Il progressivo assottigliamento della base produttiva agricola, in Italia come negli altri paesi europei, è da tempo al centro delle preoccupazioni dei policy makers e degli studiosi così come delle associazioni dei produttori. Agriregionieuropa ha dedicato attenzione al tema fin dal suo primo numero e poi con regolarità nel corso degli anni. All’interno di questo numero monografico sulla attuale fase di revisione della Pac non poteva dunque mancare un contributo dedicato a fare il punto su questo specifico aspetto.
I giovani imprenditori agricoli in Italia: una veloce panoramica
Prima di entrare nel merito della riforma della Pac, è opportuno dare un quadro generale della situazione dell’imprenditoria giovanile agricola in Italia. Il Censimento Generale dell’Agricoltura del 2010 mostra, tra l’altro, la struttura demografica degli agricoltori italiani. I dati confermano l’esistenza del forte squilibrio già manifestato da molti decenni. Sono in particolare i conduttori ad essere concentrati nelle classi di età più anziane: più di un terzo ha un’età uguale o superiore ai 65 anni, e solo il 5% circa ha meno di 35 anni. La diffusione dei dati raccolti con il Censimento del 2010 ha riguardato anche l’età delle altre figure della manodopera familiare; dati che in passato non erano pubblicati. Si vede così che il coniuge ed i “parenti del conduttore che lavorano in azienda” (e non coabitano) hanno una struttura d’età che in larga misura ricalca quella dei conduttori, anche se con punte verso l’alto meno accentuate. Viceversa, la situazione risulta invertita per la voce “altri familiari del conduttore che lavorano in azienda” (coabitanti), presumibilmente rappresentata in massima parte dai figli del conduttore. Questi sono concentrati prevalentemente nelle classi più giovani (il 42% ha meno di 35 anni), mentre è scarso il peso delle classi più anziane. Si può, quindi ragionevolmente ritenere che questo doppio “squilibrio” sia, almeno in parte, dovuto a dinamiche interne alla famiglia, ovvero, ad un processo di avvicendamento generazionale alla conduzione aziendale che avviene sui tempi lunghi. Tuttavia, guardando al complesso della manodopera familiare, si può affermare che dai 45 anni ai 74 anni la situazione sia grosso modo equilibrata, nel senso che le coorti più giovani sono in grado di sostituire quelle più anziane. In effetti, è la base della piramide demografica che si sta progressivamente restringendo ed i numeri assoluti del fenomeno evidenziano la sostanziale incapacità delle nuove leve di assicurare il pieno ricambio generazionale e dare continuità al settore nelle sue, pur ridotte, dimensioni e nell’attuale assetto strutturale.
In un recente studio, Carbone e Corsi (in corso di pubblicazione) mostrano come la complessità delle dinamiche demografiche interne alle famiglie agricole si rispecchi nei ruoli professionali dei componenti, intrecciandosi con gli ultimi decenni di storia economica del paese. Innanzitutto vale la pena di notare, seguendo lo studio citato, che le massicce fuoriuscite dal settore di imprenditori molto anziani, a cui ha corrisposto una altrettanto massiccia chiusura di aziende, rappresenta una sorta di ultimo capitolo della storia epica dell’esodo agricolo. Infatti i circa 800mila imprenditori usciti di scena nell’ultimo decennio appartengono alla generazione che a cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ‘60 aveva fra i 15 ed i 25 anni, ovvero sono gli agricoltori rimasti attivi in agricoltura mentre i coetanei si trasformavano in operai o altro.
Nelle altre classi di età, tutte molto meno consistenti, si registrano, tuttavia, ingressi netti, seppure di consistenza variabile. Questi sono in parte dovuti, al fenomeno del passaggio di status nell’ambito della manodopera familiare, ma in parte si tratta di nuove aziende/nuovi conduttori che hanno avviato una attività agricola con le motivazioni e nelle condizioni più diverse: "baby pensionati", persone che abbandonano la città e vanno a risiedere in campagna coltivando anche un pezzo di terra più o meno piccolo; imprenditori di altri settori che diversificano le attività; impiegati part-time o persone che si sono ritrovate ai margini del mercato del lavoro; ed altro ancora.
