I numeri del vino italiano: le tante facce della qualità

I numeri del vino italiano: le tante facce della qualità

Introduzione

Il comparto del vino rappresenta una componente di primo piano per il settore agroalimentare nazionale. Alcuni dati sintetici ne evidenziano con chiarezza l’importanza e il valore strategico all’interno dell’economia agricola italiana e del made in Italy alimentare.
La coltivazione della vite da vino, infatti, è fortemente diffusa, interessando poco meno del 23% della aziende agricole del nostro paese e occupando una porzione della Sau intorno al 5% (Istat, Censimento 2010), sebbene in costante declino da ormai alcuni decenni; dall’inizio degli anni 2000, l’Italia ha perso circa 140.000 ha di vigneti per uva da vino, con una contrazione del proprio potenziale superiore al 17% (Agea)1. Ciò non di meno, il comparto ha conquistato una posizione sempre più dominante rispetto alle principali variabili economiche dell’agroalimentare. La produzione del vino rappresenta, infatti, una porzione consistente del valore della produzione agricola, pari a circa il 7%2 del totale (Istat, 2013); analogamente, con riferimento alla sola fase industriale, il peso del vino sul fatturato globale dell’industria alimentare sfiora il 7,7% (Federalimentare). Ismea, infine, stima per il 2013 un valore all’origine del vino complessivamente prodotto dal sistema italiano pari a 3,9 miliardi di euro, dei quali 1,9 miliardi attribuibili ai vini con una denominazione di origine e 812 milioni a quelli con una indicazione geografica protetta.
Numeri ancora più significativi emergono guardando al ruolo del vino nelle relazioni commerciali internazionali. Nel 2013, il comparto dei prodotti vitivinicoli ha spiegato da solo il 15,4% delle esportazioni agroalimentari italiane, con un saldo normalizzato largamente positivo (88,6%). Tra i primi 20 prodotti di esportazione della bilancia agroalimentare si collocano, in particolare, i vini confezionati rossi e rosati Dop (terza posizione), i  vini confezionati rossi e rosati Igp (undicesima) e i vini bianchi confezionati Igp (quattordicesima), con una quota aggregata del 7,8% sul totale delle spedizioni nazionali all’estero in valore (Inea, 2014).
Volendo guardare al comparto in termini di qualità della produzione, occorre definire con maggior precisone il campo di indagine a cui si fa riferimento. Il concetto di qualità dei prodotti vitivinicoli, infatti, è ampio e può essere definito facendo riferimento ad aspetti tra loro molto diversi e a più dimensioni (Fregoni, 1994; Scoppola, Zezza, 1997; Pomarici, 2001; Pomarici, 2009). In questo contributo si è scelto di far riferimento alla tradizionale definizione sulla cui base sono ritenuti vini di qualità quelli che si possono fregiare, all’interno del sistema di regole comunitario (Reg. (Ue) 1308/2013 e Reg (Ce) 607/2009), di una denominazione di origine geografica, sia essa una Dop (denominazione di origine protetta), o una Igp (indicazione geografica protetta). Secondo questo approccio, la qualità della produzione vitivinicola europea è legata alle caratteristiche che il vino assume in relazione alla sua provenienza da specifiche regioni e all’adozione di metodi colturali e di vinificazione definiti all’interno dei cosiddetti disciplinari di produzione. Restano, quindi, escluse altre tipologie – come ad esempio il vino biologico3 – che potrebbero pure essere ricomprese in questo ambito, intendendo il concetto di qualità in una diversa e più ampia accezione.   

