Istituto Nazionale di Economia Agraria |
Introduzione1
Dopo oltre due anni dalla presentazione delle proposte di riforma della Commissione, il 26 e il 27 giugno sono stati raggiunti gli accordi politici sull’impianto normativo della futura Politica agricola comune (Pac) e sul Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020 (Qfp). Tali accordi hanno trovato la formalizzazione legale del Parlamento rispettivamente il 19 novembre e il 20 novembre scorso, quando in prima lettura sono stati approvati i relativi testi settoriali e il progetto di regolamento sul Qfp. Quest’ultimo è stato successivamente ratificato dal Consiglio il 2 dicembre scorso, mentre l’approvazione dei testi della politica agricola è attesa per il 16-17 dicembre.
I due percorsi negoziali sono andati di pari passo, con reciproche interdipendenze e hanno visto le istituzioni comunitarie (Consiglio dell’UE, Parlamento europeo e Commissione europea) coinvolte in due distinte procedure legislative: una procedura ordinaria per gli atti settoriali in materia di agricoltura che attribuisce al Parlamento europeo un potere di co-decisione, come previsto nel Trattato di Lisbona (2009); e una procedura speciale per le prospettive finanziarie 2014-2020 (Art. 312.2 del Tfue)2, in base alla quale il Parlamento europeo ha esclusivamente potere di approvare (o respingere) la posizione del Consiglio senza poter adottare emendamenti.
Il sovrapporsi del termine dell’attuale Qfp 2007-2013 e della definizione della Pac per il periodo post 2013, insieme alla prima applicazione della procedura legislativa ordinaria in tema di agricoltura, rappresentano tutti fattori che hanno determinato un allungamento dei tempi dell’accordo oltre le aspettative. Si è così reso necessario un rinvio dell’applicazione integrale della nuova Pac al 1 gennaio 2015, prevedendo l’attuazione di misure transitorie per il 20143. Sull’allungamento dei tempi e la complessità del negoziato ha influito, inoltre, la riduzione delle risorse disponibili rispetto alla programmazione precedente (-3,4%) – la prima contrazione nella storia dell’UE – e, in misura secondaria, l’allargamento – a negoziati già avviati – dell’UE da 27 a 28 Stati membri con l’ingresso della Croazia (Pierangeli, 2013). Infine, ad influire ulteriormente sui tempi di approvazione della riforma è stato il rinvio ad un successivo accordo specifico, raggiunto il 24 settembre, di alcuni nodi rimasti aperti dopo l’accordo di giugno, su cui il Parlamento europeo aveva insistito “per il rispetto dei [propri] poteri legislativi”, fissati dal Trattato di Lisbona (Parlamento europeo, 2013b). Si tratta nello specifico di questioni di carattere finanziario, quali: la degressività, la convergenza esterna e la flessibilità tra I e II Pilastro, oltre ai tassi di cofinanziamento nello sviluppo rurale e l’inserimento delle allocazioni nazionali per lo sviluppo rurale direttamente nel regolamento (AgraEurope, 2013 p. 1).
Focalizzando l’attenzione sul percorso della Pac e, in particolare, sui pagamenti diretti, il lungo processo negoziale – le cui tappe principali sono riportate nella tabella 1 – ha preso avvio con la proposta legislativa della Commissione europea in ottobre del 2011 (Commissione Europea, 2011b), anticipata di pochi mesi da quella sulle prospettive finanziarie (Commissione Europea, 2011a). Successivamente, in seno al Parlamento e al Consiglio sono stati definiti i mandati negoziali, entro marzo 2013, in vista dell’avvio del trilogo ad aprile 2013. Nel processo di definizione della riforma, la proposta originaria della Commissione europea ha subito importanti modifiche, recependo cambiamenti proposti dalle altre istituzioni comunitarie (Parlamento Europeo, 2013a; Consiglio dell’UE, 2013b). In particolare, il processo di definizione dei vincoli ambientali, previsti nel futuro impianto normativo, è stato ulteriormente complicato dalla contestuale contrazione delle risorse della Pac (-12%), a fronte dei maggiori costi determinati proprio dalle misure di greening.
