Finestra sulla Pac n.25: un aggiornamento sulla negoziazione

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Finestra sulla Pac n.25: un aggiornamento sulla negoziazione
Istituto Nazionale di Economia Agraria

Le principali novità nelle trattative sulla riforma della Pac 2014-2020 riguardano la definizione di agricoltore attivo e il greening.
Riguardo al primo punto, la presidenza danese, con il pieno appoggio del commissario Ciolos, sta lavorando attorno all’idea di una “lista negativa”, cioè di una lista di coloro che per definizione non possono essere considerati attivi. Si tratterebbe di escludere dai benefici dei pagamenti diretti tutti i soggetti per i quali l’attività agricola è marginale e frutto di strategie di diversificazione delle attività e del rischio, come le società immobiliari, ferroviarie o aeroportuali, i circoli sportivi, ecc., o la cui attività di mantenimento in buono stato dei terreni è funzionale all’attività economica (non agricola) principale del soggetto, come i campi da golf. Resta da capire se e quanta flessibilità verrà concessa agli Stati membri nello stilare la lista (e quindi, implicitamente, come definire gli agricoltori non attivi) e se la “lista negativa” verrà affiancata da altri criteri legati all’ammontare degli aiuti percepiti e/o al reddito.
Proprio sulla questione dell’agricoltore attivo la Corte dei Conti europea, nel suo recente parere sulle proposte di riforma della Pac [pdf], ha ritenuto positivo questo “primo tentativo di limitare gli aiuti agli agricoltori in attività”, tenuto conto della sostanziale inefficacia delle disposizioni dell’attuale Pac. Tuttavia, si ritiene che la proposta della Commissione non sia sufficiente ad impedire che ricevano aiuti anche coloro che non sono impiegati in agricoltura, o lo sono solo marginalmente. Inoltre, il primo criterio, quello legato all’incidenza degli aiuti sui proventi extra-agricoli, è di difficile applicazione e controllo. Anche il secondo criterio utile alla definizione di agricoltore attivo, quello dello svolgimento di un’attività minima su superfici mantenute naturalmente in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione (le aree marginali), secondo la Corte dei Conti corre il rischio di essere sostanzialmente inapplicato, dato che il compito di stabilire l’attività minima da svolgere su tali superfici è lasciato agli Stati membri, che potrebbero definire tale attività in modo da non escludere nessuno. La Corte dei Conti, poi, ritiene che anche agli agricoltori considerati automaticamente attivi (quelli i cui aiuti sono inferiori a 5.000 euro annui) andrebbe imposto il vincolo dell’attività minima, visto che essi rappresentano il 74% dei beneficiari UE di aiuti diretti (in Italia, secondo i dati 2010 della DG Agri, al di sotto di tale soglia ricade l’87,4% dei beneficiari e quasi il 26% dei pagamenti).
Relativamente al greening, la Commissione europea, tenendo conto di alcune delle criticità emerse nell’ambito del dibattito sulle proposte di riforma, a fine maggio ha diffuso un concept-paper  [pdf] in cui si concedono alcuni margini di flessibilità agli Stati membri e si introducono alcune importanti novità. A margine, è interessante notare che forse è la prima volta nella storia del primo pilastro della Pac che la Commissione produce un documento ufficiale di ridiscussione delle proposte legislative, addirittura scaricabile dal sito della DG Agri, senza ricorrere a formule anonime quali i famosi non paper delle precedenti riforme. La prima novità del concept-paper è la possibilità di vedere riconosciuti come pratiche agricole benefiche per il clima e l’ambiente gli impegni agro-ambientali sottoscritti nell’ambito del secondo pilastro o nell’ambito di un regime nazionale di certificazione ambientale. L’idea è di riconoscere gli sforzi di coloro che sono già coinvolti in misure agro-ambientali che comportano impegni che vanno al là di quelli previsti dal “pagamento verde” del primo pilastro. Questo, secondo la Commissione, potrebbe comportare un effetto traino per altri agricoltori e amplificare gli effetti ambientali di tali misure o certificazioni. Secondo le associazioni ambientaliste, invece, ciò comporterebbe un annacquamento del greening in quanto, a fronte del pagamento verde, non verrebbero assicurati benefici ambientali aggiuntivi. Le condizioni da osservare per vedersi riconosciuti gli impegni già assunti sono: a) deve trattarsi di impegni che vanno oltre quelli previsti dal greening del primo pilastro; b) deve essere coinvolta l’intera azienda (a differenza di quanto disposto per l’agricoltura biologica, dove è possibile essere esentati dal greening solo per la parte di azienda dedita alla produzione biologica); c) deve essere un tipo di impegno comparabile a quello previsto dal greening.