Un adeguato tasso di avvicendamento nella manodopera e soprattutto nella componente imprenditoriale in agricoltura è, ovviamente, necessario per assicurare un futuro al settore. Inoltre, gli agricoltori più giovani presentano caratteristiche specifiche in grado di assicurare maggiore efficienza ed innovatività ai processi; fattori dei quali il settore primario italiano ed europeo hanno profondamente bisogno.
Innanzitutto, guardando al livello di istruzione della manodopera familiare agricola, l’ultimo Censimento conferma che i più giovani studiano più a lungo: 10,7 anni per gli under 45, contro 9,1 anni per coloro che hanno un’età compresa fra i 45 e i 64 anni; mentre gli over 64 hanno mediamente passato sui banchi di scuola appena 5,9 anni. Gli imprenditori più giovani adottano ordinamenti produttivi e tecniche di produzione più complessi. Ad esempio, la concentrazione di imprenditori con meno di 45 anni nelle aziende biologiche è circa doppia rispetto alle aziende convenzionali, così come la loro concentrazione nelle aziende a specializzazione ortofloricola (circa 35%) e negli allevamenti (33% circa). La dimensione economica delle aziende condotte da imprenditori al di sotto dei 45 anni di età è circa 1,5-2 volte maggiore della media, sia per effetto delle maggiori dimensioni fisiche delle aziende che degli ordinamenti produttivi più intensivi ma, non meno importante, anche grazie alla maggiore produttività di queste imprese come testimoniano i valori sistematicamente superiori di Produzione Standard a parità di ordinamento e di dimensione economica e degli indicatori di Produzione Standard ad ettaro (4.200 Euro circa contro i 3.800 medi per tutte le classi di età) e per giornata di lavoro (intorno a 220 Euro al giorno contro una media di 197).
In definitiva, oggi come in passato, le aziende agricole condotte da imprenditori appartenenti alle classi di età inferiori fanno parte dell’agricoltura meglio dotata e più ricca. Questo corrisponde ad una logica economica: i giovani hanno una maggiore dotazione di capitale umano, grazie alla maggiore scolarizzazione; hanno davanti a sé un orizzonte temporale lungo sul quale poter far fruttare gli investimenti; hanno generalmente una maggiore propensione all’innovazione, per la stessa ragione; a parità di altre condizioni, gli imprenditori giovani presentano quindi una maggiore efficienza e redditività. A tutto questo è interessante aggiungere evidenza della loro maggiore capacità di attrazione dei fondi pubblici. Ciò è testimoniato dai dati delle erogazioni Pac per l’anno 2012 quando la quasi totalità delle imprese condotte da persone con meno di 40 anni ha ricevuto aiuti riconducibili al II pilastro, concentrando a sé ben il 39,3% delle erogazioni complessive destinate allo sviluppo rurale. Nello stesso anno circa la metà dei conduttori aziendali ricadenti nella stessa classe di età ha beneficiato di pagamenti erogati nell’ambito del I pilastro, per un ammontare di 445,3 milioni di Euro, pari al 14,8% del totale erogato nel I pilastro. Queste cifre testimoniano ben 3 diverse circostanze: i) la grande capacità attrattiva di fondi pubblici degli imprenditori più giovani; ii) la maggiore capacità di attrarre fondi selettivi, ovvero diversi dalle erogazioni più o meno automatiche; iii) la scelta di ordinamenti produttivi più svincolati dalla rete protettiva pubblica (es. orticoli e floricoli).
Incentivazione di nuovi insediamenti di giovani o del ricambio generazionale?
Le ragioni precedentemente illustrate giustificano pienamente l’importanza che l‘UE ha dato da lungo tempo alla presenza giovanile in agricoltura. Tuttavia, prima di passare ad esaminare le misure contenute nella riforma che sta per vedere la luce, appare opportuno ricordare al lettore due elementi di ambiguità che fino ad ora hanno contrassegnato l’intervento comunitario proprio per quanto riguarda la presenza giovanile.
