, coinvolgano altri soggetti della filiera con accordi concreti capaci di assicurare il collocamento e il giusto prezzo per le merci agricole ma anche di apportare e condividere innovazioni tra partner e soprattutto con quelli della fase primaria, spesso non in grado di tenere il passo ai cambiamenti di processo e di prodotto che implicano una notevole capacità di rinnovamento tecnologico ed organizzativo;
  • misure strutturali: sono tutte quelle misure il cui beneficiario finale è il singolo aderente al progetto di filiera. Fanno parte di questa categoria le misure a favore degli investimenti nelle imprese agricole, agroalimentari e forestali (121 e 123) e, dove previste, le misure per la diversificazione dell’impresa agricola (311) o per azioni a favore della sostenibilità ambientale della produzione primaria. Le misure 121 “Ammodernamento delle aziende agricole” e della 123 “Aumento del Valore Aggiunto dei prodotti agricoli e forestali” rappresentano la base per fondere la fase della produzione primaria con la trasformazione e commercializzazione dei prodotti.

Complessivamente sono state registrate 2844 domande nell’ambito dei Pif nella programmazione 2007-2013. Le singole domande finanziate riguardano soprattutto le misure dell’asse 1 dei Psr. In termini finanziari, pesano soprattutto la misura 123 che finanzia 101 interventi a favore dell’agroalimentare per un valore complessivo di 3,1 milioni di euro con un costo per impresa di circa 400 mila euro (Figura 2) e la misura 121 che finanzia 636 imprese agricole con oltre  3,3milioni di euro. Tra le altre misure utilizzate, spiccano la 111 per la formazione e informazione degli operatori agricoli e la 114 per i servizi di consulenza aziendale, che insieme rappresentano il 36% delle domande. Ciò evidenzia come la maggior parte dei Pif finanziati abbia incluso azioni di assistenza tecnica, formazione e consulenza per gli operatori coinvolti, orientate ad accompagnare i processi strategici su cui si basa il progetto.

Figura 2 - Ripartizione delle domande e del finanziamento per misura (valori percentuali)

Fonte: Inea - Monitoraggio Rete Rurale Nazionale, 2014

I due casi studio

La ricerca si basa su due “casi studio” e, attraverso un’analisi qualitativa dei progetti, vuole mettere in evidenza alcuni aspetti rilevanti ai fini della comprensione delle determinanti che stanno alla base della scelta di attivare un Pif, dei meccanismi che si instaurano all’interno del partenariato fra i vari soggetti (soggetti provenienti da realtà diverse, con obiettivi e interessi a volte contrastanti), delle criticità emerse, al fine di valutare l’impatto del progetto sull’integrazione di filiera.
La selezione dei casi studio ha privilegiato la scelta di due programmi che fossero già prossimi alla conclusione al fine di disporre del massimo numero di informazioni.
I casi analizzati sono due Progetti Integrati di Filiera (Pif) del comparto cerealicolo delle regioni Marche e Toscana:

  • filiera marchigiana dei cereali biologici ("Marche Bio”);
  • pasta dei coltivatori Toscani.

La Regione Marche ha sostenuto attraverso i Piani Integrati di Filiera il comparto cerealicolo con 2,59 milioni di euro, che equivale al 14% dell’intera somma (18,08 milioni di euro) stanziata per l’intera programmazione Pif. La Regione Toscana ha invece indirizzato verso il comparto cerealicolo, attraverso i Pif, il 42,6% delle risorse pari a 10,42 milioni di euro.
I Pif esaminati sono stati realizzati in un momento particolarmente difficile per il comparto del grano duro a causa, da un lato, della fine del sostegno accoppiato in seguito alla riforma della Pac, dall’altro ad alcune stagioni climatiche sfavorevoli che hanno inciso negativamente sulle quantità prodotte.
La tabella 1 illustra, attraverso un’analisi Swot, i punti di forza e di debolezza della filiera cerealicola nei due territori di azione dei Pif. In entrambi i casi si tratta di due zone vocate con ampi margini di miglioramento della qualità dell’offerta in cui la produzione è minacciata dalla crescente competizione con il prodotto di importazione, anche alla luce della riforma del sistema di sostegno del grano duro, che ne ha fortemente ridotto la redditività.