Il vino di qualità in “cifre”: struttura e produzione di vini Dop e Igp

La specializzazione dell’orientamento produttivo nazionale verso prodotti con una denominazione geografica appare ormai abbastanza marcata, sia da un punto di vista strutturale, che della distribuzione dei volumi di prodotto realizzato tra le diverse tipologie: Dop, Igp e vini da tavola4.
Guardando all’inventario del potenziale produttivo del nostro paese (Figura 1), su un totale di quasi 655.000 ettari di superficie impiantata, emerge la netta predominanza assunta dagli investimenti in vigneti atti alla produzione di vini con una denominazione di origine, i quali con poco meno di 315.000 ettari costituiscono il 48% del totale italiano. Meno consistente, e soprattutto più concentrata territorialmente, è la superficie per vini Igp, i cui 177.000 ettari contribuiscono per un ulteriore 27% alla composizione del vigneto nazionale. Gli stessi dati osservati ad un livello di dettaglio regionale restituiscono un panorama della composizione del vigneto estremamente differenziato. Si evidenzia, infatti, la diffusa presenza di un orientamento produttivo “misto”, con un gruppo abbastanza ampio di regioni, collocate prevalentemente al Sud del paese, all’interno delle quali la componente per uva da vino riveste ancora un ruolo di rilievo.

Figura 1 - Distribuzione della superficie per uva da vino per tipologia di prodotto finale, 2012 (ha)

Nel 2012, si contano in Italia poco meno di 197.000 operatori agricoli che hanno formulato una dichiarazione di raccolta di uva da vino. Di questi, appena oltre la metà (51,8%) agisce come operatore singolo, mentre una quota pressoché equivalente è costituita da viticoltori associati al sistema cooperativo, a testimonianza del forte legame che esiste in questo comparto tra produzione primaria e associazionismo.
Nel complesso le uve raccolte, che costituiscono la materia di base per la vinificazione, appaiono abbastanza omogeneamente distribuite tra le tre diverse tipologie di prodotto finale a cui danno origine, essendo così ripartite: 35% per vini da tavola, 29% per vini Igp e 36% per vini Dop. Tale dato, tuttavia, è frutto di un comportamento altamente differenziato tra le diverse realtà territoriali (Tabella 1), che ricalca nella maggior parte dei casi quanto già rilevato precedentemente in relazione alle superfici. Ovviamente, le distribuzioni tra composizione della superficie e dell’uva raccolta non sono mai perfettamente sovrapponibili, soprattutto per effetto della presenza di limitazioni nelle rese uva/ettaro previste nei disciplinari di produzione dei prodotti con una denominazione di origine protetta o con un’indicazione geografica protetta. A questo va aggiunto anche l’effetto derivante dalla possibilità di non rivendicare le uve raccolte su superfici iscritte agli albi di produzione delle denominazioni di origine (scelta vendemmiale), oppure dalla decisione di commercializzare i vini ottenuti all’interno di una determinata tipologia utilizzando un livello qualitativo inferiore (declassamento). Ciò fa sì che in quasi tutte le realtà le quote di uva raccolta per vino senza indicazione di provenienza appaiano sistematicamente più elevate, rispetto a quanto rilevato per la composizione del vigneto regionale5.

Tabella 1 - Dichiarazione di uva raccolta per tipologia, 2012 (%)


Dal punto di vista della composizione del risultato produttivo finale, la prevalenza conquistata dalle due componenti appartenenti alle fasce qualitative superiori risulta confermata a livello di dato aggregato; mentre, ancora una volta, la situazione si presenta decisamente più articolata quando il profilo dell’analisi scende a un livello territoriale più basso (Tabella 2)6. Ciononostante, in oltre metà delle realtà regionali la produzione dei vini Dop rappresenta la quota maggioritaria del vino complessivamente realizzato, con pesi superiori al 70% in numerosi casi, collocati per lo più nella circoscrizione del Nord, con le uniche eccezioni della Toscana al Centro e della Sardegna al Sud. Più ristretto, invece, risulta il numero di regioni in cui la componente dei vini con una Igp assume un peso superiore al 25% del prodotto totale. In questo caso, come già rilevato per la superfice, la concentrazione territoriale è meno evidente, sebbene in alcuni contesti si possa sottolineare il ruolo centrale rivestito da questa tipologia (ad es. in Sicilia, Puglia, Emilia-Romagna e Umbria). Inoltre, sommando le quote rivestite delle due tipologie, in tutta l’area centro-settentrionale del paese – con la sola eccezione di Emilia-Romagna e Marche ­– oltre il 70% del vino prodotto può essere considerato appartenente alle categorie di qualità, con punte vicine al 90% in numerose realtà regionali. 
 

