Che il 2011 possa infine essere l’anno della conclusione del Doha Round? Nel summit svoltosi a Seoul tra l’11 ed il 12 novembre scorsi, i paesi membri del G20 hanno affermato che “il 2011 è una finestra di opportunità decisiva, anche se ristretta, e l’impegno tra i nostri rappresentanti deve intensificarsi ed accrescersi” [link]. Questo impegno è stato ribadito al termine della riunione mini-ministeriale tenutasi a margine del World Economic Forum di Davos di fine gennaio.
I negoziati dovrebbero ora intensificarsi per arrivare ad una bozza delle modalities entro aprile, per poi giungere alla loro firma entro luglio, e finalizzare l’accordo entro la fine dell’anno.
Facendo uno sforzo per superare il senso di déjà vu che inevitabilmente accompagna queste riflessioni, possiamo riconoscere l’effettiva concomitanza nel clima politico mondiale di alcune condizioni favorevoli al raggiungimento di un accordo: prime tra tutte l’assenza, nei prossimi mesi, di elezioni nei maggiori paesi membri del WTO, ed il cambiamento nella strategia dell’amministrazione Obama. Dopo le elezioni di medio-termine dello scorso novembre, questa potrebbe infatti avvalersi del sostegno della maggioranza repubblicana sui temi della liberalizzazione commerciale. È anche vero, però, che questo complesso equilibrio potrebbe sfaldarsi all’avvicinarsi della campagna elettorale per le nuove elezioni presidenziali.
Che una conclusione del Doha Round sia auspicabile nel 2011 lo si legge anche nelle conclusioni dell’Interim report dell’High Level Trade Experts Group costituitosi su iniziativa dei governi di Germania, Regno Unito, Indonesia e Turchia, sotto la guida dell’economista Jagdish Bhagwati e dell’ex direttore del WTO Peter Sutherland con l’obiettivo di identificare le azioni prioritarie in tema di commercio mondiale [link].
Solo l’impegno dei capi di stato e di governo potrebbe effettivamente condurre alla conclusione del Round nell’anno in corso: molto è già stato fatto, e per chiudere i punti ancora aperti ogni paese deve essere pronto a dare il proprio contributo. Sprecare questa finestra di opportunità significherebbe rimandare ogni possibile accordo almeno a dopo il 2013. A quel punto, ed in particolare per l’accresciuta influenza di Brasile, India e Cina, lo scenario mondiale sarebbe probabilmente troppo diverso da quello del 2001, data di inizio delle trattative.
È chiaro che i vantaggi di un accordo andrebbero ben oltre la creazione di nuovo accesso al mercato. In particolare, esso costituirebbe una valida assicurazione contro le tentazioni neo-protezionistiche in tempo di crisi. La conclusione del Doha Round, anche nel caso limite in cui non implicasse alcuna modifica delle politiche esistenti ma si limitasse a ridurre l’entità della protezione possibile, avrebbe un valore notevole (si veda ad esempio Salvatici, 2009; [link]).
Alcuni strumenti del WTO, come il comitato agricolo, il forum di discussione tra i paesi membri per discutere della conformità delle proprie politiche con le disposizioni esistenti, costituiscono inoltre importanti dispositivi di trasparenza. È quanto avvenuto recentemente riguardo le restrizioni all’esportazione applicate da alcuni paesi. In questo caso, è inoltre quanto mai attuale il dibattito sulla necessità di rendere più stringente la regolamentazione di queste misure in ambito multilaterale, un’esigenza particolarmente sentita alla luce dei recenti sviluppi sui mercati mondiali.
Molti paesi membri hanno rinnovato il proprio impegno per la chiusura del Round; l’UE lo ha ribadito nella comunicazione Una politica commerciale attiva per l’UE nei prossimi cinque anni [link]. Per il momento, tuttavia, alle dichiarazioni di intenti non è seguito alcun progresso sostanziale nell’ambito dei negoziati. Gli incontri a Ginevra si sono sì intensificati, ma spesso hanno durata brevissima. E’ noto infatti che buona parte del lavoro “tecnico” è già stata completata, e che si tratta ora invece di trovare la disponibilità politica al compromesso.
La geometria negoziale ha visto la recente costituzione del gruppo del G11 (USA, UE, Canada, Australia, Giappone, Brasile, Cina, India, Argentina, Sud Africa, Maurizio), al fine di dare inizio a negoziati “orizzontali” tra i vari settori oggetto di trattativa. I nodi più controversi restano l’ampiezza delle concessioni su tariffe e sussidi nel settore agricolo nei paesi sviluppati, e l’accesso al mercato per il settore manifatturiero nelle economie emergenti di Brasile, India e Cina.
All’interno del G11 sembrano emergere due approcci principali: da una parte, quello proposto dal Brasile, per il quale occorrerebbe per prima cosa definire l’equilibrio tra un maggiore accesso al mercato nel settore manifatturiero e maggiori concessioni in agricoltura; dall’altra, quello degli USA, che propongono di iniziare direttamente dal negoziare specifiche iniziative settoriali per servizi, beni industriali ed agricoltura, senza a priori fissare gli obiettivi generali. In questo senso, gli USA si sarebbero opposti a una proposta del Messico che descriveva un pacchetto di trade-off tra i diversi settori, tra cui quello agricolo.
Recentemente, e con una mossa che ha destato sorpresa nei paesi sviluppati, il Brasile ha poi richiesto misure di liberalizzazione per alcuni prodotti agricoli che vanno al di là dell’attuale testo delle modalities, per bilanciare la maggiore ambizione che viene richiesta per l’accesso al mercato dei prodotti non agricoli.
Se l’atmosfera e l’intensità dei negoziati sono senz’altro migliorate, non può per ora dirsi altrettanto del contenuto delle trattative. Il loro evolversi nelle prossime settimane mostrerà se la volontà dei vari paesi membri è davvero sincera, e se veramente questo permetterà un avvicinamento delle posizioni negoziali tale da giungere alla conclusione del Round.
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