Istituto Nazionale di Economia Agraria |
La DG Agri ha reso pubblici i dati su importi e beneficiari dei pagamenti diretti per Stato membro nel 2010 [pdf] [pdf].
Da tali dati risulta che in Italia i beneficiari degli aiuti diretti del primo pilastro della Pac sono stati 1.247.830 per un importo complessivo di 4,135 miliardi di euro, vale a dire un aiuto medio annuo di 3.330 euro ad azienda.
Il 41,9% delle aziende ha ricevuto meno di 500 euro, per un importo complessivo pari al 3,3% del totale. Il 65,3% ha ricevuto meno di 1.250 euro, per un importo complessivo di poco meno di 400 milioni di euro (circa il 9% del totale). Tenuto conto delle proposte di riforma della Pac, ipotizzando una distribuzione delle risorse invariata, al regime dei piccoli agricoltori potrebbero partecipare poco più di 800 mila aziende, che sarebbero così esentate dagli obblighi relativi a condizionalità e pagamenti verdi. Per capire le implicazioni di tale, eventuale, vasta partecipazione al regime sarebbe importante conoscere le superfici associate a tali agricoltori.
L’87,4% dei beneficiari ha ricevuto meno di 5.000 euro, limite che nelle proposte di riforma consente ad un agricoltore di essere considerato automaticamente “attivo”. A tali agricoltori è associata una quota di aiuto pari al 25,8% del totale. Quindi, la questione della definizione di agricoltore attivo, in Italia, potrebbe riguardare solo il 12% delle aziende ma una porzione molto più ampia degli aiuti (74,2%).
Le aziende che hanno ricevuto più di 150.000 euro sono lo 0,12% del totale e coprono una quota di aiuto del 12,9%. Sono queste le aziende che, secondo la proposta di riforma, sarebbero assoggettate al capping. Solo lo 0,03% delle aziende ha ricevuto più di 300.000 euro e gli aiuti ad esse associati (313 milioni di euro, il 7,6% del totale), secondo le proposte, sarebbero totalmente tagliati e destinati allo sviluppo rurale.
I dati presentati dalla DG Agri danno solo un’indicazione di massima dei possibili effetti in Italia della riforma della Pac nella veste proposta dalla Commissione lo scorso ottobre. Le minori risorse a disposizione del nostro Paese per via dell’applicazione del criterio di convergenza, lo spacchettamento e l’omogeneizzazione degli aiuti su tutta la superficie agricola potrebbero cambiare gli importi medi annui e il numero di agricoltori coinvolti. Al capping sarà sicuramente interessato un numero di aziende minore, sia perché sarà assoggettata al taglio solo una percentuale degli attuali aiuti, quella destinata al pagamento di base, e sia perché occorrerà depurare tali importi del costo del lavoro salariato. Meno certi sono gli esiti riguardo al numero di agricoltori che potrebbero accedere al regime per i piccoli agricoltori, in quanto ciò dipenderà da quale sarà l’effetto prevalente sugli aiuti unitari tra quello al ribasso dovuto a quanta “nuova” superficie entrerà nel regime e quello al rialzo determinato da quanto aiuto sarà redistribuito. Lo stesso dicasi per gli agricoltori che potranno essere considerati attivi di default. Sembra però lecito supporre che l’aumento di aiuto, di cui ciascun agricoltore “attivo” potrebbe godere, per via dell’esclusione dai benefici dei pagamenti diretti di coloro che non avranno i requisiti per poter essere considerati attivi, sarà comunque di importo non rilevante e tale da non modificare sostanzialmente il peso degli aiuti diretti nella formazione del reddito.
Sul versante delle trattative per la revisione delle proposte di riforma, le parole d’ordine di Stati membri, istituzioni e portatori di interesse sono “semplificazione” e “flessibilità”. Particolarmente sensibili a questi temi sono i capitoli del pagamento verde e dell’agricoltore attivo che, nella veste proposta dalla Commissione europea, potrebbero indurre notevoli complicazioni nella gestione della Pac.
Ad esempio, riguardo al greening molti Paesi, tra i quali l’Italia, lamentano il rischio di un appesantimento burocratico dovuto alla presenza di tre diverse pratiche sulle quali istituire tre diversi tipi di controllo. Anche la questione del riconoscimento dell’agricoltore attivo potrebbe comportare una notevole complicazione, posto che per la sua individuazione occorre attivare controlli sul livello degli aiuti percepiti e incrociare tale dato con quello dei redditi complessivi.