Tabella 1 - Analisi Swot dei Capofila di Marche e Toscana a confronto

Fonte: indagine diretta con i beneficiari

Il Consorzio Marche Biologico Società Cooperativa Agricola (Marche Bio) è una organizzazione costituita nell’aprile 2010 con l’obiettivo di creare e gestire il Progetto Integrato di Filiera (Pif) denominato progetto filiera marchigiana dei cereali biologici: costituzione e valorizzazione. Promotrici del progetto sono cinque cooperative operanti nel settore cerealicolo della Regione Marche. Il Consorzio si propone, mediante una struttura organizzativa comune, il raggiungimento degli scopi mutualistici delle cooperative socie, nonché di valorizzare le produzioni agricole biologiche marchigiane, favorendo la riorganizzazione del sistema d’impresa a livello di filiera. L’obiettivo del progetto Marche Bio è il sostegno allo sviluppo del settore cerealicolo mediante la costituzione di una macro-filiera agricola biologica marchigiana che preveda la coltivazione, lo stoccaggio, la molitura, la produzione e la distribuzione del prodotto finito. Le realtà produttive coinvolte, grazie a forme aggregative e associative sono fortemente legate al settore dell’agricoltura biologica marchigiana. Le singole realtà produttive sono cresciute anche in questi ultimi anni, nonostante la crisi generalizzata, fornendo ad una clientela sempre più internazionale prodotti alimentari con standard qualitativi molto elevati e certificati in tutte le loro fasi. L’obiettivo dell’iniziativa è migliorare l’accesso al mercato dei soggetti operanti nella filiera rafforzando i canali di sbocco esistenti, aumentando la gamma e la qualità dei prodotti offerti e identificando nuovi canali di vendita su base locale per differenziare i mercati di riferimento. Proprio per conseguire tali obiettivi il Pif Marche Bio ha attivato le seguenti Misure di finanziamento del Psr: Misura 111b - Informazione; Misura 123 - Accrescimento del Valore Aggiunto dei prodotti agricoli; Misura 124 - Sperimentazione e supporto agronomico per la coltivazione dei cereali; Misura 133 - Promozione. I beneficiari della filiera marchigiana dei cereali biologici sono 240 soggetti (di cui 230 imprese agricole). L’Importo complessivo di progetto è di 11,61 milioni di euro, mentre la quota dell’intervento pubblico ammonta a 6,49 milioni di euro.
Il Progetto Pif “Pasta dei Coltivatori Toscani” è nato con l’obiettivo di ammodernare ed aumentare l’efficienza degli operatori della filiera del grano duro toscano, e contestualmente realizzare una filiera corta organizzata in grado di assicurare l’offerta di un prodotto di qualità ad origine garantita, di sviluppare una politica commerciale tesa ad individuare nuovi mercati e canali distributivi in grado di assicurare il miglioramento della performance economica degli operatori coinvolti. Il progetto è stato promosso dal Consorzio Agrario di Siena, prima impresa del comparto agro-alimentare della Toscana. Fondato nel 1901, commercializza e in parte produce mezzi tecnici per l'agricoltura, e valorizza le produzioni tipiche e le eccellenze del territorio attraverso una propria catena di negozi alimentari, enoteche, macellerie. Obiettivo chiave del Progetto “Pasta dei Coltivatori Toscani” è l’innalzamento qualitativo del grano duro prodotto in Toscana grazie alla corretta valorizzazione e commercializzazione sul mercato finale di una pasta di alta qualità, la cui origine locale sia evidenziata e costituisca un elemento chiave di differenziazione. In particolare, è stato possibile ottenere un grano ad alto contenuto di glutine che ha consentito all’impresa trasformatrice di produrre pasta di ottima qualità esclusivamente con l’utilizzo di varietà locali. Per attuare tale obiettivo, il Consorzio ha stipulato accordi con le imprese agricole che s’impegnavano ad adottare un disciplinare di produzione finalizzato al miglioramento qualitativo del prodotto e, in cambio, garantiva l’acquisto del prodotto ad un prezzo superiore al prezzo di mercato. L’accordo di coltivazione riguardava le varietà da utilizzare, il numero di trattamenti, le fasi di concimazione. Il consorzio propone due prezzi di acquisto, un prezzo minimo garantito calcolato sulla base dei costi di produzione più una premialità di 2 €/q per la qualità oppure un prezzo legato al mercato di Bologna più un plus variabile a secondo della quotazione. La pasta prodotta, attraverso il coinvolgimento di due pastifici come beneficiari indiretti, e commercializzata con un marchio specifico, è fatta solo con il grano delle aziende del Pif perché il cambiamento nelle varietà consente di non ricorrere ai grani di importazione ed è commercializzata attraverso il consorzio o con accordi con negozi e grande distribuzione in Toscana. Il grano eccedente viene venduto sul mercato. I beneficiari della filiera toscana dei cereali sono 30 soggetti di cui 27 imprese agricole, un mulino, un pastificio, l’Università di Firenze, più cinque partecipanti indiretti. L’Importo complessivo previsto di progetto è di 5,34 milioni di euro mentre la quota dell’intervento pubblico ammonta a 2,22 milioni di euro. Il Pif Coltivatori toscani ha attivato le seguenti Misure di finanziamento del Psr: Misura 121 - Acquisto di macchinari e attrezzature agricole; Misura 124 - Sperimentazione e supporto agronomico per la coltivazione del grano duro; Misura 123a - Sicurezza del lavoro, mitigamento dell’impatto ambientale e miglioramento dello stoccaggio del grano duro.

