Le basi giuridiche
Agli inizi degli anni Novanta, anche sulla spinta dei crescenti timori dell’opinione pubblica sul continuo aumento delle concentrazioni di nitrati nell’acqua potabile e dei sempre più ampi fenomeni di eutrofizzazione, la Comunità Europea adotta misure finalizzate alla riduzione dell’inquinamento idrico causato da nitrati provenienti da fonti agricole. Tra gli interventi più significativi, va sicuramente ricordata la direttiva del Consiglio delle Comunità Europee 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole comunemente nota come “direttiva nitrati”. Tale direttiva obbliga gli Stati Membri, in un arco di tempo ben definito, a: specificare le acque di superficie o sotterranee inquinate o che potrebbero esserlo sulla base della procedura e dei criteri fissati dalla direttiva; individuare le zone vulnerabili che concorrono all’inquinamento; fissare i codici di buona pratica agricola (CBPA) e i programmi d’azione; monitorare la qualità delle acque al fine di rivedere le designazioni delle zone vulnerabili; predisporre programmi per la formazione e l’informazione degli agricoltori per promuovere l’applicazione del codice di buona pratica agricola; elaborare e presentare regolarmente alla Commissione relazioni sull’attuazione della direttiva. La legge nazionale n. 146 del 1994 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee), recepisce la direttiva 91/676/CEE e demanda alle regioni e alle province autonome il compito di predisporre i codici di buona pratica agricola in relazione alle caratteristiche del territorio. A questo atto non seguono applicazioni concrete tanto che la Commissione ricorre alla Corte di Giustizia del Lussemburgo e l’Italia viene accusata di inadempienza. Nel 1999 due provvedimenti legislativi colmano in parte le lacune. Il Decreto Ministeriale del 19 aprile 1999 approva il CBPA, obbligatorio sulle zone vulnerabili e applicabile a discrezione degli agricoltori al di fuori delle stesse. Disciplina, tra l’altro, i seguenti aspetti: i periodi di distribuzione fertilizzanti; l’applicazione di fertilizzanti su terreni in pendio, saturi d’acqua, inondati, gelati o innevati e adiacenti ai corsi d’acqua; la capacità e le caratteristiche degli stoccaggi per effluenti; la procedura di applicazione dei fertilizzanti chimici ed effluenti. La direttiva, ancora, suggerisce di considerare la gestione dell’uso del terreno (avvicendamenti), il mantenimento della copertura vegetale (cover crop), la prevenzione dell’inquinamento delle acque dovuto allo scorrimento e alla percolazione nei sistemi di irrigazione e i piani di fertilizzazione azotata. Il successivo Decreto Legislativo dell’11 maggio 1999 n. 152 individua alcune zone vulnerabili da nitrati di origine agricola e demanda alle regioni: la possibilità di selezionarne altre o di identificare, all’interno di quelle indicate, delle aree che non costituiscono zone vulnerabili; la revisione o completamento delle designazioni effettuate (almeno ogni quattro anni); la definizione degli appositi programmi d’azione da attuarsi in tutte le zone vulnerabili; l’integrazione del codice di buona pratica agricola sulla base delle esigenze locali e la predisposizione di interventi di formazione e informazione degli agricoltori sul programma di azione e sul codice di buona pratica agricola. I programmi di azione, in quanto insieme di norme aventi per fine la tutela ed il risanamento delle acque dall'inquinamento causato da nitrati di origine agricola, rappresentano lo strumento principale della tutela delle acque. Devono essere attuati obbligatoriamente nelle zone vulnerabili e includere misure relative a: i periodi in cui è proibita l'applicazione di fertilizzanti; la capacità dei depositi per gli effluenti degli allevamenti; le limitazioni dell'applicazione di fertilizzanti al terreno. I programmi di azione devono inoltre contenere le indicazioni riportate nel CBPA, e le limitazioni all'utilizzo di fertilizzanti, tenendo conto delle condizioni del suolo, delle precipitazioni ed irrigazione,dell’uso del terreno e delle pratiche agricole e, infine, del bilancio dell'azoto. Le misure devono garantire che, per ciascuna azienda o allevamento, il quantitativo di effluente zootecnico sparso sul terreno ogni anno non superi le 170 unità di azoto per ettaro (210 per i primi due anni del programma). Alla fine del 2001 la Corte di Giustizia europea, ha nuovamente condannato l'Italia in quanto le istituzioni nazionali e regionali non hanno attuato in modo adeguato la direttiva. Nel 2002 la Commissione Europea ha sottolineato che tra le possibili conseguenze di un’ulteriore posticipazione nell'attuazione della direttiva nitrati c'è la sospensione dei pagamenti relativi allo sviluppo rurale nelle regioni inadempienti.