Il presente lavoro analizza il percorso negoziale concentrandosi sulle fasi cruciali di tale processo: quella del “trilogo”, a cui ciascuna istituzione comunitaria è confluita con un negotiation mandate consolidato al proprio interno, e quella dell’accordo finale. Trattandosi di un processo – quello in via di conclusione – di importanza storica nell’UE, in virtù del fatto che per prima volta la Pac è stata riformata con una procedura legislativa che attribuisce al Parlamento europeo parità di ruolo rispetto al Consiglio nell’influenzare la legislazione agricola, il presente contributo ricostruisce e confronta le posizioni delle istituzioni comunitarie coinvolte nel negoziato e l’accordo politico finale. L’analisi si concentrerà non tanto sulla descrizione delle misure - già ampiamente analizzate in altri lavori4 - bensì sul ruolo e il contributo delle istituzioni presenti al trilogo, nella stesura della riforma. In particolare, il contributo si focalizzerà su due dei temi più dibattuti della riforma della Pac: il pagamento per le pratiche agricole benefiche per il clima e l'ambiente (greening)5 e la convergenza interna dei pagamenti diretti6. L’obiettivo del presente lavoro è di contribuire, in questo modo, al dibattito legato al funzionamento del nuovo sistema creato con il Trattato di Lisbona (2009).
Tale impostazione di analisi acquista rilevanza anche in considerazione del possibile ruolo che alcune proposte presentate in sede di trilogo, sebbene non recepite nell’accordo finale, potrebbero svolgere in una futura revisione della Pac. In passato, ad esempio, la Riforma Fischler (2003), nata come Mid Term Review di Agenda 2000, ha introdotto novità che andranno ben oltre la semplice verifica, con misure più incisive della riforma di partenza. Mentre più attenuato, ma in linea con l’impianto della riforma 2003, è stato il contenuto innovativo dell’Health Check (2009) rivolto a valutare l’opportunità di qualche aggiustamento in corso d’opera in vista del negoziato sulle prospettive finanziarie dell’UE dopo il 2013 (De Filippis, 2008). È chiaro, quindi, come un’analisi comparativa delle proposte della Commissione, del Parlamento e del Consiglio, oltre a descrivere il percorso di nascita della futura Pac, rappresenti una base di discussione su ulteriori sviluppi futuri.
Tabella 1 – Le tappe principali nella definizione del nuovo Qfp 2014-2020 e della riforma della Pac
Fonte: nostre elaborazioni su documenti Commissione Europea (2011a; 2011b), Parlamento Europeo (2013a; 2013b), Consiglio dell’UE (2013a; 2013b) e European Council (2013).
La convergenza interna e il valore dei titoli dal 2015
A causa dell'integrazione consecutiva di vari settori nel regime di pagamento unico e del conseguente periodo di adeguamento concesso agli agricoltori, è diventato sempre più difficile giustificare le notevoli differenze individuali nel livello del sostegno per ettaro, determinate dall'uso di riferimenti storici (Commissione Europea, 2011b). Sulla base di tale principio la Commissione, al fine di conseguire una distribuzione più equa del sostegno e perseguire un adeguamento progressivo dell’aiuto ad ettaro, ha previsto uno strumento di convergenza del valore dei titoli assegnati agli agricoltori. Si tratta di una novità nell’impianto normativo della Pac, in base alla quale tutti i diritti all'aiuto di un Stato membro avrebbero dovuto convergere ad un valore unitario uniforme7 al più tardi entro il 2019. Negli anni di transizione (2014-2018) era data facoltà agli Stati membri di differenziare temporaneamente il valore unitario dei diritti. Dunque, il valore di un titolo assegnato a un agricoltore sarebbe stato determinato, da un aiuto ad ettaro uniforme (destinando a questo il 40% del massimale per il Pagamento base), incrementato (utilizzando una quota – non superiore al 60% – del massimale per il Pagamento base) solo nei casi in cui l'agricoltore avesse subito una contrazione del valore dei propri titoli rispetto al 31 dicembre 2013 nell'ambito del regime di pagamento unico aziendale. Per i dettagli si rimanda alla tabella 2, quello che preme evidenziare è come tale misura, nel disegno della Commissione, si caratterizzasse per: obbligatorietà (tutti i titoli hanno uguale valore unitario), interezza (convergenza totale al più tardi entro il 2019) e scarsa derogabilità (posticipabile solo temporaneamente), determinando così un completo scollamento dai riferimenti storici e un pagamento ad ettaro uniforme a livello nazionale o regionale (flat rate).
