Qualità dei prodotti e educazione del consumatore attraverso l’etichetta narrante di Slow Food

Qualità dei prodotti e educazione del consumatore attraverso l’etichetta narrante di Slow Food
a Slow Food Italia, Coordinamento nazionale progetto Presìdi Slow Food
b Slow Food Italia, Ufficio nazionale progetto Presìdi Slow Food

Introduzione

Nell’approccio convenzionale al cibo la qualità è identificata in genere con analisi chimico-fisiche, panel di degustazione o, comunque, parametri misurabili e definiti. Si tratta di un approccio tecnico che garantisce una conoscenza del prodotto esaustiva dal punto di vista organolettico, ma che non consente di capire l’origine, la storia, la tecnica di trasformazione di un cibo, se è prodotto nel rispetto degli ecosistemi e dell’ambiente e se è conforme ai concetti di giustizia sociale e di diritto dei lavoratori.
Secondo Slow Food, infatti, l’esito qualitativo del prodotto è determinato dal fitto intreccio di relazioni tra l’ambiente, l’intervento umano e la tradizione lavorativa tramandata dalle generazioni.
Le specificità dell’area geografica di produzione, le caratteristiche del suolo e il clima, rendono uniche le produzioni alimentari: possiamo addirittura affermare che sono l’espressione più distintiva del territorio di origine. Il territorio, infatti, influisce sulla qualità del prodotto andando ad evidenziare caratteristiche organolettiche specifiche, uniche, dissimili a qualunque altre, non riproducibili in altri luoghi.

La qualità del cibo è un piacere a cui tutti abbiamo diritto

I prodotti di qualità hanno un forte legame con il territorio inteso come spazio fisico, climatico e ambientale, ma anche con il contesto culturale e storico. Questi prodotti hanno fatto la storia dei loro luoghi di origine, affondano le radici nella cultura della comunità, sono la prova concreta dell’abilità nell’ottenere il meglio dalle risorse locali disponibili. Ad esempio, le tecniche colturali tramandate da generazioni preservano la fertilità della terra e gli ecosistemi idrografici, escludono il più possibile l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi, salvaguardano il paesaggio agricolo tradizionale e includono necessariamente anche metodiche di lavorazione e conservazione tradizionali.
La qualità, quindi, non si definisce solo in una degustazione tecnica volta ad assegnare punteggi, a stabilire scale di valori o a determinare standard qualitativi. Il modello alimentare qualitativo è quello rispettoso dell’ambiente, delle tradizioni e delle identità culturali, capace di avvicinare i consumatori al mondo della produzione, creando una maggiore condivisione di saperi e c’è un solo modo per esprimerla: narrandola.
In particolare, nel Manifesto della qualità secondo Slow Food (Slow Food, 2006), si individuano tre elementi a cui riferirsi per costruire il concetto di qualità alimentare:

  • Buono. La bontà organolettica, che sensi educati e allenati sanno riconoscere, è il risultato della competenza di chi produce, della scelta delle materie prime e di metodi produttivi che non ne alterino la naturalità. Buono come l’attenzione alla qualità organolettica, al piacere, al gusto inteso anche in termini culturali (ciò che buono per me può non esserlo in Africa e viceversa).
  • Pulito. L’ambiente deve essere rispettato prendendo in considerazione le pratiche agricole, zootecniche, di trasformazione, di commercializzazione e di consumo sostenibili. Tutti i passaggi della filiera agro-alimentare – consumo incluso – dovrebbero, infatti, proteggere gli ecosistemi e la biodiversità tutelando la salute del consumatore e del produttore. Pulita è la sostenibilità e la durabilità di tutti i processi legati al cibo, dalla semina nel rispetto della biodiversità, passando per la coltivazione, al racconto, dalla trasformazione ai trasporti, dalla distribuzione al consumo finale, senza sprechi e attraverso scelte consapevoli.
  • Giusto. La giustizia sociale va perseguita attraverso la creazione di condizioni di lavoro rispettose dell’uomo e dei suoi diritti e che generino un’adeguata gratificazione; attraverso la ricerca di economie globali equilibrate; attraverso la pratica della solidarietà; attraverso il rispetto delle diversità culturali e delle tradizioni. Giusto vuol dire senza sfruttamenti, diretti o indiretti, di chi lavora nelle campagne, retribuzioni gratificanti e sufficienti, ma al contempo rispetto per le tasche di chi compra valorizzando equità, solidarietà, dono e condivisione.