In primo luogo, come da tempo e da più parti rilevato, l’intervento sui mercati, prima, ed il regime degli aiuti diretti al reddito connessi alla terra, successivamente, hanno entrambi agito nel corso di alcuni decenni come potenti generatori di barriere all’entrata, in quanto hanno inglobato nei valori fondiari la rendita generata dal titolo a beneficiare del sostegno. In questo senso, l’impianto della Pac nel suo complesso, lungi dal favorire il ricambio generazionale, lo ha ostacolato, come lo stesso Parlamento Europeo, ha rilevato (Carbone e Subioli, 2011).
In secondo luogo, nei regolamenti del primo e del secondo periodo dei Psr (Reg. (CE) 1257/1999 e 1698/2005) si parla di insediamento dei giovani agricoltori; l’espressione, e la formulazione dei “considerando” (“La concessione di particolari agevolazioni ai giovani agricoltori può favorire non solo il loro insediamento, ma anche l'adattamento strutturale della loro azienda dopo il primo insediamento”) indica che l’idea era quella di incentivare nuovi insediamenti, cioè l’inizio dell’attività agricola di soggetti che precedentemente non vi lavoravano. In questo senso, l’introduzione di un sussidio per il primo insediamento ha coerentemente il senso di aiutare a superare la soglia costituita dall’investimento iniziale necessario per iniziare una nuova attività. Nella pratica, il sussidio proposto si è rivelato, almeno in Italia, di dimensioni insufficienti ad affrontare il problema della soglia di ingresso, costituita dall’investimento in capitale agrario, ma anche spesso nell’acquisto di terra, reso necessario dallo stato del mercato fondiario e dalla scarsa diffusione dell’affitto. Ne è conseguito che spesso la misura si è tradotta in un incentivo al passaggio delle gestione aziendale dal conduttore al proprio figlio (o, figlia), che risultava quindi insediarsi come giovane imprenditore agricolo. Ora, questo risultato non è necessariamente da giudicarsi negativo: se non si tratta di un passaggio puramente formale che lascia di fatto invariata la gestione all’esponente della generazione maggiore, si ha un effetto di accelerazione del ricambio generazionale. Questa ha comunque generalmente un effetto positivo sull’efficienza e la redditività aziendale, sia per l’allungamento di orizzonte temporale degli investimenti in capitale fisico ed umano, sia per la maggiore scolarizzazione delle generazioni più giovani, sia per la maggiore creatività dei giovani. L’accelerazione del ricambio generazionale potrebbe quindi rientrare legittimamente fra gli obiettivi della Pac, ma occorrerebbe distinguerlo più chiaramente da quello dei nuovi insediamenti. Mentre per favorire il passaggio della gestione occorre un incentivo diretto, di per sé il passaggio della conduzione alla generazione successiva non richiede necessariamente particolari sussidi agli investimenti, che possono generalmente rientrare fra quelli comuni a tutte le aziende; anche se è possibile che in alcuni casi per allettare la nuova generazione a subentrare nella conduzione ci sia bisogno di un aiuto all’ingrandimento dell’azienda e agli investimenti, tali da renderla sufficientemente redditizia.
Questa distinzione fra l’obiettivo del ricambio generazionale e quello dell’insediamento di nuovi agricoltori giovani è importante per la valutazione della riforma della Pac, anche nell’ottica di tener conto dei risultati dell’esperienza passata dei Psr.