L’accordo finale mantiene come regola generale l'impianto proposto dalla Commissione europea, con l'unica variazione relativa ai tempi della convergenza: non più sei anni a partire dal 2014, bensì cinque anni con inizio dal 2015, a causa dello slittamento dei tempi di implementazione della futura Pac accennato in precedenza. Tuttavia, le deroghe introdotte - che recepiscono le posizioni espresse dalle altre istituzioni comunitarie - lasciano un margine importante agli Stati membri per attenuare l'impatto redistributivo del meccanismo di convergenza inizialmente previsto. In definitiva, rispetto alle caratteristiche sopra indicate, l'accordo finale prevede: derogabilità (consentendo di differenziare il valore dei titoli su base storica) e parzialità (non più flat rate al 2019), determinando di fatto il mantenimento di un legame con i riferimenti storici; legame che risulterà tanto più forte quanto più "conservative" saranno le scelte fatte dagli Stati membri, entro il 1 agosto 2014, in relazione alle componenti opzionali dei pagamenti diretti e alle rispettive quote percentuali del massimale nazionale da destinarvi, nonché il tipo di convergenza e il tipo di distribuzione delle risorse del pagamento greening da attuare.
Di seguito si approfondiscono le modifiche apportate durante il negoziato alle singole componenti della misura della convergenza intera. In merito al flat rate, questo perde il carattere di obbligatorietà, lasciando agli Stati membri facoltà di mantenere un differenziale del valore dei titoli, legato allo storico, anche oltre il 2019. Sia il Consiglio che il Parlamento hanno concordato, infatti, sulla necessità di consentire di differenziare, a scelta dello Stato membro, il valore dei titoli anche al termine della riforma in questione: gli Stati membri dovrebbero avere la facoltà di tenere conto dei fattori storici nel calcolo del valore dei diritti all'aiuto che gli agricoltori dovrebbero detenere nel 2019. Ad ogni modo, in sede di trilogo, a questa facoltà viene posto un vincolo ben specificato: la condizione che nessun diritto all'aiuto nel 2019 potrà avere un valore inferiore al 60% della media. E' evidente l'analogia con la convergenza esterna fissata in seno al Consiglio Europeo (8 febbraio 2013)8. Nel considerare la differenziazione dei titoli, sia il Consiglio che il Parlamento avevano prospettato la fissazione di uno scostamento massimo dal valore medio. Ad ogni modo, nell'accordo finale è stata recepita la proposta del Parlamento europeo di evitare perdite destabilizzanti per alcuni agricoltori che "finanziano" il meccanismo di convergenza, consentendo agli Stati membri di limitare tale diminuzione al 30% del valore iniziale dei titoli.