Tabella 2 - Produzione di vino per tipologia - 2012 (%)

Altro dato di rilievo è rappresentato dalla dinamica della produzione tra le diverse tipologie. Come illustrato in figura 2, infatti, la componente delle Dop non solo ha progressivamente assunto una posizione dominante, ma soprattutto ha mostrato un andamento che si colloca abbastanza stabilmente intorno ai 16 milioni di ettolitri di volumi prodotti. Anche in anni di scarsità produttiva – come, ad esempio, a seguito delle modeste vendemmie 2011 e 2012 (Inea, anni vari) –, a fronte del crollo produttivo registrato dai vini da tavola, le Dop hanno mantenuto, se non addirittura accresciuto, il loro volume produttivo. Un andamento similare è riscontrabile anche nel caso dei vini Igp. In sostanza, nel medio periodo la dinamica delle tre tipologie evidenzia una relativamente maggiore elasticità dei vini comuni rispetto alla disponibilità di materia prima; mentre i vini, sia Dop, che Igp – pur elaborati all’interno di regole definite da rigidi disciplinari di produzione – sono in grado di mostrare una relativa maggiore stabilità della loro dimensione quantitativa.     

Figura 2 - Andamento della produzione di vino in Italia per tipologia, 2009-13 (000 hl) 

La maggiore dimensione relativa conquistata dalle due tipologie di qualità, all’apparenza, ha trovato sostegno all’interno di un robusto sistema di denominazioni e di indicazioni sviluppato dal nostro paese. Oggi, infatti, l’Italia conta una posizione di tutto primato in Europa, con 405 vini Dop – di cui 73 Dogc e 332 Doc7 – e 118 Igp (Inea, 2014)8. Solo cinque anni fa (2010) le Dop erano 380 e le Igp si collocavano su un livello equivalente all’attuale, sebbene nel tempo molte di queste ultime abbiano ottenuto una certificazione di livello superiore (denominazione di origine), lasciando spazio alla creazione di ulteriori indicazioni geografiche protette.
Tuttavia, come si porrà meglio in evidenza nelle pagine seguenti, a dispetto della incredibile numerosità delle indicazioni di provenienza, il sistema di produzione nazionale dei vini di qualità risulta fortemente incentrato su un numero molto ristretto di territori e soprattutto di denominazioni, siano esse Dop o Igp.

Tabella 3 - Vini Dop e Igp per regione (luglio 2014)*


Il bipolarismo del tessuto produttivo e dell’offerta dei vini italiani di qualità
Il sistema di produzione del vino in Italia – facendo riferimento alla sola fase di vinificazione – si basa sulla partecipazione di poco meno di 55.000 operatori, distinti in tre tipologie di attori: i produttori-vinificatori, che presentano un’integrazione di filiera all’interno della propria azienda, producendo le uve ed elaborando essi stessi il prodotto vinicolo; i vinificatori puri, i quali invece acquistano sul mercato le uve che trasformano in vino; e le cantine sociali, che presentano anch’esse un sistema integrato tra produzione di materia prima e prodotto finale, attraverso il sistema dell’associazionismo. Tale sistema, inoltre, si presenta fortemente concentrato, oltre che caratterizzato da una struttura di tipo “bipolare”. Infatti, le cantine sociali e i vinificatori puri, che sono pari ad appena il 3% degli operatori totali, elaborano più dei ¾ del vino complessivamente prodotto; mentre, una moltitudine di produttori-vinificatori, che costituiscono una vera e propria galassia di aziende a produzione integrata, realizza appena il 23% del vino italiano.
Dal punto di vista geografico, emergono ulteriori caratteri di concentrazione; infatti, con riferimento al sistema delle cantine sociali, si nota come il 66% delle stesse sia collocato in appena sei realtà regionali: Puglia, Sicilia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Abruzzo. Analogamente, oltre la metà dei vinificatori, è insediata in solo 5 regioni: Piemonte, Veneto, Puglia, Campania e Sicilia. Ancora più spinta, infine, appare la distribuzione degli operatori integrati, che per oltre la metà si collocano tra Toscana, Piemonte, Campania e Veneto.  
Sulle caratteristiche di questi attori, ulteriori informazioni provengono, dall’analisi della figura 3. Si evidenzia, infatti, come la composizione della produzione delle cantine sociali sia abbastanza omogeneamente distribuita tra le diverse tipologie di vino; viceversa, mentre i produttori-trasformatori, spiccano per una spinta specializzazione nelle tipologie di qualità, con la produzione di vini Dop e Igp che riveste un peso totale di oltre il 75% del vino elaborato da questi attori, i vinificatori puri si caratterizzano per una spinta specializzazione nella produzione di vini da tavola (oltre il 60% del vino prodotto).

