La Rete ecologica toscana: la biodiversità delle aree “non protette” e di quelle “marginali”

La Rete ecologica toscana: la biodiversità delle aree “non protette” e di quelle “marginali”

Introduzione

Nei primi mesi del 2015 in Toscana sono giunti a compimento numerosi processi di formazione e approvazione di importanti strumenti, normativi e pianificatori, per la tutela della biodiversità.
Tra questi è risultato di estrema importanza il progetto “Ret” Rete Ecologica Toscana, che ha trovato nel nuovo Piano paesaggistico regionale, approvato dal Consiglio regionale il 27 marzo scorso, uno strumento ottimale per una la traduzione operativa.
L’approvazione della Rete ecologica e del Piano paesaggistico, ha fatto seguito alla recente approvazione della nuova legge regionale per la tutela del patrimonio naturalistico-ambientale1 e della Strategia regionale per la biodiversità2 che hanno costituito le basi per lo sviluppo del progetto Ret.
In particolare la Strategia per la biodiversità è stata il risultato di un lungo processo di analisi e di partecipazione (iniziato nel 2008), che ha visto coinvolti oltre 250 soggetti tra esperti di diverse discipline (naturalisti, biologi, agronomi, forestali, architetti, ecc.), dirigenti/funzionari di amministrazioni pubbliche (Province, Enti Parco, Agenzie per l'ambiente, Autorità di Bacino, Consorzi di Bonifica, Cfs, ecc.) e di politiche di settore regionali (Aree protette e biodiversità, Agricoltura e Foreste, Urbanistica, Difesa del suolo, Qualità delle acque, Paesaggio, Caccia e pesca), oltre ad associazioni ambientaliste e di categoria. Tra le 28 azioni prioritarie individuate dalla Strategia (relativamente alla componente terrestre), e condivise nel processo partecipativo, di estrema rilevanza è stata quella relativa all’implementazione della componente ecosistemica e della Rete ecologica all’interno del nuovo Piano paesaggistico regionale.