La qualità buona, pulita e giusta è un impegno per un futuro migliore […] è un atto di civiltà e uno strumento per migliorare l’attuale sistema alimentare” ha dichiarato il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini (Petrini, 2005). Mangiare è, infatti, un atto agricolo e se il consumatore privilegia cibi buoni, puliti e giusti favorisce un’agricoltura sostenibile capace di conservare e mantenere paesaggi rurali e saperi tradizionali.
Tuttavia l'approccio convenzionale non permette di capire se un cibo è prodotto nel rispetto degli ecosistemi e dell'ambiente, se è conforme ai concetti di giustizia sociale e di diritto dei lavoratori.
Anzi, molti materiali di comunicazione che accompagnano i prodotti sono inventati e mistificanti: alludono a bucolici mondi contadini irreali, a presunte tecniche tradizionali o a vaghi richiami a sapori antichi. Questi elementi evocativi sono spesso solo retorici e lontani dall’effettiva specificità dei prodotti pubblicizzati.
I consumatori sono quindi distratti, se non addirittura ingannati, al momento dell’acquisto e quelli più attenti trovano sulle etichette dei prodotti in commercio scarsi elementi di approfondimento certamente non sufficienti a consentire scelte realmente consapevoli.
Troppo spesso le etichette non sono in grado di fornire vera informazione sulla natura del prodotto: le etichette alimentari, anche se a norma di legge, lasciano senza risposta molte domande sulle materie prime, sul tipo di agricoltura o allevamento da cui provengono, e così via. Inoltre contengono elenchi di ingredienti di natura ignota, che si riferiscono a conservanti, coloranti, aromi di sintesi, la cui conoscenza non è a disposizione di tutti i consumatori.
In tale contesto, non solo i consumatori, ma spesso anche i piccoli prodotti artigianali sono penalizzati: le etichette legali sono scarne di elementi di approfondimento e non rendono giustizia alla manualità, alla naturalità, alla particolarità delle piccole produzioni.
La qualità, invece, deve essere resa nota all’utilizzatore con l’obiettivo di ridurre l’asimmetria informativa, per permettergli di percepire le differenze qualitative dei prodotti e di effettuare scelte coerenti con le sue esigenze.

