Modelli agricoli e politiche agricole
Chi di questi tempi abbia occasione di riflettere sul prossimo futuro non può che constatare l’enorme instabilità che caratterizza il contesto in cui viviamo. In campo economico, in pochi anni siamo passati da una crisi dovuta ai prezzi altissimi del petrolio e delle derrate alimentari, ad una crisi finanziaria paragonabile a quella del 1929, ad una recessione anche questa di proporzioni fuori del normale, prolungata in molti casi dalla necessità degli Stati nazionali di rimettere ordine nei conti pubblici disastrati dalle politiche anticicliche e da un debito pubblico già notevole. Il sensibile differenziale di crescita tra paesi occidentali e paesi emergenti rende evidente il cambiamento degli equilibri geopolitici. Il picco del petrolio, il tendenziale esaurimento delle risorse naturali e il cambiamento climatico generano preoccupazioni anche in soggetti che in altri casi avrebbero teso a minimizzare o a trascurare queste tendenze e, nel mutato scenario geopolitico, scatenano forme di competizione che rompono le consolidate retoriche multilaterali. I cambiamenti demografici, sia quelli derivanti dai saldi naturali che quelli legati alla mobilità geografica, aggiungono ulteriori fonti di complessità. Da questo contesto non può certo astrarre chi si occupa di agricoltura e territorio rurale.
Nella prospettiva del 2013 è fiorito un grande numero di documenti sul futuro auspicabile della Pac. Allan Buckwell (2008) ha classificato le rispettive posizioni in tre modelli: a) il modello anglosassone, sensibile alla liberalizzazione dei mercati agricoli e consapevole dei fallimenti di mercato, che dunque propone di concentrare gli aiuti (in un quadro di complessiva riduzione del budget) sulla domanda di public goods; b) il modello ‘romance’, che ha forti dubbi sulle virtù della liberalizzazione e dunque richiede un adeguato livello di protezione in nome della sicurezza alimentare, dell’impresa familiare, della salvaguardia delle comunità rurali e del paesaggio; c) il modello ‘verde’, che tace sugli aspetti relativi al mercato e concentra la sua attenzione sull’agricoltura come gestione dell’agroecosistema, e chiede dalla Pac un forte sostegno in questa direzione.
I tre modelli, per quanto lo stesso Buckwell ammetta di correre il rischio di averne fatto una caricatura, non riescono a rispondere ad uno dei dilemmi principali: in che modo gestire il rapporto, spesso conflittuale, tra mercato e obiettivi pubblici? Per il modello anglosassone si tratta di riproporre la gestione dei fallimenti del mercato. Per il modello ‘romance’ la soluzione è quella protezionistica. Per il modello verde il silenzio sul mercato rende implicito uno schema dualistico tra le imprese competitive e integrate nel mercato senza bisogno di sussidi, e le aziende concentrate sulla gestione degli agro-ecosistemi con il supporto pubblico.
A ben vedere, nessuna delle posizioni è in grado di andare oltre il tradizionale dilemma stato/mercato. In tutti i modelli, il mercato è considerato la forza dominante, eventualmente da gestire, come nel caso del modello ‘romance’, attraverso un adeguato sistema di vincoli e di protezioni. E’ su questo aspetto che si dovrà cominciare a rivolgere l’attenzione principale. In che modo affrontare il problema?