Figura 3 - Composizione della produzione per tipologia di operatore, 2012 (%) 

La presenza di spinte specializzazioni territoriali in merito alle relazioni esistenti tra le tipologie di vino realizzate e la fisionomia degli attori coinvolti nella produzione dei diversi vini trova conferma anche nei dati riportati in tabella 4.
Al di là delle inevitabili differenziazioni territoriali, si possono porre in evidenza almeno due aspetti caratterizzanti il sistema produttivo nazionale: il ruolo di primo piano rivestito dal sistema cooperativo, che appare quasi ovunque dominante; e la tendenza del sistema di produzione integrato dei produttori-vinificatori a focalizzarsi sulla produzione di vini di livello qualitativo superiore, rispetto ai quali il più elevato valore economico consente di trattenere all’interno delle aziende margini di valore aggiunto più ampi, rendendo possibile l’attivazione anche dei processi di trasformazione della materia prima.

Tabella 4 - Produzione di vino per tipologia di operatore, 2012 (%) 


L’esistenza di una spinta polarizzazione nel comparto appare evidente anche quando si guarda alla struttura dell’offerta dei vini di qualità, all’interno della quale si registra una ristrettissima cerchia di denominazioni geografiche di provenienza che, sia in termini di volume, che di valore economico, spiegano quote largamente maggioritarie tanto per i vini Dop, quanto per quelli Igp (Valori Italia, 2014).
In base ai dati recentemente diffusi da Ismea (2014), elaborati a partire dalle informazioni trasmesse al Mipaaf da parte degli organismi terzi di controllo accreditati a svolgere funzioni di certificazione dei vini di qualità, la concentrazione è particolarmente spinta nel caso delle Igp, dove le prime 10 indicazioni realizzano da sole quasi l’85% del vino appartenente a questa tipologia, imbottigliato per essere immesso in commercio. Mentre, sul fronte delle Dop le prime 30 denominazioni realizzano oltre il 72% della complessiva produzione imbottigliata; specularmente, ne deriva che le restanti 375 denominazioni sono in grado di dare luogo a meno del 30% del prodotto di qualità superiore realizzato nel nostro paese. Peraltro, da un punto di vista territoriale, quasi il 30% della produzione Dop italiana trae origine dal solo Veneto, seguito dal Piemonte (15%), dalla Toscana (11% circa) e dall’Abruzzo (circa 9%).   
Infine, sempre con riferimento alle stime Ismea, osservando i dati sulla concertazione della produzione in termini di valore, il Veneto torna a collocarsi in una posizione di netta predominanza al vertice della classifica regionale delle Dop, con un peso pari ad un terzo del totale nazionale9; seguono a una certa distanza il Piemonte (17%) e la Toscana (15% circa). Rispetto alle Igp, il Veneto si conferma in vetta alla classifica regionale, ma con una posizione meno dominante (15%), seguito a breve distanza dall’Emilia-Romagna (12%) e più indietro dalla Sicilia (8%); mentre, oltre il 22% dei vini con indicazione geografica proviene da aree di produzione a carattere interregionale.

