Deforestazione e degrado forestale: le responsabilità e le scelte del sistema foreste-legno italiano

Deforestazione e degrado forestale: le responsabilità e le scelte del sistema foreste-legno italiano
a Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale - ICEA
b Università di Padova, Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali

Il degrado delle risorse forestali: dimensioni, cause ed effetti

Al 2005, secondo la Food and Agriculture Organization (Fao), la superficie forestale mondiale era pari a 3.952 milioni di ettari, corrispondenti a circa il 30% delle terre emerse del pianeta. Sempre secondo la Fao, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2005 si è registrata in media una perdita lorda di 12,9 milioni di ettari di foreste l’anno.
Le nuove piantagioni e l’espansione naturale delle foreste (specialmente nei paesi occidentali) compensano parzialmente tale diminuzione, attestando il dato medio della superficie netta deforestata intorno a 7,3 milioni di ettari l’anno. Studi di recente pubblicazione informano che il problema è tutt’altro che in regresso.
Altre foreste sono state convertite in foreste secondarie, spesso sottoposte a gravi fenomeni di degradazione, con riduzione della biomassa, declino della composizione e della struttura della vegetazione. Gli effetti economici, sociali e ambientali legati alla degradazione forestale — un fenomeno difficile da controllare e monitorare — sono spesso maggiori rispetto a quelli prodotti dalla stessa deforestazione.
La deforestazione e la degradazione forestale si concentrano prevalentemente (non esclusivamente) nelle regioni tropicali e si manifestano in maniera diversa da nazione a nazione, con caratteri complessi e articolati. Dal 2000 al 2005 i tassi netti più alti di deforestazione si sono registrati in Sud America (4,3 milioni di ettari l’anno), in Africa (4,4 milioni) e nell’Asia del Nord-Est (2,8 milioni).
Le cause della deforestazione e del degrado delle foreste sono molteplici, di tipo diretto e indiretto, tra loro collegate, e spesso connesse alla povertà e alla rapida crescita demografica nei paesi in via di sviluppo. Da un lato i governi di tali paesi, spesso per far fronte al proprio debito estero, sono costretti a intraprendere lo sfruttamento delle proprie risorse naturali; dall’altro lato le popolazioni locali si trovano nella necessità di procurarsi legna da ardere per la cottura degli alimenti e di sottrarre spazi alla foresta da destinare ad attività agricole per far fronte ai propri fabbisogni di cibo e fibre. Va inoltre sottolineato che si assiste a una diversificazione delle cause della deforestazione in termini geografici e, più in generale, a una loro stratificazione e concatenazione, ma con, alla base, molto spesso interessi commerciali legati allo sfruttamento delle risorse. Così, ad esempio, all’azione di deforestazione legata alla realizzazione di infrastrutture, all’esecuzione di attività estrattive e, naturalmente, ai prelievi di legname, si legano e sovrappongono fenomeni quali prelievi informali di altro legname da parte delle comunità locali o di piccole imprese irregolari, oppure il bracconaggio. Non vanno infine dimenticate le cause indirette di deforestazione, quali ad esempio le distorsioni del mercato che portano a una non corretta definizione dei prezzi dei prodotti forestali, le inadeguate politiche di sviluppo agricolo talvolta collegate alla migrazione forzata della popolazione, gli inadeguati diritti di proprietà, gli errati sistemi gestionali e gli insufficienti e corrotti apparati di controllo.
Anche se i benefici che derivano dalla distruzione e dalla degradazione delle risorse forestali mondiali sono da considerarsi modesti ed effimeri, le conseguenze sono viceversa molto rilevanti e durature e si manifestano influenzando il territorio e il paesaggio, le risorse idriche, la qualità dei suoli, la biodiversità, la salute delle popolazioni, gli assetti sociali, il clima a livello sia locale che globale.
