La Nota Pastorale della Chiesa italiana su "Il mondo rurale che cambia": una lettura

La Nota Pastorale della Chiesa italiana su "Il mondo rurale che cambia": una lettura

Premessa 1

Ad oltre trent’anni dalla prima nota pastorale (La chiesa e il mondo rurale italiano -1973), la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ne pubblica un aggiornamento 2 Fin dal suo sottotitolo si sottolinea il cambiamento intervenuto in questo lasso di tempo. Senza peccare di retorica, il cambiamento, nell’agricoltura e società italiana, è stato radicale. E’ cambiato tutto: scenari economici, demografici, sociali, politici, impiego delle tecnologie. La Nota Pastorale Mondo rurale che cambia e la Chiesa in Italia (CMR) fa riferimento a questi cambiamenti, annotando correttamente la loro diversificazione spaziale e culturale, e cerca di leggerli nell’ottica “pastorale” che le è propria. La sua finalità è, infatti, quella di fornire una testimonianza di attenzione ed orientamenti per una efficace azione pastorale. Pertanto nella lettura del documento bisogna tener conto di queste finalità. 3

I valori e i principi di riferimento

Il documento si muove lungo le coordinate classiche della teologia morale della Chiesa: da un lato trascendenza della persona umana e sulla base di questo valore infinito sono prioritari la valorizzazione e la tutela dell’uomo e di tutti gli uomini (e quindi l’affermazione dei diritti fondamentali alla vita, all’uguaglianza, alla giustizia e alla libertà); e dall’altro, il riconoscimento, anch’esso trascendente, della sua vocazione e della sua responsabilità “di coltivare e custodire il creato” (Gen. 2,15).
Occorre, ovviamente, collocare questo documento all’interno del Magistero della Chiesa, che oggi trova una sistematica esposizione nel “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa”(CDS) 4. Mi sembra indispensabile, come una necessaria esplicitazione dei “giudizi di valore”, richiamarne alcuni principi quali corollari al valore della dignità e dell’uguaglianza di tutte le persone.
Il principio del bene comune in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo (la persona non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere del suo essere “con” e “per” gli altri). Il bene comune non consiste nella somma dei beni particolari di ciascun soggetto sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Il bene comune impegna tutti i membri della società: nessuno è esente dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo. Il bene comune è la ragion d’essere dell’autorità politica, che ha il compito di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali. Infine, il bene comune ha valore solo in riferimento al raggiungimento del fine ultimo della persona (la sua piena dignità) e al bene comune universale dell’intera creazione (CDS, § 164/170).
Il principio della destinazione universale dei beni della terra, che trae origine dalla circostanza che Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti senza esclusione e privilegi. Tale principio è alla radice dell’universale destinazione dei beni della terra e alla base del diritto universale all’uso dei beni 5. Questo diritto comporta uno sforzo comune teso ad ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizioni necessarie allo sviluppo integrale, così che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano. Al principio della destinazione universale dei beni, la CDS collega l’opzione evangelica preferenziale dei poveri (CDS, § 171/184). L’attenzione alla giustizia e ai poveri è stata oggetto, con frequenza negli ultimi tempi, delle Encicliche Sociali dei Papi e della Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II “Gaudium et Spes”   6 La Chiesa è intervenuta, con chiarezza e coraggio, per denunciare le disuguaglianze e la povertà estrema, cui sono condannati moltissimi paesi del cosiddetto Terzo mondo e, al loro interno, le aree rurali. La questione sociale dall’ambito nazionale, prima preoccupazione del pensiero sociale (gli effetti dell’industrializzazione: la questione operaia, gli squilibri città-campagna) ha ormai dimensione planetaria e investe in pieno la responsabilità dei paesi ricchi. La Chiesa Universale si sente cioè coinvolta nella lotta alla povertà e al degrado ambientale 7. Le soluzioni alla drammatica problematica ambientale, nella sua dimensione planetaria, non possono essere motivo di ulteriore aggravamento delle cause di povertà esistenti. Sono le terre dei poveri della terra quelle più a rischio di erosione e desertificazione, spesso luoghi di guerre fratricide e caricate del debito estero: in questi casi la fame e la povertà rendono inevitabile lo sfruttamento intensivo ed eccessivo dell’ambiente (CDS, § 481/482).
