Introduzione
Il termine sovranità alimentare è stato introdotto nel 1996 dal movimento contadino internazionale Via Campesina ([link]), nella riunione di Tlaxcala (Messico), e riaffermato nel forum parallelo al World Food Summit di Roma. Trova una definitiva elaborazione nella Dichiarazione di Nyéléni del 2007, durante il Forum Internazionale sulla Sovranità Alimentare tenutosi in Mali ([link]). In questa dichiarazione si afferma “il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo”, focalizzandosi, soprattutto, sulla necessità che “i diritti di accesso e gestione delle nostre terre, dei nostri territori, della nostra acqua, delle nostre sementi, del nostro bestiame e della biodiversità, siano in mano a chi produce gli alimenti. La sovranità alimentare implica nuove relazioni sociali libere da oppressioni e disuguaglianze fra uomini e donne, popoli, razze, classi sociali e generazioni”.
Tale concetto viene proposto come alternativa a quello di sicurezza alimentare (Cavazzani, 2008; Corrado, 2010), che è stato introdotto a metà degli anni Settanta dalle Nazioni Unite, e successivamente assunto dalla Fao (2001), e che ha ispirato gli interventi di politica alimentare proposti dalle istituzioni internazionali.
La proposta della sovranità alimentare ha trovato una traduzione istituzionale nelle carte costituzionali di tre paesi latino-americani: Bolivia, Venezuela ed Ecuador (Rubio, 2010). Dalla fine degli anni Ottanta, i tre Paesi della regione Andina sono stati attraversati da profonde trasformazioni sociali ed istituzionali, che si sono tradotte in radicali riforme costituzionali, stilate da assemblee costituenti dotate di pieni poteri. Le nuove costituzioni intendono rompere con le politiche neoliberiste, affermando nuovi principi di organizzazione sociale: ponendo un limite invalicabile ai processi di privatizzazione, trasformano le risorse strategiche in beni comuni, propongono la centralità del ruolo dello Stato nei processi di sviluppo e pongono la giustizia sociale come principio di articolazione dei processi redistributivi della ricchezza (Ramírez Gallegos, 2011).
Il lavoro1 illustrerà questi processi con riferimento al caso dell’Ecuador, dove la categoria di sovranità alimentare è diventata nodo cruciale di discussione politica ed accademica (Carrión, Herrera, 2012). L’intento è quello di analizzare quali siano le condizioni per l’istituzionalizzazione della sovranità alimentare, ma soprattutto i problemi posti dalla sua implementazione.
Verranno presentati i risultati di una indagine empirica svolta in Ecuador tra il 2010 e il 2013. La ricerca si è focalizzata da una parte sulle reti alimentari alternative operanti nell’area urbana di Quito, dall’altra sulle organizzazioni contadine ed indigene che operano a livello nazionale. L’indagine è stata condotta con tecniche diversificate (interviste in profondità, focus group, colloqui informali), analisi della letteratura grigia (in formato elettronico e cartaceo) e dei documenti governativi.
Il neoliberismo in Ecuador: lo sviluppo dell’agricoltura da esportazione
Il ruolo dell’agricoltura nell’economia ecuadoriana è particolarmente rilevante. Insieme all’allevamento, rappresenta l’8,2% del Pil, assorbe circa il 30% degli occupati, percentuale che aumenta significativamente (69,2%) se si guarda alla popolazione rurale. Come molti paesi dell’America Latina, vede una marcata diseguaglianza nella distribuzione della terra: il 64,4% delle unità produttive sotto i 5 ettari dispone del solo 6,3%, mentre le aziende superiori ai 200 ettari, che rappresentano lo 0,1 del totale, controlla il 29% della superfice agricola (Carrión, Herrera 2012; Eclac, Fao, Iica, 2012).
L’agricoltura ecuadoriana del primo Novecento è essenzialmente articolata sulle due strutture dell’hacienda e della piantagione: l’hacienda, istituto di matrice coloniale concentrato nella zona geografica della Sierra, produce per il mercato interno attraverso un sistema che lega i contadini e le loro famiglie in cambio di una parcella di terra per la sopravvivenza. Il sistema delle piantagioni, diffuso nell’area geografica della Costa e strettamente legato alla domanda del mercato internazionale, si consolida a fine Ottocento sulle coltivazioni di prodotti coloniali (caffè, cacao, banane).
Il rafforzamento e consolidamento degli interessi economici legati alle dinamiche del mercato internazionale - relativo all’industria agro-esportatrice della Costa, e poi al più intenso sfruttamento del petrolio in Amazzonia e della floricoltura – si realizzerà negli anni Ottanta, con l’imposizione, da parte della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, delle politiche di aggiustamento strutturale.