Considerazioni conclusive

Nell’ambio della già complessa struttura del sistema agro-industriale italiano, il comparto del vino non fa eccezioni in termini di articolazione delle strutture produttive, di differenziazione delle forme organizzative della filiera (Malorgio et al., 2011) e di estrema segmentazione dell’offerta. Inoltre, l’organizzazione della struttura produttiva si presenta fortemente differenziata a livello territoriale, soprattutto in relazione alla notevole diversificazione dei prodotti finali che ogni realtà locale presentata sul mercato, per effetto principalmente della scelta, storicamente operata, di legare la qualità alla provenienza geografica. Questo ha spinto ogni singolo territorio di produzione a porre un’enfasi particolare sulle specificità delle produzioni locali, delle tradizioni e delle competenze umane necessarie alla loro realizzazione, che ha portato all’incredibile proliferazione di Dop e Igp a cui si è assistito negli anni.
D’altro canto, tali caratteristiche hanno certamente la capacità di trasmettere una precisa identità ai vini cui danno origine. Al tempo stesso, la coltivazione della vite e la produzione enologica hanno finito con l’imprimere una fisionomia del tutto particolare ai territori su cui vengono realizzate, incidendo anche sulla loro capacità di valorizzarne le risorse naturali e paesaggistiche. Prova ne sia che intorno al vino sono fiorite numerose iniziative di promozione territoriale, turistica e ricreativa con ampie possibilità di sfruttamento economico su base locale (Mantino, 2014). 
La conoscenza della struttura del sistema di produzione, cui queste poche pagine vogliono fornire un piccolo contributo, rappresenta un tassello importante per evidenziare alcuni elementi utili alla definizione di una strategia per la futura competitività del comparto vitivinicolo nazionale. Il rafforzamento della vitivinicoltura italiana, sul mercato interno e su quello internazionale, non può prescindere infatti dalla consapevolezza che questa si presenta composta da una molteplicità di realtà locali, ciascuna dotata di una propria dimensione fisica ed economica, rispetto alle quali si configura un ruolo molto diverso da attribuire a ciascuna singola produzione. Da un lato, un gruppo molto ristretto di vini di qualità, che sono in grado di movimentare volumi importanti e attivare flussi finanziari di una certa consistenza, dall’altro una moltitudine di piccole e piccolissime indicazioni di origine (Dop e Igp), che si presentano più fragili sotto il profilo dei “numeri” realizzati, ma che in molti casi costituiscono un patrimonio per le realtà locali, con riferimento alle opportunità che possono offrire in termini di processi di diversificazione, di valorizzazione territoriale, di salvaguardia dell’ambiente naturale, di promozione delle tradizioni e della cultura locale.

Riferimenti bibliografici

  • Inea (anni vari), Annuario dell’agricoltura italiana, Inea, Roma

  • Inea (2014), Il commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari, Inea, Roma

  • Ismea (2014), Vini a denominazione di origine. Struttura, produzione e mercato, Report, aprile 2014

  • Fregoni M. (1994), La piramide Doc, Edagricole, Bologna

  • Uiv (anni vari), Il Corriere Vinicolo, numeri vari, Editrice Unione Italiana Vini, Milano

  • Malorgio G., Pomarici E., Sardone R., Scadera A., Tosco D., La catena del valora nella filiera vitivinicola, Agriregionieuropa, Anno 7, No. 27, dicembre

  • Mantino F. (2014), I sistemi agro-alimentari locali di fronte alla crisi: competitività, governance e politiche, Working paper, Inea-Rete Rurale Nazionale, Roma, 7 novembre 2014

  • Pomarici E. (2009), “La transizione verso  le nuove regole di etichettatura”, in Pomarici E., Sardone R. (2009), L’Ocm vino. La difficile transizione verso una strategia di comparto, Osservatorio Pac, Inea, Roma

