I produttori critici nel Sud Italia

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I produttori critici nel Sud Italia
a Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

Introduzione

In questo articolo si presentano parte dei risultati di una ricerca1 sulle strategie innovative adottate dai produttori agricoli con l’obiettivo dichiarato di individuare modelli di produzione e consumo alternativi a quelli dei sistemi agro-industriali dominanti.
Negli ultimi anni diverse ricerche a livello internazionale segnalano l’emergere di simili esperienze, più recentemente anche a livello italiano ci sono stati studi che hanno raccolto testimonianze di agricoltori che operano secondo questi schemi. I risultati qui proposti sono frutto di una ricerca empirica effettuata negli ultimi due anni con tecniche diversificate (sedici interviste in profondità2, due focus group, numerosi colloqui informali) e analisi della letteratura grigia (in formato elettronico e cartaceo) in tre aree del Mezzogiorno (Sicilia, Calabria e Puglia). Nell’ambito dell’analisi dei processi di ri-socializzazione e ri-territorializzazione del cibo, l’obiettivo è stato indagare le pratiche poste in essere da produttori biologici/biodinamici meridionali. La chiave di lettura proposta fa riferimento al nuovo paradigma dello sviluppo rurale per come definito da Van der Ploeg (2006).

Ricercare nuove strategie

Negli anni il fenomeno dello squeeze on agriculture (riduzione dei ricavi e aumento dei costi) è andato acuendosi costringendo i produttori a ricercare nuove strategie di azione. L’importanza di questo fenomeno è testimoniata da alcune interviste: “Si spende e non si prende… I meloni rimangono nella terra. Hanno macinato 1500 quintali di meloni con i trattori perché non conviene raccoglierli...Come si fa a portare avanti questa agricoltura” (Roberta, Puglia); “quelle arance che vendevo a 750 lire ad un certo momento hanno cominciato a pagarmele a 400, a 300, a 200 e quindi a non coprire i costi di produzione… Diciamo a partire dal ’94-’95 la situazione è diventata sempre più insostenibile” (Alberto, Sicilia).
La sola produzione biologica, che pure rientra tra le azioni di deepening (Van Der Ploeg 2006), non è più sufficiente a garantire un reddito adeguato. Il processo di “convenzionalizzazione” del biologico (Fonte, Agostino, 2008) costringe i produttori ad affrontare nuovi problemi. In primo luogo, le richieste delle centrali di acquisto specializzate ricalcano quelle della Gdo del mercato convenzionale: il prodotto deve avere una certa calibratura, colore, aspetto, deve essere certificato, come racconta una intervistata: “il biologico per la grande distribuzione è deleterio (…). Non funziona perché deve essere bello come il convenzionale però biologico” (Valentina, Sicilia).
I tempi di incasso per la vendita dei prodotti sono lunghi e l’agricoltore si trova in difficoltà considerevoli non avendo liquidità. In tal senso è costretto a ricorrere al credito bancario, quando è disponibile, incrementando ulteriormente i costi da sostenere. Nelle parole degli intervistati: “l’agricoltore investe per produrre, arriva al raccolto, investe per raccogliere, poi questa roba va alla cooperativa, da questa va alla cooperativa del nord che la manda ai negozietti. I negozietti ricevono la tua lattuga, se la vendono lo stesso giorno e incassano subito, però pagano a 30 giorni se non hanno difficoltà, sennò dilazionano. Questa a sua volta istituzionalmente paga la cooperativa siciliana a 90 giorni, se non ha difficoltà .. Quest’ultima … mi paga istituzionalmente a quattro mesi ma nei fatti anche a 18.... (Alberto, Sicilia).
Gli agricoltori, in questa situazione, continuano ad essere estromessi dal controllo della filiera che è integrata nel complesso agro-industriale. Il rischio è l’abbandono della terra. I dati dell’ultimo censimento agricolo confermano questa tendenza. La necessità di individuare strategie di azione alternative a quelle proposte dal modello di produzione dominante diventa indispensabile. La ricerca delinea la presenza di un percorso innovativo che si connette allo sviluppo del consumo critico che, a partire dagli anni 90 del Novecento, si è andato affermando, anche a livello italiano.
L’agricoltore, come raccontano, si trova ad un bivio: cercare un altro lavoro oppure riorganizzare l’azienda in un’ottica multifunzionale e trovare strade di commercializzazione diverse.

