L’agricoltura familiare in Spagna: percorsi di cambiamento e visibilità istituzionale

L’agricoltura familiare in Spagna: percorsi di cambiamento e visibilità istituzionale
a Universidad Politécnica de Valencia (Spagna), Departamento de Economía y Ciencias Sociales
b Universidad de Córdoba (Spagna), Departamento de Economía, Sociología y Política Agraria
Versión española

Introduzione1

Durante gli anni ‘90 e all’inizio di questo secolo l’interesse accademico per l’agricoltura familiare in Spagna era diminuito, ma recentemente - a seguito della dichiarazione del 2014 come Anno Internazionale dell’Agricoltura Familiare da parte dell’Onu (Aiaf) -  il tema è ritornato ad essere al centro delle discussioni scientifiche.
Uno dei dibattiti riemersi riguarda la definizione stessa di agricoltura familiare (AF da qui in avanti). È difficile trovare un accordo sul concetto di AF, dato che la realtà di queste unità produttive è estremamente diversa e complessa2. Gli studi di solito si concentrano sulla titolarità e sulla gestione familiare delle aziende, sull’apporto di lavoro e capitali da parte della famiglia e sulla scelta di successione generazionale come elementi chiave di questa definizione. Ad ogni modo, da molto tempo le aziende familiari nei paesi sviluppati presentano numerosi tratti di imprenditorialità. È per questo che molti ricercatori hanno rinunciato a tracciare dei contorni rigidi nella definizione di AF, e partono, invece, dall’assunto che è proprio lo studio della relazione tra produzione “familiare” e “imprenditoriale” ad offrire i maggiori spunti per la ricerca. Da questi studi nascono, pertanto, impostazioni nuove, alcune delle quali focalizzate sul caso spagnolo.
Nei primi due paragrafi di questo articolo esamineremo gli aspetti familiari che presenta l’agricoltura spagnola allo stato attuale e le sue trasformazioni negli ultimi decenni, e nel terzo affronteremo gli strumenti normativi che hanno dato visibilità istituzionale all’AF in Spagna.

Quanto è familiare l'agricoltura spagnola?

