Introduzione1
Questo articolo affronta il problema dell’occupazione giovanile in agricoltura dal punto di vista quantitativo. Non si tratta di un lavoro agevole e i risultati che si riescono ad ottenere non sempre sono pienamente soddisfacenti. Questo perché, nonostante il problema del ricambio generazionale sia spesso evocato, non si è investito a sufficienza nella ricerca e nella messa a punto di statistiche adeguate. Ma anche per le obiettive difficoltà della questione occupazionale in agricoltura e l’ambiguità delle unità economiche di riferimento.
Ci si riferisce qui al ben noto problema di identificare le imprese all’interno della popolazione di più di 2,6 milioni di aziende censite, ma anche delle 1,6 milioni circa che hanno dichiarato di commercializzare in qualche misura il proprio prodotto. Non a caso solo 965 mila aziende agricole sono iscritte come imprese presso le Camere di Commercio nel primo trimestre 2005. Ma ancora, anche tra queste, andrebbe operata una consistente scrematura.
Il problema dei giovani, infatti, si associa principalmente in agricoltura a quello del suo rilancio imprenditoriale e si riferisce a quelle unità produttive che presentano i caratteri qualificanti dell’impresa: a) la proiezione al mercato; b) la massimizzazione del profitto o comunque la conduzione in condizioni di economicità; c) il carattere non semplicemente speculativo e di breve termine della conduzione; d) l’opposizione alle rendite; e) l’investimento di capitali e di capacità imprenditoriali; f) adeguate conoscenze tecnico-manageriali; g) l’assunzione del rischio; h) anche, infine, come conseguenza di tutto questo, una minima dimensione economica e un adeguato impegno professionale.
Concentrando la nostra attenzione sulle imprese agricole vere e proprie si può dire, in conclusione, che queste possono anche essere piccole, ma comunque non microscopiche, né tali da rappresentare per i loro titolari un impegno del tutto occasionale, come nella miriade delle piccolissime aziende agricole presenti specie in Italia. E’ ad esse che è affidata principalmente la funzione di produzione di beni per il mercato ed è per questo che il problema della presenza giovanile, come elemento che valorizza la proiezione verso il mercato, è più importante.
Con questo non si vuole diminuire l’importanza delle altre funzioni dell’agricoltura (difesa del territorio, conservazione della vita rurale, funzioni ambientali, ecc.) che formano la base della multifunzionalità promossa dall’Unione Europea, e per le quali anche le altre aziende agricole hanno un ruolo importantissimo; si vuole soltanto considerare differentemente queste due categorie all’interno dell’analisi di questo lavoro.
Poco male, infatti, se le imprese hobbistiche o di autoconsumo (e comunque soltanto accessorie) sono condotte da anziani. Da un certo punto di vista, può essere anche auspicabile che i pensionati ancora pienamente vitali continuino a svolgere un’attività produttiva e trovino nell’agricoltura delle piccole dimensioni occasione di impegno e distrazione. Lo stesso può dirsi, qualunque sia l’età, per gli occupati in altri settori che svolgono attività part-time nelle ore libere o nei week-end. Il problema della mancanza di giovani, come detto, si pone principalmente per la fascia ben circoscritta di aziende agricole che hanno le caratteristiche di essere anche imprese. Purtroppo, i dati censuari agricoli non consentono di distinguere adeguatamente le aziende agricole che non hanno le caratteristiche per essere considerate imprese, da quelle che lo sono effettivamente, così le misurazioni dell’invecchiamento e del grado di turn-over in agricoltura ne risultano fortemente condizionate. Per queste ragioni, uno degli obiettivi di questo articolo è di confrontare i dati provenienti da fonti statistiche diverse: in particolare, le statistiche Eurostat sul self-employment, quelle sulle professioni del censimento della popolazione e quelle delle indagini sulle forze di lavoro. Queste, come si vedrà, differiscono profondamente. Difficile è, di conseguenza, la loro comparazione. Anche se è proprio dal confronto tra le diverse dimensioni che il fenomeno assume che emergono alcune sollecitazioni interessanti. Esse consentono, se non altro, di indicare il percorso da compiere con ulteriori auspicabili approfondimenti.
Penuria di giovani: un problema in tutta l’Europa
L’invecchiamento e la scarsità di giovani imprenditori in agricoltura, conseguente alla mancanza di turn-over, è un problema comune a tutti i paesi sviluppati. Esso si lega alla crescita economica e consegue alla redistribuzione dei fattori dai settori che perdono occupazione (agricoltura) a quelli che la acquistano (industria in un primo tempo, terziario successivamente). La riallocazione della forza lavoro è, infatti, un processo selettivo, che interessa principalmente le classi di età più giovani, quelle più pronte a spostarsi (non solo in termini di impiego, ma spesso anche di residenza) e più rispondenti alle esigenze occupazionali dei settori emergenti. Non è quindi sorprendente che lo sviluppo economico si accompagni per lunghi tratti all’invecchiamento agricolo.
Meno scontato è che l’invecchiamento e l’esodo dei giovani continui a manifestarsi anche in economie mature, come quelle dell’Europa occidentale, dove l’esodo dalle campagne si è praticamente compiuto nei decenni passati, tanto che l’occupazione agricola è ormai ad una sola cifra e spesso molto al di sotto del 5%. In queste condizioni, ci si sarebbe aspettati prima un rallentamento del fenomeno e poi anche un’inversione di tendenza. Invece tutte le analisi svolte in Europa sulla distribuzione per età in agricoltura e sulla dinamica complessiva della presenza giovanile continuano a dare segnali non positivi. Il peso della componente giovanile è in contrazione evidente pressoché dappertutto, sia in termini assoluti, che in relazione alle fasce di età più anziane.