Connesso al principio della destinazione universale dei beni della terra, la Chiesa estende tale principio alle nuove conoscenze, tecniche e scientifiche, che “devono essere poste a servizio dei bisogni primari dell’uomo, affinché possa accrescersi il patrimonio comune dell’umanità”. E ammonisce: “Occorre rompere le barriere e i monopoli che producono per tanti popoli marginalizzazione ed esclusione dallo sviluppo tecnologico e scientifico” (CDS, § 179). Va favorita l’autonomia scientifica e tecnologica da parte dei popoli svantaggiati, promuovendo gli interscambi, liberi da vincoli ingiusti di conoscenze scientifiche e tecnologiche e soprattutto va sollecitato da parte dei paesi sviluppati il trasferimento delle conoscenze verso i paesi in via di sviluppo. In particolare gli scienziati, i tecnici e responsabili degli Enti pubblici che si occupano della ricerca, della produzione e del commercio dei prodotti derivati dalle nuove tecnologie devono tener conto del legittimo profitto, ma anche del bene comune (CDS, § 476/480).
I principi della sussidiarietà e della partecipazione. Si rileva l’esigenza di tutelare le espressioni originarie della socialità e di valorizzare le società “minori”. Il principio di sussidiarietà protegge le persone e le comunità sociali dagli abusi delle istanze superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti e la loro originalità – vitalità. Con il principio della sussidiarietà contrastano forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e della burocrazia. Il principio della sussidiarietà richiama direttamente il principio della responsabilità del cittadino nel “suo essere parte attiva della realtà politica e sociale della propria comunità e del Paese (CDS, § 185/188). Conseguenza della sussidiarietà è la partecipazione democratica al governo della comunità cui si appartiene: la partecipazione deve essere ampia, consapevole e libera. Il CDS elimina ogni residuo dubbio sulla opzione di una “democrazia partecipativa” da parte della Chiesa. Vi è una esplicita condanna delle barriere che impediscono lo sviluppo della partecipazione in assenza di informazione o di educazione all’uso delle procedure e delle della partecipazione stessa: l’esercizio della cittadinanza è un dovere, perché si praticano, nel concreto, le virtù civiche, cioè la corresponsabilità e la solidarietà (è necessario che ciascuno coltivi maggiormente la consapevolezza del debito che ha nei confronti della società entro la quale egli è” CDS, § 195), ed è un diritto di fondamentale importanza per lo sviluppo di una democrazia (CDS, § 189/191).
Il principio della solidarietà per la dottrina sociale della Chiesa è insito nella socialità della persona umana, all’uguaglianza di tutti in dignità e diritti, al comune destino di tutti gli uomini: questa consapevolezza dovrebbe essere vera oggi per il ridursi delle distanze, per il rapido mescolarsi dei popoli, per l’accresciuto volume degli scambi e delle informazioni. L’ormai evidente interdipendenza che esiste tra i popoli e la reciproca conoscenza rende stridente le fortissime disuguaglianze tra i popoli, alimentate da forme di sfruttamento, di oppressione, di ipocrisie e corruzione. La Chiesa avverte che “il processo di accelerazione dell’interdipendenza tra le persone e i popoli deve essere accompagnato da un impegno sul piano etico-sociale altrettanto intensificato”. Occorre da un lato realizzare strutture di solidarietà (organismi, regole, ordinamenti garanti della giustizia planetaria e della pacifica convivenza), dall’altro essere determinati nell’impegno per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti. Il messaggio della dottrina sociale della Chiesa mette in sequenza i principi della solidarietà: bene comune → destinazione universale dei beni → uguaglianza tra gli uomini e i popoli → pace nel mondo (CDS, § 192/194).
Questo veloce richiamo dei valori/principi della dottrina sociale della Chiesa costituisce la chiave interpretativa della Nota Pastorale sul “mondo rurale”. Ho evitato, volutamente (richiamando la precedente nota 3), i riferimenti religiosi, biblici e teologici (necessari per la giusta comprensione di un testo ecclesiale) per un approccio laico al pensiero sociale della Chiesa. Lo scopo di questa riduzione laica è di offrire un terreno di incontro e di dialogo molto ampio, nella convinzione che ci troviamo di fronte ad un pensiero organico molto forte e attrezzato per affrontare i temi che affliggono il nostro tempo: la pace, l’uguaglianza, la qualità dello sviluppo, l’ecologia.

La struttura e i contenuti della nota

E’ bene ancora ricordare il carattere e il limite di una Nota Pastorale. Essa ha un obiettivo definito dalla sua natura e dalle sue finalità: offrire a tutti i credenti indicazioni per svolgere, nell’ambiente rurale, il suo ministero, che consiste essenzialmente nell’attualizzazione dell’annuncio del Vangelo, a tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro fede, e dare la sua “opinione” sulle “realtà temporali”. Non ha la pretesa di essere un rapporto sull’agricoltura e sul mondo rurale. Non è il suo mestiere.