La rete ecologica toscana: aspetti metodologici

Dal punto di vista metodologico la realizzazione della Rete Ecologica si è basata sull’applicazione di modelli di idoneità ambientale dei diversi usi del suolo rispetto alle specie indicatrici di qualità ecosistemica (Battisti e Romano, 2007), quali specie focali di Vertebrati sensibili alla frammentazione, che “identificano un ambito di esigenze spaziali e funzionali in grado di comprendere effettivamente quelle di tutte le altre specie presenti nell’area” (Lambeck, 1997; Massa e Ingegnoli, 1999).
Sulle esigenze ecologiche di queste specie si sono quindi fondate le valutazioni di idoneità ambientale e l'individuazione degli elementi strutturali e funzionali della rete ecologica forestale e di quella degli agroecosistemi, integrate successivamente dalle reti potenziali degli ecosistemi palustri, fluviali, costieri e rupestri, cosi da costituire una complessiva “rete di reti”.
I modelli realizzati si sono basati sullo sviluppo di Glm (Generalized Linear Models), ovvero metodi analitici adatti a verificare se, e in quale misura, l'andamento di una determinata variabile dipendente (in questo caso la ricchezza di specie focali) sia determinato da altre variabili indipendenti (usi del suolo, tipi climatici, forme di governo del bosco). L’applicazione del modello ha portato alla realizzazione di carte della idoneità ambientale potenziale, sviluppate per unità minime di 100 x 100 m, tradotte poi in una complessiva carta delle reti ecologiche in scala 1:100.000 e, nell'ambito del Piano paesaggistico regionale, in scala 1:50.000.
Per le due principali tipologie di rete (forestale e degli agroecosistemi), il processo metodologico che ha portato all’individuazione degli elementi strutturali ha fondato i suoi presupposti sul valore dei nodi quali aree “sorgente” per le specie focali e su quello delle matrici quali aree strategiche per la “diffusione” delle specie. Gli elementi strutturali delle reti sono stati individuati tenendo conto sia dei valori di idoneità potenziale che della estensione delle aree di pari idoneità; ciò in base a soglie dimensionali significative per il mantenimento e la dispersione di popolazioni vitali di specie animali e vegetali (ad esempio attribuendo ai nodi primari forestali le aree ad elevata idoneità con superficie continua maggiore di 1.000 ha). Alla scala 1:50.000 alle diverse reti ecologiche sono inoltre stati associati i principali elementi “funzionali" con forte valenza “progettuale”, dalle “direttrici di connettività da riqualificare” alle “aree critiche per la funzionalità della rete ecologica”.
La complessiva validità dei modelli utilizzati e del risultato è stata verificata e dimostrata analizzando il rapporto tra gli elementi delle reti e la distribuzione delle oltre 9 mila segnalazioni relative alle specie di Vertebrati di maggiore interesse conservazionistico della Toscana (interni alla banca dati del Repertorio Naturalistico Toscano), disponibili con data posteriore al 1990 e buon dettaglio di localizzazione. I risultati hanno evidenziato come il 61% delle segnalazioni di specie forestali di valore conservazionistico si concentri nei nodi primari forestali (estesi sul 36% della sup. forestale) mentre i nodi dei sistemi agropastorali (estesi sul 24,5% della sup. agricola) includono il 44,6% delle segnalazioni delle specie di valore tipiche degli ambienti agricoli, pastorali e di mosaico. Per una più dettagliata descrizione delle metodologie utilizzate e delle caratteristiche dei circa 30 elementi strutturali e funzionali della rete ecologica si rimanda ai contenuti del Piano paesaggistico e di alcune recenti pubblicazioni (Giunti et al., 2015; Lombardi e Giunti, 2015; Santini et al., 2014; Santini et al., 2015).
Il progetto rete ecologica toscana è stato quindi realizzato con un approccio innovativo rispetto al panorama delle esperienze italiane. La metodologia si è infatti basata sull’individuazione di specie focali, sulla disponibilità di banche dati faunistiche e di aggiornate cartografie vettoriali di uso del suolo e sull’applicazione di modelli di idoneità ambientale. Ciò ha permesso di individuare gli elementi delle reti ecologiche, dai nodi alle matrici, sulla base della reale distribuzione delle specie e sulle reali caratteristiche degli ecosistemi, indipendentemente dalla rete di Aree protette e Siti Natura 2000, superando un approccio comune che porta a considerare acriticamente le aree protette e le aree boscate come “nodi” della rete, i fiumi come corridoi ecologici, e le aree agricole come elementi neutri o negativi nell’ambito delle reti ecologiche.