A differenza di altri Paesi, come gli Stati Uniti, né in Spagna né a livello europeo esiste una definizione di AF basata su criteri o confini oggettivi. Pertanto, per identificare quali siano le caratteristiche familiari dell’agricoltura spagnola, analizzeremo alcune delle variabili che afferiscono a questo tipo di agricoltura, e in sostanza tre di esse: la titolarità, la gestione e la forza-lavoro a carico della famiglia nelle aziende.
Affrontiamo in primo luogo la titolarità delle aziende. Un approccio comune associa le aziende che hanno come titolare una persona fisica alle aziende familiari, e considera quelle costituite in forma societaria come più vicine ad un modello imprenditoriale. Secondo questo criterio, circa il 94% delle aziende in Spagna hanno come titolare una persona fisica3. È evidente che all’interno di questa ampissima categoria ci sono molte unità produttive che presentano un debole carattere familiare con riferimento ad altri aspetti. E ciò che è più paradossale, è che tra le pochissime aziende che si costituiscono in forma giuridica - spesso per motivi fiscali - una discreta quantità continua a mantenere una base familiare.
Per quanto riguarda la gestione, i dati censuari indicano che quando il titolare è una persona fisica, questi è al tempo stesso il gestore dell’azienda. In quasi l’80% delle unità produttive agrarie spagnole, la titolarità e la gestione coincidono nella stessa persona; questo coinvolgimento nelle decisioni quotidiane dell’“attività agricola” da parte di chi assume i rischi imprenditoriali si avvicina un po’ di più a quello che intendiamo per AF.
Ciononostante, si può dire che la variabile più critica per affrontare l’analisi dell’AF è la composizione della forza-lavoro in azienda. Non esiste, infatti, un criterio condiviso riguardo alla proporzione minima di lavoratori che devono appartenere alla famiglia. Alcuni ricercatori sostengono che l’aspetto distintivo dell’agricoltura familiare è che il lavoro viene realizzato esclusivamente o principalmente dai componenti del nucleo familiare (Gòmez Benito et al., 2002); altre posizioni - capeggiate dalla scuola britannica (Gasson et al., 1988) - sono più flessibili e accettano una partecipazione importante del lavoro salariato, purché la gestione dell’azienda resti a carico della famiglia.
Vediamo innanzitutto quante aziende rispettano in modo stretto questo criterio. Tre quarti delle 990.000 unità produttive agricole di questo paese impiegano solo il nucleo familiare. Tali aziende, tuttavia, sono ben lontane dall’incarnare il classico modello di agricoltura professionalizzata che utilizza vari componenti della famiglia. Al contrario, queste aziende familiari “pure”, sono costituite soprattutto da titolari part-time o pensionati, per i quali il reddito agricolo occupa un ruolo secondario. Tanto che, il 56% di queste, genera meno di 6.000 euro di Produzione Standard (PS4), mentre addirittura un 20% resta al di sotto dei 1.500 euro. In quest’ultimo caso le aziende svolgono soprattutto una funzione ricreativa e di mantenimento del patrimonio familiare, più che avere un carattere produttivo. Restringere a questo aspetto il concetto di AF escluderebbe tutte quelle aziende che forniscono alle famiglie il guadagno principale.
Allo stesso modo per le unità produttive che raggiungono dimensioni maggiori, è inevitabile ricorrere a lavoratori stipendiati. La tabella 1 fornisce informazioni interessanti al riguardo. Fino ai 25.000 euro di PS, le aziende hanno scarso fabbisogno di forza-lavoro totale (non arrivano a una Ula5), il che spiega il fatto che la manodopera salariata sia insignificante. Questa, invece, cresce man mano che saliamo a livelli superiori, e arriva a superare il lavoro familiare nelle aziende con più di 100.000 euro di PS. A partire da questa soglia, il lavoro familiare comincia a diminuire - in queste fasce non supera il numero massimo di 1 Ula, dato che interessa il segmento tra 50.000 e 100.000 - e le necessità di manodopera sono coperte dal lavoro salariato, che per di più diventa maggioritario. I 100.000 euro di PS sono, quindi, una soglia interessante da prendere in considerazione per tracciare i contorni (flessibili in ogni caso) dell’AF. Ad ogni modo, va ricordato che la gran parte delle aziende resta al di sotto di questa dimensione economica: alla luce delle premesse fatte, le unità produttive appartenenti a questa categoria sono 924.285, ossia il 93% del totale6.

Tabella 1- Lavoro familiare e salariato nelle aziende agricole spagnole in base alla dimensione economica

Fonte: Propria elaborazione su dati del Censimento dell’Agricoltura 2009

La tabella 1 mostra anche che l’aiuto di altri familiari diversi dal titolare non arriva a rappresentare più di 1/3 Ula in nessuna fascia. In conclusione, dal momento che le aziende richiedono più impegno all’aumentare della dimensione, aumenta anche l’impiego di lavoratori salariati. Questo spiega la presenza del 37% delle Ula totali nell’agricoltura spagnola, e quindi una tendenza alla “salarizzazione” che è progressivamente aumentata7.

Le aziende familiari nel quadro dei cambiamenti strutturali dell’agricoltura spagnola

Le aziende familiari spagnole si sono progressivamente adattate ai grandi cambiamenti che ha registrato l’agricoltura nel corso dell’ultima metà del secolo. Un breve excursus di questa evoluzione deve partire dalle radicali trasformazioni economiche che hanno avuto luogo negli anni 50 e 60 in Spagna, segnate da una crescita industriale ed economica senza precedenti, accompagnata da un esodo rurale massivo, e che diede inizio a quello che la letteratura ha definito la “crisi dell’agricoltura tradizionale”. In un lavoro successivo, Naredo (1974) ha analizzato le tracce che hanno lasciato questi cambiamenti sulle strutture agrarie spagnole, che registrarono, in quel periodo, una forte diminuzione nel numero di aziende e un aumento della dimensione media di quelle che continuarono ad operare, determinando quello che in letteratura viene chiamato aggiustamento strutturale. Le caratteristiche del cambiamento agricolo registrato in questo periodo - la modernizzazione e la progressiva adozione del progresso tecnico - continuarono a rappresentare le basi dell’evoluzione del settore nelle decadi posteriori, anche se questi cambiamenti avvennero a ritmi più contenuti (Tabella 2). Questo rallentamento è stato addotto all’aggiustamento strutturale, che però si paralizzò tra gli anni 70 e 808.