Dal momento che i biomi forestali immagazzinano enormi masse di carbonio, la loro distruzione o degradazione finisce con l’avere un ruolo importante nell’accumulo di gas-serra in atmosfera. Il Quarto rapporto di valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, pubblicato nel 2007, ha stimato che le emissioni dovute alla trasformazione d’uso del suolo (soprattutto deforestazione) negli anni ’90 ammontano a circa 5,8 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno, vale a dire il 18% di tutte le emissioni in atmosfera in un anno legate ad attività umane. Non è un caso che all’interno dei negoziati sui cambiamenti climatici attualmente in corso, l’azione di riduzione della deforestazione e della degradazione delle foreste sia considerata uno dei più importanti strumenti di mitigazione dell’effetto serra e dei susseguenti cambiamenti climatici: se si evita la distruzione di un ettaro di foresta non sono emesse in atmosfera tra 350 e 900 tonnellate di CO2 per ettaro. La decisione se inserire o meno l’azione di riduzione della deforestazione e della degradazione delle foreste all’interno di un accordo internazionale sul clima per il post-2012 è stata al centro della sessione della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici di Copenhagen (dicembre 2009).
Rispetto ai tagli e al commercio illegali di legname, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha stimato che il 5-10% del commercio internazionale di legname sia alimentato da tagli illegali. La Banca Mondiale afferma che «la diffusione del legno illegale a basso costo rende impraticabile il miglioramento di pratiche di gestione forestale». E ancora che «i paesi con foreste tropicali hanno continuato a tagliare su scala massiccia, spesso in forme illegali e non sostenibili». In molti paesi tropicali, i tagli illegali sono pari a quelli legali, mentre in altri l’illegalità è molto più diffusa delle condizioni di legalità (Tacconi, 2007). Nel bacino del fiume Congo, in Asia centrale e in Amazzonia, alcuni dei più importanti serbatoi di foreste primarie, la percentuale d’illegalità raggiunge e supera la metà dei tagli effettuati. La Banca Mondiale stima che in Indonesia oltre il 50% del legname e dei prodotti legnosi sia di fonte illegale, per un valore economico di oltre 400 milioni di dollari Usa l’anno. Uno studio dell’Ocse afferma che i tagli illegali nei paesi high-risk variano dal 20% al 90% della produzione, con valori medi intorno al 40%. La Banca Mondiale ritiene che i prelievi illegali di legname abbiano un valore di mercato di oltre 15 miliardi di dollari l’anno e che siano responsabili della perdita di introiti di circa 10 miliardi di dollari per i paesi in via di sviluppo, a cui si dovrebbero aggiungere ulteriori 5 miliardi di dollari per il mancato pagamento di tasse e royalty.
La presenza di legname di provenienza illegale sul mercato internazionale danneggia le imprese che viceversa operano legalmente (Contreras-Hermosilla et al., 2007). Le aziende di dimensioni industriali che necessitano di lavorare elevati quantitativi di legname, peraltro, non possono affrontare il rischio di non disporre, in maniera sicura e continuativa, di fonti di approvvigionamento di provenienza legale e sostenibile. Ciò si traduce sovente nella scelta, da parte di queste aziende, di non guardare alla provenienza del legname. C’è poi un altro aspetto più delicato del problema, segnalato anche dalla Banca mondiale e dal Consiglio di sicurezza dell’Onu: l’impiego dei profitti della vendita direttamente da autorità governative o da gruppi armati appoggiati dal governo per sovvenzionare conflitti locali.
A ciò occorre aggiungere i danni economici e sociali per i paesi che devono sopportare il fenomeno: mancate entrate fiscali, progressiva sottrazione di una risorsa naturale fondamentale per l’economia interna e un generale peggioramento delle condizioni economiche del paese, migrazioni delle popolazioni indigene, perdite di saperi e tradizioni locali, di fonti alimentari complementari, di specie medicinali, di luoghi di significato religioso.