La vendita diretta

La scelta di vendere direttamente al consumatore finale per molti degli intervistati è stata l’azione che ha permesso di non abbandonare la terra e di operare alla ricerca di quella autonomia che Van der Ploeg (2006) inquadra nel nuovo paradigma di sviluppo rurale. “E’ preferibile vendere direttamente al consumatore…che vuole sapere cosa sta consumando” (Giorgio, Calabria); La differenza è, appunto, tra il chiudere l’azienda, abbandonare e riuscire a dire: Va bè, faccio l’agricoltore e campo di agricoltura” (Alberto, Sicilia).
Lo sganciamento a valle dal controllo del sistema dominante risulta prima di tutto nella possibilità di definire il prezzo. Nelle transazioni degli intervistati quest’ultimo non è legato alle oscillazioni del mercato, spesso frutto di speculazioni finanziarie a livello globale che nulla hanno a che fare con i costi di produzione sostenuti dai produttori. “Guardate io non ce la faccio a stare con i costi; chi vuole l’uva questo è il prezzo altrimenti preferisco fare il vino e vendermelo da sola più che svenderla” (Piera, Puglia) racconta una intervistata. Coloro che vendono ai Gruppi di Acquisto Solidali (Sivini, 2008) stabiliscono il prezzo, di norma, ad inizio anno, sulla base di quello che loro stessi definiscono un prezzo equo. Come racconta un giovane produttore “Tutte le mie verdure costano 2 euro al chilo tutto l’anno. Sempre non facciamo distinzioni. Il nostro prezzo è equosolidale.. il problema del prezzo non ci tocca .. perché abbiamo un rapporto diretto con le famiglie. Siamo avulsi dal mercato classico” (Mario in Cersosimo 2012, p. 179). Queste considerazioni sono condivise da un intervistato siciliano “Mentre il prezzo del mercato normale non lo puoi prendere come riferimento sia perché è imparagonabile per molti aspetti, proprio nel senso che è composto diversamente, e sia perché noi facciamo un listino all’inizio dell’anno e poi qualunque siano le variazioni stagionali non lo modifichiamo. Mentre il prezzo sul mercato convenzionale è variabile di giorno in giorno” (Alberto, Sicilia). Un prezzo che spesso diventa trasparente con l’indicazione dei costi della filiera (produzione, raccolta, confezionamento, distribuzione e promozione) e che include talvolta quote di solidarietà a favore di progetti sociali promossi sul territorio, come nella recente esperienza di “Arance sorridenti - spremi gli agrumi non i braccianti” [link].
La vendita diretta inoltre, offre al produttore la possibilità di avere immediata liquidità che rappresenta un indubbio vantaggio rispetto a quanto succede nel modello dominante. Un altro aspetto che caratterizza la vendita diretta è che il prodotto è valutato per la sua qualità intrinseca, in termini di gusto, di sostenibilità sociale ed ambientale e ciò permette all’agricoltore di non avere scarto; l’estetica del prodotto non ha un peso rilevante nelle scelte di acquisto: “i Gas sanno che un prodotto biologico anche se ha qualche macchia l’importante è che all’interno sia buono e non sia marcio” (Giacomo, Sicilia); “[quando ho cominciato] ho visto che quello che commercialmente era considerato “scarto” perché era quello più difforme... i Gas sono stati felicissimi [di acquistarlo] e da quei 1500-2000 kg di prodotto ho guadagnato …più che dai 40000 che avevo venduto ai commercianti” (Alberto, Sicilia).
Ancora il produttore diventa una persona che si vuole conoscere e incontrare, e a cui si riconosce il lavoro che fa e il come lo fa: “Esco dall’isolamento, scambio email, pensieri, emozioni, progetti con un numero crescente di persone, da Merano a Bergamo a Viareggio, con le quali condivido un forte sentire.” (Li Calzi 2010, p.45) D’altro canto la filiera corta richiede la necessità di riorganizzare l’azienda. Diversificare la produzione è un primo passo che consente di ampliare il paniere di prodotti offerti al consumatore finale. Le strategie poste in essere sono volte alla multifunzionalità. La trasformazione dei prodotti e l’offerta di servizi turistici si accompagnano sempre più con l’idea di sperimentare forme di sensibilizzazione per l’affermazione di altri modelli di sviluppo. Nei loro racconti: “sarà un agri-ostello in realtà, quindi ospitalità a basso costo e l’osteria sarà una bio-osteria esclusivamente vegetariana e vegana. Quindi anche lì, molto popolare con discorsi poi complementari di formazione sulla cultura dell’alimentazione, su queste problematiche” (Giovanni , Puglia); “… va bene per una vacanza spartana... il cliente tipico che ho è il consumatore, cliente, amico che prende da me la frutta e poi vuole venire a conoscere anche da dove arriva e conoscermi meglio…Mi piacerebbe fare un agri-campeggio qui. … cercare di vivere di questo, agricoltura e ospitalità.. le due cose sono abbastanza collegate tra di loro perché poi il turista viene in un posto che deve essere anche bello dal punto di vista del paesaggio… non in un posto finto; fare un tipo di agricoltura richiama anche un certo tipo di turismo secondo me, cioè se fai agricoltura in serra no…è un turismo responsabile” (Valentina, Sicilia). L’ospitalità diventa anche un mezzo attraverso cui tessere relazioni, consolidare rapporti, specie con i componenti dei Gas del centro-nord che acquistano i loro prodotti: “è nata l’idea di ospitare i Gas per fargli conoscere le nostre realtà … ciò ci ha dato molte soddisfazioni perché sono nati rapporti di amicizia (Mario, Calabria).