  • Pomarici E. (2001), “Nuovo scenario competitivo e politiche di qualità delle aziende”, in Pomarici E., Sardone R. (a cura) (2001), Il settore vitivinicolo in Italia. Strutture produttive, mercati e competitività alla luce della nuova Organizzazione Comune di Mercato, Studi & Ricerche, Inea, Roma

  • Scoppola M., Zezza A. (1997), La riforma dell’organizzazione comune di mercato e la vitivinicoltura italiana, Studi & Ricerche, Inea, Roma

Siti di riferimento

  • 1. I dati di fonte Agea qui utilizzati sono tratti, in parte dall’Inventario nazionale, in parte dalle dichiarazioni di raccolta delle uve e di produzione del vino. Entrambe le fonti sono rese disponibili all’Inea all’interno delle attività di assistenza tecnica al Mipaaf, svolte tramite il suo Osservatorio sulle politiche agricole dell’Ue.
  • 2. Va ricordato che questo dato tiene conto del valore delle uve da vino vendute o conferite alla trasformazione e della sola produzione di vino da uve proprie dell’azienda, restando escluso il valore del vino prodotto dal sistema cooperativo e dall’industria alimentare. Come verrà sottolineato più avanti, queste due tipologie realizzano, rispettivamente, quote intorno al 23% e al 50% della produzione nazionale di vino (Agea, 2014).
  • 3. Le norme di produzione del vino biologico sono state oggetto di un intervento normativo da parte dell’Ue solo in tempi recenti (Reg. (Ue) 203/2012). Al momento, i dati disponibili in merito alla produzione di vino biologico, sebbene segnalino un processo di costante incremento della base produttiva (Sinab, 2014), non sono tali da consentire un’analisi puntuale su tale componente del sistema produttivo nazionale.
  • 4. Va rammentato che, sulla base della normativa comunitaria introdotta con la riforma del 2008, i vini comunitari vengono suddivisi in due categorie: con origine geografica (Dop e Igp) e senza origine. Di seguito, i secondi vengono identificati con la dicitura “da tavola”. Inoltre, va ricordato che all’interno della categoria dei vini senza origine è possibile distinguere i cosiddetti vini varietali. Tuttavia, questa tipologia non viene esplicitata per mancanza di informazioni puntuali su tutte le variabili qui indagate.
  • 5.  Le proporzioni si trovano invertite, a vantaggio dell’uva raccolta per vini Dop, solo in un limitato numero di casi e, soprattutto, in relazione a regioni vitivinicole di non primaria importanza in termini di volumi realizzati. Tuttavia, sarebbe utile un approfondimento di questa analisi comparativa, per comprendere come sia possibile che la quota di uve raccolte per vini Dop si discosti per eccesso, in misura così significativa, dalla quota di superfici destinata a tali produzioni.
  • 6.  Per l’analisi della produzione si è preferito ricorrere al dato di fonte Istat, anziché a quello di fonte Agea. Quest’ultimo, infatti, comprende anche il vino di produzione di anni diversi e i mosti provenienti, oltre che dalla produzione propria anche da acquisti da altre regioni o da paesi esteri.
  • 7.  In Italia, in attuazione della facoltà prevista dalla riforma dell’Ocm vino del 2008, è stato possibile conservare la precedente struttura delle denominazioni, che prevede un ulteriore grado di differenziazione delle Dop, tra Doc e Docg.
  • 8. Con riferimento alla crescita e all’affermazione delle indicazioni geografiche, va sottolineato il fatto che molte regioni italiane hanno dato luogo a Igp che adottano il nome della stessa regione, avendo a riferimento una zona di produzione corrispondente a pressoché l’intero territorio regionale. Ciò, in parte, contribuisce a spiegare come questa tipologia di prodotto si sia andata progressivamente affermando in termini di volumi realizzati.
  • 9.  A titolo di mero esempio, il “Prosecco” da solo spiega oltre l’11% del valore della produzione Dop nazionale 2013. Tale peso sale a quasi il 18% se si tiene conto anche del valore del “Conegliano Valdobbiadene Prosecco”.
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