Le responsabilità e il ruolo dell’Italia

L’Italia è diventata nel 2008 il primo importatore di prodotti legnosi in Europa (tradizionalmente occupava la seconda posizione dopo il Regno Unito) ed è il sesto importatore mondiale. L’import di legno e derivati ha superato nel 2006 i 19 milioni di tonnellate - per un valore complessivo di oltre 9,2 miliardi di euro - con un trend crescente negli ultimi dieci anni per tutte le categorie merceologiche, ad eccezione del tondame. In particolare, in termini di valore, il nostro Paese si configura su scala mondiale come il primo importatore di legna da ardere, il quinto di tondame di latifoglie, il secondo di tranciati e sfogliati (con primato assoluto per quelli in legno tropicale), il quarto di segati, così come di paste di legno e cellulosa, e il quinto di carte.
Tale flusso di importazioni alimenta un settore industriale d’importanza strategica per l’Italia, fino al 2004 primo esportatore mondiale di mobili (ora secondo dopo la Cina) e tuttora in una posizione di leader internazionale in diversi segmenti dell’industria del legno, dei mobili e della carta. L’Italia è il primo partner commerciale per l’importazione di prodotti legnosi da alcuni paesi (Camerun, Costa d’Avorio, Bosnia, Romania, Albania, Serbia, ecc.) e mantiene forti legami commerciali con molti altri paesi del Sud del mondo noti, in sede internazionale, per la presenza di seri problemi di deforestazione e illegalità nelle pratiche forestali. Oltre a ciò, non va dimenticata l’esistenza – più o meno recente – di diffusi fenomeni di delocalizzazione produttiva da parte di aziende italiane del settore del legno-arredo in alcuni paesi, soprattutto dell’area dei Balcani.
A fronte di un simile quadro generale si riscontra in Italia una certa inerzia istituzionale in termini di iniziative e azioni efficaci e coerenti, sia a livello internazionale sia interno, per contrastare il fenomeno. Ciò è ben testimoniato dai ritardi e dalla lentezza nel recepimento e nell’attuazione di misure e regolamenti internazionali e comunitari (con particolare riferimento al Regolamento Flegt: Forest Law Enforcement and Trade al quale si accenna nel seguito) ma anche dalla carenza/estemporaneità di iniziative specifiche finalizzate alla sensibilizzazione rispetto a questi temi e all’adozione di misure di contrasto efficaci e coordinate. Ciò, peraltro, è in conflitto con la maggiore vivacità delle iniziative da parte della società civile e delle imprese del settore del legno, per le quali la legalità dell’approvvigionamento potrebbe costituire un ostacolo significativo alla competizione sul mercato internazionale. A titolo d’esempio è utile segnalare il Codice di buona condotta di Assocarta o gli accordi di Federlegno-Arredo con Greenpeace prima e poi con il Wwf finalizzati, inter alia, alla informazione e alla promozione dell’uso di legname legale e a pubblicizzare gli effetti generati dall’uso di legname illegale o la notevole crescita delle certificazioni forestali e di catena di custodia registrate negli ultimi anni in Italia.

