Senza alcun clamore, e come largamente prevedibile, la scadenza fissata nella Conferenza Ministeriale di Hong Kong nel dicembre scorso (che stabiliva, entro il 30 aprile, il completamento dell’accordo, in termini generali, sugli impegni relativi all’agricoltura, le cosiddette modalità - o modalities) è saltata. La tabella di marcia del Doha Round [link alla scheda] originariamente prevedeva che le modalità per la riduzione di tariffe e sussidi (in agricoltura e per l'accesso al mercato dei prodotti non agricoli) dovessero essere pronte addirittura entro il 31 marzo 2003; ma l’unica certezza, ad oggi, è che nessuna nuova scadenza è stata fissata. Opinione diffusa è che, se realmente s’intende portare a termine il Round entro il 2007, e soprattutto in vista della rinegoziazione, da parte del Congresso statunitense, della trade promotion authority, è assolutamente necessario riuscire a trovare un accordo sulle modalities entro la prossima estate.
Il Direttore Generale Pascal Lamy ha chiesto di proseguire senza sosta nei negoziati ed ha precisato la volontà di rendere partecipi tutti i paesi membri, come risposta al disappunto espresso con una lettera da ben 125 gruppi della società civile, preoccupati per il succedersi di incontri di alto livello tra pochi membri influenti. Qualche piccolo passo in avanti è tuttavia stato fatto nelle varie aree negoziali.
Accesso al mercato
Per quanto riguarda il pilastro dell' accesso al mercato, resta acceso il dibattito sui prodotti sensibili (i sensitive products). Non è stato ancora stabilito quanti prodotti potranno essere designati come tali; inoltre l’UE continua a chiedere che l’espansione delle quote di importazione sia decisa sulla base degli impegni in materia di importazione del prodotto, contrariamente a quanto richiesto praticamente dalla totalità degli altri membri (USA e G-20 in testa), e previsto, a suo tempo, nell’Accordo agricolo dell’Uruguay Round (URAA), ovvero il calcolo sulla base del consumo interno. Nel primo caso, basandosi sulle importazioni, il punto è che i volumi di importazione dei possibili sensitive products sono solitamente ridotti, e quindi subirebbero incrementi minori; calcolando l’espansione delle quote sulla base del consumo si rischia d’altra parte di non tener adeguato conto di quanto il prodotto in questione sia "sensibile". UE e Paesi ACP (i quali beneficiano attualmente dall’accesso preferenziale al mercato europeo, ad esempio per prodotti come zucchero e banane) hanno risposto duramente alla proposta di otto paesi dell’America Latina di esentare qualunque prodotto tropicale dal meccanismo, il che eroderebbe la preferenza loro accordata (la proposta risponde a quanto disposto dall’Accordo quadro del 31 luglio 2004 circa la necessità di una maggiore liberalizzazione del commercio dei prodotti tropicali). Sui temi della liberalizzazione dei tropical products e dell’erosione delle preferenze tariffarie si scontrano interessi contrastanti: da una parte vi sono quei paesi in via di sviluppo che, essendone beneficiari, vorrebbero che i paesi più ricchi preservassero tali margini di preferenza, apponendo su questi prodotti minori tagli tariffari; dall’altra, abbiamo quei paesi che vorrebbero viceversa impedire che ai tropical products fosse assegnato lo status di prodotti sensibili, e propendono quindi per l’abolizione di quote e tariffe per i prodotti tropicali (tra i quali, fino ad ora, non è stato inserito il riso, a differenza dello zucchero e delle banane).
Molto acceso è il dibattito sugli special products e sul Meccanismo Speciale di Salvaguardia; entrambe le misure sono intese a proteggere i mercati dei paesi in via di sviluppo (e costituiscono un interesse centrale per il G-33), ma, come evidenziano le istanze di Malesia e Tailandia, se i criteri sono troppo stringenti si finirebbe col limitare il commercio tra gli stessi paesi in via di sviluppo (il cosiddetto south-south trade). Per quanto riguarda gli special products, la Malesia ha suggerito che i prodotti per i quali ai paesi in via di sviluppo è associato più del 75% della produzione mondiale non possano essere designati come tali (il 50% per la Tailandia, che vorrebbe vietare l’adozione dello status anche nel caso in cui più della metà delle importazioni del prodotto da parte del singolo paese provenga da paesi in via di sviluppo), scatenando le accese proteste del G-33. Alcuni possibili indicatori per la designazione degli special products potrebbero essere la percentuale di consumo interno soddisfatta dalla produzione interna, la percentuale del PIL agricolo associata al prodotto, il suo contributo in termini di occupazione, la sua rilevanza nell’alimentazione della popolazione. La proposta della Malesia specifica che possono acquisire lo status di special products solo prodotti coltivati localmente; questo significa che per un paese non sarebbe possibile proteggersi, tramite minori tagli tariffari, dalle importazioni di altri prodotti che potrebbero potenzialmente fungere da sostituti, col rischio di un effetto di "spiazzamento" per gli agricoltori locali.