La rete ecologica toscana: l’importanza dei paesaggi agro-silvo-pastorali

Una delle applicazioni più interessanti del progetto di rete ecologica è stata quella relativa all’analisi della distribuzione delle aree forestali o degli agroecosistemi di maggiore valore per la biodiversità (in particolare i “nodi”), rispetto agli usi del suolo, alla storia del territorio, alle forme di utilizzazione selvicolturale o alla presenza di peculiari forme di gestione: dagli strumenti di tutela (Aree protette e Siti Natura 2000) ai patrimoni agricolo-forestali regionali e agli usi civici.
Queste analisi hanno evidenziato il notevole contributo fornito dai paesaggi rurali e, in particolare, dalle attività agricole tradizionali, alla tutela della biodiversità.
Circa il 45% dell’intero territorio agricolo toscano è risultato attribuibile ad elementi della rete ecologica degli agroecosistemi di alta idoneità ambientale e di alta valenza ecologica, quali i “nodi degli agroecosistemi” (25%) e gli “agroecosistemi frammentati”, in “abbandono” (10%) o “attivi” (8%). Si tratta di oliveti (terrazzati e non), prati da sfalcio, aree agricole eterogenee, pascoli, seminativi ricchi di elementi arborei lineari (siepi, filari alberati, ecc.) o puntuali (alberi camporili), mosaici di pascoli, praterie sommitali e brughiere, ecc., come elementi costitutivi di importanti paesaggi agro-pastorali tradizionali. Questi ultimi costituiscono elementi di eccellenza del patrimonio paesaggistico e naturalistico della Toscana, ospitando numerosi habitat e specie animali e vegetali di interesse conservazionistico, con valenze spesso legate non solo al singolo elemento dell'agroecosistema, ma al complessivo mosaico alla scala di paesaggio.
L'analisi della distribuzione dei nodi degli agroecosistemi evidenzia il notevole contributo fornito dalle zone montane appenniniche e collinari, ma evidenzia anche l'importante ruolo ecologico, spesso sottovalutato, dei paesaggi agricoli di pianura e costieri. Pur con valori di idoneità ambientale più bassi rispetto ai “nodi”, anche le “matrici agricole di pianura”, urbanizzate e non, confermano l'importante ruolo dei paesaggi agricoli nel mantenimento di buoni livelli di permeabilità ecologica del territorio toscano.
A differenza di altri progetti di rete ecologica, realizzati alla scala regionale o provinciale, che hanno individuato nei territori rurali elementi indifferenti o detrattori della rete ecologica, la Rete ecologica della Toscana ha riconosciuto ai territori agricoli, e in particolare agli agroecosistemi tradizionali (Paracchini, 2007), una importante funzione per il mantenimento di buoni livelli di permeabilità ecologica del territorio. Le relittuali aree agricole montane, spesso ai limiti della sussistenza, o quelle residuali di pianura, spesso residuali in ambiti ad elevata urbanizzazione, costituiscono territori a biodiversità “nascosta” e fortemente sottovalutata, la cui conservazione è legata al permanere di attività agricole e zootecniche di basso valore economico, ma in grado di fornire servizi ecosistemici di grande utilità pubblica. 
Ciò è confermato dai contenuti della recente Strategia regionale per la biodiversità della Toscana (Regione Toscana, 2013). Questa individua il paesaggio agricolo tradizionale e, in particolare, le Hnvf - Aree agricole ad alto valore naturale (Anderson et al., 2003), come uno dei principali target di conservazione, mentre individua nell'abbandono dei paesaggi agropastorali una delle principali minacce alla biodiversità regionale (assieme ai processi di artificializzazione/urbanizzazione delle pianure interne e costiere).
La riduzione delle superfici agropastorali (-26% di Sau in Toscana tra il 1990 e il 2000), infatti, ha rilevanti conseguenze in termini economici, sociali, idrogeologici, paesaggistici e naturalistici. Tali dinamiche hanno causato la perdita dei livelli di biodiversità alla scala di paesaggio e la riduzione degli habitat e delle specie vegetali e animali legate agli ambienti aperti. La rilevanza di questi fenomeni, in termini di perdita valori naturalistici, risulta evidente anche dall’analisi delle Misure di conservazione dei Siti della Rete Natura 2000 della Toscana, che individuano l’abbandono delle attività agricolo/pastorali come prevalente minaccia nel 58% dei Siti (Del. G.R. Toscana 644/2004).