Problemi e politiche

Un primo problema che emerge dalla ricerca è legato all’accesso alla terra. E’ evidente che anche se la decisione di fare l’agricoltore è una scelta di vita precisa, in quanto letta come scelta di libertà (Vitale, in questo numero), è la disponibilità del terreno, spesso già di proprietà della famiglia, a renderla possibile. In tal senso politiche pubbliche che facilitino l’ingresso in agricoltura, non soltanto di giovani ma anche di coloro che, in particolare in questo momento di crisi, sarebbero interessati appaiono utili, a partire, per esempio, dalla concessione in comodato d’uso dei terreni pubblici.
Una secondo problema è legato all’attuale sistema di certificazione del biologico. Voluto inizialmente per evitare truffe e imbrogli è un costo che per un piccolo produttore è comunque rilevante. Rappresenta, inoltre, un’attività che diventa particolarmente time consuming per coloro che scelgono di fare vendita diretta e che pertanto, tendono a diversificare la produzione per offrire un più ampio paniere di prodotti al consumatore finale. Con le parole di due intervistati: “… ci impiegavo più tempo a fare le carte che non a raccogliere gli ortaggi ….la norma dice che ogni cassetta deve essere identificata ed io se mando un camion di carote scrivo sulla bolla di accompagnamento: 800 casse di carote numerate da 12001 a 12800. Se io però mando in una macchina con quaranta casse in cui c’è una cassa di pomodori, una cassa di lattuga, mezza cassa di rucola .. queste bolle di accompagnamento erano lunghe un chilometro … e poi...io avendo cinquanta campi in una giornata magari facevo interventi su dieci campi diversi…riportare tutto questo ci voleva mezza giornata chiaramente” (Alberto, Sicilia); “ uno è arrabbiato con questi enti di certificazione perché hanno copiato il convenzionale e non cambia niente. La burocrazia è così vasta” (Giacomo, Sicilia). Ciò non di meno c’è anche chi ricorda come la certificazione sia importante anche sui mercati di vendita diretta, quando l’acquirente non è locale ma si trova magari al centro o nord Italia. “Ho scritto a tanti Gas. Qualcuno ogni tanto mi rispondeva e mi ha detto che loro purtroppo a distanza si fidano della certificazione, che quando sono dei produttori vicini vanno a trovarli, vanno a conoscerli e quindi c’è questo rapporto che si crea piano piano e non è necessaria questa certificazione, che costa un sacco di soldi” (Valentina, Sicilia). In considerazione di questi problemi sarebbe utile, da un lato, semplificare i sistemi di certificazione in termini burocratici tenendo presente le diverse esigenze dei produttori che si pongono all’interno del modello dell’agrifood e di coloro i quali, invece, operano nelle filiere alimentari alternative; dall’altro lato sostenere, anche con le politiche, le sperimentazioni in atto di sistemi di certificazione partecipata (Pgs – Participatory Guarantee Systems), che vedono il coinvolgimento attivo di produttori, consumatori, tecnici e in generale di tutte le parti interessate, costruiti su fiducia, scambio di conoscenze e reti sociali [link]. Tali sistemi, diffusi con risultati positivi in diversi paesi del mondo, appaiono funzionali a questo modello di agricoltura.