La situazione nei paesi Europei
Dal 1990 al 2003 l’età media dei conduttori agricoli nell’UE-15 è continuata, sia pur di poco, a crescere fino agli attuali 56,1 anni (tabella 1): una età in cui negli altri settori si va generalmente in pensione.
La quota percentuale dei giovani conduttori con meno di 35 anni è scesa invece complessivamente fino al 6,4% nell’UE-15 (tabella 2), la percentuale migliora solo leggermente se si considera l’UE-25.
Tabella 1 – Età media dei conduttori agricoli nell’UE (anni)
Fonte: Eurostat
In termini percentuali la diminuzione ha riguardato sia i paesi più arretrati in termini di strutture agricole e crescita economica, sia quelli, come Gran Bretagna, Olanda e Danimarca, con buone strutture agricole e in cui il travaso dall’agricoltura verso l’industria e il terziario si è realizzato in tempi ormai remoti. In questa situazione di generale preoccupazione, l’Italia si colloca nelle posizioni di coda: nel 2003 solo il 3,9% dei conduttori agricoli aveva meno di 35 anni.
La valutazione può essere ulteriormente approfondita facendo ricorso a due indici di invecchiamento (grafico 1): I65, che misura il rapporto tra il numero di conduttori con più di 65 anni e quelli con meno di 35 anni, e I55 , con al numeratore i conduttori con più di 55 anni. In Italia I65 è pari a 10,4, mentre I55 è pari a 16.6. I55 è lo stesso rapporto con al numeratore i conduttori con più di 55 anni. In Italia I65 è pari a 10,4, mentre I55 è pari a 16,6.
Tabella 2 – Presenza dei giovani conduttori per Stato membro Conduttori <35 anni su totale conduttori (percentuale)
Fonte: Eurostat
Grafico 1 – Indice di invecchiamento nell'agricoltura dell'UE nel 2003 Conduttori agricoli più che 65enni (55enni) per ogni conduttore meno che 35enne
Fonte: Eurostat
La media europea dei due indici I65 e I55 (rappresentata in grafico 1 dalle linee verticali) è rispettivamente pari a 3,2 e a 5,7. Soltanto il Portogallo presenta un invecchiamento più elevato di quello registrato nel nostro Paese, ma questo dato può ancora essere ascritto al maggiore ritardo economico di quel paese e al consistente sviluppo (con effetto attrazione sull’esodo agricolo) che lo ha caratterizzato ancora di recente, dopo l’ingresso nell’UE nel 1986. Gli indici I65 e I55 calcolati per le altre grandi agricolture continentali (Germania e Francia) si collocano ben lontano dall’eccezione italiana. Analogamente, tra i paesi mediterranei, Spagna e Grecia sono lontane dall’Italia.
L’invecchiamento dei conduttori in Italia
Spostiamo ora l’attenzione all’intero settore agricolo italiano, comprendendo tutte le aziende (non solo le imprese). La tabella 3 presenta la distribuzione dei conduttori agricoli per classi di età, dalla quale si deduce una conferma dello stato di patologico invecchiamento. L’età media in Italia cresce tra i due ultimi censimenti da 57,9 a 59,0 anni, mentre si assiste ad una diminuzione generalizzata in tutte le classi di età ad eccezione di quella più anziana, con più di 65 anni. Al di sopra di questa si intravede una consistente fuoriuscita di conduttori, senza che a questo corrisponda un reingresso sufficiente. L’età dei conduttori attuali è così avanzata, che (a meno che non si salti una generazione) anche gli eventuali loro eredi, futuri conduttori, sono già anziani.
Tabella 3 – Conduttori agricoli per classe di età, 1990-2000
Fonte: ISTAT, censimenti agricoltura
Se ora si analizza, la distribuzione per età a livello regionale (tabella 4), appare con tutta evidenza come lo scenario negativo interessi praticamente tutte le regioni. Soltanto in qualche caso si assiste ad una certa attenuazione del fenomeno. Il caso della Lombardia è abbastanza scontato, tenuto conto della peculiare migliore struttura agraria della regione e della spiccata vocazione agricola e zootecnica dei suoi terreni. Meno ovvio (e per questo più interessante) è il caso del Trentino-Alto Adige, che è la regione italiana relativamente più giovane. Si tratta di una regione certamente dotata di buone vocazioni agricole, ma certamente anche condizionata da severe limitazioni naturali (montagna). Ma ciò sembrerebbe dimostrare che, dove l’agricoltura è riuscita ad orientarsi verso soluzioni multifunzionali e integrarsi con altre attività economiche, come il turismo (e la politica agricola si è orientata maggiormente allo sviluppo rurale), il processo di ringiovanimento può realizzarsi anche in presenza di limitazioni fisiche.