Anche il meccanismo di convergenza viene interamente modificato, sostituendo il criterio di calcolo basato sul 40% di valore unitario ad ettaro e 60% basato sul valore storico dei titoli (Commissione europea, 2011b) con il cosiddetto modello irlandese che ricalca, per la perequazione interna ad un paese, il meccanismo utilizzato per la convergenza esterna tra Stati membri. In base a questo, uno Stato membro può decidere che, qualora il valore ad ettaro dei diritti all'aiuto di un agricoltore risulti inferiore al 90% del valore medio (nazionale o regionale) nel 2019 vengano aumentati di almeno un terzo della differenza tra il valore iniziale e il 90% del valore medio (Art. 22 della proposta sui pagamenti diretti). La modalità di finanziamento di tale incremento dei titoli con valore più basso, uscita dall'accordo del 26 giugno, rappresenta una novità rispetto a quanto prospettato dalle due istituzioni proponenti tale meccanismo. Infatti, mentre il Parlamento e il Consiglio avanzavano una contribuzione proporzionale, cosicché a fronte di scostamenti maggiori dalla media corrispondeva un tributo maggiore, il finanziamento degli aumenti di valore dei diritti all'aiuto sarà determinato in base a criteri oggettivi e non discriminatori che saranno stabiliti dagli Stati membri. Tali criteri possono comprendere la fissazione di una diminuzione massima del valore unitario iniziale dei titoli superiori alla media del 30%.
Infine, un ulteriore elemento di novità recepito nell'accordo finale, e rientrante nel mandato negoziale sia del Parlamento europeo che del Consiglio, riguarda il superamento del flat rate anche per la misura di greening, introducendo il cosiddetto greening individuale, che rappresenta un pagamento determinato in base al valore dei titoli di Pagamento base detenuti da ciascun agricoltore, preservando in questo modo un maggior legame con i riferimenti storici.
Dall’analisi emerge come in merito alla convergenza interna, ossia al processo di perequazione del valore di titoli in uno Stato membro, l'impianto proposto dalla Commissione è rimasto sostanzialmente inalterato come regola generale. Tuttavia, a fianco a questa sono state inserite deroghe significative che hanno ampliato i gradi di libertà degli Stati membri. Nel complesso, l'impatto è stato fortemente attenuato dalla deroghe introdotte a seguito del trilogo (se si considera la regola generale del flat rate quale termine di paragone). Come visto in precedenza, si tratta di deroghe che, a differenza di quella limitata nel tempo proposta dalla Commissione (ossia la possibilità di differenziare il valore dei titoli fino al 2018 incluso) mantengono la propria validità anche oltre il 2019, preservando una forte differenziazione dei titoli anche alla vigilia della prossima riforma della politica agricola dopo il 2020. Dall'altro lato, non va trascurato che tale meccanismo di convergenza rappresenta il primo strumento di avvicinamento del valore dei titoli e la concretizzazione di un principio volto a conseguire, nell'ambito circoscritto del primo pilastro, una distribuzione più uniforme dei titoli9. Inoltre, tale meccanismo di convergenza non può che rappresentare l'inizio di un adeguamento progressivo che - verosimilmente - non esaurirà i propri effetti in questa riforma.
Tabella 2 - Le posizioni delle istituzioni comunitarie sulla convergenza interna dei titoli
Fonte: nostre elaborazioni su documenti Commissione Europea (2011b), Parlamento Europeo (2013a) e Consiglio dell’UE (2013a e 2013b).
Il greening
Il greening definito dall’accordo politico raggiunto il 26 giugno (Tabella 1) prevede l’applicazione di tre requisiti ambientali: i) la diversificazione colturale, con almeno 2 colture se la superficie aziendale a seminativo è compresa tra 10 e 30 ettari e almeno 3 colture nel caso in cui tale superficie superi i 30 ettari, oltre a limiti di incidenza delle colture principali (75% della superficie per la coltura principale e 95% per le prime due colture); ii) il mantenimento (a livello aziendale o territoriale) del rapporto tra prati/pascoli permanenti e la superficie agricola totale, con una riduzione massima del 5%; iii) la destinazione di una quota di superficie (5%) ad area di interesse ecologico, per le aziende con più di 15 ettari a seminativo.