Possibili soluzioni e aree di intervento

Il contrasto dei processi di deforestazione e di degrado delle foreste pone evidenti necessità di un intervento sul piano della governance e di coordinamento e integrazione delle iniziative da parte degli attori coinvolti e delle parti interessate, sia su scala nazionale, che a livello internazionale (Brack et al., 2002).
In tale prospettiva si possono identificare tre aree di intervento prioritarie per il nostro Paese, che si configurano inevitabilmente come complementari.
1. Recepimento e implementazione delle decisioni prese su scala sovranazionale e degli accordi intergovernativi in materia. Si tratta in molti casi di programmi basati su accordi vincolanti per i paesi, ma soprattutto su soft law, su impegni generici e non vincolanti sul piano giuridico. Tra le poche iniziative vincolanti quella più rilevante è certamente il Piano d’azione Forest Law Enforcement, Governance and Trade della Commissione Europea (Landi, 2004) e i correlati Regolamenti 2173 del dicembre 2005 e 1024 dell’ottobre 2008. In base a queste norme ogni paese dell’Unione Europea è chiamato a predisporre un piano di lotta alla illegalità nel commercio di legname e a mettere in atto le misure di controllo delle licenze all’esportazione che verranno definite sulla base di accordi bilaterali (Voluntary partnership agreements, VPA) tra Unione Europea e paesi tropicali esportatori. Va inoltre ricordata la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio europeo (le norme sinteticamente definite “Due diligence”) che, approvata dal Consiglio Agricoltura del 14-16 dicembre 2009, stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legname e prodotti in legno al fine di contrastare i fenomeni di illegalità. La lista delle iniziative a livello internazionale comprende anche le attività e le proposte maturate nell’ambito degli incontri del G8, i processi FLEG (Forest Law Enforcement and Governance) coordinati dalla Banca Mondiale (con particolare, ma non esclusivo, riferimento al processo Ena-FLEG, relativo all’Europa e all’Asia del Nord), le risoluzioni e le proposte sviluppate nel contesto del Forum sulle foreste delle Nazioni Unite (Unff-Ecosoc), le risoluzioni della Conferenza ministeriale per la protezione delle foreste in Europa (Mcfpe), l’implementazione della Convenzione Cites sulla tutela delle specie a rischio di estinzione e altro ancora.
2. Maggiore integrazione e coordinamento tra le politiche settoriali di riduzione della deforestazione della degradazione forestali globali. In particolare si riscontra la necessità di favorire forme trasversali di coordinamento e integrazione tra Ministeri competenti in materia, quali i Ministeri degli esteri, dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali, dello sviluppo economico. Ciò nella logica di garantire la maggiore sinergia, coerenza ed efficacia alle iniziative promosse. Si configura inoltre come quanto mai opportuna la costituzione di un tavolo di coordinamento dei lavori e delle iniziative in materia di contrasto ai processi di deforestazione e di degrado forestale, con il coinvolgimento anche di agenzie e istituzioni pubbliche con competenze nel settore (tra le altre Ispra, Corpo forestale dello stato, Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) oltre che con la diretta consultazione e il diretto coinvolgimento delle diverse parti interessate, ivi compresi i rappresentanti del settore privato e della società civile.
3. Promozione di forme di partnership e di collaborazione pubblico-privato. Scopo principale di simili iniziative è favorire azioni di informazione/sensibilizzazione e la diffusione di strumenti di tipo volontario, finalizzate alla promozione della gestione forestale responsabile, allo sviluppo, più in generale, di pratiche improntate alla responsabilità sociale d’impresa e al contrasto dei processi di illegalità. Tra tali strumenti sicuramente figura la certificazione forestale, sia con riferimento alla gestione delle foreste (su scala nazionale, ma anche con l’avvio di progetti di collaborazione relativi alle concessioni/aree forestali in paesi partner dell’Italia), sia con riferimento alla catena di custodia e quindi all’impiego di materie prime certificate da parte delle imprese di trasformazione del settore legno/carta. È opportuno inoltre incoraggiare la diffusione di altre pratiche, tra le quali il reporting ambientale (ad esempio secondo le modalità previste dalla Global reporting initiative), l’Independent Forest Monitoring (Ifm), ossia il monitoraggio forestale (ad esempio secondo quanto fatto da organizzazioni quali Global Witness e Resource Extraction Monitoring, le attestazioni e le verifiche di legalità, quali il Timber Legality and Traceability Verification; l’adozione di codici di buona condotta; lo sviluppo di strumenti bancari e finanziari appropriati; lo sviluppo e l’applicazione di politiche pubbliche per gli acquisti responsabili e altro ancora.
Su queste linee dovrebbe rapidamente ed efficacemente muoversi l’azione del Governo italiano, anche al fine di contrastare l’ipotesi che si possa associare i prodotti finiti in legno dell’industria italiana non solo con il design e la qualità, ma anche non l’origine illegale e i fenomeni di degrado delle foreste dalle quali viene prelevata la materia prima.

Note

* Sintesi del Rapporto:
D.Pettenella, L.Ciccarese, S.Klohen, M.Masiero, L.Secco, “Deforestazione e processi di degrado delle foreste globali. La risposta del sistema foresta-legno italiano” Quaderno ISPRA n. 97, 2009
Il Rapporto è disponibile nel sito internet: [pdf]

Riferimenti ibliografici

  • Brack, D., Gray, K., Hayman, G., 2002, Controlling the international trade in illegally logged timber and wood products, Royal Institute of International Affairs. London
  • Contreras-Hermosilla, A., Doornbosch, R., Lodge, M., 2007, The economics of illegal logging and associated trade, Roundtable on sustainable development, SG/SD/RT(2007)1/REV, Organisation for Economic Co-operation and Development[pdf].
  • Landi, G., 2004, Il nuovo Piano d’azione comunitario per la “governante” e il commercio nel settore forestale (FLEGT), Rivista giuridica dell'ambiente (6).
  • Tacconi, L., 2007, Illegal logging: law enforcement, livelihoods and the timber trade, Earthscan, London.
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