Una delle difficoltà principali rilevata nelle interviste è la gestione e i costi della logistica legata all’attività di commercializzazione diretta. L’azienda, infatti, deve riorganizzarsi, anche in termini di lavoro, per garantire non soltanto la raccolta dei prodotti ma anche la loro distribuzione. Le soluzioni adottate sono state sviluppare reti tra agricoltori in maniera da costituire panieri di offerta con prodotti diversi come testimoniamo le esperienze di Equosud in Calabria (www.equosud.org) e del Consorzio Galline Felici (www.legallinefelici.it) in Sicilia. L’indagine ha tuttavia dimostrato che non sempre è facile riuscire in questo intento, specie quando le discussioni ideologiche prevalgono sulle iniziative concrete. Nelle parole di un intervistato pugliese: “Sono .. quattro anni che io provo, cerco di costruire, soprattutto di metterci insieme questi quattro gatti del biologico che siamo… però non si è mai riuscito a tirare fuori nulla di concreto. Ci sono apparentemente molti obiettivi divergenti, atteggiamenti protezionistici, gelosie, paternità rivendicate… Adesso …io partecipo ad [una rete pugliese] …saremo dieci produttori … però è inconsistente da un punto di vista operativo, strategico, perché io ho partecipato alle prime 2-3 riunioni – con fatica perché poi si tratta di andare, di fare 200 Km – però non se ne ricavava niente, si partiva da Che Guevara, ideologie, è un casino……veganismo … ma in realtà non c’era niente di concreto. .. sono due anni che si parla di fare un banco unico della rete.. in modo da trovare qualcuno con un furgone, fare un piccolo investimento, però non se ne ricava niente” (Giovanni, Puglia).
Un ulteriore tentativo di dare soluzione al problema logistico è consistito nello stimolare i Gas nella creazione dei coordinamenti a livello locale per effettuare ordini congiunti. In tal modo, se da un lato, c’è un risparmio sui costi di trasporto, dall’altro si favorisce un allargamento della rete dei soggetti impegnati in quest’ambito. Nascono così le retine o gli intergas, come racconta un produttore: “le reti ne abbiamo fatte crescere tante perché abbiamo detto se anziché scaricare una pedana qui e una lì trovate il modo di scaricare due pedane in un unico posto il costo del trasporto sarà un po’ di meno…Questo ha permesso da un lato dei risparmi che arrivano anche all’8%, che non sono ininfluenti” (Alberto, Sicilia).
Una soluzione potrebbe in futuro venire da politiche volte a sostenere iniziative di vendita diretta come per esempio, l’apertura di mercati contadini e la nascita di gruppi di acquisto solidali; dall’altro sarebbe utile trovare delle modalità con cui si possa offrire supporto logistico, per esempio con la messa a disposizione di spazi per lo stoccaggio dei prodotti oltre che per la vendita.