L’approccio proposto dalla Commissione rappresenta un cambiamento rispetto alle proposte di ottobre 2011 [pdf] ma è ancora distante da quelle avanzate da un nutrito gruppo di paesi, noto come “gruppo di Stoccolma”, che ha raccolto consensi anche da altri Stati membri. Relativamente al greening, il gruppo propone di prevedere alcune opzioni tra le quali uno Stato membro può scegliere: trasferire il 10% dei fondi del primo pilastro al finanziamento di ben definite misure agro-ambientali (presumibilmente nel secondo pilastro) oppure considerare “verdi” per definizione le aziende che soddisfano determinati requisiti ambientali (ad esempio, quelle che per il 50% della superficie sono a biologico o ricadono in regimi agro-ambientali e quelle che hanno una certa proporzione della propria superficie a prato o foreste). Per quelle “non verdi”, gli Stati membri possono scegliere tra due ulteriori opzioni: salvare l’impianto della proposta, ma legare l’ottenimento del 30% riservato ai pagamenti verdi alla realizzazione di tre misure da scegliere in un menù di nove, oppure imporre di soddisfare una condizionalità rafforzata (comprensiva delle misure previste dai pagamenti verdi) al fine di ricevere l’intero ammontare del pagamento diretto e non solo la componente verde.
Altre novità proposte dalla Commissione riguardano l’ampliamento della definizione di prato permanente, per includere anche le superfici dove sono predominanti specie non erbacee (alberi, arbusti) ma che hanno un elevato valore agricolo e ecologico, e l’esclusione dagli obblighi della diversificazione delle aziende inferiori a 50 ettari con una parte importante della loro superficie a prato, temporaneo o permanente (quindi non la totalità della superficie come stabilito nelle proposte di ottobre). E ancora, nel concept-paper si propone di aumentare la soglia al di sopra della quale imporre l’obbligo di diversificazione oltre i 3 ettari, fino a 10 ettari.
Nella discussione seguita alla presentazione del documento della Commissione si sono toccati altri temi relativamente al greening, sui quali la Commissione non si era espressa. Tra questi, la richiesta di ridurre la percentuale di superficie ammissibile da dedicare alle “aree di interesse ecologico” dal 7% al 3,5% al massimo. La Commissione, poi, ha (implicitamente) confermato che il mancato rispetto del greening comporterà un taglio anche sul pagamento di base, affermando che il sistema di penalizzazione sarà progressivo. Quindi l’esclusione piena dal beneficio degli aiuti avverrà solo in caso di inosservanza grave, reiterata negli anni, e di malafede.
Sul greening la Commissione agricoltura del Parlamento europeo (Comagri) ha espresso fortissime perplessità, considerando un passo necessario ma non sufficiente i cambiamenti proposti dalla Commissione europea. Si attende la proposta della Comagri sulla riforma della Pac che sarà ufficializzata il 17 e 18 giugno prossimi.
Altro argomento di discussione è quello relativo alla obbligatorietà dei pagamenti relativi ai giovani agricoltori e al regime per i piccoli agricoltori. Riguardo al primo punto, molti Stati membri chiedono che il regime sia reso facoltativo, mentre altri che la percentuale da dedicare a tale aiuto nell’ambito del primo pilastro possa essere aumentata fino al 5%. Più delicata è la questione della obbligatorietà del regime per i piccoli agricoltori. Considerando che la proposta fissa l’aiuto minimo da corrispondere a chi accede al regime (500 euro), in alcuni paesi, come l’Italia, dove il numero degli agricoltori con aiuti al di sotto di tale soglia è altissimo, si corre il rischio di dover attingere al massimale per il pagamento di base per poter recuperare le risorse necessarie a finanziare il regime per i piccoli agricoltori. A titolo esemplificativo, in Italia, al 2010, le aziende che hanno ricevuto meno di 500 euro sono state quasi 522 mila, con un aiuto medio di 261 euro. L’applicazione a tali aziende del regime semplificato comporterebbe la necessità di raddoppiare le risorse loro destinate attraverso un taglio lineare dei fondi per il pagamento base.