La Tailandia ha inoltre proposto che anche gli special products siano sottoposti a disciplina tariffaria, e che siano da considerarsi uno strumento transitorio da eliminarsi alla fine del periodo di implementazione del Round, ottenendo l’appoggio di Usa, Ue e G-20. Il G-33 ha invece ritenuto la proposta della Tailandia troppo restrittiva, in particolare per il meccanismo di scelta dei prodotti (che avverrebbe appunto tramite indicatori), che invece dovrebbe basarsi direttamente sulla designazione delle linee tariffarie (fino al 20% del totale) da essere trattate come sensibili. Molto male è stata accolta, infine, la proposta Usa in materia, che fissa un massimo di cinque special products per paese, a fronte delle migliaia di linee tariffarie esistenti. Circa il nuovo Meccanismo Speciale di Salvaguardia per i paesi in via di sviluppo, non è ancora chiaro se esso si aggiunga alla Clausola Speciale di Salvaguardia stabilita dall’Accordo agricolo dell’Uruguay Round (URAA), oppure la sostituisca del tutto (a questa seconda opzione si oppongono sia L’UE che il G-10). Anche qui il dibattito è acceso su molti punti: la percentuale di aumento delle importazioni e la diminuzione dei prezzi necessarie per far scattare il meccanismo; la durata e l’ammontare dell’innalzamento tariffario consentito; la possibilità di applicare il Meccanismo Speciale di Salvaguardia per tutti o un numero limitato di prodotti.
Sostegno interno
Circa il sostegno interno, molti paesi membri sarebbero d’accordo nel fissare al 2,5% (anziché al 5%, come stabilito nell’Accordo quadro del 31 luglio 2004) il limite, come percentuale della produzione interna agricola del Paese, fissato per gli aiuti della scatola blu (nella quale trovano posto anche i controversi “pagamenti anticiclici” statunitensi). Manca tuttavia accordo su come evitare la pratica del box shifting, e sulla possibilità di fissare dei tetti massimi al sostegno sui singoli prodotti. Prosegue anche il dibattito sulla scatola verde, nella quale trova collocazione buona parte dei sussidi agricoli statunitensi, europei, giapponesi. Essa non è attualmente soggetta ad alcuna riduzione; G-20, Canada ed Australia chiedono che alcuni dei criteri siano rivisti in modo da assicurare che i pagamenti erogati siano effettivamente non distorsivi del commercio, rendendo più severi i criteri che definiscono il sostegno disaccoppiato. I paesi membri si sono inoltre dimostrati disponibili ad "aprire" la scatola verde anche alle necessità proprie dei paesi in via di sviluppo - resta da vedere con che modalità e soprattutto con quali effetti reali, considerando le esigue possibilità di finanziamento di tali paesi.
Sostegno alle esportazioni
Per quanto riguarda il pilastro del sostegno alle esportazioni, restano problemi circa la regolamentazione delle imprese commerciali di stato: Canada, Australia e Nuova Zelanda si ritengono soddisfatte dell’attuale legislazione (che ha lo scopo di impedire che le imprese commerciali di stato utilizzino il proprio potere monopolistico per aggirare gli obblighi sulle esportazioni), mentre USA e UE propendono per imposizioni più restrittive, che appunto rimuovano il potere monopolistico di tali imprese.
Circa gli aiuti alimentari, sembra ormai assodata la necessità di distinguere tra gli aiuti destinati a situazioni di emergenza, che potrebbero essere offerti, in natura, in modo completamente gratuito e collocati all’interno di una safe box non sottoposta a riduzione, e quelli "non di emergenza", per i quali non è ancora chiaro se possano essere stanziati in natura o in denaro, se possano essere venduti al paese ricevente a prezzi più bassi di quelli di mercato, ed eventualmente da esso rivenduti per raccogliere fondi (la cosiddetta monetization; nella proposta dei paesi meno avanzati la monetization è ammessa, in circostanze eccezionali, per finanziare attività direttamente connesse all’erogazione degli aiuti).
