Introduzione
I Servizi Ecosistemici (SE) sono definiti come i benefici che derivano direttamente o indirettamente dagli ecosistemi (Mea, 2005). L’attenzione sui SE si può far risalire alla pubblicazione del libro “Nature’s Services” (Daily et al., 1997) e del noto studio “The value of the world’s ecosystem services and natural capital” pubblicato su Nature (Costanza et al., 1997) in cui, per la prima volta, si definiva la relazione tra capitale naturale e i servizi prodotti. Più recentemente il report “The Economics of Ecosystems and Biodiversity” (Teeb, 2008), nato a valle della riunione dei ministri dell’ambiente dei Paesi del G8+5 svoltasi nel 2007 a Potsdam, ha rimarcato l’importanza di valutare i SE per ottimizzare la gestione della biodiversità. L’agricoltura, e, più in generale, il territorio agroforestale, rivestono un ruolo complesso nei confronti dei SE. Infatti, se da un lato i processi produttivi agricoli utilizzano i SE generati dal territorio circostante, dall’altro l’agricoltura può fornire SE alla società. La quantificazione biofisica e la valutazione monetaria dei servizi consente, oltre a valutare i costi ambientali connessi a modificazioni dello stato degli agroecosistemi (cambiamenti nell’uso del suolo, innovazioni tecnologiche), di definire e pianificare correttamente l’intervento pubblico, ed in particolare le politiche agricole e ambientali volte alla conservazione della biodiversità. Uno strumento utile per una gestione efficace dei SE sono i cosiddetti pagamenti per i SE (Pes) che Wunder (2005) definisce come una “transazione volontaria in cui un ben definito SE viene acquistato da un acquirente che lo riceve da un fornitore di SE, a condizione che il fornitore assicuri la fornitura del SE”. Ciò implica che per avere un Pes siano necessarie alcune condizioni: presenza di un servizio ben definito, che sia oggetto di una transazione volontaria, e che questa avvenga tra un ”produttore” ed un “beneficiario” con continuità temporale. Tuttavia, visto che sotto il profilo della tipologia di beni i SE spesso corrispondono a beni pubblici, a volte si rende necessaria una istituzione economica che consenta l’esistenza del mercato. Di conseguenza molto più frequenti, anche se in questo caso non è del tutto corretto parlare di PES, sono gli incentivi attraverso cui il pubblico operatore crea programmi con l’obiettivo di remunerare gli imprenditori agricoli (o i soggetti pubblici), che proteggono o forniscono i SE, e l’incentivo si configura come una compensazione della perdita del reddito (Teeb, 2008), o dei maggiori costi imputabili all’adozione di tecniche e processi compatibili con la fornitura dei SE (Rasul, 2009). In tale quadro lo scopo del presente articolo è di fornire alcuni primi spunti per l’analisi e la valutazione dei PES in agricoltura con particolare riferimento alla Pac. Dapprima si affronteranno, sinteticamente, i seguenti temi: la classificazione dei servizi (e dei dis-servizi) ecosistemici originatisi dal settore agricolo; la loro quantificazione in termini biofisici, con particolare riferimento alla questione delle scale spaziali e temporali, e la valutazione monetaria. In particolare ci si soffermerà sul ruolo che possono avere gli strumenti proposti nel contesto della nuova Politica Agricola Comune. Relativamente a quest’ultimo aspetto, vanno preventivamente rimarcate alcune sostanziali differenze tra Pes e misure agro-ambientali (Ottaviani, Scialabba, 2011). Mentre i Pes hanno come obiettivo specifico i servizi ecosistemici, le misure agro-ambientali sono in genere indirizzate a pratiche agricole specifiche, nel quadro dei “normali” obiettivi del settore agricolo come la produzione di materie prime che vengono scambiate sui mercati; i regimi agroambientali e i Pes tendono a coincidere quando le aziende optano per pratiche agricole idonee a proteggere alcuni servizi ecosistemici, tuttavia affinché tali opzioni siano ritenute valide dalle aziende, esse necessitano di specifiche misure in seno alle politiche agricole, essendo diverse le caratteristiche e le finalità economiche e sociali degli attori nelle due tipologie contrattuali. Ne consegue anche una diversa modalità d’implementazione delle politiche associate ai due tipi di intervento; in particolare il rinnovo dell'accordo contrattuale dei programmi agro-ambientali è spesso legato a fattori diversi dalla condizionalità, poiché, essendo finanziati con fondi pubblici, sono particolarmente vulnerabili ai tagli di bilancio. Questa evenienza è meno probabile per i Pes soprattutto se essi sono finanziati con fondi provenienti da una tassa istituita specificamente per alcuni servizi ecosistemici.