Il progetto Etichetta Narrante

Secondo Slow Food dunque soltanto la narrazione può restituire al prodotto di eccellenza il suo valore reale, così da consentirgli di essere competitivo grazie all’effettiva ed autentica differenza rispetto alla massa di prodotti industriali, seriali che affollano il mercato. Dobbiamo pretendere una narrazione sistematica e critica del prodotto, della sua storia, delle caratteristiche dell’ambiente e del territorio dove è nato, della tecnica di trasformazione (oppure di coltivazione o allevamento se si tratta di una specie vegetale o di una razza animale), i metodi di conservazione e commercializzazione, in grado quindi di fornire anche gli strumenti necessari per comprendere la reale sostenibilità delle produzioni e delle aziende.
Offrendo ai consumatori questo tipo di informazioni molti di loro saranno disposti ad affrontare una spesa maggiore per acquistarli. La maggiore conoscenza della materia, infatti, aumenta la consapevolezza della potenzialità che il cibo di qualità ha nella conservazione della biodiversità, spinge le persone a interrogarsi sui propri consumi e a convincersi della necessità di intervenire attivamente valorizzando il lavoro dei piccoli produttori.
Per raggiungere tali obiettivi nel 2011 Slow Food ha avviato il progetto dell’etichetta narrante: una forma di etichettatura trasparente, di comunicazione più completa, un nuovo metodo per raccontare e valutare la qualità.
L’etichetta narrante non sostituisce l’etichetta legale, ma, posta a fianco ad essa, la completa e la integra mediante ulteriori informazioni e approfondimenti applicati sulle confezioni dei prodotti e si propone di raccontare in maniera esaustiva la filiera produttiva con la garanzia di Slow Food rispetto alla veridicità e alla completezza delle informazioni stesse.
Questa idea è nata non solo per soddisfare le domande del consumatore, ma anche per consentire al produttore di raccontare la propria storia e vederla adeguatamente valorizzata mediante la trascrizione in etichetta.
L’etichetta narrante è composta da una struttura comune, suddivisa in paragrafi, ma nelle differenti categorie merceologiche variano alcuni elementi di approfondimento. Le etichette dei vegetali, ad esempio, descrivono le caratteristiche della varietà, la superficie coltivata, le tecniche di coltivazione e di fertilizzazione, la tipologia di trattamenti somministrati, le modalità di diserbo e di irrigazione e, se i prodotti sono trasformati, sono precisate anche le materie prime impiegate e la loro filiera produttiva. Quelle dei prodotti lattiero-caseari e dei salumi invece raccontano le razze, le tipologie di allevamento e di alimentazione praticate – ad esempio se i foraggi e i mangimi sono prodotti dall’azienda stessa o acquistati – la superficie di pascolo, la tecnica di lavorazione e di stagionatura.
Di certo in nessuna etichetta narrante possono mancare paragrafi dedicati a raccontare il prodotto, la sua storia e la sua origine andando quindi ad esaminare le specificità del territorio – inteso come  il luogo di domesticazione o diversificazione di una specie, di adattamento e naturale evoluzione di una varietà o di una razza, di sviluppo di una tecnica di coltivazione o di trasformazione – che gli attribuisce caratteristiche particolari.
Per chiarire i contenuti che vengono approfonditi nell’etichetta narrante, si presenta l’etichetta realizzata per la marmellata dall’azienda “Il Pago” che fa parte del Presidio della Pera signora della Valle del Sinni e se ne prendono in esame i contenuti.
Dopo una frase iniziale, volta ad attirare l’attenzione del consumatore, il testo è suddiviso in cinque paragrafi che descrivono la varietà di pera, il territorio di produzione, la coltivazione, la raccolta e la successiva lavorazione.

Figura 1 - Fronte etichetta narrante Presidio Pera signora della valle del Sinni

Figura 2 - Interno etichetta narrante Presidio Pera signora della valle del Sinni