La riduzione qualitativa e quantitativa degli ambienti agricoli risulta testimoniata anche dall’andamento di uno degli indicatori di biodiversità più utilizzati in ambito agricolo, il Farmland Bird Index (Fbi), calcolato come media geometrica degli indici di popolazione di 27 specie di uccelli legate agli agroecosistemi (Gregory et al., 2005). Tale indicatore risulta in declino tanto alla scala nazionale (-17,1% tra il 2000 e il 2013) che a quella regionale (-29% dal 2000 al 2011) (Cot, 2011; Rete Rurale Nazionale & Lipu, 2014).
Anche la caratterizzazione e la distribuzione degli elementi della rete ecologica degli ecosistemi forestali (nodi forestali, matrici forestali, nuclei forestali isolati, ecc.) è il risultato di un millenario rapporto tra componenti naturali e antropiche.
Diversamente dalla rete degli agroecosistemi, caratterizzata da livelli generalmente medio/alti di idoneità ambientale, l'analisi delle diverse tipologie forestali ha evidenziato una netta differenza tra il valore del livello di idoneità dei “nodi”, sia primari che secondari (estesi rispettivamente su circa il 36% e 5% del territorio boscato), e il valore del livello di idoneità delle “matrici” (50% del territorio boscato), che si è dimostrato nettamente più basso.
Le aree forestali della Toscana a maggiore idoneità ambientale (nodi primari) sono costituite prevalentemente dai boschi di latifoglie mesofile (faggete, boschi di latifoglie misti e castagneti) o a prevalenza di conifere (montane o mediterranee), concentrandosi prevalentemente nelle aree appenniniche. Le matrici forestali di minore idoneità ambientale sono invece prevalentemente costituite da formazioni quercine, con dominanza dei querceti di roverella/cerro o delle leccete, prevalentemente distribuite nella Toscana centro-meridionale e costiera.
Le notevoli differenze nei valori ecologici e di idoneità ambientale dei nodi forestali rispetto alle matrici sono spiegabili solo in parte con motivazioni biologiche e climatiche. Le principali motivazioni, infatti, ricadono prevalentemente negli aspetti di antropici, storici e socio-economici, a conferma del fatto che il condizionamento umano ha costituito un fattore sia positivo che negativo nella definizione dell’attuale valore ecosistemico delle cenosi forestali. Tra le tipologie forestali a maggiore idoneità ambientale, infatti, sono presenti i boschi di conifere montane, o misti, le pinete mediterranee (ad es. le storiche pinete della Tenuta di San Rossore) e i castagneti da frutto (Figura 1), tipologie create dalla secolare azione dell'uomo e oggi caratterizzate da buoni livelli di maturità e dalla presenza di alberi vetusti (alberi “habitat”).
Al tempo stesso una parte rilevante delle matrici forestali della Toscana centro-meridionale risulta negativamente condizionata da un pregresso utilizzo produttivo di tipo intensivo, che vede oggi una limitata presenza di boschi di elevata maturità, complessità strutturale e diversità specifica.
L'analisi del rapporto tra età del bosco (desunta dall'Inventario Forestale Toscano Ift) e idoneità forestale potenziale (Figura 2) evidenzia una stretta correlazione tra la presenza di specie focali e l’età media delle formazioni forestali. La scarsa maturità delle matrici quercine della Toscana, e la diffusa pratica del ceduo semplice matricinato, costituiscono fattori che limitano il valore ecologico di queste formazioni. Questa considerazione è confermata anche da un recente lavoro relativo alle cerrete della Valtiberina (Tellini Florenzano et al., 2012) che evidenzia come la presenza di specie forestali risulti nettamente più significativa nei cedui in conversione rispetto a quelli semplici matricinati.