Le novità della riforma della Pac rispetto ai giovani
Non c’è dubbio che l’attuale riforma della Pac presenti una maggiore enfasi sulla questione dei giovani in agricoltura rispetto al passato. Da questo punto di vista, la maggiore novità è il pagamento disaccoppiato ai giovani agricoltori previsto nel primo pilastro. Sono considerati giovani agricoltori le persone fisiche che si insediano o si sono insediate come capo azienda per la prima volta entro i 5 anni precedenti la domanda per il pagamento di base, e non hanno più di 40 anni. Il pagamento per i giovani agricoltori si aggiunge agli altri pagamenti (quello di base, quello “green”, quello eventuale per le aree con vincoli naturali) per i primi 5 anni dall’installazione ed è finanziato fino al 2% del massimale nazionale; questa erogazione si aggiunge alle misure per i giovani previste dal secondo pilastro. Il pagamento annuale, secondo le ultime versioni circolate del regolamento, può essere organizzato in modi diversi dagli Stati membri. Una prima consiste nel numero di ettari eleggibili dichiarato dall’agricoltore moltiplicato per il 25% del valore medio dei titoli di pagamento a disposizione dell’agricoltore. Una seconda prevede di moltiplicare il numero di ettari eleggibili per un valore calcolato a livello nazionale, pari al 25% del pagamento di base medio previsto per il 2019, oppure della media nazionale dei pagamenti complessivi ad ettaro. Gli Stati membri devono anche scegliere il numero massimo di titoli di pagamento ammissibili, fra 25 e 90. Una ulteriore alternativa consiste in una somma uguale per tutti, indipendentemente dalle dimensioni, e pari al 25% del pagamento medio complessivo nazionale ad ettaro moltiplicato per il numero medio nazionale di ettari dichiarati dai giovani agricoltori che fanno domanda nel 2015; questa somma non può comunque, per il singolo agricoltore, eccedere il pagamento di base.
Quali sono i possibili effetti sull’imprenditoria giovanile delle novità della nuova Pac riguardanti il primo pilastro? Il possibile impatto del pagamento per i giovani agricoltori è stato stimato da Canali e Gjika (2012): il pagamento medio ad ettaro si colloca su valori molto modesti, fra i 51 ed i 59 Euro. Il pagamento totale per gli agricoltori dipende dagli ettari ammissibili il cui numero, come si è detto, ricadrà in una forcella fra 25 e 90 ettari, a discrezione degli Stati Membri. Un agricoltore con 90 o più ettari ammissibili potrebbe quindi al massimo avere un contributo annuo di 5.300 Euro. Ovviamente, la variabilità delle dimensioni aziendali è elevata, e le dimensioni delle aziende nella maggioranza dei casi sono inferiori, per cui la stima di Canali e Gjika è quella di un pagamento medio che, a seconda delle diverse ipotesi, varia fra i 944 ed i 1.112 euro, con circa metà degli aventi diritto che potrebbe ricevere un pagamento inferiore o pari a 600 Euro all’anno. Si noti che, poiché i calcoli si basavano su un massimale nazionale a regime per l’Italia allora indicato come pari a 3.841,6 milioni di Euro, mentre allo stato attuale risulta di 3.704.4, le loro stime vanno considerate in qualche modo ottimistiche.
Come in passato, anche la nuova programmazione 2014-2020 per lo sviluppo rurale contiene una misura specifica per favorire il primo insediamento di giovani agricoltori (art. 20). Il tetto massimo all’aiuto è fissato a 70mila Euro, con un ulteriore incremento rispetto alla programmazione precedente che lo aveva fissato a 55mila Euro. Inoltre, come e più di prima viene perseguita la logica della combinazione di più misure al fine di incrementare l’entità del sostegno ottenibile attraverso la formulazione di una vera e propria strategia di sviluppo aziendale complessa e coordinata che faccia aumentare le probabilità di successo del progetto imprenditoriale del giovane che si insedia e, quindi, accresca l’efficacia dell’intervento. Inoltre la combinazione di più misure accentua e rende più esplicita la finalizzazione ultima dei cosiddetti programmi. In effetti ciò che prima veniva chiamato “pacchetto giovani” ora prende il nome di sottoprogramma tematico giovani agricoltori, in analogia con una serie di altri sottoprogrammi tematici che gli Stati Membri possono decidere di attivare e che contemplano, appunto, l’offerta di un menù complesso che prevede la combinazione di più misure. I sottoprogrammi tematici, in buona sostanza, mirano a dare rilevanza agli obbiettivi ai quali il policy maker europeo affida un ruolo strategico nel rilancio della competitività del settore, della sostenibilità dei processi e della vitalità dei territori rurali. Il menù offerto dal sottoprogramma tematico per i giovani agricoltori prevede la possibilità di accedere a diverse misure. Al premio per il primo insediamento e l’avvio dell’attività imprenditoriale, il regolamento suggerisce di combinare: gli investimenti materiali (con un contributo all’investimento accresciuto fino al 20% rispetto a quello concesso ad agricoltori che non ricadono nella definizione di giovane agricoltore neoinsediato); il trasferimento di conoscenza e informazione; l’avvio di attività aziendali extra-agricole; i contributi per l’utilizzo di consulenza e assistenza; gli incentivi per l’avvio di attività in cooperazione con altre imprese, aspetto questo che nel regolamento ha assunto un ruolo importante, essendo presente in molteplici forme e con riferimento a svariate attività. Saranno poi i singoli programmi nazionali, o regionali, a definire la specifica composizione del menù da offrire nei diversi contesti al fine di favorire/stimolare una maggiore presenza giovanile nelle aziende agricole europee.