Nel primo paragrafo, "La varietà", si descrive la pera, le caratteristiche uniche e distintive che la contraddistinguono. Nel paragrafo "Il territorio" si specifica la località, il paese e la provincia in cui si trovano l’azienda e i peri. Inoltre si forniscono informazioni pedoclimatiche che contribuiscono a rendere unica quella varietà e che conferiscono le specifiche e peculiari caratteristiche identitarie e organolettiche del prodotto. Si saprà poi, grazie al paragrafo "La coltivazione", che la famiglia Bianco, dell’azienda “Il Pago”, non mira alla quantità dato che possiede solamente nove peri coltivati sparsi ai margini di altri campi frutticoli, come da tradizione. Si scopre inoltre che si pratica un’agricoltura sostenibile perché, solo in caso di necessità, si utilizzano trattamenti previsti dai principi dell’agricoltura biologica per la cura delle malattie e dei parassiti. Inoltre sappiamo che non si sprecano risorse idriche perché si irriga solo nelle annate siccitose e, grazie al paragrafo "La raccolta", che la raccolta dei frutti maturi è eseguita unicamente a mano. Infine sono fornite informazioni sul processo di trasformazione: i tempi e le modalità per la preparazione della marmellata.
Per costruire una narrazione il più possibile esaustiva e particolareggiata Slow Food si avvale della raccolta di informazioni e di testimonianze orali dagli attori diretti (contadini, pastori, pescatori, norcini, casari, e così via) che, oltre a fornire informazioni sulla loro attività, tramite le proprie esperienze, trasmettono gli elementi salienti in grado di definire il significato di un prodotto all’interno della comunità e la sua relazione con l’ambiente. La veridicità e l’attendibilità di queste testimonianze sono poi valutate attraverso il coinvolgimento di tecnici, ricercatori e istituti scientifici e la consultazione di bibliografie specialistiche.
In particolare, Slow Food si è avvalso della consulenza del Laboratorio Chimico della Camera di Commercio di Torino che collabora da anni con la Fondazione Slow Food, svolgendo analisi nutrizionali e consulenze sui Presìdi in Italia e nel mondo. Nel progetto dell’etichetta narrante, grazie all’esperta di etichettatura Paola Rebufatti, si sono messi a punto i contenuti in modo tale che possano essere inseriti senza incorrere in eventuali  infrazioni  alle norme di legge.
Questo cammino verso la completa trasparenza dell’etichetta, Slow Food lo sta percorrendo anche con Alce Nero: un marchio che identifica oltre mille agricoltori e apicoltori impegnati a produrre cibi buoni, sani, nutrienti, frutto di un’agricoltura biologica che rispetta la terra. Alce Nero è un convinto sostenitore del progetto dell’etichetta narrante, il primo compagno di strada di Slow Food e il suo più importante collaboratore e lavorano insieme per dotare di un’etichetta narrante i prodotti a marchio Alce Nero. A partire dal 2013 sono state, infatti, realizzate le etichette di cinque tipologie di riso, di tre oli extravergine di oliva, della polpa di pomodoro con basilico e delle uova.