L’indagine

L’attività d’indagine si è svolta sia attraverso l’analisi di documenti e dati amministrativi, sia con interviste dirette ai beneficiari, al fine di raccogliere le utili informazioni per poter esprimere un giudizio su gli esiti dei progetti finanziati. Per ognuno dei due “casi studio”, sono stati intervistati soggetti rappresentanti di tutti i comparti della filiera in modo da effettuare un’analisi il più possibile completa. Nel complesso sono stati intervistati 20 soggetti, raccogliendo le testimonianze e il punto di vista di tutti gli operatori coinvolti nel progetto.
La ricerca aveva l’obiettivo di rispondere ai seguenti quesiti:

  • In che misura lo strumento Pif ha favorito l’aggregazione a livello di singola impresa così come di filiera?
  • In che misura gli investimenti sovvenzionati hanno contribuito a migliorare la qualità dei prodotti?
  • Quali sono stati gli effetti economici del Pif?

L’indagine si è articolata nelle seguenti fasi: i) rilevare il modello organizzativo di attuazione dei 2 Pif Cereali; ii) verificare le ricadute positive, anche in termini economici, sulle aziende beneficiarie coinvolte dai due progetti selezionati; iii) identificare gli elementi chiave di tali esperienze da condividere come buone prassi.

Rafforzamento dei legami di filiera

Entrambi i progetti hanno puntato al coinvolgimento delle imprese rispondendo ai loro fabbisogni in termini di investimento e, quindi,facilitandone l’accesso ai fondi del Psr. Nel caso di Marche Bio gli investimenti hanno riguardato le varie fasi di trasformazione del prodotto (stoccaggio e lavorazione) e l’inserimento di nuove linee di produzione mentre per i Coltivatori toscani il fabbisogno prioritario delle aziende era rappresentato dal rinnovo del parco macchine.
Dalle interviste è emerso che il Pif è stato, in entrambi i casi, uno strumento utile soprattutto a rafforzare il legame con i soggetti capofila e con gli altri soggetti della filiera piuttosto che con le altre aziende agricole partecipanti.
Secondo tutti gli operatori agricoli intervistati i due Pif hanno contribuito al rafforzamento dei rapporti commerciali esistenti. Nel caso del Consorzio marchigiano dieci nuove imprese agricole sono entrate nella cooperativa attraverso il Pif ed hanno così potuto migliorare le loro condizioni contrattuali in quanto le condizioni commerciali offerte ai soci delle cooperative cerealicole biologiche sono migliori (di circa un 8%) di quanto offerto da altri operatori.
Nel caso dei coltivatori Toscani sono i beneficiari indiretti, cioè i pastifici, a definire gli accordi scritti di grande importanza strategica per le loro imprese in quanto assicurano una certezza sia nel conferimento della materia prima ma anche nella commercializzazione del prodotto da parte del Consorzio Agrario di Siena. Ciò avrebbe contribuito a mitigare le oscillazioni del mercato e rendere più stabile il fatturato dell’azienda, favorendo una maggiore circolazione delle informazioni sugli aspetti commerciali e sulla qualità richiesta relativamente alla materia prima mentre, gli accordi sottoscritti con gli agricoltori, avrebbero favorito la stabilizzazione dei prezzi.
Per molte delle aziende intervistate l’adesione al Pif ha comportato la definizione di contratti per tempi più lunghi rispetto al periodo precedente l’inizio del progetto. In particolare, nel caso dei Coltivatori toscani, le aziende sottoscrivono con il Consorzio Agrario contratti formali, pluriennali confermati ogni anno, in cui vengono stabiliti alcuni aspetti relativi alle tecniche di produzione (varietà, concimazione presemina, trattamenti) ed un prezzo di acquisto che include un premio per la qualità di circa 2 €/ql. Anche le imprese agricole del Pif marchigiano ricevono un prezzo in media più alto della quotazione di mercato. In entrambi i casi è stato definito un protocollo per la tracciabilità del prodotto che permette di avere legami maggiormente stabili tra tutti gli operatori della filiera.