L’intervento appare in sé piuttosto generoso ed articolato. Tuttavia, al di là della prima impressione, permangono i dubbi di sempre circa la sua adeguatezza a cogliere l’obbiettivo di accrescere il tasso di ricambio generazionale, generando ingressi addizionali nel settore, ovvero attirando stabilmente verso l’attività agricola giovani che, in assenza del sostegno, avrebbero fatto altro. I dubbi riguardano due aspetti in particolare. Innanzitutto vi è l'entità del premio. Infatti, in alcuni paesi europei, tra i quali sicuramente c'è l'Italia, le condizioni del mercato fondiario rendono l’importo fortemente inadeguato a contribuire ai fabbisogni di finanziamento di una azienda che nasce. In secondo luogo, per attirare nuove risorse produttive in un settore, o anche solo per evitare che quelle presenti lo abbandonino (magari in occasione del passaggio di mano dai padri ai figli) è necessario che le aspettative di remunerazione di tali risorse siano soddisfacenti, ovvero paragonabili a quanto ottenibile in altri settori. Quindi, non è solo e non tanto l’aiuto ad insediarsi in una impresa a giocare un ruolo determinante nel ripopolare il settore quanto anche, e forse soprattutto, le condizioni offerte dal settore nel suo insieme per la competitività e profittabilità delle singole imprese (Carbone e Subioli, 2011). Ciò è, tra l’altro, anche testimoniato dai risultati di un’analisi svolta a livello provinciale in Italia che mostrano come le condizioni settoriali e macroeconomiche giochino un ruolo determinante nel favorire la presenza di giovani agricoltori (Carbone e Corsi, in corso di pubblicazione).
In questo senso c’è da sperare che tutto l’insieme delle misure previste dal Psr riesca a dare un contributo positivo e non irrilevante al rilancio della competitività e vitalità del settore agroalimentare e del mondo rurale.
Conclusioni
In definitiva, seppure lo sforzo di inserire misure in favore dei giovani nel I pilastro, storicamente “accusato” di generare forti ostacoli all’ingresso nel settore, sia da salutare positivamente, per lo meno in via di principio, occorre rilevare come le cifre del pagamento giovani offerte dal primo pilastro sono piuttosto modeste. Tanto da non lasciar ritenere che potranno contribuire veramente ad uno spostamento degli equilibri demografici nell’agricoltura europea, almeno in Italia e nei paesi più avanzati dell’UE. Quanto agli interventi previsti dal secondo pilastro, pur generosamente incrementati, anche questi non sembrano in grado di creare un incentivo sufficiente per favorire concretamente l’ingresso e l’avviamento di nuovi imprenditori in agricoltura. Ciò è senz’altro vero in alcuni paesi europei, come l’Italia, nei quali le condizioni del mercato fondiario rappresentano un ostacolo notevole, e spesso insormontabile, per i giovani non appartenenti a famiglie agricole che volessero divenire imprenditori agricoli. L’acquisizione della terra, fattore della produzione irrinunciabile, e la consistenza degli investimenti necessari, non appaiono superabili da incentivi della misura stimata nella maggior parte dei “Vecchi Stati Membri”, anche se nei Nuovi Stati Membri gli incentivi, se stabiliti ai livelli massimi consentiti, potrebbero avere invece effetti non trascurabili.