Tabella 2 - La capitalizzazione dell’agricoltura spagnola

Fonte: Elaborazione propria su dati del Ministero dell’Agricoltura (Magrama)

L’ingresso nella Comunità Economica Europea (Cee) nel 1986 ha costituito un’altra pietra miliare in questa evoluzione, a partire da quel momento aumentò la pressione competitiva e si intensificò la vocazione all’esportazione di alcuni sistemi agricoli spagnoli (con frutta e ortaggi come casi paradigmatici). Questa maggiore connessione con il mercato esterno, insieme con il supporto della Pac, stimolarono un’inversione nel settore. Intorno agli anni 90 il processo di aggiustamento strutturale ha vissuto una forte riattivazione (Tabella 3), uno stravolgimento nei dati che ha incoraggiato l’analisi dei fattori (politici, tecnologici e demografici) alla base dell’aggiustamento (si vedano i lavori contenuti nel Volume di Arnalte, 2006). Con il nuovo secolo è proseguita questa tendenza alla riduzione del numero di aziende e il loro ridimensionamento, sebbene con alcuni tratti distintivi rispetto al decennio precedente9.

Tabella 3 - I grandi numeri dell’aggiustamento strutturale in Spagna (1989-2009)

*Sono state incluse al 1999 le aziende non inserite nell’universo di riferimento del Censimento 2009.
Fonte: Propria elaborazione su dati Ine (2011) e Censimento Agrario del 1989 e 1999

L’evoluzione strutturale dell’agricoltura spagnola ha portato con sé un importante processo di concentrazione produttiva. Infatti, mentre il numero totale di aziende non smette di diminuire, le più grandi (in termini economici) aumentano di numero. I lavori di Arnalte et al. (2013) e Moreno-Perez (2013) esplorano la questione e identificano come critica la fascia dei 40 Ude10. Secondo questi autori, le aziende di questa dimensione costituiscono lo “zoccolo duro” dell’agricoltura spagnola, poiché guidano le principali trasformazioni e controllano una percentuale crescente delle variabili basilari del settore (Sau, volume di affari e Ula).
La maggior parte delle aziende che compongono questo segmento sono specializzate in coltivazioni agricole intensive (orticoltura, frutta e ortaggi, allevamenti specializzati) o colture permanenti che si sono intensificate negli ultimi tempi a causa dell’aumento della densità di piantagione, la meccanizzazione e l’espansione dell’irrigazione, come nel caso degli uliveti e dei vigneti (Cots-Folch et al., 2009; Gallardo Y Ceña, 2006).
Evidenziate le tappe principali che hanno determinato il cambiamento dell’agricoltura in Spagna, dobbiamo ricordare che queste hanno interessato soprattutto le aziende a base familiare, che hanno sofferto, come in altri paesi sviluppati, di profonde alterazioni nelle proprie caratteristiche. Questi cambiamenti sono collegati non ai processi sopra menzionati, ma anche alle trasformazioni sociologiche in seno alle famiglie agrarie che, a loro volta, erano riflesso dei cambiamenti sociali avvenuti nel contesto urbano. Possiamo sottolineare, tra questi, l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e la riduzione dell’aiuto dei figli in azienda, che seguono la propria carriera professionale.
Così come la letteratura francese aveva evidenziato precedentemente (Blanc, 1987), Arnalte (1997) e Gómez Benito e Gonzàlez (2002) sottolineano che questi cambiamenti sociali si sono portati dietro la rottura del “gruppo di lavoro familiare” nelle aziende, il che implicava una mutazione fondamentale nei modelli organizzativi classici. Il risultato della rottura del binomio famiglia-azienda varia in funzione del sistema agrario preso in considerazione: nel caso dell’agricoltura estensiva, la meccanizzazione ha reso possibile la crescente diffusione di un modello di azienda familiare individuale, nel quale lavora un unico membro della famiglia. Moreno-Pérez e Ortiz Miranda (2008), infatti, hanno constatato che in zone di agricoltura estensiva a secco i titolari potevano gestire, a part-time, aziende di dimensione considerevole. Nei sistemi agricoli intensivi, invece, come abbiamo visto prima, la crescita delle aziende passa per un maggior impiego di lavoratori salariati.
Dietro tutte queste trasformazioni, inoltre, si cela un concetto importante. In metà delle aziende familiari che si sono confrontate con maggiore o minore successo con la pressione del mercato e di altri condizionamenti, si è verificato il classico processo di diversificazione, ampiamente studiato negli studi sull’AF degli ultimi decenni. Di fatto, solo alcune unità produttive si sono inserite con successo nelle strategie di crescita, mentre molte altre sono rimaste escluse da questi processi e, come mostrano alcuni dati, sono scomparse.
La conseguenza dei diversi percorsi intrapresi dall’agricoltura in Spagna, è che il panorama che offre l’AF risulta mutevole e complesso. Molte aziende, incluse quelle che hanno capitalizzato fortemente - appartenenti a quello che abbiamo definito lo “zoccolo duro” - continuano ad avere una base familiare, sebbene siano state capaci di essere più permeabili a rapporti “capitalisti” di produzione. Su questa linea, alcuni ricercatori spagnoli hanno cominciato (Arnalte, 1997) a mettere in guardia sulla scarsa utilità di mantenere uno schema duale di analisi che contrappone le “aziende familiari” alle “grandi aziende capitaliste”. Si tratta di un dibattito di enorme importanza teorica che, in tempi e momenti diversi, si è diffuso in tutta l’Europa occidentale.