La loro implementazione produce una ristrutturazione dell’economia ecuadoriana verso le esportazioni e verso una più intensa integrazione nel mercato mondiale. La rapida crescita delle esportazioni, negli anni Novanta, riguarda l’espansione di settori produttivi agricoli e della pesca non tradizionali (verdura fresca, frutta esotica, fiori, soprattutto rose, gamberetti per il mercato europeo e nordamericano), verso cui tendono a dirigersi crescenti investimenti di capitale straniero.
L’espansione dei settori legati al mercato internazionale è associata a vari effetti negativi. In primo luogo tale espansione si realizza a spese delle coltivazioni alla base della dieta tradizionale nazionale, in tal modo creando le condizioni per l’aumento dell’insicurezza alimentare (Korovkin, 2004). In secondo luogo essa neutralizza i pur modesti esiti delle riforme agrarie (l’aumento del prezzo della terra ostacola la possibilità di accesso, con tendenze alla concentrazione), modificando il sistema di distribuzione di risorse essenziale come l’acqua (Martínez Valle, 2004). Ad essa è inoltre associata una serie di problemi più generali: la monocoltura avanza a spese dell’abbondante biodiversità che caratterizza il Paese; l’erosione del suolo si combina a processi di deforestazione legati allo spostarsi della frontiera produttiva; l’utilizzo intensivo di prodotti chimici contamina le aree contigue alla produzione di fiori, banane, gamberi (Harari, 2004). A questi si sommano gli effetti di contaminazione indotti dalla produzione petrolifera nell’area amazzonica.
Ma l’imposizione delle politiche di aggiustamento strutturale e l’apertura indiscriminata dell’economia alle forze di mercato internazionali si realizza in un crescente clima di conflitto sociale, che porterà alla nuova Costituzione del 2008 e alla assunzione dei principi della sovranità alimentare, come si vedrà nel prossimo paragrafo.
I movimenti contadini ed indigeni: verso la sovranità alimentare
Dagli anni Novanta, l’Ecuador è attraversato da una intensa effervescenza collettiva, alimentata dalla messa in discussione dei principi e degli effetti dell’aggiustamento strutturale. Le mobilitazioni - contro la privatizzazione della terra (1994) e del welfare (1995), contro l’aumento dei prezzi del combustibile (1999), del gas per uso domestico e per i trasporti (2001) – sono catalizzate e rese efficaci dall’inedita presenza del movimento indigeno, riuscendo, a loro volta, ad aggregare una eterogeneità di movimenti sociali. Fino alla proposizione di una piattaforma politica nazionale, che sintetizza e tematizza vecchi e nuovi diritti di cittadinanza.
È in questo contesto di effervescenza collettiva che i movimenti contadini ed indigeni lavorano con l’intento di incidere sulle politiche agro-alimentari nazionali. Un ruolo centrale, in questo processo, viene assunto da quattro federazioni affiliate a Vía Campesina2. Dalla fine degli anni Novanta, esse assumono la sovranità alimentare come priorità politica, dando vita alla Mesa Agraria: uno ‘spazio di concertazione’, entro cui viene ripensata la questione agraria e da cui scaturisce un repertorio comune di azione collettiva. Nel decennio successivo, questo spazio di coordinamento contribuirà attivamente al successo delle mobilitazioni sociali organizzate contro le politiche statunitensi di integrazione economica, l’accordo regionale Alca (Acuerdo de Libre Comercio por las Americas) e la successiva versione bilaterale Stati Uniti/Ecuador (Tratado de Libre Comercio) (Acosta, Falconí, 2005).
Con la Mesa Agraria, l'orizzonte delle lotte muta sostantivamente rispetto a quello dei decenni precedenti: la battaglia non è più per l'inclusione dei contadini nel modello agrario dominante - rincorrendo la logica della modernizzazione, dell’aumento della produttività e dello “sviluppo”- ma aspira, piuttosto, ad una transizione agro-alimentare come alternativa a quella perseguita dalle politiche neoliberiste. L’avvio di un processo interno di analisi e dibattito conduce all'elaborazione di un documento (Agenda Agraria de las Organizaciones del Campo del Ecuador) che pone al centro dell’agenda politica il paradigma della sovranità alimentare, così come il relativo ed imprescindibile accesso ad investimenti e risorse.