Figura 1 – Valore di idoneità rispetto alle classi forestali del Clc (in parte accorpate). La linea rossa indica il valore soglia delle aree considerate a maggior idoneità

Fonte: Progetto Ret Rete Ecologica Toscana

 

Figura 2 - Valore di idoneità rispetto alle categorie dell’Inventario Forestale

B. Inv. = fustaie, castagneti da frutto e cedui invecchiati o in conversione; B. Giov.= cedui a regime, fustaie di recente impianto, boschi incendiati; Altro: boschi non classificati

Fonte: Progetto Ret Rete Ecologica Toscana

Significativi risultano i bassi valori di idoneità delle leccete, a dimostrazione della scarsa complessità strutturale che caratterizza ancora oggi la maggior parte delle formazioni a sclerofille, cosa che le rende non abbastanza idonee ad ospitare specie focali forestali. Tale situazione ha evidenti motivazioni storiche in quanto è il risultato di una pressione plurisecolare che, nei boschi mediterranei, ha determinato fino agli anni ’50 del secolo scorso un forte impoverimento di biomassa e necromassa arborea tale da determinare livelli altissimi di frammentazione ecologica, fino alla rarefazione/estinzione locale di molte specie tipicamente forestali su estesi territori.
Relativamente agli ecosistemi agricoli e forestali i risultati del progetto Ret evidenziano l’alto valore naturalistico dei paesaggi agricoli tradizionali e dei boschi di maggiore maturità e ridotta frammentazione. Al tempo stesso l’abbandono dei paesaggi rurali delle aree montane e alto collinari, con l’espansione delle matrici forestali e la creazione di boschi di neoformazione, costituisce un elemento di forte criticità per la conservazione della biodiversità, anche se migliora i livelli di permeabilità ecologica della rete forestale.
Dal punto di vista ecosistemico questo importante equilibrio tra ambienti agricoli e forestali dovrebbe quindi basarsi su politiche incentivanti e disincentivanti in grado di ostacolare i processi di abbandono degli ambienti agricoli tradizionali (limitando i processi di espansione del bosco), di mantenere le tradizionali attività di coltivazione dei boschi a forte determinismo antropico (ad es. i castagneti da frutto), di conservare i nuclei forestali a maggiore maturità e qualità ecologica e di migliorare la gestione selvicolturale delle matrici forestali di bassa qualità.