A livello nazionale, tra i metodi di designazione delle aree soggette alla direttiva nitrati paiono prevalere quelli che si basano più sulla vulnerabilità intrinseca (vedi metodo Sintacs, acronimo degli aspetti considerati ossia Soggiacenza, Infiltrazione efficace, Non satura, Tipologia della copertura, Acquifero, Conducibilità idraulica, Superficie topografica) che sugli effetti derivanti dalle attività antropiche. Ci si chiede, allora, quale agricoltura insiste in queste aree? Quali costi (anche in termini sociali) si devono sopportare per rispettare i dettami della direttiva e tutelare la nostra salute? Si corre il pericolo di aumentare i conflitti tra mondo produttivo e istanze di salvaguardia con scarsa se non a chiarezza in materia di interventi pubblici necessari per far fronte a eventuali problemi di ristrutturazione, ad esempio, del settore zootecnico, già duramente colpito dall’implementazione del regolamento sulle quote latte? La parte che segue, nella consapevolezza di non poter dare risposte alle molte domande che il superamento di queste problematiche comporta, privilegia esclusivamente un’analisi conoscitiva, basata su alcuni indicatori di rischio (allevamenti e irrigazione) di un’area attualmente designata come vulnerabile e che non soddisfa sia in termini di approccio che di dimensioni l’Unione Europea che ha nuovamente messo in mora l’Italia. A livello europeo la superficie delle zone vulnerabili ai nitrati rappresenta, infatti, il 32%, contro il 46% auspicato a livello comunitario. In Italia forte è il divario tra le due grandezze: il rapporto tra le aree designate e quelle potenzialmente vulnerabili secondo Unione Europea è pari ad appena il 3%, dato tuttavia suscettibile di variazioni (in positivo), considerato che al rispetto della direttiva la comunità ha condizionato l’erogazione dei finanziamenti previsti in materia di sviluppo rurale.
Alcuni indicatori di vulnerabilità in un caso studio
Al fine di meglio focalizzare le problematiche che la direttiva nitrati comporta, si sono elaborate le informazioni raccolte dal censimento, in un contesto territoriale, la regione Veneto, fortemente antropizzato per il modello di sviluppo diffuso che non ha risparmiato l'uso del suolo e di altre risorse naturali e duramente colpito dai provvedimenti comunitari in materia di zootecnia. In regione, i criteri che hanno portato alla selezione delle zone vulnerabili fanno riferimento alla vulnerabilità intrinseca delle falde, stabilita mediante il metodo Sintacs. Sulla base dei risultati così ottenuti sono state successivamente avanzate considerazioni relative ai fattori di pressione agrozootecnica e all’utilizzo delle falde. Per questo motivo nella carta di vulnerabilità intrinseca non sono incluse le zone costiere in quanto non esistono attività di spargimento dei liquami e la falda non è utilizzata per l’estrazione di acque potabili. Le aree vulnerabili regionali attualmente designate come tali (DGR 118 2003) interessano il 9,12% della superficie regionale, pari a poco meno di 168 mila ettari distribuiti in 153 comuni. La massima vulnerabilità si riscontra in corrispondenza dell’alta pianura (terreni molto permeabili). A risultati simili era pervenuta anche la prima zonizzazione (poi abbandonata) del regolamento (CE) 2078/92 che riconosceva a queste aree il contributo massimo nel caso di applicazione di pratiche ecocompatibili. Le imprese agricole (36% del totale regionale) sono generalmente di piccole dimensioni, al di sotto della media regionale, e presentano un’elevata utilizzazione dei suoli. Il rapporto SAU/ST supera di 15 punti il valore medio. La pratica dell’irrigazione è molto diffusa. Coinvolge più della metà delle aziende localizzate nei suoli vulnerabili e interessa una superficie di circa 115 mila ettari. Sono presenti oltre 10 mila aziende dedite all’allevamento bovino (47,80% del totale veneto), concentrate soprattutto nella provincia di Treviso, e quasi 3,5 mila aziende con allevamenti suini (32,50% del totale veneto), sempre con il Trevigiano al primo posto. Nel caso dei bovini si tratta di imprese di dimensioni limitate con un numero medio di capi per azienda di 31, contro una media regionale di 43; le aziende che allevano suini, invece, raggiungono un numero medio di capi pari a 133, doppio rispetto al dato medio regionale di 66 capi.