La forza dell’elaborazione programmatica, ottenuta con una serie di campagne interne alle organizzazioni e poi indirizzate alle forze esterne, porta al tavolo di dialogo con il Ministero, dove le pressioni esercitate dalla Mesa Agraria conducono da una parte al ritiro di una proposta di legge (Ley General de Semillas) sostenuta dal settore agro-industriale nazionale; dall’altra all’approvazione, nel 2006, della Ley de Seguridad Alimentaria y Nutricional (República del Ecuador 2006), con la quale viene inaugurato l'uso del termine sovranità alimentare nella legislazione ecuadoriana.
All’approssimarsi delle elezioni presidenziali del 2006, la Mesa Agraria invita i candidati al dialogo. I presidenti delle federazioni partecipanti firmano un accordo con il futuro presidente Rafael Correa, il quale si impegna a promuovere, in caso di vittoria, una rivoluzione agraria che democratizzi l’accesso alla terra, la non privatizzazione dell’acqua ed in generale promuova l’accesso alle risorse strategiche per la riattivazione del settore contadino.
Successivamente, la Mesa Agraria partecipa attivamente ai lavori dell’Assemblea Costituente, che ha il compito di stilare una nuova costituzione. La sua proposta (Mesa Agraria, 2008) contiene una serie di linee guida (garanzia della sovranità alimentare, promozione della rivoluzione agraria, costruzione di un modello di sviluppo territoriale sostenibile ed equo, diritti del lavoro, specificamente di quelli occupati in agricoltura e, infine, la rifondazione di uno Stato sovrano ed interculturale), mirate a “contrapporci produttivamente, culturalmente, ideologicamente e nelle pratiche al modello agro-industriale delle multinazionali e delle élite rurali nazionali” (Mesa Agraria, 2007, pag. 4, 21).
Il processo di costituzionalizzazione: la sovranità alimentare quale diritto del buen vivir
L’agenda dei movimenti viene codificata nella Costituzione ecuadoriana del 2008 (República del Ecuador, 2008), una delle più innovative a livello mondiale. Radicata nelle lotte sociali interne all’Ecuador, si nutre anche del dibattito politico internazionale di critica al capitalismo.
Fra gli innumerevoli elementi inediti, la nuova Carta costituzionale supera l’idea dell’accumulazione e della crescita illimitata come fine ultimo dello sviluppo, affermando un nuovo principio ordinatore: il sumak kawsay, principio andino della ‘buona vita’ (buen vivir), alla cui luce costruire un nuovo patto sociale fra gli esseri umani e fra questi e la natura, che rispetti dunque la sostenibilità dei processi di riproduzione sia dell’esistenza umana, sia di tutte le altre forme di vita. Così, la natura, per la prima volta nella storia moderna, viene definita quale soggetto di diritto, recuperando, anche qui, la cosmologia dei popoli indigeni che considerano la natura come Pachamama, madre terra, luogo dove si riproduce e si realizza la vita (Acosta, Martínez 2009).
La sovranità alimentare, assunta come uno dei diritti del buen vivir e tradotta in obbligo dello Stato, diventa caposaldo della strategia di sviluppo, quella che, nel dibattito accademico e politico dell’Ecuador, viene ritenuta una modificazione della matrice produttiva, vale a dire dei nessi che legano produzione, riproduzione e consumo. La Carta Costituzionale non riprende per intero la definizione di Vía Campesina, ma afferma con forza il diritto al cibo (art. 13): "Gli individui e le collettività hanno diritto all’accesso sicuro e permanente ad una alimentazione sana, adeguata e nutriente, preferibilmente di produzione locale e corrispondente alle loro diverse identità e tradizioni culturali ".
Nel testo, la nozione viene definita dall’insieme di elementi che ne qualifica il significato concreto. Il diritto ad alimenti sani e culturalmente appropriati viene garantito sul piano delle condizioni sociali di produzione (politiche di protezione del settore alimentare ed appoggio a piccoli e medi produttori, rafforzamento della diversificazione attraverso lo sviluppo di tecnologia appropriata ed ecologica, preservazione e recupero della biodiversità e dei saperi tradizionali, limite all’accaparramento delle terre per i biocombustibili), della distribuzione e commercializzazione (generazione di sistemi equi attraverso il rafforzamento di reti produttori-consumatori e proibizione di pratiche monopolistiche e speculative), del consumo (diritto di accesso a cibo non contaminato, anche in situazioni di emergenza, con riferimento al principio di precauzione) (art. 281). Più interessante è la parte in cui la Costituzione affronta il tema dell’accesso alle risorse produttive (art. 282): promozione di politiche redistributive della terra, qualificata sulla base di funzioni sociali ed ambientali, e proibizione del latifondo; diritto all’acqua; preservazione, uso e scambio libero del semi.