L’accordo raggiunto sulle misure ambientali presenta importanti modifiche rispetto alla proposta iniziale della Commissione europea del 12 ottobre 2011 (Commissione Europea, 2011b), introducendo numerose novità per quanto riguarda sia i criteri di esclusione che le soglie di applicazione di tali misure e più in generale la portata degli obblighi previsti. Tali modifiche derivano in molti casi dagli emendamenti, descritti nella tabella 3, proposti dalle altre istituzioni presenti al trilogo, Parlamento europeo e Consiglio dell’UE. Di seguito si cercherà pertanto di evidenziare i principali aspetti su cui, il Parlamento prima e il Consiglio poi, sono intervenuti e che hanno portato alla definizione delle misure ambientali per la futura Pac 2014-2020.
Tra gli emendamenti relativi alla misura di diversificazione colturale proposti da Parlamento e Consiglio e confermati in sede di accordo finale, c’è l’innalzamento della soglie di applicazione di tale misura a 10 ettari e l’obbligo delle 3 colture solo per le aziende con oltre 30 ettari a seminativo, una soglia dieci volte superiore rispetto a quella proposta dalla Commissione (3 ettari). Allo stesso modo, sono stati Parlamento e Consiglio a proporre l’incremento della quota massima per la coltura principale e l’introduzione per la prima volta dell’esclusione dall’obbligo di diversificazione (e di ecological focus area – Efa) per quelle aziende con una quota maggioritaria (>75%) di superficie a prati permanenti, foraggere o colture sommerse. Pertanto la necessità di “destinazione esclusiva” di tutta la superficie a seminativo ad una determinata coltura (proposta dalla Commissione), per l’esclusione dal vincolo di diversificazione, è stata sostituita con il concetto, mantenuto nell’accordo finale, di “destinazione prevalente” ad alcune specifiche produzioni. Un ulteriore sviluppo in tal senso, approvato in sede di trilogo, è stato proposto dal Consiglio che ha introdotto il criterio di prevalenza delle foraggere con riferimento alla sola superficie a seminativo, incrementando in tal modo le possibilità di esonero dal vincolo.
Per quanto riguarda la seconda misura di greening (mantenimento dei prati permanenti) è stato il PE a spostare l’applicazione da un livello aziendale (proposto dalla Commissione) a uno nazionale, regionale o sub-regionale, proponendo inoltre che il mantenimento non riguardasse più la superficie a prati e pascoli ma il peso di questa sulla superficie agricola totale. Tale impostazione verrà mantenuta nell’accordo finale portando ad un “alleggerimento” di quanto previsto dalla Commissione, anche in considerazione del fatto che un’eventuale applicazione a livello nazionale comporterebbe per l’Italia un obbligo simile a quello dell’attuale condizionalità. Il Consiglio, invece, nella sua proposta, sosteneva il ritorno ad una applicazione a livello aziendale del vincolo sui prati permanenti, prevedendo però allo stesso tempo una serie di deroghe che ne avrebbero consentito, come per il PE, l’applicazione in riferimento all’area agricola totale a livello territoriale.