Continuità e rotture nel recente dibattito accademico sull’AF in Spagna

Il lavoro sopra citato di Moreno-Pérez e Ortiz Miranda (2008) dimostrava come nella regione cerealicola della Tierra de Campos (situata nella Meseta settentrionale) l’investimento in macchinari e l’affitto dei terreni avessero costituito le principali modalità di crescita delle aziende negli anni ‘90. Questi cambiamenti rientrano nel modello tradizionale di aggiustamento strutturale relativo alla superficie dei terreni agricoli, modello che si paralizzò, poi, nel decennio posteriore. Moreno et al. (2013) proponevano due ipotesi per spiegare questa inversione di tendenza:

  • la maturazione a cui era giunto l’aggiustamento dopo il ritiro massivo dei titolari anziani registrato negli anni 90;
  • l’aumento del prezzo dei cereali che si verificò a partire dalla crisi economica fino alla fine di questo periodo (2007-2008), che potrebbe aver messo un freno all’abbandono dei campi.

Arnalte et al. 2001 mostrano come la strategia di crescita di alcuni agricoltori professionali spesso si combini con la prestazione di servizi ad altre aziende con l’uso di propri macchinari. La ricerca ha verificato la realizzazione di tali strategie di diversificazione dell’“attività agricola” in vari sistemi agricoli, come la coltivazione dei cereali, i vigneti o le colture legnose non irrigate di diverse zone dell’interno. Al contrario, le aziende più piccole, i cui titolari dedicano poco tempo all’agricoltura, hanno bisogno di esternalizzare una parte del processo produttivo (a volte, tutto) presso società di servizi o con l’aiuto di altri agricoltori. Pur non essendo una strategia nuova, solo studi recenti hanno notato le relazioni di interdipendenza esistenti tra aziende di diverso tipo in zone di studio specifiche, alcune connessioni che permettono di chiarire la logica produttiva e sociale di questi sistemi agricoli (Moragues-Faus, 2014).
Allo stesso tempo, nelle agricolture più intensive si sono scoperte novità interessanti. Il lavoro di Moreno et al. (2011), basato sull’indagine empirica realizzata nel Campo di Cartagena (una zona di orticoltura di serra della costa mediterranea), costatò come il modello di azienda nella quale lavora solo il titolare più i salariati (e quindi senza nessun aiuto familiare) sia arrivato a diffondersi anche in un sistema agricolo con forte fabbisogno di forza-lavoro.
In questo tipo di agricoltura, la crescita delle aziende è vincolata alla difficoltà di governare i molteplici aspetti della sua gestione (manodopera, controlli fitosanitari, irrigazione, manutenzione delle serre, ecc…). Per questo, sono proliferate forme organizzative complesse che legano alla stessa azienda vari familiari che non vivono nello stesso domicilio (tipicamente fratelli che hanno già lasciato il focolare domestico). Tale cambiamento nella governance familiare permette a queste aziende di adottare strategie di crescita più aggressive, basate su una maggiore possibilità di accesso ai finanziamenti e di assunzione di rischi, ma soprattutto su una migliore capacità di gestione. Più recentemente, Moreno-Pérez e Lobley (2015) hanno analizzato i dati sulla morfologia di queste “aziende familiari” e hanno discusso le implicazioni teoriche di questa nuova categoria nel quadro della letteratura sull’AF: questi autori non pensano che queste aziende costituiscano uno stadio di transizione tra il modello “familiare” e quello “imprenditoriale”. Al contrario, le considerano strutture ibride stabili, con propri vantaggi competitivi.