Tabella 4 – Conduttori agricoli per regione e per classi di età, 2000
Fonte: ISTAT, censimento agricoltura, 2000
Di contro, mentre il Mezzogiorno si colloca sulla media nazionale, alcune regioni mostrano caratteri di invecchiamento e di carenza di giovani più esasperati rispetto alla media nazionale. Si tratta generalmente di regioni del Centro Italia e del Nord Est, associabili generalmente a due fenomeni coincidenti. Il primo è l’emergere nel corso degli ultimi decenni di uno sviluppo economico diffuso di tipo distrettuale, fondato su sistemi di piccola impresa industriale e terziaria, che può aver prodotto, più che altrove, un effetto-attrazione verso le giovani generazioni agricole. Il secondo, che dipende dalle vocazioni dei terreni, ma che potrebbe anche essere correlato al primo, è la diffusione di un’agricoltura specializzata nella produzione di commodities agricole particolarmente sostenute dalla PAC (cereali, coltivazioni industriali, allevamento intensivo non integrato alla coltivazione e a ciclo aperto), standardizzate sia dal punto di vista qualitativo, che delle tecniche in uso per ottenerle, ad alto livello di meccanizzazione e bassa occupazione.
Come si vedrà più avanti, vi è una correlazione abbastanza evidente tra l’indice di invecchiamento e l’agricoltura di questo tipo. Tali attività, infatti, non solo richiedono una modesta attività imprenditoriale e lavorativa, ma l’espletamento delle operazioni agricole può avvalersi sostanzialmente del contributo del contoterzismo anche per attività ordinarie di conduzione (ad esempio l’aratura). Infatti, proprio in queste regioni, il contoterzismo del tipo ora descritto è particolarmente diffuso.
Per esercitare questa “agricoltura per telefono”, non è necessario essere giovani. Essa è peraltro particolarmente compatibile con l’attività occasionale e saltuaria di chi sia principalmente occupato in altri settori, e consideri l’agricoltura soltanto come una attività sussidiaria ed integrativa o semplicemente hobbistica. Si noti, tuttavia, che in queste realtà la rilevazione censuaria basata sulle aziende agricole tende a sovrastimare la presenza degli anziani quali imprenditori agricoli proprio perché questi sarebbero solo titolari dell’azienda e percettori della rendita fondiaria mentre la funzione imprenditoriale vera e propria sarebbe svolta dai più giovani e dinamici contoterzisti.
Nel gruppo delle regioni più in difficoltà, le Marche e l’Umbria hanno una posizione estrema. Infatti sono le regioni con la percentuale di giovani più bassa, che si accompagna anche alla minore presenza di conduttori della classe intermedia (35-55 anni). Come conseguenza le due regioni detengono il primato gli ultra-55enni: solo tre conduttori su dieci hanno meno di 55 anni e solo uno su trenta meno di 35 anni. Ma altre regioni, come Veneto, Friuli, Toscana, Lazio e Abruzzo, seguono a breve distanza.
La dinamica nel tempo
Dopo avere dato conto della presenza dei giovani in agricoltura e dell’invecchiamento, passiamo ora alla valutazione sul fenomeno del ricambio generazionale.
Un primo modo per tentare una valutazione del fenomeno dello squilibrio demografico in agricoltura è quello di analizzare l’evoluzione del peso dei giovani in agricoltura nel recente passato. A questo scopo, limitatamente al nostro paese, viene confrontata la struttura per classi di età della popolazione attiva agricola nel decennio 1993-2003, utilizzando i più recenti dati disponibili relativi agli occupati indipendenti in agricoltura secondo l’Indagine sulle forze di lavoro (tabella 5). E’ importante notare che secondo questa fonte gli occupati indipendenti in agricoltura sono tutti colori i quali (titolari e familiari) dichiarano di lavorare in agricoltura come attività principale nel momento dell’indagine, è importante notare che il valore rilevato in questa indagine è molto inferiore a quello indicato dal Censimento dell’agricoltura.
Da questi dati, a differenza da quelli dei conduttori tratti dal censimento, si nota un certo ringiovanimento. Apparentemente questa affermazione sembrerebbe smentita dalla diminuzione della percentuale di addetti della classe più giovane (15-24 anni), che passa dal 6,4 al 4,5% del totale. Tuttavia questo è presumibilmente dovuto, oltre che alla diminuzione generale del tasso di natalità e alla conseguente progressiva riduzione nel numero dei giovani, soprattutto all’allungamento della scolarizzazione: i figli di agricoltori più giovani, che nel passato prevalentemente lavoravano in azienda, oggi sono più facilmente studenti. Il peso delle classi di età successive (dai 25 fino ai 54 anni) è maggiore nel 2003 che nel 1993, mentre il peso delle classi più anziane è minore e stabile nel tempo.
Nel complesso, quindi, si è in presenza di un processo di aggiustamento della struttura di età, e della progressiva correzione della sua forma a piramide rovesciata. Tuttavia questo avviene in un quadro di diminuzione complessiva degli addetti, che nel decennio passano da 823 mila a 598 mila (-27,4%). Se si confrontano le consistenze delle singole classi di età, la diminuzione maggiore si ha nella classe 55-64 (-114 mila addetti), seguita da quella 45-54 (-49 mila). I nuovi ingressi in agricoltura (gli addetti della classe 15-24) subiscono, in termini relativi, una diminuzione maggiore del complesso, dato che sostanzialmente si dimezzano; ma, come si è detto, questo forte calo almeno in parte si può attribuire all’aumento della scolarizzazione, che sposta ad un’età più tarda l’ingresso al lavoro.
Va rimarcato infine che il processo di ringiovanimento va attribuito prevalentemente ai maschi, in quanto per loro l’aumento di peso delle classi più giovani, ed il calo di quelle più anziane, è decisamente più accentuato che per le femmine.