L’obbligo di destinazione di superficie ad area di interesse ecologico è stato l’aspetto più discusso e controverso del greening (Frascarelli, 2013) e rappresenta la misura sulla quale le proposte del PE e del Consiglio si discostano maggiormente da quella della Commissione, ridisegnandola in modo significativo. Dal 7% di Efa ipotizzato dalla Commissione si passa, secondo il PE, a una applicazione graduale dal 3% a un eventuale 7% (dal 2018), vincolando tale aumento alla valutazione della Commissione e ad un ulteriore processo di codecisione. Nella proposta del Consiglio e nell’accordo finale, la soglia iniziale verrà posta al 5%, mantenendo però la procedura di innalzamento al 7%, che data la complessità difficilmente troverà applicazione. Un principio importante sancito dal PE e confermato in sede di accordo è che l’applicazione del greening riguarderà solo le superfici a seminativo, escludendo le colture permanenti dal vincolo di Efa. Su questo aspetto la posizione del Consiglio diverge sostanzialmente da quella Parlamento, reintroducendo il vincolo di Efa anche sulle colture permanenti, come ipotizzato dalla Commissione, ma prevedendo che queste vengano considerate come superficie ecologica in determinate condizioni (tra 20 e 250 alberi/ha o su pendii >10%). In questi casi le aziende avrebbero avuto, quindi, la possibilità e il vantaggio di utilizzare l’area a colture permanenti per soddisfare il vincolo di Efa anche sull’eventuale superficie a seminativi. Come detto, la metodologia di calcolo proposta dal Consiglio non troverà seguito nella proposta finale, più vicina, almeno su questo punto, alla posizione del Parlamento.
Dalla tabella 3 è evidente come ci siano poi numerosi altri elementi di attenuazione della misura di Efa proposti dal Parlamento e dal Consiglio, che si ritroveranno, seppure con qualche modifica, nel testo definitivo: tra questi l’esclusione dal vincolo in base alla prevalenza di colture foraggere e l’applicazione solo oltre una determinata dimensione (15 ettari a seminativo nell’accordo finale). Viene poi introdotto il concetto, assente nella proposta della Commissione, di possibili produzioni sulle superfici ecologiche (senza l’uso di pesticidi, azoto-fissatrici, ecc.) e di eventuali corridoi di biodiversità, con la possibilità di applicazione dell’obbligo di Efa a livello regionale su aree contigue, ridistribuendo così l’onere del vincolo a livello territoriale. Al Consiglio va inoltre attribuito il riconoscimento, confermato in sede di trilogo, della funzione ambientale delle colture leguminose. Queste ultime, oltre a poter rientrare tra le aree di interesse ecologico come colture azoto-fissatrici, secondo il Consiglio concorrono, insieme alle foraggere, al raggiungimento della soglia di esclusione del 75% della superficie a seminativo.
Per quanto riguarda, infine, le condizioni di equivalenza di greening, sia il Parlamento che il Consiglio propongono un ampliamento delle possibilità di esclusione dalle misure ambientali prevedendo deroghe, oltre che per gli agricoltori biologici, anche per le aziende destinatarie di pagamenti per le misure agro ambientali o in possesso di altre certificazioni ambientali nazionali o regionali. Tali emendamenti sono stati recepiti anche in sede di accordo finale a differenza della proposta del PE di assegnazione del pagamento verde ipso facto alle aziende nelle aree Natura 2000, che dovranno invece rispettare le nuove pratiche ambientali.
Dall’analisi svolta emerge come nel percorso che ha portato alla versione finale del greening, molti degli emendamenti proposti dal PE e dal Consiglio, nelle rispettive proposte del marzo 2013, siano stati successivamente ripresi nell’accordo del 26 giugno. Entrambe le proposte derivano da un lungo processo di sviluppo del mandato negoziale che nel caso del PE già nel giugno 2012 aveva prodotto un primo progetto di relazione della Comagri sulla proposta di regolamento relativa ai pagamenti diretti; a questo erano seguiti, nel luglio 2012, oltre 5.000 emendamenti dei deputati sull’intera Pac, per poi arrivare alla proposta votata a marzo 2013, che rappresenterà la posizione ufficiale del PE in sede di negoziato. Già nella proposta di giugno 2012, sebbene distante da quella definitiva del marzo 2013, si ritrovano alcuni elementi di netto distacco dalla proposta della Commissione, come l’innalzamento delle soglie di applicazione della diversificazione (5 ettari a seminativo rispetto ai 3 ettari proposti dalla Commissione) e l’applicazione del vincolo di Efa solo oltre una determinata dimensione aziendale (>20 ettari di superficie ammissibile). La proposta del Consiglio dell’UE, presentata a distanza di poco tempo da quella definitiva del PE, sebbene presenti aspetti in comune con quest’ultima, introduce anch’essa importanti elementi di novità, in parte recepiti nell’accordo finale del 26 giugno.