Focalizzando l’attenzione sugli interessi italiani, tra i punti caldi della riforma quello sicuramente meno sentito dal nostro paese è il problema del capping, che, secondo le attuali regole, dovrebbe avere effetti irrilevanti sul sistema produttivo nazionale. Allo stesso modo, nell’ambito delle riunioni del Consiglio, l’Italia si è detta d’accordo con la Commissione relativamente alla proposta di aiuto per le aree svantaggiate. A tale proposito vale la pena far notare che, nell’ambito delle discussioni sul secondo pilastro, la Commissione ha chiarito che, nel caso in cui coesistano aiuti del primo e del secondo pilastro in favore di tali aree, i primi vanno decurtati da quelli del secondo. Questi ultimi, per poter essere erogati, devono essere superiori a 25 euro/ettaro, ma non possono superare 300 euro/ettaro in montagna e 250 euro/ettaro nelle altre aree. I due aiuti, quindi non sono sovrapponibili, scongiurando il rischio di sovra-compensazione; tuttavia essi sono calcolati in base a logiche completamente diverse: nel secondo pilastro l'aiuto viene erogato in base a una selezione dei beneficiari ed è funzione del mancato reddito o dei maggiori costi che si realizzano in queste aree; nel primo pilastro, ove previsto, l’aiuto verrebbe corrisposto a tutti coloro che attivano il pagamento di base e che ricadono nelle aree o sub-aree con vincoli naturali. In questo caso l'aiuto è pari all’importo risultante dalla divisione tra il massimale fissato per l’aiuto e la superficie ammissibile della zona con vincoli naturali, quindi del tutto slegato da criteri legati a redditività ed efficienza.
Gli interessi italiani, nelle trattative per la riforma, sono prioritariamente orientati ad attenuare l’impatto negativo della ripartizione del budget agricolo tra Stati membri basato sul criterio della superficie ammissibile. La soluzione migliore, ma difficilmente percorribile, sarebbe quella di affiancare al criterio della superficie un criterio legato al valore della produzione. Una soluzione più probabile, e già espressa da altri paesi, è invece quella di imporre un limite alle perdite che ciascun paese può subire da questo processo di redistribuzione. Altra questione è quella dell’omogeneizzazione degli aiuti all’interno di ciascun paese. Sembra lecito supporre che cadrà la norma che prevede di completare tale processo entro il 2019, così come quella che prevede di partire dal primo anno con il 40% di aiuto distribuito in modo forfetario. In altre parole, l’omogeneizzazione si farà, ma a ritmi più lenti e con effetti meno dirompenti di quelli derivanti dalla proposta di riforma.
Ma la vera incognita per il bilancio agricolo dipende da quello che succederà sull’altro tavolo negoziale, quello sulle prospettive finanziarie 2014-2020. In quest’ambito si lavora con l’ausilio di negotiating box che la presidenza danese elabora sulla base dei risultati raggiunti dalle trattative e da tentativi di soluzioni di compromesso. Relativamente alla Rubrica 2, la negotiating box sottolinea la necessità di rendere più equa la distribuzione del sostegno diretto tra Stati membri, tenendo conto delle differenze esistenti in termini di livello dei salari, potere d’acquisto, produzione e costi, e del contesto generale della Pac e del bilancio dell’UE. La convergenza degli aiuti dovrà essere finanziata da tutti i paesi con aiuti superiori alla media UE. Tale finanziamento potrebbe avvenire proporzionalmente alla distanza dalla media o in modo lineare per tutti. L’aspetto più importante, tuttavia, è che la negotiating box prevede una riduzione del bilancio per la Pac di entità non specificata in un numero di anni non precisato, ma compreso nel quadro finanziario, che colpirebbe sia il primo che il secondo pilastro. Questa eventualità, nel caso di tagli consistenti, sarebbe tale da rimettere in discussione tutto l’impianto delle proposte di riforma della Pac, che potrebbe tramutarsi in una semplice revisione delle attuali regole, abbandonando gli aspetti più innovativi e legittimanti e compromettendo la sua tenuta nel più lungo periodo.

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Commenti

E' possibile avere la ''lista negativa'' degli agricoltori attivi proposta dalla presidenza danese di cui si parla all'inizio di questo articolo? Grazie MLD

Commento originariamente inviato da 'MariaLuisa Doldi' in data 22/09/2012.