Ma la questione più rilevante resta quella della flessibilità, che vuol dire permettere agli Stati membri di adattare la Pac alle proprie specificità. Proprio sul principio della sussidiarietà puntano gli accordi bilaterali firmati negli ultimi giorni dalla Francia con Germania [pdf], Spagna [pdf] e Bulgaria [pdf]. Nel primo, firmato lo scorso 6 febbraio a Parigi, i due Paesi hanno concordato sulla necessità di tenere conto della realtà economica dell’agricoltura e delle specificità regionali riguardo alla discussione su tetto agli aiuti, zone svantaggiate, giovani agricoltori, piccoli agricoltori, agricoltore attivo. Allo stesso modo, grande sussidiarietà è richiesta per il raggiungimento, nel 2019, di un pagamento forfetario ad ettaro di uguale valore in uno Stato membro o regione. Tale obiettivo, secondo i due Paesi, deve tenere conto delle condizioni economiche delle aziende e della diversità delle situazioni e lasciare agli Stati membri margini di manovra sulle modalità per raggiungerlo. La diversità economica di ciascuno Stato membro deve essere presa in considerazione anche sul versante della redistribuzione delle risorse finanziarie tra Stati membri che, si legge nell’accordo, deve essere progressiva, limitata e non deve rompere gli equilibri interni all’UE. Riguardo ai pagamenti verdi, l’accento viene posto, ancora una volta, sulla necessità di ridiscutere i criteri di “inverdimento”, per adattarli alle sfide alle quali deve rispondere l’agricoltura europea. Dello stesso tenore è l’accordo franco-spagnolo raggiunto il 14 febbraio, nonché quello con la Bulgaria del 2 marzo, sebbene in questi ultimi, rispetto a quello con la Germania, si faccia anche riferimento alla necessità di mantenere alcuni aiuti accoppiati e alla richiesta di prorogare il divieto di nuovi impianti nel settore vitivinicolo oltre il 2015. In tutti gli accordi, poi, è presente la richiesta di rafforzare concretamente il potere negoziale dei produttori. Quest’ultimo è un tema che ha interessato anche l’incontro dello scorso 30 gennaio a Roma tra Italia e Francia, che non è sfociato in un accordo, ma nel quale è stata ribadita la vicinanza tra i due Paesi e il sostegno della Francia alle richieste italiane sulla distribuzione degli aiuti tra Stati membri.
Stessa preoccupazione, ma per motivi opposti, è stata espressa riguardo ai criteri di distribuzione delle risorse della Pac dai tre paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) che, in una dichiarazione congiunta [pdf] siglata a Berlino lo scorso 20 gennaio, esprimono forte disappunto per le proposte della Commissione perché i relativi criteri perpetuano la iniqua distribuzione tra Stati membri che vede i Paesi baltici ricevere i più bassi livelli di aiuto forfetario ad ettaro. Tale posizione è stata sostenuta, a sorpresa, dal Copa-Cogeca [pdf] [pdf], che, in un documento sulle proposte legislative per la Pac dopo il 2013, ha dichiarato che è necessario proseguire i negoziati, “dato che il livello dei pagamenti per ettaro continuerà a essere significativamente più basso della media dell'UE in vari Stati membri, in particolare negli Stati baltici. Occorre garantire un trattamento giusto ed equo di tutti gli agricoltori, tenendo conto delle diverse condizioni.” Tale dichiarazione non è stata sottoscritta da cinque organizzazioni agricole di Belgio, Danimarca, Irlanda e Slovacchia. Per completezza di informazione, va ricordato che il Copa-Cogeca ha formulato delle proprie proposte volte a rafforzare il ruolo delle organizzazioni economiche agricole nel futuro della Pac [pdf].
Negli stessi giorni, il 10 febbraio, si rileva un’altra importante alleanza strategica, quella tra la Coldiretti e il più importante sindacato agricolo britannico l’Nfu (National Farmers’ Union of England and Wales). I due organismi hanno trovato un terreno di intesa comune su alcuni punti [pdf]. In primo luogo, sulla richiesta di una Pac volta a sostenere il ruolo dell’agricoltura e degli agricoltori come produttori di derrate alimentari. Anche in questo accordo si fa riferimento alla necessità che la convergenza tra Paesi sia fatta sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori e che sia concesso tempo e flessibilità agli Stati membri affinché i settori più vulnerabili possano adattarsi ai cambiamenti. Altro tema comune è quello dell’agricoltore attivo per il quale si chiede che la definizione includa la possibilità di tenere conto delle specificità nazionali e non comporti nuove complessità amministrative. A proposito del greening si rileva la necessità di rivedere le misure anche in funzione di “considerazioni finanziarie”, espressione piuttosto vaga che potrebbe implicare sia la revisione della quota di pagamenti da dedicare al pagamento verde e sia una maggiore considerazione dei costi di tali pratiche sui redditi aziendali.