L’Etichetta Narrante per i Presìdi del mondo

Tuttavia, la sfida più grande di Slow Food è realizzare le etichette narranti per tutti i produttori dei Presìdi italiani e del mondo, che complessivamente sono più di 400 – quasi 250 in Italia – e riuniscono migliaia di piccoli produttori: contadini, pescatori, norcini, pastori, casari, fornai, pasticcieri, che con il loro lavoro quotidiano, svolto spesso in aree marginali, preservano grandi tradizioni gastronomiche a rischio di estinzione.
Sono esempi concreti e virtuosi di un nuovo modello di agricoltura, basata sulla qualità, sul recupero dei saperi tradizionali, sul rispetto delle stagioni, sul benessere animale. Conservano culture e tradizioni locali e sono legati a un territorio specifico da un punto di vista ambientale, storico e socio-economico. Gli ortaggi, i legumi e i frutti dei Presìdi appartengono a varietà ed ecotipi autoctoni (o popolazioni tradizionalmente coltivate nell’area di produzione) e la loro coltivazione è ecosostenibile: i produttori dei Presìdi praticano prioritariamente interventi manuali o meccanici, o comunque a basso impatto ambientale; per la concimazione e la difesa adottano sistemi di coltivazione propri dell’agricoltura integrata o biologica. Gli allevatori dei Presìdi custodiscono razze o popolazioni autoctone. L’alimentazione di bovini, ovini e caprini è basata su foraggio, fieno e altri alimenti naturali, esclude l’impiego di insilati di mais e di mangimi prodotti con scarti industriali. I produttori dei Presìdi Slow Food si stanno impegnando per eliminare i mangimi contenenti prodotti geneticamente modificati, il cui impiego è oggi molto limitato, e per promuovere forme di allevamento rispettose del benessere animale. I formaggi sono prodotti rigorosamente a latte crudo e lavorati impiegando tecniche tradizionali, senza fermenti. Le stagionature avvengono di preferenza in ambienti naturali. Un’attenzione speciale è rivolta alle produzioni d’alpeggio non solo per sottolinearne l’eccellenza qualitativa, ma anche perché la presenza umana sui pascoli in quota consente di mantenere integri i territori e di salvaguardare l’ecosistema montano. Le conserve, le confetture e gli altri trasformati non contengono ingredienti disidratati, liofilizzati e aromi sintetici. Non è consentito l’uso di additivi, edulcoranti, addensanti, emulsionanti, stabilizzanti, antiossidanti o coloranti: solo prodotti ottenuti lavorando esclusivamente materie prime naturali. I pescatori dei Presìdi rispettano i cicli di sviluppo delle specie ittiche, evitano la pesca nei periodi in cui le catture metterebbero a rischio la sopravvivenza della specie e usano solo le reti e i metodi di cattura tradizionali della piccola pesca costiera. I salumi sono prodotti secondo tecniche tradizionali. Non contengono aromatizzanti, coloranti, caseinati, addensanti e conservanti. La fermentazione è naturale: non si aggiungono starter e i budelli sono rigorosamente naturali. I Presìdi del vino salvaguardano realtà artigianali che svolgono un particolare ruolo nella tutela del paesaggio, della biodiversità e di tecniche di produzione tradizionali, seguendo pratiche agricole sostenibili in vigna e rispettose dell’autenticità e dell’originalità del vino in cantina. Tutte le produzioni dei Presìdi sono realizzate nel rispetto della stagionalità.
Slow Food sostiene le loro piccole produzioni che rischiano di scomparire, le promuove, offre assistenza per migliorare la qualità organolettica e ne valorizza il territorio. Nello specifico, l’etichetta narrante li aiuta a comunicare la complessità della loro realtà produttiva, a valorizzare la qualità dei loro prodotti schiacciati dalle regole del mercato globale e quindi a migliorare i loro guadagni – con l’ingresso sul mercato dei prodotti senza penalizzazioni di prezzo – e poter così salvaguardare una parte della cultura enogastronomica e offrire loro nuove opportunità di lavoro.
Dopo aver presentato il progetto a Cheese 2011, Slow Food ha realizzato nel 2012 le prime etichette su un campione di circa settanta prodotti dei Presidi provenienti da vari Paesi del mondo. Nel 2013 e nel 2014 il lavoro è proseguito. Oggi sono state stilate le etichette narranti di 102 Presidi Italiani e di 33 Presidi internazionali.

Considerazioni conclusive

Slow Food è convinto che l’etichetta narrante faccia la differenza. Una differenza per il produttore ed il consumatore. Alla base c’è il desiderio di educare al gusto e all’alimentazione, con una didattica innovativa volta ad allenare la mente ed aiutare a ragionare sulle storie, sui risvolti sociali ed economici racchiusi all’interno dei prodotti, ossia nella loro narrazione. L’obiettivo è di raggiungere la piena coscienza del diritto al piacere e al gusto e l’acquisizione di una responsabile capacità di scelta in campo alimentare che consente di riappropriarsi della sovranità alimentare.
La grande scommessa per il futuro di Slow Food è, infatti, di cambiare le abitudini alimentari quotidiane grazie a un approccio più responsabile, che legga la complessità del sistema cibo e ricerchi un piacere lento e durevole. Tornare a dare valore a ciò che si ha nel territorio, affondare le radici nella cultura gastronomica locale mantenendo viva la curiosità di conoscere quella di altri luoghi, per avere uno sguardo attento sul cibo e comprenderne relazioni e origini.

Riferimenti bibliografici

  • Petrini C. (2005), Buono, pulito e giusto. Principi di nuova gastronomia, Gli Struzzi Einaudi, Torino

  • Slow Food Italia (2006) Buono, pulito e giusto: il Manifesto della qualità secondo Slow Food

  • Slow Food Internazionale (2012), Documento di posizione sull’etichettatura dei prodotti alimentari in Europa www.slowfood.com/sloweurope/it/i-temi/etichette/

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