Le aziende familiari nel quadro giuridico e le politiche pubbliche

In Spagna, le aziende familiari non sono state oggetto di attenzione politica preferenziale fino al 1981, anno in cui veniva promulgata la Legge sullo Statuto dell’azienda familiare agricola e dei giovani agricoltori (Legge 49/81). Questa legge diede una definizione di azienda familiare e stabilì delle misure specifiche per questo tipo di azienda, essendo di particolare interesse tutto ciò che si riferiva alla successione.
Prima dell’adesione alla Cee, con l’obiettivo di preparare il passaggio alla normativa comunitaria, la legge sopra citata venne sviluppata attraverso l’emanazione di due decreti: il Real Decreto 1932/83 sugli investimenti dei giovani agricoltori e il Decreto 419/85 sugli aiuti all’azienda familiare. Dopo l’adesione cominciò a crescere l’attenzione per l’AF: da qui, il Regolamento CE 797/85 sul miglioramento dell’efficacia delle aziende agrarie, cominciò a prevedere l’adozione di particolari misure per questo tipo di agricoltura. Sembrava chiaro che, dato il “ritardo strutturale” accumulatosi in Spagna, si dovesse mettere in piedi un processo accelerato di modernizzazione delle aziende familiari che avrebbe permesso un salto qualitativo nelle strutture agrarie durante il periodo di transizione. A questo scopo rispose l’applicazione delle politiche strutturali comunitarie, che si realizzò attraverso il Real Decreto 808/87. Più tardi, la Legge per l’Ammodernamento delle aziende (Legge 19/1995) ha ristretto il ventaglio di aziende familiari da sostenere, dinamica che è continuata nelle normative posteriori (agricoltori prioritari, agricoltori attivi). Cioè, i nuovi beneficiari degli aiuti non sono le aziende familiari nel loro insieme ma solo quelle che possono ottenere la fattibilità (“aziende prioritarie”).
In seguito, le successive riforme della politica di sviluppo rurale della Pac (Regolamento 1257/99, 1783/2003 e 74/2009) mantennero le misure destinate alla ristrutturazione e al ricambio generazionale delle aziende agricole, che nel caso dei paesi mediterranei come la Spagna, significava completare l’azione di aggiustamento. Infine, l’ultima riforma della Pac approvata nel periodo 2014-2020 presenta tutti gli strumenti destinati ad affrontare alcuni dei principali problemi dell’AF in Spagna, sintetizzati nella tabella 4.

Tabella 4 - I problemi e le sfide dell’AF in Spagna e la Pac

Fonte: Propria elaborazione

Nonostante il potenziale di questi strumenti, è l’utilizzo specifico della Pac in ogni paese a determinare la sua efficacia in relazione all’AF. Nel caso della Spagna, e in relazione ai pagamenti diretti, bisogna segnalare che:

  • le coltivazioni di frutta e la verdura non sono ammissibili, il che riduce le possibilità di sostegno a un elevato delle aziende familiari con questo orientamento produttivo;
  • i pagamenti distributivi, che potrebbero risultare come doppio finanziamento ai piccoli agricoltori non si applicano;
  • il sostegno ai giovani agricoltori si trova nel primo e nel secondo pilastro;
  • il regime semplificato è automatico per i piccoli agricoltori. Questi ultimi due aspetti, si considerano a priori positivi per un potenziale sostegno all’AF.