Le trasformazioni rurali e l’adeguamento delle politiche
Guardare in profondità alle politiche di sviluppo rurale è forse la chiave per affrontare i problemi non risolti cui si accennava sopra. Lo sviluppo rurale costringe infatti ad affrontare esplicitamente il rapporto tra stato, mercato, società civile e sistemi della conoscenza, tutti aspetti che fanno parte del repertorio degli strumenti di intervento disponibili. Bisognerà dunque chiedersi se gli strumenti disponibili siano sufficienti e se il modo con cui finora sono stati utilizzati sia adeguato, soprattutto alla luce dei processi di cambiamento che la ruralità ha subito negli ultimi anni. Una delle principali trasformazioni da prendere in considerazione concerne il rapporto città-campagna. Come ha messo in luce il rapporto OCSE del 2006, l’intensificarsi del fenomeno del pendolarismo su distanze sempre più ampie ha rafforzato la sfera di influenza delle aree urbane, stabilizzando la direzione dei flussi migratori dalla campagna alla città. Il rapporto Les nouvelles ruralités en France à l'horizon 2030 (Mora, 2008) calcola che in Francia l’82 per cento della popolazione rurale risieda nei cosiddetti comuni periurbani, ovvero comuni che ricadono sotto l’influenza economica dei grandi poli urbani. Oltre all’espansione del raggio di influenza della città, la campagna subisce anche un arretramento fisico, se è vero, come sottolinea il rapporto della European Environment Agency (2006) che tra il 1990 e il 2000 la crescita urbana ha consumato circa 8 mila km2 della superficie europea, ovvero un’area pari al Lussemburgo. Il secondo processo di cambiamento riguarda l’indebolimento della capacità delle aree rurali di produrre i cosiddetti ‘servizi dell’ecosistema’. Secondo il rapporto dell’ELO (2008), dagli anni Settanta ad oggi abbiamo assistito ad una rilevante perdita di biodiversità (dal 2% al 37% a seconda delle tipologie) e di habitat naturali. Secondo il rapporto dell’EEA sull’uso dell’acqua in Europa (EEA, 2009) sette paesi europei, compresa l’Italia, sono classificati come ‘sottoposti a stress idrico’. Un altro rapporto della European Environment Agency sottolinea il processo di degradazione dei suoli europei sotto la pressione di fenomeni come l’erosione, il compattamento, la salinizzazione, le frane (EEA, 2007).
Il terzo processo di cambiamento riguarda l’invecchiamento nelle campagne. Se l’invecchiamento della popolazione europea è comune a gran parte dei territori europei (la percentuale di popolazione con età superiore ai 65 anni è oggi intorno al 17% e in molti paesi ha superato il 20%), per le aree rurali questo trend è ancora più accentuato. Esso si ripercuote anche sull’età media degli agricoltori: nell’ Europa a 27, più di un terzo dei conduttori ha un’età superiore ai 65 anni.
La quarta trasformazione riguarda l’evoluzione dei modelli tecnico-economici di impresa e, ad un livello superiore, dei modelli di sviluppo locale. Lungi dall’essere completata, la transizione al modello multifunzionale è ancora in itinere, e un esame di ciò che accade nelle campagne oggi mostra la presenza di modelli di impresa fortemente innovativi e in crescita, sebbene legati ancora a piccoli numeri, di imprese che hanno avviato un graduale processo di diversificazione e di estensivizzazione, di imprese che sono ‘bloccate’ a causa degli investimenti precedenti su modelli tecnico-economici non più adeguati, e di imprese, infine, che invece di avviarsi sul sentiero della multifunzionalità hanno scelto sentieri opposti, etichettati da una certa letteratura come modelli di neo-modernizzazione, in quanto basati sul massiccio ricorso alle nuove tecnologie, alla crescita della scala produttiva, all’adeguamento gestionale alle nuove opportunità offerte dalla globalizzazione.
La quinta trasformazione riguarda i processi di decentramento avviati con i programmi Leader prima e con i piani di sviluppo rurale poi. Tali processi hanno promosso una riconfigurazione dei processi decisionali, fatto emergere nuovi attori e nuovi problemi, sostenuto processi di differenziazione territoriale. Il passaggio da un approccio settoriale ad un approccio territoriale ha inevitabilmente messo in evidenza la necessità di coordinamento orizzontale (tra diversi settori dell’amministrazione) e verticale (tra livelli diversi).