Di tutt’altro genere sono le posizioni espresse dalle istituzioni britanniche in merito alle proposte di riforma della Pac. Il ministro dell’agricoltura, Jim Paice, ha affermato che l’UE dovrebbe lavorare avendo come obiettivo di medio periodo la completa abolizione dei pagamenti del primo pilastro della Pac, che sono distribuiti oggi in modo inefficiente e indiscriminato. Paice chiede inoltre uno spostamento di fondi dal primo al secondo pilastro e che in quest’ultimo trovino posto le misure previste dai pagamenti verdi. Dello stesso tenore è la lettera inviata dalla Camera dei Lords alla Commissione europea [pdf], in cui si dichiara il disappunto per la mancanza di ambizioni della proposta di riforma e per l’occasione persa per ridurre il bilancio per la Pac. La Camera dei Lords, poi, pone il problema della mancanza di flessibilità dei pagamenti verdi, le cui misure dovrebbero essere precisate a livello nazionale o regionale.
Quella dei pagamenti verdi è una questione trasversale che interessa, per motivi opposti, tutti i Paesi, sia quelli più favorevoli alla Pac che quelli ad essa più critici. In tutti i casi si critica la scelta della Commissione di misure “one size fits all”, cioè misure a “taglia unica”, che, come per gli abiti, dovendo adattarsi a tutti non stanno realmente bene a nessuno. Germania e Regno Unito, ad esempio, chiedono che tali misure tengano conto degli specifici problemi ambientali che deve affrontare ciascuno Stato membro. I Paesi più orientati al mantenimento dell’attuale Pac criticano, invece, le pratiche verdi soprattutto per l’aggravio dei costi che subirebbero le aziende agricole, con conseguente perdita di competitività. Ancora sulla questione dei pagamenti verdi, Slovenia e Austria, nel corso di un seminario sui pagamenti diretti nella Pac 2020, tenutosi a fine febbraio, hanno fatto emergere un altro problema e cioè la necessità di garantire livelli di aiuto per il pagamento base e per quello verde differenziati a seconda dell’uso della superficie agricola, se coltivata o lasciata a pascoli estensivi, in modo da evitare il trasferimento di risorse dalle aree più produttive a quelle marginali e meno produttive, quali appunto i pascoli, che non comporterebbe alcun valore aggiunto in termini di benefici ambientali.
Altra questione dibattuta, ancora una volta soprattutto dal Regno Unito, è quella del riconoscimento degli sforzi compiuti in favore dell’ambiente nell’ambito della programmazione nazionale per lo sviluppo rurale o di regimi nazionali. Tali sforzi, secondo il commissario Ciolos, saranno riconosciuti come contributo all’inverdimento e pertanto daranno diritto al pagamento verde. Lo slogan è: “gli agricoltori non pagheranno due volte”. Ma la domanda che ci si pone è: gli agricoltori saranno pagati due volte? Se vengono riconosciuti nel primo pilastro gli sforzi fatti nel secondo ci si potrebbe trovare davanti alla possibilità che per la stessa pratica (biologico, terrazzamento, fasce tampone, forestazione, pascoli, ecc.) qualcuno riceva il premio del secondo pilastro al quale si sommerà, senza fare a di più e senza ulteriori benefici ambientali, il pagamento verde, mentre qualcun’altro, per il reale sforzo fatto verso pratiche più compatibili con l’ambiente, riceverà solo il pagamento verde (perché non percepiva premi nel secondo pilastro) che potrebbero non coprire interamente il costo della pratica, visto che si tratta di un aiuto forfetario del tutto indipendente dai costi. L’aver lasciato irrisolta la questione della natura dei pagamenti verdi e dei loro rapporti con condizionalità, sviluppo rurale e misure ambientali esistenti nell’ambito di alcune Ocm, porrà, in futuro, una serie di problemi di sovrapposizione e concreti rischi di alterazione della concorrenza tra agricoltori.