La nota prende atto delle profonde trasformazioni del mondo rurale, pur se non in modo omogeneo, “con aree che mutano rapidamente volto, sotto le spinte delle nuove tecnologie e della crescente globalizzazione, e zone che resistono al nuovo, legate a forme di produzione e di vita più tradizionale….” (CMR, pag. 3). In questo quadro, la nota enuclea alcuni temi e problemi che ai redattori sono apparsi significativi indicatori dei mutamenti del mondo rurale.
In questa ricerca, prima di formalizzarla, i redattori (i Vescovi) avranno certamente, interpellato e chiesto aiuto ad esperti, accademici e operatori del settore. Chi è rimasto estraneo a questa “governance” ma interessato al tema, e in modo più ampio al magistero stesso della Chiesa, potrebbe ora assumersi il compito della discussione e della verifica dei sensori rilevati e, se ne ha voglia, suggerire ulteriori spunti o integrazioni. Questo è lo spirito con il quale, ritengo, Agriregionieuropa ha inteso operare, proponendo i due contributi ( il mio e quello di Mario Campli).
La nota è strutturata in tre parti:
la prima parte: “rapporto tra la terra e l’uomo”, legge e interpreta, in chiave antropologica, i cambiamenti in atto nel mondo agricolo, allo scopo di raccogliere le sfide interne e esterne alle realtà agricole del nostro Paese;
la seconda, definita “riflessione” viene affrontato il tema del rapporto tra mondo rurale ed ecologia;
la terza parte è più propriamente “pastorale”  8
Nell’approccio descrittivo dei mutamenti che interessano il paesaggio agricolo (umano, economico e sociale), la nota evidenzia alcuni fattori, la cui dimensione esorbita il confine nazionale (la globalizzazione, l’allargamento dell’Unione Europea, l’innovazione), alcune esigenze (agricoltura di qualità, cura dell’ambiente, modalità di integrazione tra aziende e di filiera agricola, qualità del cibo, forme nuove di accoglienza, lavoro agricolo). Tutto viene trattato come un pro-memoria, a mo’ di una scaletta ragionata, con l’intento di essere un testo semplice, immediato ed essenziale.
Sulla globalizzazione, vi è la consapevolezza che per le agricolture “ricche” dell’Occidente bisogna cambiare registro: meno sostegni e meno protezionismo. Non vi è, dunque, “compiacenza” verso i destinatari a cui è rivolto il messaggio, il mondo sociale e politico collegato al settore agricolo (ancora restio ad accettare la nuova realtà e lento ad abbandonare la politica dei sostegni e della protezione). Vi è un invito ad accettare la sfida della globalizzazione nella direzione della solidarietà e dell’equità internazionale. Il processo non viene subìto, ma viene criticamente letto. Innanzi tutto, consapevolmente, la globalizzazione viene inserita nella categoria positiva della “cooperazione internazionale” e, in quanto tale, deve perseguire condizioni di maggior equilibrio sia per i nostri agricoltori in rapporto all’insieme della struttura economica dove essi operano (locale, nazionale, ed oggi soprattutto europea) sia per i rapporti tra le agricolture dei Paesi ricchi con quelle dei Paesi poveri.
Per la Chiesa italiana occorre che l’agricoltura europea e quella italiana accettino la sfida “di un nuovo modello di sviluppo, che trovi nella differenziazione dei suoi prodotti e nel legame tra i territori l’elemento centrale di intervento pubblico. La ricchezza del patrimonio alimentare, con la sua storia, la sua tradizione, la sua cultura può rappresentare una leva strategica che consenta agli agricoltori di mantenere elevati livelli di benessere, soddisfacendo bisogni collettivi” 9
Sull’allargamento dell’Unione, i Vescovi sono, senza esitazione, per una scelta europeistica 10. L’Europa è un valore. L’obiettivo è realizzare il sogno di un’Europa unita (il sogno di Giovanni Paolo II: l’unità dell’intero Continente, dagli Urali all’Atlantico). Questo sogno non deve essere arrestato da preoccupazioni e da valutazioni di interesse: l’unità Europea è bene prezioso per la pace e per il progresso. Non può essere imputato all’allargamento la crisi del modello europeo di intervento. I paradigmi di tale modello non reggono a partire dagli anni Ottanta: produzioni eccedentarie, ammassate e spesso distrutte; squilibri settoriali tra prodotti tutelati dall’OCM e prodotti non tutelati; complicazioni e burocrazie.