Un modello di analisi dei Servizi Ecostistemici dell’agricoltura
Possiamo individuare servizi (e disservizi) ecosistemici verso l’agricoltura e dalla agricoltura (Zhang et al., 2007). Successivamente i servizi identificati potranno essere ricondotti ad una delle categorie in cui i SE vengono di norma classificati. È infatti possibile classificare i SE in modo differente sulla base di diverse concettualizzazioni (Daily, 1997; Costanza et al., 1997; de Groot et al., 2002; Mea, 2005; Fisher et al., 2009). Secondo la classificazione proposta dal MEA (2005) le categorie per i SE qui proposti sono di Supporto, di Regolazione, di Approvvigionamento e Culturali, e per essi si identificano i flussi verso e dagli agroecosistemi. La figura 1 propone un framework in cui i SE vengono identificati e classificati, rappresentandone i flussi verso e da il territorio agroforestale, consentendo di mettere in evidenza i servizi di cui la società può beneficiare, e i dis-servizi che potrebbero essere ridotti se venissero messe in atto buone pratiche agricole.
Figura 1 – Flusso di servizi e dis-servizi verso e dal territorio agroforestale (da Swinton et al., 2007, e Zhang et al., 2007 - modificato); tra parentesi sono riportati i processi e le strutture ecologiche (de Groot et al., 2010).
Ne risulta un modello di analisi che rende possibile la contabilità dei flussi di SE – in ingresso ed in uscita – per il territorio agricolo. Questo aspetto è estremamente rilevante nella prospettiva della nuova Politica Agricola Comune, che riconosce la compatibilità e il ruolo attivo delle pratiche agricole benefiche per l’ambiente e il clima. Anche ai fini di una loro corretta identificazione e gestione può essere quindi più utile e appropriato parlare di Servizi Agro Ecosistemici (Sae).
La quantificazione e la valutazione dei Servizi Agro Ecosistemici
Per poter implementare politiche efficaci di gestione dei Sae è necessario procedere attraverso due passaggi: la quantificazione in termini biofisici dei servizi e la loro valutazione monetaria. La quantificazione dei servizi viene fatta in unità biofisiche (ad esempio: quantità di CO2 assorbita dai vegetali, quantità di acqua assorbita dalle aree boschive, quantità di sedimenti persi annualmente a causa dell’erosione). Sia la valutazione biofisica dei servizi che la loro quantificazione monetaria scontano difficoltà di valutazione legate alla conoscenza dei processi ecosistemici. Sotto il profilo economico, inoltre, molti dei Sae sono caratterizzati dall’assenza di mercato (è il caso, in particolare, dei servizi di supporto, come la resilienza, il ciclo dei nutrienti e la produzione primaria, la cui valutazione economica rappresenta un tema particolarmente complesso). Per quantificare economicamente i Sae è perciò necessario utilizzare dei metodi di valutazione che consentano di assegnare loro un valore sulla base: 1) della stima della disponibilità degli imprenditori agricoli ad accettare una compensazione (Dac) per rinunciare a parte del reddito cambiando le pratiche agricole per generare più Sae, oppure 2) della disponibilità dei beneficiari dei SAE a pagare (Dap) per ricevere più servizi (Swinton et al., 2007). Le tecniche di valutazione monetaria utilizzate per i Sae (De Groot et al., 2002; Swinton et al., 2007) sono riportate in tebella 1. Nel caso in cui il contesto, le caratteristiche biofisiche e le caratteristiche socioeconomiche lo consentano, si può ricorrere al “Trasferimento del beneficio”, secondo cui si utilizza il valore monetario di un servizio ecosistemico stimato in un sito come approssimazione del valore del medesimo servizio in un altro sito (Teeb, 2008).