La rete ecologica toscana: dalle Aree protette alla gestione dei patrimoni pubblici e dei beni collettivi

Tra i diversi strumenti in grado di perseguire gli obiettivi sopra esposti, un contributo potenzialmente positivo può essere offerto dal sistema delle Aree protette e dei Siti Natura 2000, anche se l’analisi dei rapporti tra tale sistema e i nodi delle reti ecologiche agricole e forestali evidenzia, però, un loro contributo non particolarmente rilevante.
In particolare solo il 12,9% dei nodi forestali primari risultano interni al sistema delle Aree protette, un valore che aumenta al 19,1% considerando anche il contributo delle “aree contigue” e che sale al 32,7% considerando l'insieme di Aree protette, aree contigue e Siti Natura 2000: una quota importante, ma che da sola non è sicuramente sufficiente a garantire una adeguata gestione e conservazione di tali ecosistemi e delle specie a essi legate, senza l’individuazione di ulteriori misure e strumenti di gestione attiva delle aree “non protette”.
Tale criticità risulta ancora più evidente per la Rete degli agroecosistemi, ove la quota di nodi degli agroecosistemi interna alle Aree protette (8,2%), o al loro insieme con “aree contigue” e Siti Natura 2000 (complessivamente il 17,9% dei nodi) risulta inferiore rispetto alla rete forestale.
Il ridotto contributo delle Aree protette alla conservazione degli ecosistemi agropastorali appare del tutto coerente con quanto rilevato nell’ambito di un lavoro realizzato sul territorio provinciale di Arezzo (Tellini et al., 2008) dove, per tutte le specie di uccelli non legate agli ambienti forestali, i sistemi di Aree protette e di Siti Natura 2000 sono risultati effettivamente poco efficienti.
Assai significativo risulta anche il 27,2% dell’elemento della rete ecologica degli Agroecosistemi frammentati in abbandono interno al sistema delle Aree protette e Natura 2000, in considerazione della urgente necessità di una loro gestione attiva e di recupero delle attività agricole e/o zootecniche tradizionali con particolare riferimento ai territori alto montani appenninici. La loro presenza all’interno dei Siti protetti potrebbe infatti attivare importanti strumenti di gestione, incentivazione e valorizzazione di prodotti agricolo di qualità. Nell’ambito dei Siti Natura 2000 è risultato molto significativo il contributo dei diversi progetti Life+ Natura, cofinanziati dall'Unione europea e realizzati esclusivamente nei Siti Natura 2000, che hanno visto in Toscana la realizzazione di molti progetti finalizzati al recupero degli ecosistemi agropastorali: dal recupero dei pascoli del Pratomagno, dell'alta Garfagnana e della Calvana, alla riapertura dei coltivi terrazzati in abbandono dell'Isola di Capraia. Non a caso molti habitat di interesse comunitario presenti in Toscana, di cui alla Direttiva 92/43/Cee, risultano di origine antropica o hanno carattere di seminaturalità: dagli habitat montani legati all’alternanza di incendi e pascolo (quali le Lande secche, le Formazioni erbose secche seminaturali dei Festuco-Brometalia o le Formazioni erbose a Nardus delle zone montane), ai prati permanenti e regolarmente sfalciati (ad es. le Praterie magre da fieno a bassa altitudine), agli habitat forestali a forte determinismo antropico (ad es. Foreste di Castanea sativa; Foreste di Quercus suber o Dune con foreste di Pinus pinea e/o P. pinaster).
Quanto sopra esposto, e le complessive elaborazioni interne al progetto Ret, evidenzia come l’analisi della natura primaria o secondaria degli ecosistemi sia fondamentale per una loro corretta gestione; ciò con particolare riferimento alla rete degli ecosistemi agropastorali, ove gran parte delle “eccellenze” naturalistiche (i nodi della rete) sono costituite da habitat secondari (ad esempio gran parte delle praterie appenniniche) strettamente legate alla permanenza di tradizionali attività agricole o di pascolo.
La distribuzione degli elementi delle reti ecologiche di maggiore valore ecosistemico, con superfici molto estese di territorio regionale, ha evidenziato come gli obiettivi del mantenimento e gestione attiva dei paesaggi agro-silvo-pastorali tradizionali sia perseguibile solo attraverso adeguate politiche agricole e forestali realmente in grado di agire diffusamente nel territorio, e con un sistema di Aree protette e di Siti Natura 2000 che riconosca e persegua sempre con maggiore efficacia tali obiettivi.
Oltre ai fondamentali strumenti di politica agricola e forestale, dal Piano di sviluppo rurale al Piano regionale agricolo e forestale, risulta di estrema importanza il contributo reale e potenziale offerto dalla gestione dei patrimoni pubblici e dei beni collettivi. Pur nella loro limitata estensione (8,5% della intera rete ecologica forestale), i patrimoni agricolo-forestali regionali forniscono infatti un prezioso contributo all’efficienza della rete ecologica: sono costituiti per circa il 47% da nodi forestali primari o secondari e gestiscono, attraverso i piani di gestione, l’11% dei nodi primari e il 18% dei nodi secondari forestali.
Il contributo delle proprietà pubbliche e collettive alla tutela della rete ecologica è incrementato dalla presenza, soprattutto nelle aree appenniniche, di usi civici che, se pur di estensioni limitate nel panorama regionale (gli usi civici attualmente accertati dalla Regione Toscana interessano circa 30 mila ettari), risultano costituiti per il 57% da nodi forestali e agricoli. Si tratta spesso di castagneti da frutto, di boschi per il legnatico o di pascoli montani, ove la conservazione delle tradizionali attività antropiche risulta fondamentale sia per il mantenimento del presidio umano del territorio montano che per la tutela degli habitat e degli importanti valori naturalistici.
Un approfondimento dei risultati della rete ecologica per le Province di Lucca e Massa-Carrara ha evidenziato il notevole contributo fornito dagli usi civici e dai patrimoni pubblici alla tutela della biodiversità. In provincia di Lucca il 96% del patrimonio agricolo-forestale regionale e il 79% degli usi civici è costituito dagli elementi di maggiore valore naturalistico della rete ecologica (nodi forestali e agricoli, agroecosistemi frammentati, ecc.). Tali elementi di valore costituiscono rispettivamente il 100% e il 68% dei patrimoni pubblici e degli usi civici della adiacente Provincia di Massa-Carrara, a dimostrazione dell'estrema importanza delle attività di mantenimento e recupero delle attività antropiche tradizionali legate a tali beni nelle aree montane appenniniche.