Di recente, sebbene la PAC abbia intrapreso una politica più selettiva, è sopravvenuta la difficoltà di concentrare la gran parte delle risorse di bilancio al settore agricolo: altre esigenze dell’economia europea (innovazione, infrastrutture, politiche di sviluppo) e l’ampliamento dell’Unione a 25 Paesi (tutti con grossi problemi di sviluppo e di allineamento alle economie più consolidate) premono sul bilancio dell’Unione, quasi a risorse invariate.
La Nota veicola un messaggio agli agricoltori di saggezza e di prudenza: le difficoltà vanno superate applicando criteri di gradualità e guardando con spirito di sussidiarietà e solidarietà i nuovi Stati membri. La Nota ammonisce che non solo l’utilità deve guidare le politiche europee e nazionali, bensì “la consapevolezza che solo una più equa partecipata condivisione delle risorse agricole può favorire la condivisione alta delle culture e della storia dei popoli promuovendo, di conseguenza, orizzonti di pace” (CMR, pag.17).
Il tema dell’innovazione culturale e tecnologia, si collega all’esposizione del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa. Primo obiettivo del sistema agricolo-alimentare è soddisfare la domanda di cibo della popolazione (diritto al cibo). La scienza e le tecnologie oggi sono in grado di produrre cibo a sufficienza e a basso costo. La nota a questo proposito, opportunamente, avverte i limiti emersi dall’applicazione delle tecnologie ottenute nella soluzione dei problemi alimentari. La loro efficacia ha prodotto, non solo nei paesi in via di sviluppo, “effetti collaterali indesiderati pressioni su altre risorse, come l’uso intensivo dei prodotti chimici e un grande fabbisogno di acqua  11.
Il problema della fame interessa una moltitudine di persone (il 20% della popolazione mondiale): un problema etico e politico, che interpella direttamente le nostre responsabilità. La tragedia della fame dipende fondamentalmente dalla iniqua distribuzione della ricchezza mondiale, dallo sfruttamento delle economie più ricche. Essenzialmente è un problema di ordine politico, di organizzazione dell’ordine internazionale. Ancillare ad un cambiamento radicale delle politiche di sviluppo internazionale è il ruolo della diffusione della scienza e delle tecnologie.
L’agricoltura di qualità è l’opzione politica della riflessione dei Vescovi, un punto di forza, l’opportunità dello agricoltura italiana: una qualità che risponde alle esigenze dei consumatori, ma soprattutto risponde all’esigenza-diritto di avere un cibo sano e all’ esigenza-dovere di rispetto dell’ambiente. La Nota appoggia le iniziative delle organizzazioni agricole per l’introduzione di marchi d’origine, per estendere il rilascio della certificazione, per la diffusione delle procedura di tracciabilità. La Nota si fa portavoce della richiesta dei produttori di maggiori controlli, per evitare speculazione e sotterfugi. E infine il riconoscimento del fatto che a maggiore qualità si connettono maggiori costi porta a legittimare incentivi per i produttori che si sottopongono ai controlli, considerato che la qualità è un diritto correlato all’obbligo di garantire la salute il cui soddisfacimento non può essere selettivo 12.
La politica della qualità deve accompagnarsi ad una politica di educazione dei consumatori, ritornando a preferire gli antichi sapori, la sobrietà e l’essenzialità “dietro le nostre tavole c’è la terra e dietro la terra c’è il lavoro dell’agricoltore, cioè le mani e la fronte di chi ha seminato, lavorato, raccolto per offrire i frutti”(CMR, pag. 23).
Sul tema dell’ecologia, la Nota riprende la questione del rapporto città-campagna, con alcune affermazioni-richieste, quali “il limite da porre al consumo degli spazi agricoli”; “il rurale deve godere degli stessi benefici, in termini di servizi e di opportunità, della città”; “lo spazio rurale deve essere uno spazio più vivibile e qualitativamente più elevato, organicamente connesso con la spazio urbano”. La Nota sottolinea che lo spazio rurale è oggetto di attenzione a seguito dell’aumentata insoddisfazione degli stili di vita “cittadini” e della crescita di una generalizzata coscienza ambientale” 13: in sostanza, nella Chiesa, accanto ad una palese simpatia per il modello di un’agricoltura di qualità e multifunzionale, vi è una certa partecipazione intorno alla rinascita dei piccoli Comuni, delle nuove identità territoriali, del movimento dei comuni in rete 14.