Tabella 5 – Occupati agricoli indipendenti per classi di età e sesso, 1993-2003
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT, Indagini sulle forze di lavoro
La tabella 6 presenta i saldi ed i tassi migratori del settore (sempre con riferimento agli indipendenti) suddivisi fra maschi e femmine. Il saldo migratorio rappresenta la differenza fra gli addetti in una classe di età nel 2003 (ad esempio, quelli fra i 25 ed i 34 anni) e gli addetti nella classe di età precedente nel 1993 (quelli che avevano fra i 15 ed i 24 anni), e rappresenta la differenza fra le entrate e le uscite dal settore.
Un saldo migratorio passivo significa che sono usciti dal settore più addetti di quella classe di età di quanti ne siano entrati, un saldo attivo segnala ovviamente il fenomeno opposto. Il saldo migratorio netto è analogo, ma depurato del tasso di mortalità della classe di età corrispondente: in altre parole, non conteggia fra le uscite dal settore gli addetti deceduti, il che è ovviamente più rilevante per le classi di età più alte. Il tasso migratorio è il rapporto fra il saldo migratorio e la consistenza della classe di età di partenza.
Tabella 6 - Occupati agricoli indipendenti 1993-2003
Saldi migratori (migliaia) e tassi migratori (%)
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT, Indagini sulle forze di lavoro
Il quadro che emerge è relativamente positivo, soprattutto perché conferma la tendenza, già emersa negli anni ottanta, ad un maggior ingresso di giovani. Il saldo migratorio è positivo per tutte le classi di età fino ai 45-54 anni (nel 1993). Ad esempio, i maschi di 25-34 anni erano nel 2003 più numerosi (per 39 mila unità) di quanto non fossero quelli di età corrispondente (15-24 anni) nel 1993. In altre parole, nel decennio sono entrati nel settore 39 mila maschi di quella classe di età più di quelli che sono usciti; ad essi si aggiungono 11 mila femmine.
Non bisogna tuttavia esagerare la portata degli ingressi nel settore. Per le classi più giovani questo può essere infatti almeno in parte spiegato col ritardato ingresso nel mondo del lavoro: ad esempio, nel caso indicato possono essere figli di agricoltori fra i 15 ed i 24 anni nel 1993 che studiavano e successivamente sono entrati a lavorare in azienda. Tuttavia è un segno positivo che il saldo si mantenga attivo (e quindi ci sia un ingresso netto nel settore) anche nella classe superiore: le entrate nette nel settore delle persone fra i 25 ed i 35 anni nel 1993 sono quasi 33 mila.
Nella classe di età superiore la cifra si riduce a solo 4 mila unità complessive, ma è negativa per le femmine. Solo per classi di età oltre 55 anni nel 1993 c’è una fuoriuscita netta dal settore, molto probabilmente in larga misura in direzione del pensionamento. Anche riguardo ai saldi e tassi migratori si possono osservare differenze fra i due sessi. Si può infatti notare per le femmine un minor tasso migratorio (cioè un numero percentualmente minore di ingressi) dalla 1° alla 2° classe, e dalla 3° alla 4°; inoltre si ha un maggior tasso di uscite nelle classi più alte, presumibilmente in massima parte attribuibile all’età di pensionamento più bassa per le donne.
Da questi dati possiamo anche trarre una valutazione di quanti giovani in più dovrebbero entrare in agricoltura per conservarne nel tempo la struttura demografica. Nell’ipotesi che gli ingressi dalla prima alla seconda classe (quella fra i 25 ed i 35 anni) debbano compensare le uscite dalla classe fra i 55 ed i 64 anni, occorrerebbe inizialmente incrementare gli ingressi in agricoltura di circa 140 mila unità; col tempo, il “fabbisogno” di giovani potrebbe diminuire, visto che la presenza di addetti va man mano diminuendo.
I giovani imprenditori in agricoltura e negli altri settori
Un altro modo per cercare di quantificare il fenomeno della senilizzazione in agricoltura, e di valutarne la gravità, è quello del confronto settoriale. Tale valutazione e, soprattutto, il confronto con gli altri paesi è tuttavia complicato dalla forte presenza in Italia di piccolissime dimensioni che non perseguono finalità imprenditoriali nelle quali la permanenza si protrae ben oltre la vita professionalmente attiva e in cui si concentrano i conduttori anziani.
Una valutazione a livello europeo
Se si tentasse di derivare una stima di quanti giovani imprenditori mancano all’agricoltura europea per portarsi dai livelli attuali alla pari degli altri settori,se ne otterrebbe una consistente sopravvalutazione, specie per i paesi come l’Italia. Altre informazioni statistiche possono portare ad un risultato più ragionevole, specie se l’obiettivo dell’analisi è proiettato verso il futuro. Nelle stime che seguono ci siamo avvalsi delle statistiche sul “Self-employment by sex, age groups and economic activity” pubblicate dall’Eurostat con riferimento al IV trimestre 2004. La tabella 7 presenta (con riferimento ai 16 paesi europei dei quali si dispone di dati completi) gli occupati autonomi con età inferiore a 40 anni e gli occupati totali rispettivamente dell’agricoltura e del settore manifatturiero (assunto come termine di confronto) 2
Tabella 7 – Stima dei giovani imprenditori agricoli "mancanti" per alcuni paesi UE a confronto con il settore manifatturiero, VI quadrimestre 2004 (migliaia)
Fonte: Eurostat
Come si può ben notare con riferimento all’Italia, il numero totale di self-employed in agricoltura è decisamente inferiore rispetto al numero di aziende agricole registrate dai dati censuari e molto più allineato a quello rilevato dall’Indagine sulle forze di lavoro.