Considerazioni conclusive

Il progetto Ret costituisce una esperienza innovativa nell’ambito del panorama nazionale, sia per i suoi aspetti metodologici che per la sua elevata cogenza.
L’utilizzo di modelli di idoneità ambientale ha consentito di superare un approccio comune che vede le reti ecologiche come prevalentemente costituite da reti di strumenti amministrativi (Aree protette, Siti Natura 2000, Oasi faunistiche, ecc..) senza una reale verifica della distribuzione degli ecosistemi di maggiore qualità ecologica, continuità e idoneità ambientale.
L’inserimento della rete ecologica tra le “invarianti” del nuovo Piano paesaggistico ha inoltre consentito di associare alle reti, e ai suoi elementi strutturali e funzionali, specifiche norme, prescrizioni e indirizzi; una elevata cogenza della Rete ecologica rafforzata anche dal suo riconoscimento quale elemento del sistema regionale della biodiversità nell’ambito della nuova legge regionale per la tutela del patrimonio naturalistico ambientale.
Tra i risultati più significativi in termini di contenuti il progetto Ret ha evidenziato l'alto valore ecosistemico di gran parte dei paesaggi rurali toscani, con un 45% delle superfici agricole riconducibili alle Hnvf - Aree agricole ad alto valore naturalistico, già considerate come elemento strategico nella politica agricola comunitaria (Keenleyside et al., 2014). Tali aree rappresentano agroecosistemi di elevato valore naturalistico e risultano spesso caratterizzate anche da importanti patrimoni di razze e varietà autoctone di specie coltivate/allevate, elemento identitario del mondo rurale toscano, la cui tutela e spesso affidata dalla normativa regionale3 ai “coltivatori custodi”. Significativi livelli di idoneità ambientale e di biodiversità sono stati tilevati non solo nei “nodi degli agroecosistemi”, ma anche nei paesaggi rurali marginali di pianura, spesso “vocati” all’espansione urbanistica e infrastrutturale, e in quei paesaggi rurali montani o insulari caratterizzati da attività agricole e zootecniche di sussistenza e inseriti, a causa dei processi di abbandono, tra le “Aree critiche per la funzionalità della rete ecologica”, da sottoporre ad interventi attivi di recupero, nell’ambito del complessivo Piano paesaggistico regionale.
Diversamente dagli agroecosistemi, la rete forestale ha evidenziato valori di idoneità ambientale nettamente diversi tra i “nodi” appenninici e le “matrici” della Toscana centro-meridionale, quest’ultime fortemente condizionate da un pregresso utilizzo produttivo di tipo intensivo e dalla attuale diffusa pratica del ceduo, con assente o scarsa presenza di boschi quercini maturi e di elevata qualità ecologica.
Il progetto Ret ha inoltre evidenziato come nell’ambito delle politiche di tutela della biodiversità risultino di estrema importanza:

  • gli approcci multi scala, da quella locale a quella di paesaggio e di area vasta;
  • il superamento dei modelli basati sulla solo tutela delle “isole protette” nella direzione di sistemi a permeabilità ecologica diffusa;
  • il superamento delle politiche monosettoriali, nell’ottica di un approccio trasversale alle diverse politiche di settore, da quelle agricole e forestali, a quelle urbanistiche, di difesa del suolo, delle areeprotette, economiche e sociali;
  • la capacità di incidere anche sui territori “non protetti” e “marginali” e di valorizzare i numerosi servizi per l’uomo (servizi ecosistemici) derivanti da una maggiore funzionalità ecologica degli ecosistemi.

In particolare il miglioramento della permeabilità e della qualità ecologica diffusa del territorio e della funzionalità ecologica degli ecosistemi (da quelli agricoli e forestali a quelli fluviali e costieri), perseguita dalla Ret, costituisce un obiettivo non solo nell’ambito delle politiche di tutela della biodiversità e dei valori naturalistici, ma permette di perseguire risultati utili e condivisi tra le diverse politiche di settore, che traggono vantaggio dal miglioramento dei servizi ecosistemici offerti.
Ne sono un esempio i paesaggi rurali tradizionali della Toscana appenninica, alto collinare e di alcune zone di pianura o costiere, che, se pur se caratterizzati da economie agricole non concorrenziali rispetto a settori agricoli più redditizi (viticoltura specializzata, vivaismo, ecc.), talora anche ai limiti della sussistenza e oggi spesso in abbandono, offrono elevati servizi ecosistemici e numerosi benefici alla collettività toscana. In tali aree, infatti, la permanenza di agroecosistemi tradizionali e delle locali comunità (talora caratterizzate anche dalla gestione collettiva di beni comuni) non solo consente di conservare elevati valori di biodiversità, ma anche di mantenere territori di elevato valore paesaggistico e identitario, importanti economie locali, paesaggi di valore turistico e sistemazioni idraulico-agrarie essenziali per la difesa dal rischio idraulico e geomorfologico.

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