Le questioni aperte
Dall’analisi di questi processi emerge una serie di domande. La prima riguarda i cambiamenti del rapporto urbano-rurale dei nuovi trend sociali, economici e ambientali. In che modo adeguare gli obiettivi di sviluppo delle aree rurali in funzione delle nuove relazioni città-campagna? Se la capacità della campagna di fornire servizi ambientali diminuisce, sarà compito delle politiche rurali di ripristinare questa capacità. Questo significa che i cosiddetti modelli endogeni e neo-endogeni, che fanno leva sull’autonomia dei territori rurali e anche su un’idea di campagna post-produttivista, dovranno essere rivisti in funzione della domanda di cibo e di servizi ambientali, sociali e ricreativi che la città esprime. E’ possibile, in questo caso, pensare alla politica rurale come parte integrante di una nuova politica urbana? Se gran parte della filosofia di intervento è maturata nelle aree a ruralità prevalente, nel futuro la politica rurale potrà essere vista come un fondamentale strumento per la qualificazione delle aree rurali periurbane e per il contenimento dell’espansione urbana.
La seconda domanda riguarda i modelli di impresa. Come si accennava sopra, vi è una crescita costante delle aziende che hanno avviato o consolidato approcci imprenditoriali multifunzionali. Ma fino a che punto questi approcci possono estendersi alla maggioranza delle imprese? Quali sono le barriere che impediscono questo percorso? In che modo una diversa articolazione tra stato, mercato, società civile e sistemi di conoscenza può contribuire ad avanzare su questo percorso?
La terza domanda riguarda la governance delle politiche rurali. Molto si è discusso in Italia su questo tema, e alcune delle riflessioni che hanno caratterizzato la nostra comunità scientifica sono state riprese dalla legislazione, come nel caso dei distretti agricoli e rurali. Ciononostante, l’impressione prevalente è che questi esperimenti siano ancora lontani da aver definito un percorso tale da migliorare, anche se gradualmente, il grado di coordinamento necessario e un rapporto adeguato tra investimenti e risultati. Questo implica che si dovrà lavorare di più sui processi di implementazione, e in particolare sulla progettazione, la selezione dei progetti, il monitoraggio e la valutazione. Non si dovrebbero trascurare, a questo riguardo, le motivazioni e gli atteggiamenti di tutti gli attori coinvolti in questi processi, spesso non certo convergenti.
Tutti questi temi sono affrontati in questo numero speciale di Agriregionieuropa. Una prima parte è dedicata alle trasformazioni della ruralità, e in particolare sul mutare di significato del rurale, sui rapporti città-campagna, sui nuovi rapporti tra agricoltura e territorio rurale. La seconda parte riguarda le dinamiche delle imprese multifunzionali in un contesto in cambiamento. La terza parte affronta i problemi della governance, e in particolare le tematiche dei distretti rurali e delle nuove forme di progettazione integrata. La quarta parte, infine, presenta commenti e dati sull’attuazione delle politiche di sviluppo rurale nell’ultimo ciclo di programmazione.
Il quadro complessivo che emerge è molto ricco di spunti, probabilmente in grado più di generare nuove domande, che di dare risposte. Se questo si realizzasse, potrebbe già essere considerato un notevole risultato.
Riferimenti bibliografici
- Birdlife International. (2008). New challenges, new CAP Birdlife International ’ s vision for the future. Retrieved from [link].
- Buckwell, A. (2008). A CAP fit for the 21st Century. Rivista di Economia Agraria, (3), 313-338.
- European Commission (2008) The 2nd SCAR Foresight Exercise. Synthesis report. New challenges for agricultural research: climate change, food security, rural development , agricultural knowledge systems. Bruxelles
- European Environment Agency (2008). Climate for a transport change.
- European Environment Agency. (2006). Urban sprawl in Europe. The ignored challenge.
- European Environment Agency (2009). Water resources across Europe — confronting water scarcity and drought. Copenhagen. Retrieved from [link].
- European Landowners' Organization. (2008). The 21 Century Land Use Challenge. Security. London. Retrieved from [link].
- Mora O. (ed (2008). Les nouvelles ruralités en France à l'horizon 2030. Paris: INRA.
- OECD (2006). The New Rural Paradigm. Paris: OECD.