L’indice di presenza giovanile in agricoltura misura la presenza relativa di giovani imprenditori nel settore primario, rispetto al manifatturiero. Valori percentuali inferiori a 100 segnalano la carenza relativa di giovani in agricoltura.
Nell’ultima colonna è calcolato, per ciascun paese, il numero di giovani che se entrati nel settore colmerebbero il divario tra l’agricoltura ed il settore manifatturiero. Questo confronto ha solo un valore relativo dato che, a sua volta, nei comparti manifatturieri la presenza di giovani imprenditori dipende da una serie di fattori quali la composizione settoriale, la presenza di settori “nuovi”, le dimensioni di scala, ecc.. Tuttavia il confronto può essere utile.
Come si può notare, anche questa fonte statistica conferma la criticità della situazione in Portogallo e in Italia, ma anche altri paesi (Francia, Grecia, Spagna, Polonia) necessiterebbero di consistenti immissioni di giovani imprenditori per portarsi alla pari dei rispettivi settori manifatturieri. In generale l’area mediterranea soffre maggiormente della mancanza di turn-over in agricoltura.
Pur non avendo a disposizione i dati relativi a tutti i paesi comunitari, tuttavia, tenendo conto dei paesi per cui non sono disponibili i dati (Germania innanzitutto), è possibile quantificare in circa 4-500 mila unità il numero di giovani mancanti. Quanto alla situazione specifica italiana, la cifra si potrebbe stimare a 55 mila giovani.
Una valutazione per l’Italia e le sue regioni
Sulla base dei dati del censimento della popolazione del 2001 è infine possibile tentare una stima per regioni, analoga a quella prodotta sopra in tabella 7 con riferimento ad alcuni stati membri dell’Unione Europea. Con la stessa procedura, in tabella 8 è riportato il numero di imprenditori agricoli e del settore manifatturiero (il criterio adottato nel definire la propria professione è qui quello della prevalenza nel proprio impegno lavorativo). Su questa base, sono calcolati l’indice della presenza di giovani in agricoltura (il valore 100 corrisponde ad una quota di giovani in agricoltura pari a quella dei giovani nel settore manifatturiero) ed una stima di quanti ne mancherebbero in ogni regione per portare la loro percentuale alla pari di quella del settore manifatturiero. Il confronto a questo livello disaggregato va preso con una certa prudenza, date le forti differenze a livello regionale della percentuale di giovani sia a livello agricolo sia a livello dell’industria manifatturiera: l’ultima percentuale dipende infatti molto dalla composizione e dimensione del settore stesso, ed entrambe risentono della composizione demografica della popolazione della regione.
Come si può notare, comunque, il numero di imprenditori agricoli secondo questa fonte è pari a 550 mila unità soltanto (il 21% delle aziende censite): un dato compatibile con quello dei lavoratori autonomi rilevato da Eurostat, dal momento che qui non sono calcolati i familiari.
Tabella 8 – Stima del peso dei giovani imprenditori agricoli nelle regioni italiane a confronto con il settore manifatturiero (migliaia)
Fonte: ISTAT, censimento della popolazione, 2001
Secondo questo calcolo nelle imprese agricole, rispetto a quelle manifatturiere, ci sarebbe un 24% di giovani in meno, stimabili a livello nazionale in quasi 60 mila (un risultato analogo a quello dei 55 mila giovani risultante dal calcolo compiuto con i dati Eurostat e riportato in tabella 7). L’indice della presenza di giovani così calcolato a livello regionale conduce, pur nella diversità della fonte, ad alcuni risultati convergenti con le analisi derivate dal censimento agricolo: migliore situazione in Lombardia, peggiore nelle Marche, anche se la posizione di alcune regioni è in alcuni casi parzialmente diversa dalle attese. Sottolineiamo ancora che si tratta di un confronto relativo fra settori, e che un indice basso può essere dovuto ad un’alta presenza di giovani nel settore manifatturiero anche in presenza di un peso dei giovani in agricoltura magari maggiore della media nazionale (è ad esempio il caso della Puglia).
Giovani e ordinamenti tecnico-economici
Di seguito si propone un’analisi delle tipologie produttive e strutturali preferite dalle imprese di giovani, informazioni queste che consentiranno successivamente alcune considerazioni sulla natura delle politiche che possono risultare più utili ai fini dell’inserimento di nuovi giovani imprenditori in agricoltura.
Il grafico 2 consente di analizzare la presenza giovanile nella conduzione delle aziende agricole in base ai rispettivi ordinamenti tecnico-economici (OTE).
Gli indici di specializzazione misurano il peso percentuale di conduttori giovani (<40 anni) nello specifico OTE, rispetto all’analoga percentuale di giovani in tutta l’agricoltura. I valori sopra 100 indicano che in quell’OTE ci sono più giovani che nella media dell’agricoltura italiana, valori inferiori a 100 indicano de-specializzazione giovanile. Naturalmente, nell’analisi bisogna tenere conto anche del peso relativo di un OTE a livello nazionale.