Il Pif come strumento di miglioramento della qualità

Dalle interviste realizzate è stato possibile comprendere che i Pif sono stati uno strumento utile per l’introduzione di innovazioni tecnologiche. Nel caso marchigiano hanno riguardato la gamma dei prodotti offerti e il processo di trasformazione-commercializzazione. Nel caso dei Coltivatori toscani gli elementi innovativi sono stati realizzati nel processo di produzione. Ciò è stato facilitato dal coinvolgimento nel Pif del segmento della ricerca agricola. Infatti, in collaborazione con l’Università di Firenze (Dispaa), è stato messo a punto un modello di precisione per la fertilizzazione azotata finalizzato a migliorare le caratteristiche qualitative della materia prima in relazione alla qualità richiesta dal settore della trasformazione. Tutte le aziende aderenti hanno dovuto fare la concimazione azotata presemina e un trattamento fungicida per ridurre il rischio da micotossine. Anche nel caso di Marche Bio è stata avviata la sperimentazione di una modalità di fertilizzazione dei suoli attraverso l’introduzione di farro e monococco, anche se l’iniziativa non è stata ancora adottata in maniera diffusa.
Il Pif ha permesso d’introdurre nuove varietà di prodotto, nuove cultivar di frumento grano duro, grano tenero e farro nel caso di alcune delle imprese marchigiane e di valorizzare del grano duro locale nel caso delle aziende toscane.
In entrambi i casi sono state consolidate le pratiche di certificazione volontaria Iso. In particolare, nel caso del Pif Coltivatori toscani è stato introdotto un sistema di tracciabilità della “filiera pasta” con conseguimento della certificazione secondo le norme Iso 220051.

Effetti economici del Pif

In anni particolarmente difficili per il settore agricolo, è stato possibile verificare che le aziende agricole aderenti al Pif, in entrambi i casi hanno potuto mantenere stabile o aumentare il proprio fatturato. Gli aumenti del fatturato si sono aggirati tra il 5 e il 10% rispetto all’anno prima dell’inizio del Pif (2010). Nel caso di Marche Bio anche il fatturato delle cooperative è risultato in crescita grazie all’aumento della capacità di trasformazione e a miglioramenti nella gestione. Per molte imprese la ragione dell’aumento del fatturato sta nel più alto prezzo di vendita. Per quanto riguarda i costi di produzione, nel caso della Toscana, il nuovo protocollo di produzione ne ha determinato un aumento a causa degli interventi di fertilizzazione richiesti dal disciplinare.
Nelle interviste è stato anche chiesto alle imprese agricole dei due progetti di attribuire un valore (alto, medio, basso) alle possibili ricadute del progetto (Tabella 2). Analogamente si sono espressi i capofila e gli altri soggetti. Dalle risposte si evince come per i produttori toscani di grano duro il Pif sia servito a realizzare il proprio obiettivo di accedere ai fondi per il rinnovo del parco macchine. L’introduzione dell’innovazione, cioè il nuovo piano di concimazione, ha inoltre consentito di aumentare la capacità produttiva. Minore è invece, da parte delle aziende, la consapevolezza delle modifiche intervenute nei rapporti di filiera, in quanto le aziende già delegavano questi rapporti al Consorzio Agrario in quanto acquirente del prodotto. Le modifiche intervenute nella filiera sono invece ben evidenti agli altri beneficiari del progetto dalle risposte del Consorzio e dei pastifici.
Nel caso, invece, delle Marche è soprattutto il ruolo delle cooperative ad essersi rafforzato da cui le risposte meno soddisfatte delle aziende produttive.