Considerazioni di sintesi
Il massiccio impiego di fertilizzanti, in maggioranza azotati, concentrato prevalentemente nelle aree di pianura, se ha contribuito ad aumentare la produttività, ha anche accresciuto, in misura rilevante, il livello di inquinamento dei suoli. Ad aggravare il bilancio ambientale concorrono poi le attività di allevamento. La minore diffusione di prati permanenti e di zone tampone accelera il drenaggio dei nutrienti negli ecosistemi acquatici e nelle acque sotterranee, peggiorando ulteriormente la già fragile situazione. Le azioni di tutela e di salvaguardia delle risorse idriche possono trovare nei fondi destinati allo Sviluppo Rurale e in quelli derivanti dall’applicazione della riforma Pac a medio termine (rotazione colture, aumento colture da copertura, uso fertilizzanti , fasce tampone, gestione agronomica appropriata e contenimento irrigazione) adeguato sostegno. E’, tuttavia, necessario, che gli enti pubblici (livello centrale e locale) si assumano le responsabilità che gli orientamenti comunitari impongono. All’assunzione di responsabilità, quindi di decisioni, si aggiungono i necessari studi basati sull’analisi del rapporto costi/efficacia, ai quali dovranno seguire opportune misure preventive, controlli in loco e pesanti sanzioni. Nel caso studio, ad esempio, il metodo adottato ha determinato aree intrinsecamente vulnerabili, trascurando, di fatto quelle effettivamente vulnerabili e le aree costiere (in quando in gran parte comprese tra le sensibili). In questa prima designazione, che ovviamente non risponde ai criteri comunitari, risiede la maggior parte delle attività zootecniche regionali, situazione che di fatto blocca il percorso di adozione completa della direttiva e sottolinea il difficile rapporto economia – tutela dell’ambiente. Nell’attuale PSR regionale una misura è dedicata alla gestione delle risorse idriche in agricoltura (9% circa della spesa pubblica del programma). La finalità degli interventi promossi è la tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche, razionando l’uso dell’acqua per il risparmio e la riduzione dell’inquinamento, ma come è evidente, in mancanza di una designazione certa e di politiche ben definite non è sufficiente ad alleggerire la situazione estremamente critica. Per il prossimo periodo di programmazione si auspicano provvedimenti maggiormente incisivi e coraggiosi, al fine di evitare il ripetersi di situazioni di forte conflitto come quelle, ancora nella memoria, delle quote latte.
Riferimenti bibliografici
- Atzori L.O., 2002, L’inquinamento idrico. Aspetti tecnico-scientifici, igienico-sanitari, ecoinomico-sociali, ecologico-ambientali e normativi, Esselibri Edizioni, Napoli.
- Civita M., 1994, Le carte della vulnerabilità degli acquiferi all’inquinamento. Metodologia & Automazione, Pitagora Editore, Bologna.
- Lugaresi N., Mastragostino F. (a cura), 2003, La disciplina giuridica delle risorse idriche, Maggioli Editore, Rimini.
- Zolin M. B., 2005, Imprese agricole e ambiente, Modelli di lettura del territorio, Regione del Veneto, Direzione Sistema Statistico Regionale, Italgraf, Noventa Padovana, Padova.