La produzione critica

Gli intervistati sottolineano che non si tratta soltanto di trovare soluzioni a livello individuale, quanto anche di affermare azioni volte a promuovere un modello di sviluppo diverso da quello fondato sullo sfruttamento delle risorse naturali e dei lavoratori.
Se dal lato del consumo le pratiche definite critiche sono volte a superare l’assoluta “individualizzazione dell’atto di acquisto” (Secondulfo 2007, p. 8), sul fronte della produzione si avvia un analogo processo in cui gli agricoltori non sono più soli, “monadi in lotta con tutti gli altri” (Sicilia) ma parte di una rete, sia pure informale, tra produttori e consumatori che li sostengono “Ci connettiamo il massimo possibile con tutti quelli che in Italia, ma in realtà anche in Europa e nel mondo, si danno da fare su questa impostazione (Alberto, Sicilia); “il produttore da solo non va da nessuna parte, ma la complicità, l’alleanza con chi consuma, con chi compra, con chi mangia ci dà la possibilità di cambiare questo sistema” (Focus Puglia).
Le interviste hanno messo in luce che i produttori sono consapevoli che si contribuisce a riprodurre l’attuale modello di globalizzazione economica non soltanto con le scelte di acquisto ma anche con quelle di produzione. Gli atti di acquisto e di produzione sono, dunque, atti politici in quanto riconoscono nei prodotti non un valore solo simbolico di ostentazione o un mero input produttivo per l’agro-industria, ma un valore sociale e di scelta di un “altro” modello di sviluppo.
Consumo e produzione critica partono da esigenze solo in apparenza diverse, si incontrano e sinergicamente si sviluppano con un medesimo obiettivo. E’ un tipico esempio di ciò che Van der Ploeg (2006) definisce nicchia; uno spazio di pratica protetto, a livello meso, che si costituisce a partire dalla interconnessione di novelties che a livello di consumo e di produzione sono nate sulla base di intuizione degli attori.
Il “consumatore critico” è spinto da motivazioni eticamente rilevanti e attento alla storia e alla “qualità sociale” del prodotto (Lori e Volpi 2007, p. 14). Compra dunque, prodotti leggeri (pochi imballaggi), vicini (per ridurre l’impatto ambientale); sani (biologici, di stagione); giusti (prodotti in condizioni sociali, sindacali, sanitarie e ambientali eque) e investe in futuro (Saroldi 2003).
I produttori che definiamo critici hanno un livello di conoscenze/competenze medio-alto, acquisito non soltanto attraverso la formazione scolastica ma anche in esperienze lavorative e di viaggio al di fuori della regione; in diversi casi si tratta di laureati. Scelgono di operare con tecniche naturali (biologiche/biodinamiche non necessariamente certificate) innanzitutto per tutelare la loro stessa salute. Racconta uno degli intervistati: “I più interessati all’agricoltura biologica dovrebbero essere gli operatori, proprio per la salvaguardia della loro salute”. Ma non manca la consapevolezza di rendere un servizio anche alla collettività “un tipo di coltivazione che rispetta l’uomo e l’ambiente è quella biologica”. La tutela della biodiversità è conseguito anche attraverso l’introduzione e/o il recupero di varietà tradizionali ma anche di sperimentazioni di nuove colture. Si tratta di aziende multifunzionali che si orientano alla vendita diretta al consumatore, in particolare al consumatore critico dei Gas e pertanto fanno un ampio ricorso alle tecnologie informatiche. Diversificano la produzione per poter offrire una scelta più ampia al consumatore; non sfruttano gli eventuali lavoratori/immigrati impiegati nella raccolta e considerano il proprio lavoro non come un semplice fattore di produzione da quantificare e razionalizzare in vista del conseguimento del massimo profitto quanto piuttosto come espressione di sé (Sivini, Vitale, 2012). Nelle parole di un giovane agricoltore: “Immagino, quando coltivo la verdura, gli effetti benefici che il mio prodotto può portare alle persone. E a me questo basta” (Laura in Cersosimo, 2012, p. 177). Attribuiscono valore alle relazioni sociali (sia con i consumatori sia con altri produttori): “il dedicare tempo alla relazione, al toccarsi, al guardarsi in faccia, a mangiare assieme per conoscere l’altro col quale hai a che fare anche una relazione economica, che se però facciamo in modo che sia anche una relazione economica all’interno di un quadro più ricco di relazioni mi sembra che le nostre vite cambiano” (Alberto, Sicilia).
Sono soggetti che, attraverso un agire collettivo, cercano di costruire nuove infrastrutture che si danno nella forma di reti, spesso informali, tra loro e con i consumatori attraverso cui si scambiano informazioni, servizi oltre che prodotti (Vitale in questo numero).
Tendenzialmente, infine, sono soggetti che praticano l’impegno “civile” che li porta ad agire non soltanto come produttori agricoli ma anche come cittadini coinvolti in movimenti di tutela ambientale, in attività sociali, con migranti e soggetti cosiddetti svantaggiati, che investono nel futuro per l’affermazione di una democrazia alimentare (Lang et al, 2009). Nelle parole degli intervistati: “nostro compito è sicuramente guardare alle nostre economie che stiano in equilibrio, ma guardando a tutto il resto attorno e pensare che o ci salviamo tutti e costruiamo un altro futuro” (Alberto, Sicilia); “…l’agricoltura appartiene a tutti in quanto tutti dobbiamo mangiare prodotti della terra…Come l’acqua è un bene comune anche l’agricoltura perché il consumatore deve stare attento a quello che mangia. L'unica alternativa alla crisi è l’agricoltura legata al turismo rurale, alla ristorazione, alla cultura e all’ambiente… Unendo tutte queste cose noi possiamo chiamarla “Agricoltura bene comune”… Quindi come possiamo individuare l’agricoltura? La possiamo individuare come un soggetto oggi alternativo al modello di sviluppo … come affrontare la crisi sostenendo l’ambiente e il consumo (Matteo, Puglia).