I risultati rivelano che la presenza giovanile tende a concentrarsi innanzitutto nell’allevamento bovino specializzato, sia da latte che da carne e nell’ortofloricoltura. In questi OTE, che complessivamente rappresentano circa il 5% del RLS totale agricolo, si rileva un presenza doppia di conduttori giovani rispetto alla media italiana. La specializzazione giovanile si nota anche negli OTE a indirizzo misto colture-allevamento (seminativi e erbivori), che di poli-allevamento di erbivori. E’ l’allevamento in particolare che tende a catalizzare i giovani. Lo conferma anche la relativa specializzazione giovanile tanto negli allevamenti con più spiccate caratteristiche industriali e più scollegati dalla coltivazione (polli e suini), così come in quelli ovini e caprini, più tipici delle aziende alto-collinari e montane, specie del Mezzogiorno.
Grafico 2 – Giovani conduttori per Ordinamenti Tecnico Economici (OTE) in Italia Indice di specializzazione. Media giovani nell'agricoltura italiana = 100
Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT
Gli OTE in cui appare di contro una presenza giovanile più scarsa sono riconducibili a tre categorie:
- colture permanenti in genere, olivicoltura, viticoltura con piccole o piccolissime dimensioni aziendali;
- orientamenti misti di tipo tradizionale: è il caso della policoltura;
- orientamenti specializzati in produzioni estensive e standardizzate a basso impiego unitario di manodopera e fortemente meccanizzate, quelle alle quali si accennava sopra con riferimento alle regioni dell’Italia centrale e del Nord-Est, in particolare cereali e semi oleosi. Tuttavia, si ricordi che in queste realtà la presenza giovanile è probabilmente sottostimata in quanto se la proprietà aziendale resta intestata a soggetti più anziani, le imprese sono spesso di fatto condotte da contoterzisti che si fanno carico, per più terreni, di tutta la gestione tecnico-economica. Si osservi all’opposto come l’OTE intitolato “altri seminativi”, che raccoglie le coltivazioni industriali e generalmente di prodotti più specializzati, ricada tra quelle in cui la presenza di giovani tende a superare la media.
Pur tenendo conto dei limiti derivanti dall’elevato grado di aggregazione dell’analisi fino a qui condotta, si può concludere che, il peso prevalente della conduzione giovanile tende ad evitare gli ordinamenti tecnico-economici meno complessi tecnicamente e dal punto di vista organizzativo, dove prodotti e processi produttivi sono più standardizzati e gli sbocchi di mercato più garantiti.
Senza dimenticare che il numero dei giovani risulta generalmente basso in tutte le tipologie, si può quindi affermare che le nuove generazioni non rifuggono dalla complessità e sono dunque propense a cimentarsi negli OTE più impegnativi e intensivi di lavoro, allevamento in primo luogo.
Naturalmente questo fenomeno può essere assunto anche come la conferma indiretta del fatto che negli OTE meno impegnativi tendono a raccogliersi e a permanere maggiormente gli agricoltori più vecchi, le cui energie e i cui stimoli imprenditoriali possono essersi affievoliti.
Giovani e dimensione economica delle aziende agricole
L’informazione fin qui presentata può essere ulteriormente approfondita analizzando, sempre con l’utilizzo dei dati censuari, la differente presenza dei giovani in base alle dimensioni economiche dell’impresa espressa in unità di dimensione economica (UDE) come riportato nella tabella 9. Le aziende con meno di 8 UDE sono quelle che hanno annualmente un reddito lordo standard inferiore a 9.600 Euro, circa 18,6 milioni di vecchie lire (meno di una pensione! a titolo di confronto, il valore medio annuo dei redditi pensionistici percepito nel 2001 dai 16.369.382 pensionati italiani è stato pari a € 12.039). A livello nazionale, questo raggruppamento raccoglie l’83% di tutte le aziende censite, il 28% della superficie agricola utilizzabile e il 20% del RLS totale prodotto. Le aziende hanno in media 1,8 ettari di SAU e un RLS medio annuo di 1.890 Euro. Si tratta, dunque, di aziende di ridottissime dimensioni, accessorie, marginali, spesso destrutturate e comunque di minore rilievo economico, di quanto non lo siano da altri possibili punti di vista: ambientale, sociale, territoriale.
Qui, ovviamente, si concentra gran parte dei giovani conduttori (quasi il 69%), anche se il peso percentuale dei giovani sul totale dei conduttori di questa classe è particolarmente modesto (8,5% in media nazionale). È confortante notare che il peso dei giovani si riduce soprattutto nelle regioni Marche, Umbria, Centro Italia in generale, quelle segnate dal grado di invecchiamento più elevato. La presenza di giovani cresce significativamente al passaggio dalla prima alla seconda classe (RLS tra 8 e 16 UDE: cioè tra 9.600 e 19.200 Euro l’anno) e ancor più alla terza classe (oltre 16 UDE: cioè oltre 19.200 Euro l’anno).
In queste classi è contenuto il 17% di tutte le aziende censite, che però coltivano il 72% della SAU e producono l’80% del RLS complessivo. L’azienda agricola media di questo aggregato coltiva 22 ettari di SAU, impiega 417 giornate lavorative (offrendo quindi occasione lavorativa per una occupazione professionale a tempo pieno) e produce 35.600 Euro di RLS.
Qui il peso dei giovani appare ancora relativamente sottodimensionato rispetto ad altri settori, ma molto meno che nella media dell’agricoltura italiana ed è decisamente più vicino alla media europea rilevata precedentemente.