I problemi, tuttavia, arrivano nel momento in cui tali principi devono essere tradotti in quadro legislativo, e tradotti nella loro implementazione. Realizzarne la portata avrebbe significato sollevare ed affrontare nell’agenda politica ed istituzionale la discussione intorno alle relazioni di potere che presiedono al controllo sociale del sistema alimentare (Patel, 2009).
Ciò emerge nel processo che porta alla formulazione della Ley Orgánica del Régimen de la Soberanía Alimentaria (Lorsa)3, approvata nel 2009. La scarsa capacità deliberativa e di mobilitazione delle organizzazioni contadine ed indigene sposta i rapporti di forza a favore dei potenti attori economici che detengono il controllo monopolistico sulle filiere agroalimentari e che spingono verso il ridimensionamento della portata del mandato costituzionale.
Il risultato è che la Lorsa rimane valida solo sul livello programmatico, non riuscendo a risolvere una serie di nodi politici dirimenti per la transizione ad una nuova matrice produttiva alimentare, fra i quali i meccanismi di distribuzione della terra; il ruolo della produzione di bio-combustibili; l’uso degli Ogm4; la protezione dei diritti di proprietà intellettuale sul patrimonio di agro-biodiversità; il libero uso e scambio dei semi, limitatamente a quelli di "origine nativa", che escluderebbe le varietà non autoctone, ma comunque localmente fito-migliorate come il riso.
Al momento, il conflitto che scandisce il dibattito nazionale intorno a questi punti nodali ha fatto rinviare l’approvazione dei disegni di legge subordinati alla Lorsa (uso e accesso alle terre, agrobiodiversità e sementi, sviluppo agrario, agroindustria ed impiego agricolo, sanità animale e vegetale, accesso al credito pubblico, assicurazione agricola e sussidi alimentari), che, quindi, sono ancora bloccati in Parlamento.
Conclusioni
La pratica dei movimenti contadini ed indigeni ecuadoriani ha spinto verso l’introduzione del paradigma della sovranità alimentare nella discussione pubblica, fino alla sua costituzionalizzazione. Le difficoltà di tradurre in pratica la nozione di sovranità alimentare per come proposta da Vía Campesina derivano dalla pressione esercitata dai gruppi economici che controllano il settore agroindustriale. Il governo, d’altra parte, non è riuscito a mediare gli interessi contrapposti: le elezioni presidenziali, nel febbraio del corrente anno, suggerivano di non porre questioni sensibili nell’agenda della campagna elettorale.
Il bilancio, tuttavia, è positivo. Permeando contenuti e linguaggi del dibattito pubblico, la sovranità alimentare diventa terreno di disputa per l'intera società ecuadoriana, condizionando profondamente il processo di riforma sociale ed economica in corso nel Paese. Su questa scia, le organizzazioni che avevano promosso la Mesa Agraria si aprono a nuove alleanze e raccolgono ampio consenso sociale, come è avvenuto, per esempio, nel marzo del 2012 con la proposta legislativa Ley de Tierras y Territorios ([link]) per la redistribuzione della terra. La sovranità alimentare rimane, per questo, nell’orizzonte delle possibilità storiche, anche per i movimenti contadini internazionali.
Riferimenti bibliografici
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- 1. L'articolo riporta alcuni risultati di un progetto finanziato dal Miur, nell'ambito dei Prin 2008, dal titolo Strategie innovative dei produttori agricoli tra sicurezza e sovranità alimentare, coordinatore scientifico Annamaria Vitale, Università della Calabria, protocollo 2008LY7BJJ_001. Vengono ripresi alcuni contenuti della relazione “Food Sovereignty: an Analysis on Political Advocacy of Social Organizations in Ecuador” presentata dalle autrici al XIII World Congress of Rural Sociology, tenutosi a Lisbona nell’agosto del 2012.
- 2. La Confederación Nacional de Organizaciones Campesinas, Indígenas y Negras de Ecuador (Fenocin), la Coorporación Nacional Campesina/Eloy Alfaro (Cnc-EA), la Federación Nacional de Trabajadores Agroindustriales, Campesinos e Indígenas Libres del Ecuador (Fenacle) e la Confederación Nacional del Seguro Social Campesino (Confeunassc).
- 3. [link].
- 4. La Costituzione dichiara l’Ecuador paese libero dagli Ogm.