Quanto alle aziende agricole, si registra la loro trasformazione da familiare a conduzione individuale, sede di attività differenziate (multifunzionali): largo uso di mezzi meccanici, lavoro esterno saltuario, spesso extracomunitario. Anche qui una sottolineatura alla necessità di un collegamento tra aziende e l’inserimento delle stesse nella filiera agro-alimentare (responsabilizzazione dei produttori nei processi di trasformazione-manipolazione delle loro produzioni e un radicamento con il territorio). La Nota continua a promuovere nel segno della solidarietà, le forme associative (cooperative, le banche di credito cooperativo), che hanno storicamente una radice nel movimento sociale dei cattolici italiani.
Queste due esigenze continuano a collegarsi in una sequenza circolare quasi didascalica, ai temi della: qualità → tipicità dei prodotti locali (antidoto “all’omologazione dei gusti e alla massificazione distributiva alimentare”) → riscoperta valoriale del territorio rurale, spingendolo a promuovere attività di ristorazione, di agriturismo, di trasformazione e commercializzazione (vi è quasi un’estensione dell’azienda multifunzionale al territorio rurale) 15.
Come si è detto, il tema dell’ecologia è ripreso nella seconda parte della Nota nell’ottica etico-morale, richiamando i profili della sicurezza alimentare, degli organismi transgenici, dei prodotti tipici, della difesa del territorio, dei giovani, dell’acqua; profili, in qualche modo, ripresi nel riferire i contenuti della Nota.

Alcune considerazioni sulla Nota Pastorale

La contrapposizione tra città-campagna, invero non esplicitata, sembra però aleggiare nella Nota. Io avrei preferito che i Vescovi avessero posto, a base della loro riflessione, la filosofia dello sviluppo sostenibile, nella speranza (utopia) tutta cristiana, che “un altro mondo è possibile”. L’obiettivo di uno sviluppo sostenibile è dentro l’architettura della Dottrina Sociale della Chiesa (fondata sui principi della ricerca del bene comune, oggi nella sua accezione di bene comune globale, della destinazione universale dei beni della terra, della solidarietà, della sussidiarietà, della giustizia, dell’uguaglianza…). “Nessuna società può essere considerata giusta e socialmente sostenibile se una parte importante della popolazione non riesce a soddisfare le proprie necessità fondamentali. La finalità di uno sviluppo umano è il soddisfare le necessità di tutte le persone e il rendere possibile l’opportunità di realizzazione delle aspirazioni umane” 16.
Lo sviluppo sostenibile, qui accennato, ha un risvolto tragico a livello mondiale. Tuttavia, sacche di marginalità e situazione di degrado esistono nelle nostre città, nelle periferie urbane, ed esistono nelle campagne, Agriregionieuropa nel suo primo numero riporta i risultati di un’indagine dove si rileva che in Italia mediamente le famiglie con imprese agricole hanno redditi più elevati rispetto a quelli medi della famiglia italiana 17.
Iacoponi, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, propone il concetto di bioregione 18. come “sistema territoriale inclusivo degli aspetti ecologici e socioeconomici, concetto utile per il superamento del dualismo città-campagna, superamento necessario per lo sviluppo sostenibile. L’approccio si fonda sulla Carta di Aalborg e sulle Agende 21 locali 19. e si muove in coerenza dell’orientamento europeo “per l’integrazione Città-campagna, ai fini dello sviluppo sostenibile e dell’esigenza di rendere compatibili la crescita del benessere economico (che ha il suo fulcro nella città) e la capacità produttiva e riproduttiva degli ecosistemi (biocapacità-che ha il suo fulcro nelle campagne)” 20. Un inciso: in tale prospettiva - a parere dello stesso Iacoponi - il concetto di bioregione è più comprensivo di quello di distretto rurale, perché lo sviluppo rurale appare “in tutta la sua portata economica, sociale ed ambientale, contribuendo in modo decisivo alla sostenibilità della città”.
Dietro il concetto di “sostenibile” c’è tutta una costruzione di procedure politiche ed amministrative basate sulla partecipazione degli operatori locali nella elaborazione dei programmi e nella progettazione e realizzazione degli interventi, sulla cooperazione tra territori, sulla costituzione di reti per la diffusione e la divulgazione delle esperienze. In definitiva si promuove dal basso una maggiore consapevolezza e responsabilità “democratica” (cittadinanza) 21.
Un ulteriore suggerimento, ripreso ampiamente da Mario Campli, sulla professione di agricoltore. Anche qui, un approfondimento da parte dei Vescovi sarebbe stato utile a far capire non solo la fatica, ma anche la complessità, oggi, della professione agricola. Fino a poco tempo fa, la meccanizzazione ha consentito di coltivare vaste aree come uniformi in termini di fertilità e di esigenze delle colture, ignorando la variabilità per entrambi i fattori.