Tabella 9 – Dimensione economica dell'azienda e quota di giovani conduttori (con meno di 40 anni) per regione e classe di UDE, 2000
Fonte: Eurostat
L’osservazione di questi dati consente di avanzare alcune ipotesi interpretative:
a) l’agricoltura italiana è vecchia, anche perché è condizionata dalla presenza di una miriade di aziende, spesso accessorie e comunque di importanza economica secondaria (con neanche 2.000 Euro in media di RLS l’anno) nelle quali si concentrano gli agricoltori anziani e la presenza dei giovani è più rarefatta. Questa classe, condizionata dalla troppo ridotta dimensione fondiaria, difficilmente può attrarre il giovane imprenditore, al più può costituire un complemento al reddito prodotto altrove oppure un trampolino di lancio per iniziare l’attività, puntando a maggiori dimensioni. Un consistente sfrondamento delle aziende con una intensa azione di ricomposizione fondiaria apparirebbe necessario a riguardo, per avvicinare la struttura produttiva agricola italiana a quella degli altri paesi dell’Europa. In parte, come si è visto, il contoterzismo sta producendo questa ristrutturazione di fatto, spesso con soluzioni informali. Ma altri strumenti (associativi, cooperativi) potrebbero essere suggeriti e favoriti per aggregare la piccola proprietà e favorire così l’inserimento di giovani (sia figli di agricoltori, che senza tradizioni agricole).
b) Le considerazioni ora proposte possono riguardare anche la classe intermedia tra 8 e 16 UDE, dove sono presenti 27 mila giovani. La significativa crescita della presenza percentuale di giovani (specie in alcune regioni: Liguria, Toscana, Umbria, Molise, Sardegna), segnala però che già a questo livello possono presentarsi occasioni per la permanenza e rilancio dell’agricoltura giovanile. Ovviamente, la prospettiva di un reddito lordo medio di poco superiore a quello di una pensione e inferiore a quello di una salario industriale medio lordo, non può comunque ancora allettare i giovani e costituire occasione per un impegno professionale. Al massimo possono essere interessati i giovani in condizioni di più scarsa competitività nel mercato delle altre occupazioni: quelli con i più bassi livelli di istruzione e/o con una precaria condizione sociale (per esempio gli immigrati).
c) E’ evidente che la dimensione sopra le 16 UDE costituisce invece un obiettivo concreto per il rilancio dell’imprenditoria giovanile. Oggi in questa classe si contano circa 50 mila giovani, ma certamente c’è spazio per altri ingressi. Sono questi i soggetti che molto probabilmente si ritroveranno anche tra quindici o venti anni e che segneranno i destini dell’agricoltura dei prossimi decenni in Italia.
Considerazioni conclusive
L’eterogeneità delle fonti e le carenze dell’informazione statistica utilizzata in questo studio, come anticipato già nell’introduzione, non consentono giudizi definitivi, ma possono comunque essere avanzate alcune considerazioni conclusive.
a) La questione della mancanza di turn-over in agricoltura è un fenomeno diffuso in tutta l’Unione Europea. Essa investe paesi a diverso grado di sviluppo economico e con differenti dotazioni strutturali. Presenta una certa accentuazione nei paesi mediterranei e in Gran Bretagna ed è fenomeno presente anche in gran parte dei nuovi stati membri dell’Europa centro-orientale. Le dimensioni del problema sono tali da giustificare un intervento massiccio con l’obiettivo del rilancio imprenditoriale e del ricambio generazionale come una priorità strutturale. E’ quindi necessaria una politica comune prioritariamente rivolta alle imprese condotte da giovani. Una politica agricola e di sviluppo rurale europea che si orientasse decisamente in questa direzione garantirebbe alla spesa agricola una forte giustificazione nei confronti delle obiezioni anche recenti e delle proposte o dei tentativi per diretti ad un suo graduale, inesorabile smantellamento.
b) La situazione dell’Italia è particolarmente critica se confrontata a quella del resto dell’Europa. Il problema del ricambio generazionale è rilevante in tutto il paese, specie nel Centro e nel Nord-Est, dove: a) l’assorbimento di manodopera nelle altre occupazioni, specie industriali, è stato più forte; b) è praticata un’agricoltura più semplificata e tendenzialmente monocolturale. Evidentemente il peso dell’invecchiamento tende ad essere enfatizzato nel nostro paese dall’effetto statistico causato dalla presenza nei dati censuari di una miriade di piccolissime aziende rivolte all’autoconsumo e accessorie, dove si raccoglie la maggiore presenza di anziani e vecchi. Ma il problema rimane, ed è molto serio, anche se si considerano le aziende al di sopra di una certa dimensione economica o se, in base al censimento della popolazione, si considerano gli imprenditori agricoli a confronto con quelli del settore manifatturiero.
c) Quanti giovani mancano all’agricoltura italiana? E’ difficile derivare delle stime definitive del numero di giovani imprenditori che “mancano” all’agricoltura italiana. I dati raccolti con le diverse strade che abbiamo seguito sono tra loro differenti: 55 mila giovani per portare il peso dei giovani al livello del settore manifatturiero secondo la stime basate sui dati Eurostat, 60 mila giovani secondo le stime dai dati del censimento 2001 della popolazione; 140 mila nuovi ingressi di giovani necessari per compensare le uscite delle classi di età più alte secondo i dati delle forze di lavoro.