Inoltre, tra le considerazioni relative all’applicazione della Pac, va sottolineato il modo in cui la normativa spagnola si è occupata delle questioni di genere nell’ambito delle aziende familiari. I cambiamenti normativi evidenziano il fatto che le donne rappresentano più di un terzo della forza-lavoro nelle aziende familiari anche se nella maggior parte dei casi rientrano nella categoria “aiuti familiari”, mentre gli uomini figurano come titolari. Il riconoscimento di situazioni di simmetria di genere si è evoluto lentamente negli ultimi decenni.
La figura della co-titolarità ha avuto origine con la Legge 49/1981 sullo Statuto delle Aziende Familiari e dei Giovani Agricoltori, attraverso la quale si crearono “accordi di collaborazione familiare” come strumenti di transizione preliminari al completo accesso dei figli alla titolarità delle aziende. Successivamente la co-titolarità fu regolamenta esclusivamente ai fini della concessione di aiuti per l’investimento dei giovani agricoltori, mediante la Legge 19/1995 sopra menzionata. Il Real Decreto 613/2001 per la ristrutturazione e l’ammodernamento delle strutture di produzione nelle aziende agricole, non prevedeva una formula per l’insediamento di donne in agricoltura, ma molte giovani donne con meno di 40 anni hanno beneficiato di questi aiuti.
Il primo progresso nel riconoscimento dei diritti delle donne in agricoltura fu la Legge 36/2003 sui provvedimenti di riforma economica, con la quale si eliminarono le restrizioni del Decreto 2123/1971, con il quale si impediva che marito e moglie in una stessa azienda potessero contribuire al Regime Speciale di Sicurezza sociale in agricoltura come lavoratori autonomi. Successivamente, la Legge 45/2007 per lo sviluppo sostenibile delle aree rurali riprese un mandato del Governo per promuovere il regime di titolarità condivisa nel settore agrario e la corrispondente protezione della Sicurezza Sociale. Il Real Decreto 297/2009, sulla titolarità condivisa nelle aziende agrarie, rappresentava un primo passo per lo sviluppo del regime di co-titolarità dei beni, diritti e obblighi nel settore agrario, e ad ogni modo riconosceva la co-titolarità femminile solo in termini amministrativi.
Partendo da questi precedenti, la Legge 35/2001 sulla titolarità condivisa delle aziende agricole, ha posto una pietra miliare in tale ambito. La nuova figura giuridica a titolarità condivisa, su base volontaria, persegue la vera equiparazione di donne e uomini in agricoltura. L’obiettivo era, infatti, di andare al di là di una regolamentazione ai fini amministrativi e promuovere, invece, un’azione positiva che desse visibilità alle donne, di modo che queste potessero godere di tutti i diritti legati al lavoro in azienda agricola, favorendo l’assunzione di decisioni dirigenziali e dei rischi e delle responsabilità derivanti da queste.
Un'altra legge che ha inciso particolarmente sull’AF è la 12/2013, allo scopo di migliorare il funzionamento della catena alimentare. Essa tenta di ridurre le simmetrie nel potere della negoziazione che possono derivare da una mancanza di trasparenza nella formazione dei prezzi e nelle pratiche commerciali potenzialmente sleali che hanno un effetto negativo sulla competitività del settore agroalimentare. Per quello che riguarda la AF, la legge consente di migliorare la capacità di accesso al mercato del lavoro di queste aziende, incidendo sul miglioramento della competitività, efficienza e capacità di innovazione.
Infine, la Commissione di Spagna dell’Aiaf11, nel suo Memorandum (2014), ha proposto lo sviluppo di una politica trasversale di sostegno all’AF, il che implica la considerazione di tutti gli elementi familiari e territoriali che definiscono il carattere “familiare” dell’agricoltura. Tali aspetti devono essere contemplati in tutte le normative di settore, sia in quelle elaborate in Spagna e nelle Comunità Autonome che in quelle che corrispondono all’applicazione delle norme europee. Una politica che potrà essere collegata a tutte le politiche di sostegno all’economia familiare, e che dovrebbe prendere corpo in una “Legge sull’agricoltura familiare”. Questa Legge dovrebbe stabilire uno Statuto dell’AF, e prevedere una priorità per le aziende familiari nelle misure di sostegno all’agricoltura e nella remunerazione dei beni materiali che genera (specialmente quelli ambientali).