Tabella 1 – Le differenti tecniche di valutazione monetaria che possono essere utilizzate per quantificare i Sae
La scala spaziale e temporale dei Sae
Per quantificare correttamente il flusso dei Sae e per progettare le politiche è necessario tenere conto della scala spaziale e temporale alla quale gli agroecosistemi forniscono i servizi e a cui si manifestano i benefici (Blasi & Marino, 2008; Blasi, 2011). Le specie, le comunità ecologiche e le strutture degli ecosistemi forniscono alla agricoltura i Sae di supporto e regolazione a differenti scale spaziali. Secondo Zhang et al. (2007) è possibile identificare quattro scale spaziali, come descritto in tabella 2
Tabella 2 – Scale spaziali per l’erogazione di Sae
La scala spaziale e temporale alla quale gli ecosistemi forniscono i servizi alla agricoltura determina le politiche per la conservazione della biodiversità e le politiche volte a incentivare gli imprenditori agricoli. Le politiche di conservazione devono porsi l’obiettivo esplicito di conservare le specie e gli habitat degli agroecosistemi e dei paesaggi da cui dipende la produzione agricola. Le politiche dirette a incentivare i contadini per la fornitura dei Sae, da una parte hanno lo scopo di favorire le attività che ottimizzano la fornitura e il flusso dei servizi alla scala di azienda agricola; dall’altra, è opportuno che riescano a coinvolgere differenti imprenditori agricoli e decisori in modo da favorire la fornitura e il flusso dei servizi alla scala del paesaggio (Zhang et al., 2007). Il valore dei Sae forniti dalla agricoltura dipende dalla localizzazione spaziale della fonte di un dato servizio e dal contesto spaziale del servizio. Un esempio è il servizio di Ricreazione, il cui valore può risultare tanto maggiore quanto più i terreni agricoli sono vicini ai centri abitati (Swinton et al., 2007). Nella valutazione monetaria dei Sae verso l’agricoltura offerti dalla biodiversità presente alle diverse scale spaziali, è necessario tenere conto della capacità degli ecosistemi di fornire i servizi nel tempo. Per questa ragione è necessario applicare al valore monetario dei servizi, calcolato tramite le tecniche di valutazione, l’operazione di sconto, in modo da tenere in considerazione il valore dei Sae a una scala temporale di alcuni anni. L’operazione di sconto è l’operazione con la quale, nella teoria economica, si tiene conto dell’effetto del tempo sul valore futuro di un beneficio o di un costo.
La nuova Pac e i servizi (e dis-servizi) ecosistemici
Nel contesto sin qui delineato si ritiene opportuna una valutazione degli effetti che le misure proposte dalla nuova Pac possono avere sull’erogazione dei Sae. In particolare risulta interessante cercare di capire se le diverse misure proposte sono effettivamente utili ai fini dell’erogazione dei Sae e se esse si configurano, in tutto o in parte, come Pes. Una prima considerazione di carattere generale può essere fatta in riferimento all’impostazione complessiva della nuova Pac, che sembra voler rafforzare l’indirizzo politico già presente nella precedente programmazione, riconoscendo esplicitamente che, se da un lato la disponibilità alimentare è per il territorio rurale un compito imprescindibile, dall’altro, affinché la produttività sia costante nel tempo, essa va soddisfatta mantenendo una buona qualità ambientale. Tale indirizzo risulta ben evidente sia dai cinque articoli del I Pilastro che regolano i pagamenti diretti (greening) e sia nei numerosi articoli del II Pilastro (circa una ventina) riguardanti lo sviluppo rurale che hanno una ricaduta diretta sulle modalità di gestione delle risorse naturali ed agrarie e, conseguentemente, sulla erogazione dei Sae. La tabella 3 tenta di schematizzare per le specifiche misure contenute nei singoli articoli i principali aspetti, positivi, negativi o scarsamente efficaci, sia in termini economici che ecologici relativamente all’erogazione di Sae.