Tabella 2 - Livello di raggiungimento delle aspettative dei soggetti partecipanti

Fonte: nostra indagine diretta con i beneficiari

Conclusioni e raccomandazioni

Dall’analisi svolta sulla realizzazione dei due Pif oggetto del presente studio è stato possibile trarre alcune conclusioni principali che, senza pretesa di generalizzare considerato l’esiguo numero di Pif considerato, mirano ad enucleare quelli che possono essere considerati i fattori vincenti dei casi analizzati, da annoverare dunque tra le buoni prassi da riproporre.
I due casi analizzati, in un periodo di andamento negativo della produzione cerealicola, determinato da annate sfavorevoli (2012/2014), sono un esempio di come la progettazione integrata, garantendo un aumento del prezzo di acquisto del prodotto da parte delle strutture a valle nella filiera consolidando i rapporti di collaborazione tra aziende e Consorzi, possa consentire alle aziende aderenti di incremento consolidare la propria situazione economica e occupazionale.
La stabilizzazione del prezzo di vendita è il punto centrale dei progetti integrati di filiera che, insieme ad una più accorta assistenza agronomica da parte dei capofila, sembra aver creato le premesse per un potenziamento del quadro generale della filiera.
In particolare, merita di essere segnalata la sostenibilità della proposta progettuale anche di là del periodo di programmazione: ad esempio, nel caso della Toscana, la produzione della pasta con il marchio dei coltivatori toscani continuerà anche alla scadenza del Pif. Fondamentale in questo percorso è stato il miglioramento qualitativo della produzione, adattata alle esigenze della trasformazione, realizzato attraverso il coinvolgimento del segmento della ricerca. Tali modificazioni delle tecniche di coltivazione, in quanto costose, non sarebbero state adottate spontaneamente dalle aziende, se non fossero state vincolate da un accordo per loro favorevole sia in termini di prezzo che in termini di facilitazione all’acceso dei fondi Psr. Da ciò si evince il ruolo fondamentale del soggetto capofila che, con la sua funzione aggregativa e propositiva, deve riuscire a colmare quelle che sono le lacune storiche legate alla frammentarietà del tessuto produttivo italiano agendo da cerniera tra i vari soggetti che compongono la filiera. Il migliore stato di avanzamento dei due progetti esaminati rispetti agli altri Pif trova le sue ragioni anche nel forte radicamento sul territorio dei due soggetti proponenti. Laddove tali condizioni non si verifichino è opportuno che i Psr investano nel promuovere quel salto colturale nelle aziende agricole che faccia si che nascano strutture associative che facilitino l’aggregazione dal basso e che consentano alle aziende di rapportarsi con l’industria e la distribuzione.

Ringraziamenti

All'indagine ha partecipato il Dr. Leonardo Gallico, che si ringrazia per la collaborazione.

Riferimenti bibliografici

  • Inea (2010), Le filiere biologiche nelle Marche, sede regionale per le Marche

  • Mipaaf (2012), La progettazione integrata di filiera

  • Regione Marche (2011), Valutazione in itinere, intermedia ed ex post del Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013 Rapporto Finale Ecosfera Vic

  • Regione Toscana (2014), Valutazione in itinere, intermedia ed ex post del Psr 2007-2013 della Regione Toscana, Lattanzio e Associati Public Sector

  • Tarangioli S. (a cura) (2012), L’approccio integrato nei Psr 2007/2013, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari

  • Tarangioli S. (a cura) (2010), I progetti integrati di filiera obiettivi e strategie regionali (2010), Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Rete Rurale Nazionale

  • 1. La Iso 22005 (che recepisce le norme Uni 10939:01 e Uni 11020:02) è un sistema standard applicato volontariamente dal settore agroalimentare per la rintracciabilità nelle aziende e nelle filiere. Costituisce uno strumento indispensabile per: rispondere agli obblighi cogenti, valorizzare particolari caratteristiche di prodotto, quali l’origine/territorialità e le caratteristiche peculiari degli ingredienti e soddisfare le aspettative del cliente (inteso sia come Gdo, sia come consumatore finale).
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