Conclusioni

La letteratura recente sull’AF in Spagna presenta elementi di continuità e rottura rispetto agli approcci degli anni 90. L’aiuto familiare nelle aziende non ha smesso di diminuire, e i processi di “salarizzazione”, aggiustamento strutturale e concentrazione nel settore agricolo hanno continuato il loro corso. Il modello di azienda nella quale lavora solo il titolare si è diffuso anche nei sistemi agricoli intensivi, cosa che non era frequente fino a due decenni prima. Inoltre, sono comparse formule organizzative poco convenzionali, come le aziende “multifamiliari” gestite da fratelli che vivono in domicili differenti. Si tratta di una nuova categoria di analisi che va a sommarsi alle altre che pure si collocano nella zona grigia tra familiare e imprenditoriale, come l’agricolture familiare sòcietaire di Hervieu y Purseigle (2011), o i family farm entrepreneurs di Pritchard et al. (2007).
D’altra parte, i cambi normativi degli ultimi decenni hanno ristretto il ventaglio di aziende familiari beneficiarie del sostegno, e hanno migliorato la visibilità istituzionale del ruolo delle donne al loro interno.

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  • 1. La traduzione in italiano del testo è stata curata da A. Del Prete (Crea). La versione originale in lingua spagnola può essere visionata sul sito di Agriregionieuropa [link].
  • 2. In un lavoro per la Fao, Garner e De la O Campos (2012), identificarono 36 definizioni distinte di AF nei documenti ufficiali e in quelli prodotti dalle Ong di diversi Paesi.
  • 3. Eccetto quando specificata un’altra fonte, i dati relativi alla Spagna contenuti in questo paragrafo sono estrapolati dal Censimento dell’Agricoltura del 2009.
  • 4. La PS misura la dimensione economica delle aziende. A differenza del Margine Lordo utilizzato nei Censimenti precedenti, a questo valore non si sottrae il costo di produzione.
  • 5. Unità di lavoro annuale, o l’equivalente del lavoro di una persona a tempo pieno durante un anno in azienda.
  • 6. All’interno di questo gruppo, poco più di 200.000 aziende utilizzano una quantità, grande o piccola, di lavoro salariato.
  • 7. Il lavoro salariato è passato dal 21% al 33% tra il 1987 e il 2007, secondo le Encuestas sobre Estructuras Agrarias. Questa evoluzione inoltre si deve al fatto che le grandi aziende sono aumentate di numero, e che tra di esse guadagnano peso quelle con orientamento produttivo più estensivo (come vedremo in seguito).
  • 8. Per esempio, nell’arco di tempo tra il Censimento dell’agricoltura del 1982 e quello del 1989, il numero di aziende in Spagna si è ridotto solo del 3,8%. Questa “rigidità strutturale” allarmò gli analisti, che negli anni 90 cominciarono a discutere su come stimolare l’aggiustamento strutturale nel Paese (Sumpsi, 1994).
  • 9. In una prima fase di analisi del periodo che intercorre tra i censimenti del 1999 e del 2009, Moreno et al. (2013) vincolano la diminuzione del tasso di crescita della superficie delle aziende alla sensibile riduzione della Superficie Agricola Utilizzata (Sau) totale in Spagna, e propongono alcune ipotesi a spiegazione di questa riduzione.
  • 10. Unità di Dimensione Economica. 1 Ude equivale a 1200 euro di Margine Lordo Standard.
  • 11. Questo Comitato è composto da Organizzazioni Professionali agricole, associazioni civiche (ecologiste, a favore delle donne, ecc..), Reti di Sviluppo rurale, centri di ricerca, ecc…
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