Tabella 3 – Misure nella nuova Pac maggiormente incisive sui Sae e loro effetti
In seno al I Pilastro, di particolare importanza sono le tre pratiche che gli agricoltori devono osservare per usufruire dei pagamenti cosiddetti “verdi”. La prima è la diversificazione colturale (applicata solo ai seminativi) che prevede ogni anno la presenza di almeno tre colture su appezzamenti di dimensioni maggiori di 3 ettari; al riguardo De Filippis e Frascarelli (2012) fanno osservare che la diversificazione è cosa diversa dalla rotazione, e che per rispettare il requisito imposto dal greening l’agricoltore deve solo dimostrare ogni anno la presenza di tre colture nella propria azienda, ma non il loro avvicendamento nelle parcelle agricole; anzi, le tre colture possono essere posizionate anche in corpi aziendali distinti e lontani ed anche ripetute in monocoltura sulla stessa particella negli anni successivi. Ai fini della fornitura di Sae, in particolare per ciò che riguarda la conservazione di una buona qualità del suolo e il ciclo dei nutrienti, la diversificazione è decisamente meno efficace della rotazione. Tuttavia occorre ricordare che la misura è stata pensata per rendere più sostenibili dal punto di vista agro-ambientale proprio le aziende di maggiori dimensioni votate alla pratica monocolturale. Questo ha posto un problema sia logistico e sia di carattere economico per le aziende di dimensioni minori per le quali la soglia di esenzione di 3 ettari potrebbe comportare un adeguamento troppo oneroso. In questo caso i maggiori costi per la erogazione dei Sae ricadrebbero per la gran parte sui coltivatori. Misure correttive in tal senso prospettano un innalzamento della soglia di esenzione (Concept paper – May 2012, Agricultural Council – Greening). La seconda pratica richiesta è la conservazione dei prati e dei pascoli permanenti con il divieto di convertirli a seminativi, pena la perdita del pagamento diretto. Sebbene potenzialmente iniqua sul piano economico in quanto favorirebbe le aziende del nord Europa per le quali la destinazione a prati e pascoli è ampiamente diffusa, questa misura ci sembra particolarmente efficace in termini ecologici perché, oltre a conservare habitat ed ecosistemi naturali, incoraggerebbe il pascolo naturale con minor impiego di mangimi la cui produzione è certamente più dispendiosa in termini energetici e di impiego di risorse materiali (acqua, suolo, fertilizzanti, pesticidi). Nel Concept paper della Commissione del maggio 2012, al fine di evitare l’abbandono di vaste aree in cui le specie erbacee non sono prevalenti, ma comunque utilizzate anche per il pascolo, è stata rivista la definizione di prato-pascolo, includendo aree con ampi sistemi pastorali tradizionali/agricoli che svolgono un ruolo chiave per la biodiversità e per la prevenzione dell’erosione del suolo e del rilascio del carbonio. Queste ulteriori modifiche accrescono la potenzialità di erogazione dei Sae e pertanto sono da accogliere favorevolmente. La terza misura consiste nell’obbligo da parte degli agricoltori di individuare le cosiddette “aree di interesse ecologico” (Ecological Focus Area), cioè estensioni con una superficie minima pari al 7% della superficie totale coltivata a seminativi o a colture permanenti legnose, da escludere da un impiego produttivo diretto. Anche in questo caso la misura potrebbe rivestire una certa efficacia in termini ecologici, ma allo stesso tempo potrebbe risultare troppo penalizzante per aziende intensive di pianura, per le quali il 7% della superficie corrisponderebbe ad una perdita produttiva netta. D’altra parte, per gli effetti di scala, il miglioramento nella fornitura dei Sae sarebbe più significativo al crescere delle dimensioni aziendali. Meritevole di commento è anche la normativa concernente le coltivazioni biologiche (art. 29 del I Pilastro e art. 30 del II Pilastro) alle quali è riconosciuto a priori il ruolo di produzione di benefici ambientali e il loro attivo contributo alla erogazione di molti importanti Sae. Se da un lato questo renderebbe condivisibile la concessione automatica del sostegno in deroga alle prescrizioni del greening, dall’altro pone, secondo alcuni autori (De Filippis, Frascarelli, 2012) una questione di disparità di trattamento, poiché la deroga favorirebbe ulteriormente i produttori di biologico, già protetti da sistemi di certificazione che dovrebbero assicurare che siano i consumatori a remunerare, con un prezzo più alto, la componente di “bene pubblico”in esso