La proposta statunitense in materia di aiuti alimentari, che in generale recepisce quanto appena delineato, evidenzia un primo segnale di cambiamento della politica statunitense in risposta alle pressanti richieste della Ue di regolamentare i “falsi” aiuti alimentari, come contropartita per l’eliminazione dei sussidi all’esportazione. La proposta europea è invece più severa; l’UE chiede che gli aiuti che rientrano nella safe box non possano essere riesportati; che al di fuori delle emergenze gli aiuti siano comunque costituiti da donazioni in denaro; che in generale gli aiuti siano forniti in maniera completamente gratuita (e quindi non venduti a prezzi più bassi di quelli di mercato); ed infine che la definizione delle situazioni di emergenza sia di esclusiva competenza delle agenzie delle Nazioni Unite, mentre le altre proposte lasciavano spazio alle ONG e alle associazioni internazionali.
Rimane infine da decidere cosa significhi che una parte “sostanziale” dei sussidi alle esportazioni, come indicato nella Dichiarazione ministeriale di Hong Kong, debba essere eliminata entro la fine della metà del primo periodo di implementazione del Round.
Nessun passo in avanti è stato compiuto sulle modalità di costituzione del registro multilaterale per la protezione delle indicazioni geografiche di vini e bevande alcoliche. Niente di nuovo neanche per quanto riguarda la possibile estensione della protezione accordata alle indicazioni geografiche di vini e bevande alcoliche anche ad altri prodotti agro-alimentari. Argentina, Brasile, Canada e Cile continuano a sottolineare gli alti costi di implementazione, mentre UE, India e Sri Lanka hanno ribadito le opportunità che essa garantirebbe in termini di maggiori prezzi sui mercati mondiali anche ai paesi in via di sviluppo.
Scontro acceso anche per quanto riguarda l'iniziativa sul cotone, che si ricorderà, come riportato nella Dichiarazione ministeriale di Hong Kong, e prima ancora nell’Accordo quadro del 31 luglio 2004, prevedeva che la liberalizzazione delle politiche settoriali in essere nei paesi sviluppati avrebbe dovuto avere luogo in modo più deciso e più rapido rispetto alle altre commodities agricole. La proposta di Benin, Burkina Faso, Ciad e Mali riguardante il sostegno interno, che assicura tagli profondi per il settore anche se il risultato del Round dovesse essere modesto, è stata in un primo momento accolta con freddezza dagli USA, che avevano affermato di voler posporre la questione a dopo il raggiungimento di un accordo in materia agricola, per poi, in un secondo momento, essere accolta più tiepidamente, come un "primo passo" verso la riduzione del sostegno in tutto il settore agricolo. L’UE ha invece invitato i quattro Paesi ad ampliare lo scenario di discussione anche ai pilastri dell’accesso al mercato e delle esportazioni sussidiate, ed ha invitato i paesi in via di sviluppo in grado di farlo ad aggiungersi ai paesi sviluppati nel concedere accesso a tariffa zero e senza limitazioni alle importazioni di cotone (come previsto ad Hong Kong).
Delle tre scadenze fissate ad Hong Kong (aprile 2006, per il completamento delle modalities; 31 luglio 2006, come termine per la presentazione delle cosiddette schedules; 31 dicembre 2006 per la chiusura del Doha Round), la prima non è chiaramente stata rispettata.
In materia di accesso ai mercati, l’accordo è ancora lontano; restano da decidere le percentuali di riduzione per le quattro bande in cui si è deciso di classificare le tariffe, e da risolvere i nodi controversi dei prodotti sensibili, degli special products, e del Meccanismo Speciale di Salvaguardia. Per quanto riguarda il sostegno alle esportazioni, è necessario trovare l’accordo sulla disciplina delle imprese commerciali esportatrici di stato, e degli aiuti alimentari, oltre a specificare in che modo avverrà la parallela eliminazione di tutte le forme di sussidio all’esportazione entro il 2013. Anche per quanto riguarda il sostegno interno rimangono ancora da determinare le percentuali di riduzione per ciascuna delle tre bande in cui saranno collocati gli aiuti interni a seconda della loro entità.
È quindi una mole di lavoro notevole, che tuttavia sarebbe auspicabile portare a termine prima della pausa estiva dei lavori, ovvero entro luglio, superando lo scontro tra gli interessi dei paesi membri (si tratta di uno scenario molto complesso, in quanto all’ambito agricolo si giustappongono le altre aree negoziali, come NAMA, servizi, ecc.; e, come è noto, il processo decisionale in sede WTO prevede non la maggioranza ma l’unanimità).
Se così non fosse, sarebbe molto difficile riuscire a concludere il Round entro l’anno in corso; in autunno, oltre alla scadenza della trade promotion authority statunitense, ci saranno una serie di importanti appuntamenti politici (elezioni presidenziali in Brasile; nel 2007, elezioni in Francia e negli USA), che potrebbero rendere lo scenario ben più complicato.