Le biotecnologie e l’informatica (ingegneria computerizzata) oggi accrescono la potenzialità di intervento dell’imprenditore agricolo nei processi vitali e gestionali del ciclo produttivo. Questo tipo di tecnologia avanzata, ormai compiutamente operativa, rappresenta uno degli scenari futuri per il mondo agricolo e deve porsi entro il paradigma dell’agricoltura eco-compatibile, che prevede l’abbinamento del progresso tecnico con la promozione della condizione umana. Lo stesso imprenditore delle imprese multifunzionali, caricato dei ruoli e degli impegni che la Nota prevede, deve acquisire competenze agronomiche, commerciali e gestionali, ma anche conoscenze della storia, delle tradizioni e della cultura locale. Il mestiere dell’agricoltore “puro”, soprattutto per i giovani, non ha bisogno solo di incentivazioni materiali, ma necessita di motivazioni immateriali, di dosi di formazione, di inserimenti nei circoli dell’innovazione e dell’informazione 22. Necessita soprattutto di essere compreso come mestiere che implica una grande responsabilità e professionalità, passione e progettualità, ma soprattutto una dimensione etica per una professione che opera sulla vita, sulla salute, sull’ambiente. Mi piace riproporre un felice messaggio: “non si tratta di reinventare il contadino di una volta, ma di andare oltre l’agricoltore di oggi23.
La Chiesa, oltre a svolgere la sua funzione spirituale, ha o può recuperare, soprattutto nelle aree rurali, una grande funzione sociale ed educativa, la funzione che ha saputo esercitare nel passato, come ricordano giustamente i Vescovi, organizzando movimenti e forme di lotta per l’emancipazione dei contadini e forme di cooperazione e di mutualità. In sostanza la Chiesa, assieme ad altre agenzie educative, istituzionali e non, potrebbe, nella sua missione pastorale, non solo sostenere la domanda sociale di uno sviluppo sostenibile, ma anche accompagnare l’impegno e la vocazione di quanti sostengono o si avviano alla professione agricola.

  • 1. L’autore dedica questo lavoro ad Antonio Picchi, suo amico fraterno, alla cui testimonianza e rigore deve molto; ne vuole ricordare il prezioso contributo offerto alla riflessione dei Vescovi.
  • 2. CEI, Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace (2005), “Frutto della terra e del lavoro dell’uomoMondo rurale che cambia e la Chiesa in Italia, (CMR), Roma, Marzo http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2005-04/28-27/MondoruraleChiesaItalia.doc.
  • 3. Mi rendo conto (come credente) che la sua fatica di tentare di secolarizzare un testo religioso, a prescindere dei suoi contenuti teologici, può sembrare un’operazione “border line”. Ma è anche convinto della necessità, invocata da Habermas nel suo dialogo con Ratzinger, delle “ragioni religiose” che il discorso pubblico non può ignorare. Nel dialogo, la ragione secolare deve rimanere disponibile ad imparare e a tenersi osmoticamente aperta, senza rinunciare alla sua autonomia, come la coscienza religiosa, deve fare i conti con il rispetto del pluralismo delle fedi, con l’autorità delle scienze e con le premesse e le pratiche dello Stato di diritto. Il Confine tra ragioni religiose e ragioni secolari non può essere definito unilateralmente, ma il definirlo è invece un compito cooperativo, in cui entrambe le parti sono chiamate ad accogliere anche la prospettiva diversa, per la costruzione di una sfera pubblica avversa”. Citazioni riprese dall’introduzione di Michele Nicoletti al volume: Ratzinger J., Habermas J (2005), “Etica, Religione e Stato liberale, Morcelliana, Brescia.
  • 4. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (2004), Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (CDS), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano. Il compendio raccoglie ed ordina l’insegnamento sociale della Chiesa, esplicitato dal Concilio, dagli ultimi Pontefici, dalle Commissioni Pontificie, dai Sinodi dei Vescovi
  • 5. Interessante, anche se poco conosciuto e discusso, è l’inserimento della proprietà privata all’interno del tema più generale della destinazione universale dei beni, ricordando che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata. “La Chiesa l’ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell’intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell’uso comune, alla destinazione universale dei beni. (…) La proprietà privata non un fine, ma un mezzo. Non si vuol negare la funzione della proprietà privata, anzi ne riconosce la funzione di strumento per assicurare ad ognuno lo spazio per assicurarsi una sufficiente autonomia per se e per la propria famiglia e costituisce una delle condizioni delle libertà civili. E’ tale però se viene garantito a tutti, equamente, il diritto d’accesso, e se viene affermata la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato. La destinazione universale dei beni comporta dei vincoli sul loro uso da parte dei legittimi proprietari”. (CDS, § 176/178). Queste enunciazioni non danno alibi per la condanna esplicita dei latifondi e della proprietà assenteista e rappresentano una legittimazione alta ai processi di riforma agraria. Un altro inciso importante è il richiamo alle forme di proprietà comunitaria (usi civici, comunanze agrarie), di cui auspica l’evoluzione e la diffusione, trovando modelli innovativi di applicazione
  • 6. Le Encicliche sociali dalla Centesimus annus. Edizioni Paoline, Milano 2003; I documenti del Concilio Vaticano II, Edizioni Paoline, Milano, 1984.
