La condizione femminile nell’agricoltura dell’Unione Europea

La condizione femminile nell’agricoltura dell’Unione Europea
Nuove sfide politico-istituzionali

Negli ultimi anni a livello Europeo, si sta assistendo ad un rinnovato interesse politico-istituzionale per le questioni connesse alla presenza e al contributo della donna in agricoltura.
Le recenti statistiche Eurostat ne rilevano, anzitutto, l’importanza in termini quantitativi: il 37% della forza lavoro agricola dell’Unione Europea è femminile, un’azienda su cinque è condotta da una donna e le agricoltrici lavorano per il 31% delle ore lavoro totali. La rilevanza del loro ruolo va, però, ben oltre il dato numerico ed è riconducibile agli aspetti qualitativi e sociali che sono associati alla loro presenza nel settore i quali ben si conciliano con il modello di agricoltura multifunzionale delineato dall’Unione Europea (Commissione Europea, 2000). Ne sono un esempio le scelte delle conduttrici per lo più orientate alle produzioni di qualità, al ricorso alla manodopera familiare e al fondere in un tutt’uno gestione dell’azienda e della famiglia. La presenza e il contributo delle agricoltrici diventano pertanto fondamentale per lo sviluppo socio-economico delle aree rurali in cui esse vivono ed operano (Sassi, 2001).
Nonostante ciò, l’affermazione della condizione femminile in agricoltura incontra tuttora alcuni ostacoli il cui superamento richiede un rinnovato impegno politico-istituzionale.
Tali vincoli possono essere, in termini generali, ricondotti ai diversi ruoli assunti dalla donna nel settore e che sono riconducibili alle seguenti figure: conduttrice, salariata e moglie del conduttore.
Come in precedenza sottolineato, le conduttrici rappresentano un fenomeno rilevante se si pensa che in media nell’UE il 20% circa delle aziende agricole sono da loro gestite. Un primo elemento di criticità riguarda, però, la loro età che è più elevata di quella media del settore. In particolare, le ultra 65-enni costituiscono il 19% della forza lavoro femminile, dato che nell’area mediterranea diventa più severo attestandosi, in alcune regioni, su valori compresi tra il 27 e il 37%.
Diventa pertanto centrale stimolare l’ingresso di giovani donne nel settore, in aziende efficienti e competitive. In tal senso, l’impegno delle istituzioni pubbliche può essere di gran rilievo anzitutto attraverso l’introduzione di azioni mirate al sostegno e allo sviluppo dell’imprenditoria femminile che potrebbero incoraggiare la donna ad intraprendere un’attività imprenditoriale in agricoltura e a trovare gli strumenti per migliorare l’efficienza aziendale (Sassi, 2003). Lo sviluppo rurale implica l’espansione di nuovi settori al fine di creare prospettive di lavoro soprattutto per i giovani che altrimenti potrebbero decidere di trasferirsi. L’avviamento da parte delle donne di attività agrituristiche, di produzione artigianale di alimenti e bevande o nel settore del risanamento ambientale mostrano come esse possano contribuire in modo significativo al processo di innovazione e diversificazione delle aree rurali e a stimolare quell’agricoltura multifunzionale delineata dall’UE.
In tale direzione, diventano centrali i servizi di sostegno all’imprenditoria femminile. Tra questi, l’offerta di orientamento, formazione e riqualificazione professionale adeguata e accessibile è di primaria importanza. Nell’attuale contesto, l’assunzione di un ruolo professionale, infatti, non può più avvenire per sola “trasmissione ereditaria”, ma deve passare attraverso uno specifico percorso formativo in un settore in cui alle donne dopo aver lavorato per l’azienda e per la famiglia resta poco tempo per la formazione. A tale riguardo si apre un’ulteriore problematica che si riferisce alla conciliazione (Onilfa, 2002). Si tratta di una criticità che non si riscontra solo in agricoltura, ma in tutti i settori economici. Nel primario però essa si accentua; recenti indagini hanno posto in evidenza come le conduttrici agricole, se si considerano le ore lavorate per il mercato e per la famiglia, abbiano una giornata di lavoro più lunga rispetto non solo agli agricoltori, ma anche agli occupati e occupate in altri comparti. Si aprono pertanto almeno due aree di intervento. La prima consiste nel sostenere una definizione di lavoro che includa non solo quello quantificabile perché pagato, ovvero il lavoro per il mercato, ma anche quello non pagato svolto per l’attività di cura della famiglia. La seconda riguarda l’attuazione delle politiche di conciliazione di cui l’UE oggi dispone di adeguati strumenti che però sono raramente usati nel settore primario. Le azioni volte alla conciliazione consentirebbero di rimuovere una delle difficoltà storicamente incontrate dalla componente femminile della forza lavoro agricola nel ricoprire ruoli manageriali e valorizzerebbero uno dei tratti tipici del modo di essere donne in agricoltura che consiste nella gestione unitaria di famiglia ed azienda.
La problematica interessa anche le salariate che sono per lo più giovani donne le quali sembrano affrontare la sfida della conciliazione principalmente optando per un’attività di tipo part-time. La diffusione del fenomeno è significativa. Basti pensare che una donna su due in agricoltura lavora meno di ¼ di tempo della giornata lavorativa.
Infine, la condizione di moglie del conduttore secondo i dati Eurostat riguarda una donna su due della popolazione agricola con il 10% che ha meno di 35 anni e il 62% meno di 55 anni. Il contributo di questa componente al settore è fondamentale ma invisibile. Le mogli dei conduttori forniscono gran parte di quell’indispensabile lavoro agricolo familiare che però non è remunerato e soprattutto non è riconosciuto professionalmente con tutto ciò che ne consegue ad esempio dal punto di vista pensionistico. L’impegno istituzionale deve quindi essere nella direzione del riconoscimento di uno status professionale a tale componente del mondo agricolo.
La breve analisi sviluppata ha posto in evidenza i principali elementi critici per l’affermazione della donna in agricoltura i quali sono riconducibili alle problematiche della conciliazione, dello sviluppo dell’imprenditoria femminile, dell’orientamento e riqualificazione professionale, dell’emersione del lavoro non pagato e del riconoscimento dello status professionale per le mogli dei conduttori. Se rispetto a queste due ultime tematiche vi è ancora molto da fare dal punto di vista politico-istituzionale, riguardo alle prime tre si dispone di appropriati strumenti di intervento definiti in ambito europeo e dei singoli Stati membri. Questi fanno riferimento alle politiche di pari opportunità ed è oramai stato dimostrato dal punto di vista sia teorico sia empirico che costi sociali ed economici connessi alla loro non introduzione sono superiori a quelli connessi alla loro attivazione. La sfida che si apre per i prossimi anni, è, pertanto, quella di trasformare l’impegno assunto per il conseguimento delle pari opportunità in azioni adeguate che rimuovano gli ostacoli alla valorizzazione della condizione femminile anche in agricoltura, un settore che da questo punto di vista è tuttora trascurato.
L’analisi dei dati sulla presenza delle donne nell’agricoltura europea disaggregati a livello regionale mette in evidenza significative differenze territoriali. Ciò pone in luce la necessità di attuare il confronto tra uomini e donne in agricoltura rispetto a singoli problemi definiti a livello territoriale (Sassi, 2004). Problematiche da affrontare attraverso una strategia complessiva di contenimento delle differenze di genere definita a livello locale, condivisa e partecipata dagli attori del territorio e integrata nel più ampio processo di sviluppo locale (Leonardi, Sassi, 2004).