Tabella 3 - Le posizioni delle istituzioni comunitarie sul greening
Fonte: nostre elaborazioni su documenti Commissione Europea (2011b), Parlamento Europeo (2012 e 2013a) e Consiglio dell’UE (2013a e 2013b).
Conclusioni
A distanza di due anni dalle proposte iniziali della Commissione e dopo oltre due mesi dall’inizio del negoziato, le istituzioni coinvolte nel trilogo hanno raggiunto l’accordo politico sulla Pac che orienterà le aziende agricole europee dal 2014 al 2020. Il percorso legislativo ha rappresentato una novità rispetto al passato in virtù dell’estensione di poteri di co-decisione al Parlamento europeo in materia di agricoltura. Ne è risultato un processo particolarmente complesso e lungo, anche in virtù del contestuale negoziato sulle future prospettive finanziarie e della riduzione delle risorse per la Pac. La necessità di rinviare l’applicazione integrale della nuova Pac al 1 gennaio 2015, prevedendo misure transitorie per il 2014, evidenzia come l’allungamento dei tempi per raggiungere l’accordo sia andato oltre le aspettative. Inoltre, risulta evidente come ciascuna delle istituzioni coinvolte risponda a logiche e istanze differenti. Le divergenze sono risultate molto ampie in relazione al processo negoziale sul Qfp 2014-2020 e legate sostanzialmente a due visioni opposte del ruolo del budget comunitario come “effetto leva”: con il Consiglio in linea con il processo di consolidamento fiscale intrapreso dagli Stati membri, e il Parlamento maggiormente orientato ad un rafforzamento del Qfp per favorire la crescita e l’occupazione (Parlamento Europea, 2013a). Tali approcci sulla questione finanziaria hanno inciso chiaramente anche sulle risorse per l’agricoltura. In merito alla riforma della Pac, e in particolare facendo riferimento a quanto emerso nei due approfondimenti qui presentati, le proposte del Consiglio e del Parlamento – pur mostrando divergenze importanti su questioni politicamente sensibili – sono risultate meno distanti tra loro, rispetto alla proposta della Commissione. Questa situazione ha avuto chiaramente un impatto rilevante sul risultato finale dell’accordo, che recepisce molti degli emendamenti negoziali alla proposta iniziale. A riguardo, non va trascurato il diverso ruolo esercitato della Commissione, di supporto tecnico e iniziativa legislativa, rispetto alla funzione di co-decisione in capo alle altre due istituzioni.
In merito alla convergenza interna dei titoli, la portata redistributiva delle misure previste è stata nettamente attenuata dalla deroghe introdotte, sebbene bisognerà attendere le scelte degli Stati membri per poter valutare quale sia l’impatto complessivo in termini di perequazione delle risorse. Gli importanti margini di flessibilità concessi ai policy maker nazionali è stata considerata in modo bipolare: un valore aggiunto al fine di rendere l’attuazione più mirata, da un lato, e l’assenza di procedure comuni nella distribuzione dei pagamenti diretti, dall’altro.
Ad ogni modo, non va trascurato come, storicamente, la Pac abbia introdotto modifiche graduali, evitando brusche ricadute, spiazzamenti del tessuto produttivo e conseguenze finanziarie destabilizzanti per gli agricoltori, con un adeguamento progressivo che ha spesso mostrato una netta path dependecy (Crescenzi et al., 2012). Dall’altro lato si è spesso assistito ad un innalzamento graduale di principi inizialmente introdotti con impatti relativamente moderati (si pensi ad esempio della modulazione, che è stata resa più incisiva con l’Health Check).