Conclusioni

La ricerca svolta evidenzia come sia in atto un processo di innovazione sociale che i produttori critici stanno ponendo in essere. Si tratta di soggetti attivi, capaci di interpretare consapevolmente il contesto in cui si muovono; in grado di produrre ed implementare progetti, esprimendo in tal senso quella che Van der Ploeg (2006, p. 56) definisce come agency, ovvero come “capacità di delineare il futuro, di far confluire i progetti di più attori, di creare una rete virtuale localizzata nel futuro, che inizia ad orientare la pratica di ciascuno”.
Questo processo di innovazione sociale emerge anche nelle storie di vita raccolte nei testi recenti di Caggiano, Giarè, Vignali (2009), Cersosimo (2012), Ceriani e Canale (2012) e che tuttavia, per molti versi, è ancora scarsamente visibile ai decisori politici che quindi non stanno fornendo il necessario supporto allo sviluppo di queste pratiche innovative. Accesso alla terra, sistemi di certificazione partecipata, vendita diretta e problematiche logistiche connesse sono alcuni dei temi che le politiche dovrebbero affrontare.

Riferimenti bibliografici

  • Caggiano M., Giarè F., Vignali F. (2009), Vite contadine. Storie del mondo agricolo e rurale, Inea, Roma

  • Ceriani M., Canale G. (in corso di stampa per Jacabook), Contadini per scelta. Esperienze e racconti di nuova agricoltura

  • Cersosimo D. (2012), Tracce di Futuro. Un’indagine esplorativa sui giovani della Coldiretti, Donzelli Editore, Roma

  • Fonte M. e Agostino M. (2008), Principi, valori e standard: il movimento biologico di fronte alle sfide della crescita, Agriregionieuropa, n.12

  • Lang T., Barling D., Caraher M. (2009), Food policy: integrating health, environment and society, Oxford University Press, Oxford

  • Li Calzi R. (2010), Consorzio siciliano Le galline felici In: Tavolo per la rete italiana di economia solidale, Il capitale delle relazioni, Altra Economia, Milano

  • Lori M., Volpi F. (2007), Scegliere il “bene”. Indagine sul consumo responsabile, Franco Angeli, Milano

  • Saroldi A. (2003), Costruire economie solidali, Emi, Bologna

  • Secondulfo D.(2007), Prefazione In: Lori M., Volpi F., op cit.

  • Sivini S. (2008), lIntrecciare reti. Agricoltori biologici, gruppi di acquisto solidali, turisti responsabili, Rubbettino, Soveria Mannelli

  • Sivini S., Vitale A. (2012), Demercificazione del cibo locale: un caso studio in Sicilia, Agriregionieuropa, n. 31

  • Van der Ploeg J.D. (2006), Oltre la modernizzazione. Processi di sviluppo rurale in Europa, Rubbettino, Soveria Mannelli

    • 1. Progetto finanziato dal Miur, nell’ambito dei Prin 2008, dal titolo Strategie innovative dei produttori agricoli tra sicurezza e sovranità alimentare, coordinatore scientifico Annamaria Vitale, Università della Calabria, protocollo 2008LY7BJJ_001.
    • 2. La traccia d’intervista è stata strutturata su 4 ambiti: dati generali, attività produttiva, commercializzazione, reti e forme di cooperazione. Gli intervistati sono indicati con uno pseudonimo e la regione in cui operano.
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