Riferimenti bibliografici

  • Commissione Europea (2000), Le donne e lo sviluppo rurale, europa.eu.int.
  • Leonardi, I., Sassi, M. (2004), Il modello di sviluppo rurale definito dall’UE. Dalla teoria all’attuazione: una sfida ancora aperta, Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Economia, Dipartimento di Ricerche Aziendali, Quaderni di ricerca n. 6.
  • Onilfa - Osservatorio per l'imprenditoria ed il lavoro femminile in agricoltura (2002), Agricoltura e imprenditorialità al femminile. Una rassegna delle opportunità legislative, Roma: Inea.
  • Sassi, M. (2001), Evoluzione degli studi di genere nell’economia agraria, M. Sassi (a cura di), Università di Pavia e studi di genere: i contributi disciplinari della Facoltà di Economia, Università di Pavia – Facoltà di Economia, Serie WP, n. 4, settembre.
  • Sassi, M. (2003), Il ruolo dell’imprenditrice agricola tra lavoro e famiglia, relazione presentata alla “1° Conferenza sull’Agriturismo Lombardo”, Regione Lombardia –Università degli Studi di Pavia – Turismo Verde Lombardia, Besate (MI).
  • Sassi, M. (2004), Differenze di genere: una sfida per il territorio pavese, Fondazione L. Clerici (a cura di), Le donne tra lavoro, formazione e famiglia – Spunti di riflessione per una progettazione territoriale partecipata, Pavia: Il Giovane Artigiano.
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