Tuttavia, è importante notare che in ogni caso si è molto lontani dal raggiungere l’ordine di grandezza delle molte centinaia di migliaia di unità, come la semplice analisi dei dati censuari aggregati porterebbe a ritenere. Le diverse analisi proposte convergono nel suggerire che un obiettivo prioritario e ragionevole, per dare stabilità al settore primario, sarebbe quello di favorire l’inserimento in agricoltura nei prossimi dieci-quindici anni di alcune decine di migliaia giovani. Un traguardo di 50-60 mila giovani imprenditori potrebbe essere non semplice da raggiungere, ma realistico.
Un obiettivo ambizioso ma possibile se si opera in tutte le direzioni: i) facilitando il ricambio generazionale nelle imprese già adeguatamente dimensionate; ii) favorendo l’ampliamento delle imprese condotte da giovani, ma con dimensioni economiche troppo modeste o con problemi strutturali ancora irrisolti; iii) operando per l’entrata in agricoltura di forze imprenditoriali fresche senza tradizioni agricole (specie se con esperienze professionali in altri campi dell’economia); iv) non dimenticando che le condizioni di competitività che riguardano più in generale tutto il sistema produttivo, nelle sue dimensioni di filiera e territoriali, sono sempre più determinanti anche per sancire il successo o l’insuccesso delle singole imprese.
D’altra parte, molti attuali conduttori hanno un’età talmente avanzata da lasciar supporre che nel prossimo futuro la mobilità fondiaria e soprattutto il mercato degli affitti dovrebbero vivacizzarsi, anche in relazione all’introduzione del disaccoppiamento e alla conseguente minore convenienza relativa delle produzioni di massa ottenute con tecniche standardizzate: il riferimento è alle colture del grano e degli altri cereali (specie se a basso livello di qualità), alla barbabietola da zucchero, ecc..
Ma è evidente che occorre anche attenuare o addirittura abolire i tanti privilegi di status associati alla proprietà assenteista della terra (fiscali, contributivi, o frutto spesso delle stesse politiche passive), che creano attriti nel turn-over, per associare invece il sostegno (in modo più mirato, selettivo e controllato) ai programmi di sviluppo imprenditoriale.
- 1. A questo testo hanno collaborato Silvia Coderoni e Romina Finocchio
- 2. La scelta del settore manifatturiero è ovviamente discutibile. Si sarebbe potuto utilizzare, ad esempio, il dato relativo all’intero settore industriale. Si è preferito evitare di comprendere categorie molto numerose di impresa a carattere artigianale (come i forni e le pasticcerie, i meccanici auto, ecc.) nelle quali l’età del ritiro dal lavoro è anticipata e analoga a quella dei lavoratori dipendenti. La scelta effettuata determina una opportuna attenuazione del fenomeno della mancanza di giovani in agricoltura.
Commenti
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
Collegamento permanente
informazioni
Salve sono Luca Marchesino ed ho partecipato con grande interesse al vostro incontro ad Ancona lo scorso 11 ottobre; volevo congratularmi per questa relazione che tocca esaustivamente tutti i punti focali fotografando in maniera perfetta la situazione italiana e marchigiana in questo periodo di congiuntura negativa per quanto riguarda la problematica dei giovani e impresa nell'agricoltura.
Mi interesseva avere materiale consultabile anche per quanto rigurda la posizione dei rappresentanti del Movimento Giovanile Coldiretti Donato Fanelli, dell'AGIACIA Roberto Scalacci, dell'ANGA-Confagricoltura Gerardo Diana e del Settore Giovani Copagri Federico Sesti, nonche le conclusioni di Giuseppe Serino, direttore generale dello sviluppo rurale presso il MIPAF; se potreste inoltrarmeli al mio indirizzo di posta elettronica
La ringrazio
Luca Marchesino
Commento originariamente inviato da 'Luca Marchesino' in data 28/10/2005.
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
Collegamento permanente
risposta a Luca Marchesino
La ringrazio innanzitutto per il giudizio lusinghiero sull'iniziativa che abbiamo realizzato. Nella rubrica Eventi ARE che può trovare sulla destra del nostro sito www.agriregionieuropa.it troverà i materiali raccolti durante il Convegno di Ancona dell'11 ottobre. Purtroppo non ci sono documenti relativi agli interventi da lei menzionati, che sono stati presentati oralmente e senza presentazioni elettroniche. Trasmetteremo comunque il suo messaggio alle persone ed alle istituzioni che lei menziona.
Commento originariamente inviato da 'Franco Sotte' in data 14/11/2005.
Utente non regi... (non verificato)
Gio, 01/01/1970 - 01:00
Collegamento permanente
RISPOSTA
Dalla lettura di questo articolo ho potuto constatare che anche nella mia Cooperativa si rispecchiano le problematiche di tutto il settore agricolo. Già dal 2006, oltre i problemi climatici, si sono aggiunte le decisioni prese a livello europeo nel settore bieticolo;
nel bacino romagnolo la coltura della bietola è stata tolta, ciò ha ridotto notevolmente la PLV agricola, in quanto il ripiego è stato su colture molto più povere.
Anche i giovani che si trovano ad affrontare il settore sentono sempre il peso del loro futuro.
Sono costretti a fare scelte a volte imposte da meccanismi con scarsa tutela, rendendoli sempre più sfiduciati sul loro avvenire.
Commento originariamente inviato da 'GUALDI DARIO' in data 01/06/2006.