Diverso è il discorso per quanto riguarda l’accelerazione del ricambio generazionale inteso come passaggio di conduzione all’interno della famiglia a membri più giovani: per favorirlo, sono generalmente sufficienti incentivi di minore entità, in quanto il passaggio di conduzione non richiede necessariamente nuovi investimenti, anche se ovviamente questi sono auspicabili (ma rientrano nel meccanismo generale di incentivazione degli investimenti previsto dal secondo pilastro). Sotto questo aspetto, le novità della Pac nel primo pilastro e l’accentuazione degli interventi nel secondo dovrebbero essere sufficienti a fornire un incentivo all’accelerazione del ricambio della direzione aziendale all’interno delle famiglie agricole. Il problema del ricambio generazionale è però piuttosto quello della scarsa presenza stessa di candidati alla successione all’interno delle famiglie agricole: il forte calo del numero di aziende segnalato dall’ultimo Censimento sembrerebbe da attribuire principalmente alle dinamiche demografiche (Carbone e Corsi, di prossima pubblicazione), e i dati presentati indicano che laddove esistono aziende ed aree sufficientemente redditizie, si trovano giovani impegnati in agricoltura in maggior numero.
L’innalzamento dei livelli di efficienza del settore agricolo perseguito attraverso la politica a favore dei giovani agricoltori sarebbe più efficace se si puntasse più chiaramente ad una duplice direzione. Da una parte, si può cercare di accelerare il ricambio generazionale nella gestione delle aziende già presenti, con lo scopo di sfruttare la maggiore scolarizzazione ed il più ampio orizzonte temporale sul quale i giovani possono godere dei benefici degli investimenti e delle innovazioni; si tratta di un obiettivo per il quale le attuali politiche appaiono sufficientemente attrezzate. Dall’altra, si può cercare di favorire l’ingresso di nuove forze in agricoltura; ma in questo caso, occorrerebbe concentrare maggiormente gli sforzi, garantendo un sostegno molto più robusto, che ovviamente dovrebbe essere accompagnato da una forte selettività dei candidati, per garantirne l’efficacia, possibilmente accompagnandolo con azioni di supporto (Corsi, 2005) come quelle a suo tempo suggerite anche dall’esperienza francese1, anche attraverso l’affiancamento di nuovi agricoltori a quelli in procinto di lasciare l’attività senza successori familiari.
Riferimenti bibliografici
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Carbone A., 2005, La misura per l’insediamento dei giovani in agricoltura: pubblici vizi e “virtù” private, AgriRegioniEuropa, n. 0
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Carbone A., Corsi A., Sotte F., 2005, La misura giovani tra nuovo Regolamento sullo sviluppo rurale e prime evidenze dell’applicazione 2000-2003, AgriRegioniEuropa, n. 2
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Carbone A., Corsi A., in corso di pubblicazione, Dinamica generazionale e dimensione territoriale dell’agricoltura italiana, QA: rivista dell'Associazione Rossi-Doria
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Carbone A., Subioli G., 2011, The Generation Turnover in Agriculture: The ageing Dynamics and the EU Support Policies to Young Farmers, in Henke R., Severini S. e Sorrentino A. (a cura) The Cap After The Fischler Reform: National Implementations, Impact Assessment and the Agenda for Future Reforms, Ashgate, Farnham, 2011
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Cersosimo D., 2012, I giovani agricoltori tra famiglia e innovazioni aziendali, AgriRegioniEuropa, n. 31
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Cnasea «L’installation en agriculture. Analyse et perspectives», Cahiers du Cnasea, n° 1, 2001
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Cnasea «Les répertoires à l'installation» [link] 2005
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Corsi A., 2005, La mancanza di successori nelle aziende agricole familiari, QA-La Questione Agraria, n. 4
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Inea, 2013, Annuario dell’Agricoltura italiana 2012, Inea, Roma
- 1. Un’agenzia governativa svolge la funzione di raccolta e messa a disposizione delle offerte e domande di aziende e di terra, ma anche quella di consulenza per gli aspiranti acquirenti o cedenti (Cneasea 2001 e 2005). D’altronde proprio in questi anni alcune regioni italiane (es. Toscana e Molise) stanno istituendo Banche della Terra per dare avvio a iniziative di questo tipo (Inea, 2013).