  • 7. Già il Concilio con la Gaudium et Spes affermava: “la questione sociale, nel mondo contemporaneo, è divenuta ‘globale’. Per essere autentico lo sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Si tratta, cioè, dello sviluppo di ogni dimensione della vita di ciascuna persona e di tutte le persone, in qualunque parte del mondo” (Paolo VI, Populorum Progressio). E ancora: “Per instaurare un vero ordine economico mondiale, bisogna rinunciare ai benefici esagerati, alla bramosia di dominazione politica, ai calcoli di natura militaristica, e alle manovre tendenti a propagare ed imporre ideologie” (Gaudium et Spes). Il progresso sociale non può essere raggiunto senza una crescita economica sostenuta: ma questa da sola non produce equità ed inclusione. La chiesa condanna l’assolutizzazione dell’economia: “questa è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana”. La libertà economica è solo un aspetto delle libertà che devono essere garantite e deve integrarsi con le altre libertà. “La liberalizzazione commerciale e finanziaria possono realizzarsi solo dentro un quadro politico globale democratico, che salvaguardi efficacemente gli elementi non economici del bene comune globale. Gli obiettivi sociali della comunità non possono essere determinati solo da decisioni pesantemente influenzate dagli interessi nazionali delle economie forti e potenti”
  • 8. E’ la parte più interessante e certamente porta l’impronta del suo curatore: Padre Gian Carlo Brigantini, Vescovo di Locri-Gerace e già Presidente della Commissione Episcopale della CEI per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. La nota è stata il congedo di questo Vescovo da Presidente della Commissione. Padre Giancarlo è un trentino che ha adottato la Calabria come terra di elezione. La sua testimonianza di cristiano e di Pastore è una delle più significative e coraggiose. Forse la nota risente della vicinanza di padre Giancarlo (lui ama essere chiamato così) ai poveri, alla gente di campagna, ai contadini calabresi, spesso oppressi ancora da un sistema feudale e al ricatto mafioso. La nota invita il mondo sociale e politico, perché “non valuti gli interventi solo in chiave quantitativa, ma qualitativa, rispettando quelle are rurali, come le zone di montagna, che non offrono immediati ritorni economici”.
  • 9. CMR, cit. pag. 15. L’impostazione della nota pastorale “simpatizza” con i principi della politica europea di sviluppo rurale, riecheggiando le sfide che essa, come è noto, mette al centro della sua impostazione: globalizzazione, qualità, ampliamento dell’Unione. Per una comparazione con il contenuto della nota pastorale mi sembra utile richiamare brevemente la filosofia della politica di viluppo rurale promossa dall’UE. L’avvenire del settore agricolo è strettamente connesso allo sviluppo equilibrato del territorio rurale. La politica agricola e rurale ha un ruolo importante da svolgere nel quadro della coesione territoriale, economica e sociale dell’Unione. La politica di sviluppo rurale – secondo pilastro della politica agricola comune – si basa sui principi della plurifunzionalità dell’agricoltura, della plurisettorialità e dell’integrazione dell’economia rurale, della flessibilità degli aiuti allo sviluppo rurale, basata sulla sussidiarietà e sulla partecipazione, della trasparenza e della semplificazione. Gli assi strategici su cui si articola questa politica sono: a) il potenziamento del settore agricolo e forestale; b) il miglioramento della competitività delle zone rurali; c) la salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio rurale.