Anche le misure ambientali introdotte dalla Commissione, e che riguarderanno le aziende agricole europee nei prossimi anni, escono nettamente ridimensionate dal negoziato (Arfini et al., 2013, Solazzo e Donati 2013). Dall’analisi dell’evoluzione dei principali aspetti del greening risulta evidente come l’accordo di giugno rappresenti un compromesso tra le posizioni del Parlamento e del Consiglio, distaccandosi significativamente da quella iniziale della Commissione. Il potenziale impatto del greening sulle aziende italiane è stato quindi mitigato nell’accordo finale, riprendendo molti dei principi di alleggerimento proposti sia dal Parlamento, come l’esclusione delle colture permanenti dall’Efa, sia dal Consiglio, come l’ampliamento dei criteri di esclusione e delle possibilità di adempimento collettivo dei vincoli. Questo ha una valenza ancora maggiore in una agricoltura come quella italiana caratterizzata da una dimensione media aziendale (8 ettari) inferiore a quella prevista dall’accordo finale per l’applicazione delle misure ambientali. Inoltre, per le aziende che dovranno comunque sottostare alle misure di greening, la difficoltà di applicazione è stata significativamente attenuata e in alcuni casi i vincoli sono stati spostati ad un livello sovra-aziendale, distribuendo l’onere tra un numero maggiore di soggetti e favorendo la creazione di corridoi di biodiversità.
A conclusione del percorso sopra descritto, che ha riguardato le istituzioni europee nella definizione della futura Pac, se ne apre un altro non meno rilevante nel quale sono direttamente coinvolti i singoli Stati membri. L’accordo finale ha, infatti, aumentato notevolmente la discrezionalità delle istituzioni nazionali nell’applicazione di alcuni aspetti della riforma, primo fra tutti quello della convergenza interna dei pagamenti diretti. Bisognerà quindi seguire con particolare attenzione le scelte che gli Stati membri adotteranno nei prossimi mesi per capire quale sarà la reale portata della riforma e come questa inciderà sull’agricoltura europea.
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- 1. Gli autori deriderano ringraziare Roberto Henke per i preziosi commenti a una precedente stesura dell'articolo
- 2. [link]
- 3. Proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council laying down certain transitional provisions on support for rural development by the European Agricultural Fund for Rural Development (Eafrd) and amending Regulation (EU) No [RD] as regards resources and their distribution in respect of the year 2014 and amending Council Regulation (EC) No 73/2009 and Regulations (EU) No [DP], (EU) No [HZ] and (EU) No [sCMO] as regards their application in the year 2014, 15049/13, Brussels, 24 October 2013.
- 4. Si vedano al riguardo: Inea (2013); De Filippis e Sandali (2013).
- 5. Si vedano al riguardo: Matthews (2012 e 2013), Povellato (2012) e Frascarelli (2013).
- 6. Per una ricostruzione e analisi puntuale delle posizioni del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione in merito al Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020 si veda: Parlamento Europeo (2013c).
- 7. In quel che segue si farà genericamente riferimento a valore unitario uniforme, in termini di aiuto ad ettaro, senza specificare il contesto territoriale di riferimento. Tuttavia, va tenuto conto che la proposta di regolamento relativa ai Pagamenti diretti consente di applicare il Pagamento Base sia a livello nazionale (Art. 19) che regionale (Art. 20).
- 8. In quel caso era stato previsto il livello di 196 euro ad ettaro quale soglia minima per ciascun Stato membro (Euco, 104/2/13).
- 9. Nella relazione che accompagna la proposta iniziale (Com(2011)625def), la Commissione Europea (2011b) fa riferimento a “una distribuzione più equa del sostegno”, quale motivazione per la convergenza a livello nazionale o regionale. Ad ogni modo, va tenuto conto che l’ “equità” è un concetto complesso da identificare. In linea generale, “it is meaningful only when a dimension is defined for its assessment” (Anania, 2010 p. 1). Per un approfondimento si rimanda ad Anania (2010) e Tangermann, 2011).