contenuta. Rimandando ad altri studi una più approfondita discussione sul rapporto tra Dap del consumatore per il bene pubblico erogato congiuntamente al prodotto biologico e prezzo di mercato, in questo contesto corre l’obbligo di fare una ulteriore importante considerazione riguardo alla scala produttiva delle coltivazioni biologiche, rispetto alla quale non c’è nessuna particolare prescrizione nella proposta normativa. Va sottolineato che alcuni Sae dipendono dalla scala spaziale, ad esempio la biodiversità e la conservazione degli habitat la cui perdita è dovuta a riduzione e frammentazione areale. Per questi Sae le coltivazioni biologiche intensive e su larga scala non si differenziano di molto da quelle convenzionali e il loro impatto sull’area potrebbe sostanzialmente essere equivalente in termini di acqua e di habitat. Di particolare interesse è il sostegno ai sistemi agro-forestali (art. 24 del II Pilastro), definiti come sistemi di utilizzazione del suolo in cui l’arboricoltura forestale è associata all’agricoltura estensiva sulla stessa superficie. Questa misura, già presente nella programmazione in corso, non sembra aver riscosso molto successo tra gli agricoltori, in particolare in Italia; i sistemi agro-forestali sono stati per lungo tempo una modalità di uso del suolo ampiamente diffusa, soprattutto nella regione mediterranea, e a causa della intensificazione e della meccanizzazione agricola sono andati scomparendo con grave danno alla biodiversità e al paesaggio. Per lungo tempo la Pac ha avuto per questi sistemi una scarsa considerazione e oggi l’adozione di misure specifiche per una loro nuova diffusione probabilmente non riesce a dare i risultati sperati perché le aziende dovrebbero sostenere alti investimenti a fronte di forti incertezze per un ritorno economico, almeno nel breve-medio termine (Pisanelli et al, 2012). Dal punto di vista ecologico, i sistemi agro-forestali potrebbero avere effetti estremamente positivi sull’erogazione dei Sae, soprattutto nel lungo periodo. Per questo motivo sarebbe auspicabile un intervento pubblico sufficientemente incisivo da poter motivare le imprese agricole nella loro adozione. Infine una nota a proposito delle misure di sostegno adottate a favore delle aree svantaggiate e sottoposte a vincoli particolari. Al riguardo ci sembra di poter esprimere un giudizio positivo poiché l’agricoltura di queste aree contribuisce in modo importante alla produzione di beni pubblici e, attraverso la gestione di zone altrimenti destinate all’abbandono, contribuisce alla erogazione di molti Sae tra cui la conservazione della biodiversità locale. Alla luce delle considerazioni sin qui fatte, le misure che ci appaiono maggiormente efficaci per l’erogazione dei Sae, e che potrebbero profilarsi come Pes, sono quelle relative alla conservazione dei prati e dei pascoli, quelle riguardanti il sostegno ai sistemi agro-forestali e quelle a favore delle aree svantaggiate; tutte le altre misure previste, in particolare quelle relative alla diversificazione colturale, alle Aree di Interesse Ecologico e alle coltivazioni biologiche intensive, sembrerebbero piuttosto strumenti di internalizzazione dei costi connessi alla produzione.
Conclusioni
Nel complesso la nuova Pac sembra proporre un approccio, quanto meno sul piano teorico, efficace affinché l’agricoltura possa diventare un settore capace di proteggere le risorse ambientali e fornire beni pubblici. Tuttavia, con specifico riguardo ai Sae, al di là della maggiore o minore efficacia delle singole azioni previste, rimane il problema della scala d’intervento: il fattore scala è particolarmente importante per alcuni – anche se non per tutti – Sae, la cui fornitura potrebbe risultare molto più efficace se inquadrata a scala di paesaggio, ove si realizza l’integrazione funzionale tra ecosistemi forestali ed ecosistemi agricoli (Benton, 2012). L’autore fa osservare che le misure prospettate dalla nuova Pac che, al contrario, si applicano a scala aziendale, sebbene siano estremamente rilevanti dal punto di vista politico e sociale, affinché abbiano un impatto ecologico rilevante dovrebbero essere articolate in un programma territoriale, progettato in modo da ottimizzare l’efficacia dei singoli interventi aziendali. In tal senso l’esempio degli accordi agroambientali d’area, nelle poche regioni ove sono stati previsti e applicati nell’ambito dei Psr, può rappresentare un interessante punto di partenza.
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