  • 10. In questo, non concordo con Campli, che scorge nella Nota dei Vescovi qualche caduta populistica o resistenza al cammino dell’Europa
  • 11. La Nota richiama un principio etico cardine della morale: “ogni tecnica può costituire uno strumento di progresso, purché rispetti il criterio di una corretta applicazione, nel rispetto dei principi morali che salvaguardano la dignità della persona e il bene comune”. Questo principio guida il suo giudizio sulle biotecnologie (un paragrafo della parte dedicata all’ecologia): “le biotecnologie hanno un forte impatto sociale, economico e politico, e, sul piano locale, nazionale, internazionale, vanno valutate secondo criteri etici, di giustizia e solidarietà”. Il giudizio è cauto, non di chiusura, ma di “fiduciosa attesa negli sviluppi della ricerca scientifica”
  • 12. Il paragrafo 11 della Nota, a mio parere, è quello che più scende nei dettagli e forse il più forzato: i Vescovi o il redattore ha ceduto a qualche pressione di troppo. Il ragionamento è coerente, in qualche modo esistono politiche diverse che già intervengono nell’incentivare e nel sostenere le produzioni di qualità, la preoccupazione è che essa, se generalizzata, si trasformi in politica di sostegno dei prezzi
  • 13. Territorio rurale territorio accogliente, una novità da valorizzare come forme di rivitalizzazione del territorio: agriturismo, l’accoglienza dei neorurali, l’insediamento dei nuovi arrivati, gli extracomunitari o prossimi comunitari.
  • 14. Positiva, in questo senso, è l’esperienza dei programmi comunitari LEADER, la discussione attorno ai temi sollevati dal programma d’azione per lo sviluppo sostenibile – Agenda 21, definito dalla Conferenza di Rio del 92; ripreso, in Europa, nella Conferenza Europea sulle città sostenibili (carta di Aalborg – 1994). Sui rapporti Città-Campagna nello sviluppo economico, segnalo il numero monografico della Rivista di Economia Agraria n.4/2004, interamente dedicato a questo tema. Segnalo ancora il numero doppio (3/4 Giugno 2005) del nuovo mensile Communitas dedicato ai Comuni polvere, polvere di comunità
  • 15. CMR, pag. 22 e pagg 29/30. La Nota si fa carico della funzione degli agricoltori come custodi del territorio: ”il territorio non può sopravvivere nelle sue funzioni senza chi lo lavora”; “I paesi rurali, soprattutto quelli delle zone interne, pur non concorrenziali sul piano numerico in un’ottica economico- politica (produzione di reddito-forza elettorale), sono invece fondamentali sul piano qualitativo e dell’equilibrio territoriale, perché custodiscono vastissime zone, la cui sicurezza permette la sicurezza del territorio a valle o costiero (…) Agli abitanti delle zone rurali interne vanno garantiti gli stessi diritti e la stessa dignità dei cittadini e degli agricoltori che vivono in pianura (CMR, pag. 30/31). Questa esortazione continua a favore dei giovani in agricoltura (CMR, pag.31,) per i quali si chiede una politica di servizi pubblici che ne favorisca l’insediamento, politiche per l’accesso al mercato fondiario e degli affitti, una fiscalità adeguata, incentivi per i miglioramenti fondiari, incentivi nell’avvio di attività aziendali, incentivi alla progettualità, accesso al credito agevolato, Un ventaglio di proposte non innovativo (normative comunitarie e leggi regionali contengono alcune di queste opzioni). Forse è innovativa la batteria degli interventi proposti in modo organico: politiche dei servizi, politiche di insediamento, strutturali. Soprattutto manca la cornice dell’organicità, delle esternalità, suggerita dai Vescovi . Forse mancano volontà e risorse pubbliche
  • 16. Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (1988), Il futuro di noi tutti (Rapporto Brundland), Bompiani, Milano. Per un approccio teologico si veda anche il numero monografico “Un altro mondo è possibile” della rivista Concilium, Queriniana, n.5
  • 17. Salvioni C. “Ricchezza e povertà nelle campagne italiane” in Agriregionieuropa, n.1, pag. 12. La Salvioni motiva gli elevati redditi delle famiglie agricole come “il risultato delle strategie di allocazione delle risorse familiari, spesso complesse e sempre più basate sulla multifunzionalità”. La stessa nota rileva, tuttavia, un tenore di vita mediamente appena più basso per le famiglie rurali non agricole e il rischio di povertà per le famiglie di salariati agricoli
  • 18. Territorio visto come luogo di vita (greco bios) e da gestire (latino regere)
  • 19. Vedi nota 11
  • 20. Iacoponi L. (2004), “La complementarità fra città e campagna per lo sviluppo sostenibile: il concetto di bioregione”, Rivista di Economia Agraria, n.4, pag. 443
  • 21. Ritorna utile il programma LEADER
  • 22. A questo proposito segnalo con interesse, anche per quello che si vuole sostenere, l’articolo di Francesco Pennacchi su “Ricerca nell’area delle scienze agrarie: stato dell’arte e prospettive pubblicate recentemente in Agriregionieuropa, n.1
  • 23. Gruppo di Bruges (2002), L’agricoltura alla svolta, Associazione “Alessandro Bartola”, Franco Angeli, Milano
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