Editoriale n.24

Editoriale n.24

Il rapporto tra energia e agricoltura, sul quale si concentra la rubrica “Il Tema”, curata da Angelo Frascarelli, presenta molte sfaccettature. Alcune sono nuove e riguardano principalmente la produzione di biocarburanti, biogas e fotovoltaico. Esse sono di attualità per la necessità sempre più pressante di trovare nuove soluzioni energetiche rinnovabili, a fronte del progressivo esaurimento dello stock di energie fossili e del conseguente aumento dei prezzi. Al tempo stesso, le nuove fonti energetiche sono rese accessibili e adottabili in modo diffuso perché l’innovazione tecnologica ha consentito uno straordinario aumento dell’efficienza tecnica, anche in impianti di modeste dimensioni e, per questo motivo, più diffusi.
La convenienza economica a produrre energie rinnovabili in agricoltura origina dalla diminuzione dei costi di produzione, dall’aumento dei prezzi delle energie tradizionali e dall’azione pubblica di agevolazione delle prime e di tassazione delle seconde.
Nelle campagne è in atto una profonda trasformazione, innanzitutto per soddisfare, con soluzioni endogene, il fabbisogno energetico dell’agricoltura stessa e poi per partecipare attivamente allo sforzo di rinnovamento del mix energetico nel senso di un contributo alla soluzione di problemi epocali (quali effetto serra e cambiamento climatico) e di un’auspicabile maggiore autosufficienza.
Queste nuove funzioni dell’agricoltura entrano in competizione con quelle tradizionali di produrre energie alimentari. Perché in tutte le sue funzioni, anche quelle di produrre cibo e fibre, l’agricoltura è fin dalle sue origini uno straordinario convertitore energetico.
Il mercato stimola entrambe le funzioni energetiche dell’agricoltura, chiamandola a nuove responsabilità. Da un lato, l’innalzamento del prezzo del petrolio segnala la fine delle energie fossili (quanto al nucleare, la tragedia del Giappone insegna) e il graduale passaggio a energie più pulite. Dall’altro, la crescita dei prezzi degli alimenti ben oltre ogni record del passato, segnala la necessità di adeguare l’offerta alla domanda, specie nel terzo mondo, favorendo forme di agricoltura a basso consumo di energia tradizionale.
In entrambi i casi, a parte i possibili movimenti di breve periodo dovuti a cause accidentali e alla speculazione, la crescita dei prezzi è effetto di rivolgimenti epocali. Prima di tutto del riscatto dal sottosviluppo, dalla fame e dalla sottonutrizione di centinaia di milioni di esseri umani in Cina, Brasile, India e altri paesi. In quei Paesi però in cui lo sviluppo economico resta un miraggio, specie in Africa, ma non solo (e in questo caso si tratta, purtroppo ancora, di miliardi di persone), i prezzi alti del cibo si traducono in un impoverimento diffuso di grandi masse e addirittura nell’allargamento della platea degli affamati. Qui la crisi alimentare si traduce molto più facilmente che in passato in rivolta e in una pressante richiesta di partecipazione, com’è stato di recente in Tunisia, Egitto, Libia e in numerosi altri casi.
Quando poi, come nel caso della Libia, la rivolta investe paesi produttori di energie fossili, si realizza una reazione a catena. Gli alti prezzi degli alimenti spingono in alto i prezzi dei carburanti e questi a loro volta quelli degli alimenti in un processo autosostenuto.
Tutto questo impone di riconsiderare in tutto il mondo il rilancio del settore agricolo nella lista delle priorità da perseguire, restituendo ad esso quel ruolo appunto “primario”, che troppo spesso si dimentica di riconoscergli.

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